Category: video arte

21
Apr

Mustafa Sabbagh – XI comandamento: non dimenticare

« Uno schizofrenico non dimentica.
Uno schizofrenico accumula »
MS

ZAC – ZISA ZONA ARTI CONTEMPORANEE
Inaugurazione : Sabato 21 Maggio 2016

Sarà il grande spazio di archeologia industriale ZAC ai Cantieri Culturali alla Zisa ad ospitare la prima mostra antologica di Mustafa Sabbagh, la cui inaugurazione è prevista per Sabato 21 Maggio 2016.
La mostra, promossa dall’Assessorato alla Cultura della Città di Palermo, costella la nuova programmazione, avviata lo scorso anno, che ha presto portato all’attenzione nazionale ed internazionale lo spazio ZAC come «luogo di riferimento per il contemporaneo nel sud d’Europa e nel cuore del Mediterraneo », nelle parole dell’Assessore alla Cultura Andrea Cusumano; «un polo espositivo che sempre più va assumendo un potente connotato caratteriale, attraverso i grandi maestri dell’arte contemporanea ». Una stagione di mostre inaugurata con la personale di Mauro d’Agati curata da Gerhard Steidl, seguita dalla suggestiva antologica dedicata a Regina José Galindo, per proseguire con le grandi retrospettive di Hermann Nitsch e di Letizia Battaglia. Programmazione che si arricchirà di altri importanti progetti nell’anno in corso, e che precede l’avvenimento-clou che farà di Palermo capitale dell’arte contemporanea nel 2018, con la celeberrima biennale d’arte internazionale Manifesta 12. L’invito rivolto a Mustafa Sabbagh conferma, da parte dell’Amministrazione, il forte e coerente impegno a costruire una programmazione culturale attenta ai diritti della persona ed alle grandi sfide dell’inizio di questo millennio, riportando in prima linea imperiture domande dell’umanità attraverso i grandi nomi dell’arte contemporanea internazionale.
«La città di Palermo accoglie Mustafa Sabbagh a ZAC, riconoscendo in lui un comune codice genetico: », afferma il Sindaco Leoluca Orlando: «quello di un funambolo che, non dimenticando il rischio della caduta, vuole imparare a volare – e farlo attraverso il linguaggio a lui più congeniale, l’arte. Oggi più che mai abbiamo bisogno di ricollegare le nostre radici alle ali. Tenere ferma la consapevolezza della nostra storia, delle nostre tradizioni e della nostra cultura, pur coltivando l’ambizione a volare attraverso l’accoglienza ed il coraggio di scegliere la propria identità, atto supremo di libertà ». 2000 mq di un ex hangar industriale dell’inizio del Novecento all’interno del quale saranno esposte oltre 75 opere fotografiche tra le più famose di Sabbagh, 10 opere video e tre nuove video-installazioni site-specific, oltre all’installazione fotografica acquisita dalla collezione permanente di arte contemporanea del MAXXI – Museo delle Arti del XXI secolo (Roma), che verrà presentata in anteprima assoluta, come molte delle opere inedite che l’artista ha scelto di battezzare a Palermo.Continue Reading..

19
Apr

Thomas Demand: L’IMAGE VOLÉE

18 Mar – 28 Ago 2016
“L’image volée” è una mostra collettiva curata dall’artista Thomas Demand, ospitata in un ambiente allestitivo progettato dallo scultore Manfred Pernice. La mostra occupa i due livelli della galleria Nord e il Cinema della sede di Milano.

