Category: video arte

26
Nov

Nobuyoshi Araki. Araki Amore

a cura di Filippo Maggia

Questa mostra è inserita nelle celebrazioni ufficiali del 150° Anniversario delle relazioni tra Giappone e Italia.

ARAKI AMORE
La Galleria Carla Sozzani presenta a Milano una mostra di Nobuyoshi Araki uno dei più grandi e controversi fotografi giapponesi contemporanei. Una selezione di più di ottanta opere, in gran parte inedite e realizzate negli ultimi due anni, dall’emblematico titolo “Araki Amore”, a cura di Filippo Maggia.

Nobuyoshi Araki è un artista generoso, infaticabile esploratore delle umane passioni e fine ritrattista, capace di mettersi in profonda relazione con il soggetto. In mostra i temi classici della sua fotografia – i nudi, il ritratto, le composizioni floreali, la caotica eppure ordinata città metropolitana – riletti e rielaborati col recupero dei negativi realizzati nei decenni passati.

La figura femminile appare nei suoi lavori più recenti meno ostentata e come evocata: nelle figure di danza della ballerina Kaori e nell’utilizzo di bambole e pupazzi che da sempre popolano il mondo onirico del fotografo, come fossero ricordi, o memorie o appunti lasciati sul diario sentimentale di una vita spesa a celebrare la bellezza e la caducità di ciò che è destinato a sfiorire.

L’universo femminile resta un mistero che Araki non si stanca di esplorare come dice al curatore: “Ti dirò una cosa che potrà sembrare estrema, assurda: io non so nulla sulla natura delle donne. Attraverso l’obiettivo cerco di arrivare all’essenza delle cose e, nel caso delle donne, di ciò che sono, il loro vivere quotidiano oppure la loro sessualità. Tutte però sono diverse l’una dall’altra, per questo continuo a scattare”.

Nei suoi lavori i temi dell’eros e della morte tornano costanti: “Dopo la mia reincarnazione a mia nuova vita, fotografia sarà la prima parola che pronuncerò. La fotografia è stata per me come un contratto lungo quasi sessant’anni. “La fotografia è amore e morte” – sarà il mio epitaffio.”

Araki appartiene a una generazione di artisti nipponici emersa dagli anni 1960, mentre il Giappone stava sperimentando uno sviluppo economico radicale e un’urbanizzazione senza precedenti a seguito del dopoguerra.
Le trasformazioni sociali e i cambiamenti culturali hanno influenzato il suo sguardo; per esempio, nei bar karaoke, nei giocattoli giapponesi e nelle scene di strada a Tokyo. Molte delle sue fotografie evocano i mostri mitici giapponesi, tratti dal genere cinematografico del Kaiju (film di fantascienza come Godzilla), che attaccano le città giapponesi.

In mostra alla Galleria Carla Sozzani anche tre nuove opere uniche, composizioni di più di 100 polaroid ciascuna, a colori e in bianco e nero, scelte e accostate dall’artista e un video- documentario che presenta, per la prima volta in Italia, Nobuyoshi Araki al lavoro in una sessione di nudo con la danzatrice Kaori, realizzato nel luglio dello scorso anno a Tokyo.Continue Reading..

16
Nov

FABRIZIO CORNELI. Flechas de sombra

Nell’ambito della XVI Settimana della Scienza di Madrid, l’Istituto Italiano di Cultura di Madrid inaugura la mostra Schegge d’ombra di Fabrizio Corneli. Seguirà la conferenza Luce e Arte: un legame indissolubile, del Fisico e Responsabile del Laboratorio di Ergonomia della Visione del CNR, Alessandro Farini.

Fabrizio Corneli, artista fiorentino attivo dagli inizi degli anni ottanta, è stato, ed è, uno dei protagonisti dell’ estetica dell’oscurità. L’arte di Corneli dialoga, in piena attualità, con la scienza: le sue sorprendenti installazioni si basano su un attento studio dell’ottica e della geometria, delle regole prospettiche e della percezione per dare forma alla materia oscura – sconosciuta, inconoscibile? – dell’ombra.

Alessandro Farini è un fisico laureato presso l’università di Firenze dove ha conseguito anche la specializzazione in Ottica. E’ il responsabile del Laboratorio di Ergonomia della Visione del CNR-Istituto Nazionale di Ottica. Il Laboratorio di Ergonomia della visione è dedicato alla Psicofisica Applicata, ed in particolare allo studio dell’illuminazione e dell’ottica oftalmica. È docente di fotofisica del processo visivo e di psicofisica presso il corso di laurea in Ottica e Optometria dell’Università di Firenze.

Giovedì, 17 novembre 2016 alle ore 12.00
Ingresso libero fino ad esaurimento posti. Si servirà un aperitivo.