“L’image volée” include più di 90 lavori realizzati da oltre 60 artisti dal 1820 a oggi. L’intento di Thomas Demand è di indagare attraverso la mostra le modalità con cui tutti noi ci richiamiamo a modelli preesistenti e come gli artisti hanno sempre fatto riferimento a un’iconografia precedente per realizzare le proprie opere. Esplorando i limiti tra originalità, invenzioni concettuali e diffusione di copie, “L’image volée” si concentra sul furto, la nozione di autore, l’appropriazione e il potenziale creativo di queste ricerche. Il percorso espositivo presenta tre possibili direzioni d’indagine: l’appropriazione fisica dell’oggetto o la sua assenza, la sottrazione relativa all’immagine piuttosto che all’oggetto concreto e, infine, l’atto del furto attraverso l’immagine stessa. La mostra è stata concepita come un’esplorazione anticonvenzionale di questi temi, affrontati seguendo un approccio empirico. Piuttosto che una ricognizione enciclopedica, “L’image volée” offre una prospettiva inaspettata all’interno di un viaggio di scoperta e ricerca artistica. Nella prima sezione sono raccolte fotografie, dipinti e film in cui l’oggetto rubato o mancante diventa un corpo del reato o la scena del crimine. Ci sono opere che richiamano più direttamente l’immaginario criminale, come la denuncia incorniciata da Maurizio Cattelan – Senza titolo (1991) – a seguito di un furto di un’opera immateriale, o Stolen Rug (1969), un tappeto persiano rubato su richiesta di Richard Artschwager per la mostra “Art by Telephone” a Chicago. Inoltre sono presentati lavori che evocano l’assenza, risultato di un furto, come la tela di Adolph von Menzel Friedrich der Grosse auf Reisen (1854), mutilata per ricavarne ritratti di minori dimensioni. Altri lavori, invece, si basano su un processo di alterazione di opere d’arte preesistenti, come Richter-Modell (interconti) (1987), un quadro di Gerhard Richter trasformato in un tavolino da Martin Kippenberger e Unfolded Origami (2016) di Pierre Bismuth che realizza una nuova opera a partire da poster originali di Daniel Buren. Questi lavori approfondiscono la nozione del controllo dell’autore sulla propria opera. Nella seconda parte del percorso espositivo si analizzano le logiche dell’appropriazione all’interno del processo creativo. Si parte dall’idea di contraffazione e falsificazione, esemplificata dalle banconote riprodotte a mano dal falsario Günter Hopfinger, per poi approfondire le pratiche vicine alla cosiddetta Appropriation Art. In Duchamp Man Ray Portrait (1966) Sturtevant, ad esempio, rimette in scena il ritratto fotografico di Marcel Duchamp realizzato da Man Ray, sostituendosi sia all’autore sia al soggetto della fotografia. Altri artisti spingono la logica della contraffazione al limite, fino a impossessarsi dell’identità di un altro artista. Altre opere sono il risultato di alterazioni di lavori o immagini preesistenti come le défiguration di Asger Jorn o i collage di Wangechi Mutu, che includono illustrazioni mediche e disegni anatomici, e di artisti come Haris Epaminonda, Alice Lex-Nerlinger e John Stezaker che, nei loro lavori, inglobano cartoline, fotogrammi o immagini d’archivio. Altri autori come Erin Shirreff e Rudolf Stingel realizzano i loro dipinti o video usando come fonte una riproduzione fotografica di un’opera d’arte del passato. Questa sezione prosegue con un insieme di opere in cui gli artisti prendono in prestito l’elemento visivo da un altro medium o linguaggio, oppure realizzano un atto di decontestualizzazione dell’immagine stessa. Thomas Ruff in jpeg ib01 (2006) altera un’immagine estratta dal web, Anri Sala in Agassi (2006) esplora le potenzialità del mezzo filmico nel rivelare dinamiche temporali nascoste, Guillaume Paris nel video Fountain (1994) ripropone in loop una breve sequenza del film di animazione Pinocchio (1940). Il percorso espositivo al piano terra della galleria Nord include inoltre lavori scultorei di Henrik Olesen e nuove opere realizzate da Sara Cwynar, Mathew Hale, Oliver Laric e Elad Lassry. La terza parte della mostra è ospitata al livello interrato della galleria Nord, utilizzato per la prima volta come spazio espositivo. Continue Reading..

15
Apr

Jan Fabre. Spiritual Guards

Firenze, 2016
Piazza della Signoria e Palazzo Vecchio, 15 aprile – 2 ottobre

Forte Belvedere, 14 maggio – 2 ottobre

Direzione artistica Sergio Risaliti

Mostra a cura di Joanna De Vos e Melania Rossi

Si rinnova l’appuntamento annuale con la grande arte al Forte Belvedere di Firenze. Dopo le mostre internazionali di Giuseppe Penone e Antony Gormley, i bastioni dell’antica fortezza medicea ospiteranno le opere di Jan Fabre, uno degli artisti più innovativi e rilevanti del panorama contemporaneo. Artista totale, Fabre (Anversa, 1958) sprigiona la sua immaginazione nei diversi linguaggi della scultura, del disegno e dell’installazione, della performance e del teatro.

La grande mostra Jan Fabre. Spiritual Guards , promossa dal Comune di Firenze, si svilupperà tra Forte Belvedere, Palazzo Vecchio e Piazza della Signoria. Si tratta di una delle più complesse e articolate mostre in spazi pubblici italiani realizzata dall’artista e regista teatrale fiammingo. Per la prima volta in assoluto un artista vivente si cimenterà contemporaneamente in tre luoghi di eccezionale valore storico e artistico.  Saranno esposti un centinaio di lavori realizzati da Fabre tra il 1978 e il 2016: sculture in bronzo, installazioni di gusci di scarabei, lavori in cera e film che documentano le sue performance. Fabre presenterà anche due opere inedite, pensate appositamente per questa occasione. L’anteprima sarà un evento di straordinario impatto visivo e dai forti connotati simbolici. La mattina del 15 aprile, infatti, ben due sculture in bronzo di Fabre entreranno a far par parte – temporaneamente – di quel museo a cielo aperto che è Piazza Signoria. Una di queste, Searching for Utopia, di eccezionali dimensioni, dialogherà con il monumento equestre di Cosimo I, capolavoro rinascimentale del Giambologna; mentre la seconda, The man who measures the clouds (American version, 18 years older), si innalzerà sull’Arengario, o Ringhiera, di Palazzo Vecchio, tra le copie del David di Michelangelo e della Giuditta di Donatello. In entrambe le opere si riconoscerà l’autoritratto dell’artista, nella doppia veste di cavaliere e guardiano, come tramite tra terra e cielo, tra forze naturali e dello spirito. Ad una storia dell’arte che si è messa anche a disposizione del potere politico ed economico – come quella di Piazza Signoria con i suoi giganti di marmo (David, Ercole, Nettuno) e con le sue rappresentazioni bibliche, mitologiche o del genius loci (Giuditta, Perseo, Marzocco) – Jan Fabre oppone un’arte che vuole rappresentare e incarnare il potere dell’immaginazione, la missione dell’artista come “spiritual guard”. E lo fa in una piazza che dal rinascimento in poi è stata pensata e usata come agorà e palcoscenico figurativo, che da allora è diventata luogo paradigmatico del rapporto tra arte e spazio pubblico, e dove è stata configurata in modo esemplare la funzione simbolica-spettacolare del monumento moderno.  Sempre dal 15 aprile saranno visibili in Palazzo Vecchio una serie di sculture che andranno a dialogare con gli affreschi e i manufatti conservati in alcune sale del percorso museale del palazzo, in particolare quelle del Quartiere di Eleonora, assieme alla Sala dell’Udienza e alla Sala dei Gigli. Tra le opere esposte anche un grande mappamondo (2.50 m di diametro) rivestito interamente di scarabei dal carapace cangiante, la cui forma e dimensione dialoga perfettamente con il celebre globo conservato nella Sala delle Mappe geografiche, opera cinquecentesca di Ignazio Danti.Continue Reading..

12
Apr

Gabriella Ciancimino. La Stanza dello Scirocco

a cura di Daniela Bigi
dal 17 marzo al 12 maggio 2016

Prometeogallery di Ida Pisani è lieta di presentare la prima mostra personale di Gabriella Ciancimino, dal titolo LA STANZA DELLO SCIROCCO (THE ROOM OF SIROCCO).

“I wish I could’ve been a bird, so I could have flown back and forth between here and there to be with everyone”*. Lo scriveva intorno al 1920 una donna del Sud Italia che frequentava i più radicali ambiti politici newyorkesi. Gabriella Ciancimino, siciliana, prende in prestito queste righe anonime per introdurci alla sua Stanza dello Scirocco.

L’architettura settecentesca annoverava in Sicilia, nelle dimore aristocratiche di campagna, dei confortevoli ambienti sotterranei, spesso decorati, che nei periodi estivi costituivano il più accogliente rifugio per sfuggire al caldo torrido portato dai venti di sud-est. Erano dette “camere dello scirocco”, ove la temperatura si abbassava grazie alle correnti di aria fresca che si generavano con lo scorrere dell’acqua, reso possibile dal sistema idraulico arabo dei qanat. Erano stanze che offrivano un refrigerio e che Ciancimino richiama oggi come metafora di una condizione di libertà. L’artista conduce da tempo un’indagine intorno alle dinamiche di adattamento, di interazione e di auto-organizzazione dei flussi migratori di esseri umani e piante che legge come fenomeni di modificazione del paesaggio in virtù del loro oltrepassare i confini territoriali dei luoghi. Il paesaggio al quale pensa è essenzialmente un “luogo” di riflessione, ma anche di salvaguardia della memoria storica e insieme di azione collettiva. Il suo lavoro ha avuto luogo in paesaggi differenti, il Marocco, la Sicilia, la Turchia e racconta di “coloro che vengono da lontano” e arrivano in quelle città portuali che lungo i secoli hanno mantenuto la funzione di gate d’ingresso per i flussi migratori. Ad affascinarla è l’atteggiamento libertario di uomini, donne e organismi vegetali, dei quali cerca di rintracciare quelle micro-storie che, nel passato come nel presente, si possano ricollegare alla grande storia della resistenza, storica per gli uni, biologica per gli altri. A guidare questo nuovo progetto intervengono in particolare due input, il concetto di “ecologia sociale” formulato da Murray Bookchin nei primi anni settanta e perfezionato nei decenni successivi con progressivi sviluppi, e lo specifico concetto di “furor” che Giordano Bruno teorizza nei suoi Eroici Furori. È in queste pagine che Ciancimino incontra la spiegazione di quella concezione dell’amore “eroico”, dell’amore dell’uomo per la natura, che più si avvicina alla sua idea di “amore furioso”, quello che permette ai liberty flowers di resistere. I fiori resistenti, i Liberty Flowers, sono da anni al centro del suo operare, in termini sia di concentrazione figurale che di rimando simbolico. Sono i fiori delle piante endemiche, i fiori delle erbacce, che migrano, attecchiscono e crescono rigogliosi in terre sconosciute, lontani dai terreni di origine, in condizioni per lo più inospitali. Sono gli stessi fiori del terzo paesaggio, portatori di istanze di libertà e di resistenza. Un banner di seta con su scritto “The Liberty Flowers love to resist, the Resistant Flowers resist for love” accoglie lo spettatore all’ingresso della mostra e fornisce la chiave di lettura dei wall drawings, delle tele, dei disegni, della proiezione e delle sculture de La Stanza dello Scirocco (The room of Sirocco). L’artista l’ha pensata come una sintesi di pensiero ecologico, antropologico e libertario e l’ha realizzata attraverso un linguaggio che si muove contemporaneamente su più livelli, frutto a sua volta della contaminazione tra disegno, graffiti, graphic design, video e gli stilemi architettonici e decorativi che hanno intriso la cultura visiva siciliana dalla tradizione arabo-normanna fino al Liberty – uno stile, quest’ultimo, che nel suo ispirarsi alla natura e agli elementi strutturali che la intessono, viene assunto quasi con il valore dello slogan, viene scelto come angolazione privilegiata dalla quale guardare all’uomo. Le contaminazioni, le stratificazioni, le coesistenze si ritrovano innanzitutto nei disegni, The Flow of Flowers, in cui la sovrapposizione di differenti livelli grafici – ottenuti con matite, acquarelli, con texture derivate da inchiostro su bottoni di metallo come fossero timbri su carta – restituisce la ricchezza dei segni e degli immaginari delle tante culture che più o meno pacificamente si sono sedimentate in terra siciliana, ma anche, e su altri piani, nel bagaglio biografico dell’artista. Ma The Flow of Flowers non si può considerare soltanto un insieme di disegni, dobbiamo leggerlo come unpaesaggio storico, costruito accostando alcuni tra i più famosi poster delle rivolte susseguitesi tra il 1968 e la rivoluzione in Egitto. L’artista modifica l’iconografia del pugno chiuso che è presente nella maggior parte dei poster ruotandola in un gesto di offerta dell’adonis annua l., un fiore rosso proveniente dall’area mediterranea comunemente conosciuto come “Red Morocco”, un’erbaccia dissidente, che l’uomo ha combattuto fin quasi a portarla all’estinzione.

Continue Reading..

08
Apr

Carsten Höller. Doubt

dal 07.04 al 31.07.2016 – Spazio: NAVATE
Carsten Höller
Doubt / A cura di Vicente Todolí

Pirelli HangarBicocca presenta “Doubt”, la mostra personale di Carsten Höller, artista tedesco tra i più riconosciuti a livello internazionale per la sua approfondita riflessione sulla natura umana. La pratica di Höller è fondata sulla ricerca di nuovi modi di abitare il mondo in cui viviamo e prevede il coinvolgimento diretto del pubblico con l’opera d’arte. Il suo lavoro suscita diversi stati d’animo nel visitatore: gioia, euforia, allucinazioni e, appunto, “dubbi” dando vita a nuove possibili interpretazioni del reale. La mostra, a cura di Vicente Todolí, si espande attraverso due percorsi speculari e paralleli, che richiedono la partecipazione sensoriale del pubblico. Sono i visitatori a poter scegliere come affrontare la mostra e quale percorso intraprendere.
Per Carsten Höller la scelta, infatti, è insita nell’opera d’arte e sin dall’inizio della mostra l’installazione Y (2003), formata da numerose lampadine che si accendono a intermittenza, pone il dubbio sulla direzione da scegliere.
“Doubt” presenta oltre venti opere, sia storiche che nuove produzioni, collocate sull’asse centrale dello spazio, in modo da creare un muro divisorio che permette di vedere le opere solo a metà. Il pubblico deve ricordarle così fino al momento in cui incontra l’altra metà, percorrendo il lato opposto. Grandi installazioni, video e fotografie giocano con le coordinate spaziali e temporali del luogo espositivo, sviluppando un viaggio tra simmetria, duplicazione e ribaltamento.
Il percorso espositivo alterna lavori che rimandano a esperimenti ottici – tra cui Upside-Down Goggles (1994 – in corso), con i quali l’artista invita il pubblico a vedere il mondo capovolto – a quelli legati a una dimensione ludica – come Two Flying Machines (2015), con le quali si può sperimentare la sensazione del volo o Double Carousel (2011), una giostra per adulti che provoca sentimenti di euforia e stupore.
La mostra include anche Two Roaming Beds (Grey) (2015), formata da due letti che vagano ininterrottamente nello spazio, eYellow/Orange Double Sphere (2016), un dispositivo luminoso sospeso composto da due sfere concentriche e lampeggianti, che interagisce con l’opera di Philippe ParrenoMarquee (2015), parte della mostra “Hypothesis” precedentemente ospitata in Pirelli HangarBicocca.Continue Reading..

30
Mar

Tensioni strutturali #1

Tensioni strutturali #1 curata da Angel Moya Garcia

CARLO BERNARDINI
MONIKA GRZYMALA
ROBERTO PUGLIESE
ESTHER STOCKER

TENSIONI STRUTTURALI, a cura di Angel Moya Garcia, si articola come un progetto organico suddiviso in tre mostre, indipendenti ma interconnesse tra di loro, che saranno presentate gradualmente nei nuovi spazi della galleria. Se la prima si focalizza sul ruolo centrale dell’individuo nella costruzione dello spazio percepito, la seconda analizzerà successivamente le diverse possibilità della materia come elemento di rappresentazione e, infine, la terza studierà i processi entropici dell’ambiente quotidiano.
La prima parte di questa trilogia viene sviluppata dai quattro artisti invitati, Carlo Bernardini, Monika Grzymala, Roberto Pugliese e Esther Stocker, come un tentativo di esaminare, attraverso metodologie, poetiche e visioni diverse, lo spazio esperienziale della realtà e il ruolo dell’individuo nella sua costituzione. Una successione di equilibri effimeri, processi sonori che costringono lo spazio rendendolo una sintesi formale delle sue caratteristiche intrinseche, esplosioni sospese che originano uno spaesamento dirompente, segmenti rettilinei di luce e ombre che segnano una sottile differenza tra il visibile e l’illusorio e strutture anomale che incrementano le possibilità della percezione. Tracce residue di una sequenza di dispositivi in tensione, depositate e stratificate nello spazio, che si svelano gradualmente delimitate, sospese, ordinate e modulate e che vengono avvertite solo nel momento in cui lo spettatore ne fa esperienza. Un invito ad attraversare i diversi interventi, sommersi da singolarità, deformazioni, soglie e punti di fuga in un ambiente in cui i perimetri vengono completamente annullati, la stabilità definitivamente perduta e le coordinate di riferimento irrimediabilmente dimenticate. In particolare, nella prima sala Roberto Pugliese proietta le tensioni strutturali verso lo spettatore, che si trova di fronte a una composizione elaborata tramite la traduzione di tutte le misure della stanza in frequenze sonore. Nella seconda sala, Monika Grzymala disegna tridimensionalmente una drammatica deflagrazione, con filamenti di nastro nero che trafiggono lo spazio, ingannando la gravità e paralizzando lo sguardo dello spettatore. Nella terza sala, Carlo Bernardini presenta un’installazione permeabile in fibra ottica, in cui è la stessa luce a generare lo spazio attraverso un disegno geometrico in negativo, che rimbalza fra il pavimento, le pareti e il soffitto. Infine, nell’ultima sala, Esther Stocker, attratta dai paradossi formali e dagli “errori”, realizza un’installazione ambientale configurata tramite elementi di disturbo e interferenze che sfidano i limiti e le possibilità della percezione e modulano lo spazio architettonico.
Continue Reading..

25
Mar

Stanley Kubrick- Arancia Meccanica. Fotografie di DMITRI KASTERINE

Stanley Kubrick – Arancia Meccanica – Fotografie di Dmitri Kasterine
dal 19 marzo al 7 maggio 2016

«My wanting to take a photograph appears as fast as a bolt and without warning when I spot the subject. I enjoy exploring, looking for things that stop me, or frighten me. To fear to take a picture usually means you want to take it».

Dmitri Kasterine

ONO arte contemporanea, in occasione del 45° anniversario dell’uscita del film Arancia meccanica, presenta Stanley Kubrick – Arancia Meccanica. Fotografie di Dmitri Kasterine, personale del fotografo che ha immortalato Stanley Kubrick sui set di alcuni dei suoi film più significativi. Siamo nel 1961 quando Kasterine comincia la sua carriera come fotografo professionista, durante gli anni della Swinging London e della celebrazione della giovinezza in tutte le sue forme. E proprio in questo periodo Kasterine inizia a lavorare per diverse agenzie e per svariate riviste, come Queen e Radio Times e che sente nominare Kubrick per la prima volta da un agente che aveva lavorato per due dei suoi film: “Lei mi consigliò di vedere Paths of Glory (Orizzonti di gloria, 1957), che era appena uscito a Londra. Dopo averlo visto, chiesi all’editore di Queen se poteva essere interessata ad un articolo su di lui. Lei acconsentì, così andai giù agli Shepperton Studios dove stava girando Dr Strangelove (Il dottor Stranamore, 1964) […]”. E sarà proprio alla fine di quella giornata che Kubrick chiede a Kasterine di lavorare per lui, aggiungendo “You stand in the right place”. Così iniziò il loro sodalizio, che portò Kasterine a lavorare anche sui set di 2001: A Space Odyssey e A Clockwork Orange.
Di quest’ultima pellicola, le immagini che Kasterine ci lascia, sono un compendio della violenza di cui è permeato il film, che costò anche a Kubrick il ritiro della pellicola dalle sale inglesi nel 1974, e che di fatto solo nel 2007 venne mandato in onda in Italia in una TV pubblica. Tratto dall’omonimo romanzo di Anthony Burgess (1962), Arancia meccanica fa parte dei tre film fantascientifici girati da Kubrick (2001 Odissea nello Spazio e Il Dottor Stranaore) ma tra questi è sicuramente il più ancorato al reale: nonostante i costumi futuristici e l’ambientazione distopica, il setting è quello di un’Inghilterra dai contorni ben riconoscibili, fatta di droga, sesso e violenza, di ragazzi annoiati che per sopperire alla loro condizione di apatia, non fanno altro che organizzare stupri di gruppo, rapine e violenze gratuite. «Il Korova milkbar vende ” latte+ “, cioè diciamo latte rinforzato con qualche droguccia mescalinica, che è quel che stavamo bevendo. È roba che ti fa robusto e disposto all’esercizio dell’amata ultraviolenza». L’impatto visivo, la scenografie pop, le musiche classiche di Beethoven e Rossini, e i dialoghi metà strada tra il surreale e l’onirico, hanno contribuito a far diventare Arancia Meccanica non solo un film cult, ma anche uno dei migliori film di tutti i tempi.
La mostra (19 marzo – 7 maggio) è composta da 17 fotografie in diversi formati.

Ono arte contemporanea
VIA SANTA MARGHERITA 10 | 40123 BOLOGNA | +39 051 262465
vittoria@onoarte.com | maurizio@onoarte.com | beatrice@onoarte.com

 

23
Mar

XVI Biennale Donna. SILENCIO VIVO – Artiste dall’America Latina

XVI Biennale Donna

SILENCIO VIVO
Artiste dall’America Latina

A cura di Lola G. Bonora e Silvia Cirelli

Ferrara, Padiglione d’Arte Contemporanea
17 aprile-12 giugno 2016

Dal 17 aprile al 12 giugno 2016, torna al Padiglione d’Arte Contemporanea di Ferrara la Biennale Donna, con la presentazione della collettiva SILENCIO VIVO. Artiste dall’America Latina, curata da Lola G. Bonora e Silvia Cirelli. Organizzata da UDI – Unione Donne in Italia di Ferrara e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, la rassegna si conferma come uno degli appuntamenti più attesi del calendario artistico e dopo la forzata interruzione del 2014, a causa del terremoto che ha colpito Ferrara e i suoi spazi espositivi, può ora riprendere il proprio percorso di ricerca ed esplorazione della creatività femminile internazionale. Da sempre attenta al rapporto fra arte e la società contemporanea, la Biennale Donna intende concentrarsi sulle questioni socioculturali, identitarie e geopolitiche che influenzano i contributi estetici dell’odierno panorama delle donne artiste. In tale direzione, la rassegna di quest’anno ha scelto di spostare il proprio baricentro sulla multiforme creatività latinoamericana, portando a Ferrara alcune delle voci che meglio rappresentano questa eccezionale pluralità espressiva: Anna Maria Maiolino (Italia-Brasile, 1942), Teresa Margolles (Messico, 1963), Ana Mendieta (Cuba 1948 – Stati Uniti 1985) e Amalia Pica (Argentina, 1978).

SILENCIO VIVO riscopre le contaminazioni nell’arte di temi di grande attualità, interrogandosi sulla realtà latinoamericana e individuandone le tematiche ricorrenti, come l’esperienza dell’emigrazione, le dinamiche conseguenti alle dittature militari, la censura, la criminalità, gli equilibri sociali fra individuo e collettività, il valore dell’identità o la fragilità delle relazioni umane. L’esposizione si apre con l’eclettico contributo di Ana Mendieta, una delle più incisive figure di questo vasto panorama artistico. Nonostante il suo breve percorso (muore prematuramente a 36 anni, cadendo dal 34simo piano del suo appartamento di New York), Ana Mendieta si riconferma ancora oggi, a 30 anni dalla sua scomparsa, come un’indiscussa fonte ispiratrice della scena internazionale. La Biennale Donna le rende omaggio con un nucleo di opere che ne esaltano l’inconfondibile impronta sperimentale, dalle note Siluetas alla documentazione fotografica delle potenti azioni performative risalenti agli anni ’70 e ’80. Al centro, l’intreccio di temi a lei sempre cari, quali la costante ricerca del contatto e il dialogo con la natura, il rimando a pratiche rituali cubane, l’utilizzo del sangue – al contempo denuncia della violenza, ma anche allegoria del perenne binomio vita/morte – o l’utilizzo del corpo come contenitore dell’energia universale. Il corpo come veicolo espressivo è una caratteristica riconducibile anche nei primi lavori della poliedrica Anna Maria Maiolino, di origine italiana ma trasferitasi in Brasile nel 1960, agli albori della dittatura. L’esperienza del regime dittatoriale in Brasile e la conseguente situazione di tensione hanno influenzato profondamente la sua arte, spingendola a riflettere su concetti quali la percezione di pericolo, il senso di alienazione, l’identità di emigrante e l’immaginario quotidiano femminile. In mostra presentiamo una selezione di lavori che ne confermano la grande versatilità, dalle sue celebri opere degli anni ’70 e ’80, documentazioni fotografiche che lei definisce “photopoemaction” – di chiara matrice performativa – alle sue recenti sculture e installazioni in ceramica, dove emerge la sempre fedele attinenza al vissuto quotidiano, in aggiunta, però, all’esplorazione dei processi di creazione e distruzione alle quali l’individuo è inevitabilmente legato.Continue Reading..

11
Mar

Studio Azzurro. Immagini sensibili

Il Comune di Milano rende omaggio a Studio Azzurro con una mostra antologica e “prospettiva”. Nelle prestigiose sale di Palazzo Reale (Appartamenti del Principe, Sala delle 4 Colonne, Sala delle 8 Colonne, Sala delle Cariatidi) si susseguono videoambienti, videoinstallazioni interattive (ambienti sensibili) e sale di videodocumentazione del vasto corpus di opere realizzate dal 1982 a oggi.

Il percorso espositivo prende inizio dalla riproposizione de IL NUOTATORE (va troppo spesso a Heidelberg) e si conclude con una nuova opera dedicata alle storie della Milano nascosta e ideata per la Sala delle Cariatidi in omaggio al grande film MIRACOLO A MILANO.L’occasione della mostra permette a Studio Azzurro di attivare la sua vocazione a fare rete coinvolgendo altri spazi della città metropolitana: anzitutto lo Spazio MIL come primo esperimento sul campo di Stazione Creativa; l’Anteo spazioCinema per la rassegna di film e video inediti; il CRT Milano; la sede dello studio alla Fabbrica del Vapore, dove si sono formati i giovani che hanno poi proseguito autonomamente la propria attività artistica.La mostra è parte del palinsesto RITORNI AL FUTURO
http://www.ritornialfuturo.it/
In mostra trentacinque anni di lavoro di Studio Azzurro, riconosciuto sia a livello nazionale che internazionale e orientato al dialogo tra spettatore e spazio che lo ospita, in una lunga ricerca artistica stimolata dalle nuove tecnologie. Alla riproposizione delle installazioni più significative che pongono come protagonista lo spettatore, si aggiunge una nuova installazione dedicata a Milano.
Studio Azzurro. Immagini sensibili
Palazzo Reale di Milano
a cura di Studio Azzurro
Dal 09 aprile al 04 settembre 2016enti promotori:
Comune di Milano Cultura
Palazzo Reale
Studio Azzurro ProduzioniT. +39 02 88445181
c.mostre@comune.milano.it

Immagine: Studio Azzurro, La Camera Astratta, opera videoteatrale, Salzmannfabrik, Documenta 8, Kassel, 1987 (part.)

report by amaliadilanno

14
Feb

ALFREDO JAAR. Napoli, Napoli

Galleria Lia Rumma NAPOLI
Inaugurazione: giovedì 11 febbraio 2016, ore 19.00
Orari galleria: martedì-sabato 11-13.30 / 14.30-19.00
La Galleria Lia Rumma è lieta di presentare al pubblico “Napoli, Napoli” la prima mostra personale dell’artista cileno Alfredo Jaar a Napoli.

“Napoli è senza dubbio una delle città più stimolanti del mondo, uno tsunami di gioia esuberante e caos malsano, la versione reale della Divina Commedia di Dante, tutto insieme: Inferno, Paradiso e Purgatorio. Quando Gramsci scrisse: “ Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri” stava pensando all’Italia o a Napoli? Quando Giuseppe Ungaretti scrisse la magnifica poesia “M’illumino d’immenso” stava pensando a Napoli? Ma per favore ditemi chi ha creato Napoli? E per chi? E a quale scopo? Perché Napoli? Solo una città come Napoli innesca queste domande esistenziali perché Napoli non è una città, Napoli è un universo dove ci si perde appena vi si entra e da cui non c’è ritorno”.
Alfredo Jaar, gennaio 2016

Alfredo Jaar è artista, architetto e regista. Vive e lavora a New York. Nato a Santiago del Cile, il lavoro di Jaar è stato esposto in tutto il mondo. Ha partecipato alle Biennali di Venezia (1986, 2007, 2009, 2013), São Paulo (1987, 1989, 2000) e a Documenta a Kassel (1987, 2002). Sue importanti mostre personali includono il New Museum of Contemporary Art, New York; Whitechapel, Londra; il Museum od Contemporary Art, Chicago; il Museo di Arte Contemporanea di Roma e al Moderna Museet di Stoccolma. Un’ampia retrospettiva sul suo lavoro è stata ospitata nell’estate del 2012 in tre spazi istituzionali a Berlino: la Berlinische Galerie, la Neue Gesellschaft fur bildende Kunst e.V. e la Alte Nationalgalerie. Nel 2014 il Museum of Contemporary Art Kiasma di Helsinki gli ha dedicato la più completa restrospettiva della sua carriera. Jaar ha realizzato più di sessanta interventi pubblici nel mondo. Sono state pubblicate oltre cinquanta monografie sul suo lavoro. È diventato Guggenheim Fellow nel 1985 e MacArthur Fellow nel 2000. Il suo lavoro fa parte delle collezioni del MAXXI e del MACRO di Roma, del Museum of Modern Art e del Guggenheim Museum di New York, del MCA di Chicago, del MOCA e del LACMA di Los Angeles, della TATE di Londra, del Centre Georges Pompidou di Parigi, del Centro Reina Sofia di Madrid, del Moderna Museet di Stoccolma, del Louisiana Museum of Modern Art di Humlaebeck e in dozzine di altre collezioni pubbliche e private del mondo.

Galleria Lia Rumma
Via Vannella Gaetani, 12
Tel.+39.081.19812354
Fax +39.081.19812406
info@liarumma.it

orario:
lunedì-venerdì
11:00-13:30 / 14.30-19:00

La mostra sarà visitabile fino al 31 marzo 2016