Informazioni
Data: Gio 17 Nov 2016
Orario: Alle 12:00
Organizzato da : Istituto Italiano di Cultura di Madrid
In collaborazione con : Studio Trisorio
Ingresso : Libero
dal 17 novembre 2016 al 27 gennaio 2017

Istituto Italiano di Cultura
Calle Mayor, 86
28013 Madrid
tel: +34 915475205
iicmadrid@esteri.it
orari: lun-ven > 10.00 – 18.00

16
Nov

Flavia Bucci, Enrico Fico. NYCTOPHILIA

a cura di Tiziana Tommei

Inaugurazione venerdì 18 novembre 2016
Dalle ore 19.00 alle ore 21.00

In mostra da venerdì 18 novembre a domenica 18 dicembre 2016

Da martedì a sabato, 11.00 – 13.00 / 16.30 – 19.30
o su appuntamento

Galleria 33 presenta la doppia personale di Flavia Bucci ed Enrico Fico, Nyctophilia a cura di Tiziana Tommei.

Il progetto espositivo muove dalla volontà di mettere in dialogo i progetti personali di Flavia Bucci ed Enrico Fico: Esercizi d’igiene e À chacun son enfer. Nel primo caso si presenta una selezione d’archivio dell’artista abruzzese: una raccolta molto vasta, che conta un totale di 3.761 fotografie di oggetti domestici, ottenute mediante l’uso dello scanner. Un “esercizio” che ha impegnato Flavia Bucci nel corso di un anno e che ha visto successivamente la stampa su carta dell’immagine digitalizzata. In ultima istanza, è avvenuta la messa a punto di un sistema di presentazione delle opere in ordine al quale la scelta della cornice e il rapporto in termini di formato tra opera e immagine costituiscono elementi contingenti il lavoro sul piano concettuale prima ancora che materiale. Fotografia analogica e poesia visiva sono invece le componenti delle opere di Enrico Fico; in esse il paesaggio assume una veste cerebrale e solo di riflesso velatamente emotiva. Una natura matrigna, pungente e oscura, che viene colmata da un mondo tutto interiore, fino a divenire cassa di risonanza soggettiva. L’orizzonte viene frammentato, chiuso e annullato; gli alberi capovolti e le linee sinuose tagliate. Una voce contro un certo modo d’intendere la fotografia, in antitesi al quale egli sceglie di rappresentare il paesaggio in analogico per poi scomporlo, rovesciarlo, sporcarlo e subordinarlo alle parole. Entrambi seguono tempi ampi di metabolizzazione dei progetti – ambedue sono dispiegati nel corso di tre anni (2014-16) – e sono accomunati da un’inclinazione all’analisi scientifica del sé, mediante l’uso di ciò che sta all’esterno, in particolare luoghi e cose del mondo inanimato comunemente intesi come rassicuranti, quali la dimensione domestica e il paesaggio naturale. Non osannano l’estetica, non seguono canoni, ma cercano la verità con la consapevolezza che per avvicinarsi a questa occorra andare a fondo, in profondità, dove c’è oscurità e silenzio (come nella notte). In À chacun son enfer Enrico Fico tinge di nero la natura, disarticolandola senza in realtà toccarla. Ricorrendo ad una metafora, è come se l’autore avesse osservato il mondo attraverso uno specchio, per poi infrangere quest’ultimo a terra. Una superficie riflettente perché, se l’immagine impressa è quella di un spazio fisico, l’uso che se ne fa è quello di un luogo interiore, mentale e viscerale. Scatti realizzati nel 2014, ma letti, interpretati e decodificati nei due anni successivi attraverso la memoria e, infine, tradotti in versi. Il testo non risulta mai didascalico rispetto all’immagine, perché la poesia è più forte di ciò che si osserva. Sono opere che impongono di essere lette, non osservate: richiedono una chiave di lettura e in questo senso funzionano come un pentagramma. L’artista non vuole fornire soluzioni, perché egli stesso cerca “le risposte”. Questo lavoro deve essere ragionato in almeno due direzioni: il rapporto con la fotografia e quello tra immagine e testo. In riferimento al primo questi dichiara il rifiuto verso un uso realistico, oggettivo ed estetico del mezzo fotografico; per la seconda invece, egli sonda e investiga le possibili fusioni tra il verso e l’immagine. Quest’ultima non è mai descrittiva, ma sempre veicolo di concetti dichiaratamente non immediatamente intelligibili. Sono opere fredde attraverso le quali chi crea ragiona su di sé, utilizzando un soggetto classico, esterno ed aperto, per mettere in piedi un discorso fuori dai canoni, psichico e intellettuale, intimo e spirituale.

3.761 oggetti accumulati come “i frutti di una quotidiana apocalisse” e passati allo scanner in “una sorta di rituale”, per adempiere e condurre a termine Esercizi d’igiene. Flavia Bucci sottopone all’esame della macchina tutta la sua quotidianità materiale, ciò che la circonda, ma soprattutto quello che compone la sua dimensione domestica, intima, personale. Radiografie più che fotografie: opere di carattere scientifico e più specificatamente medico. Viviseziona la vita, quella vera, quella quotidiana, e lo fa con abnegazione, metodo e disciplina. Quello che la guida è un desiderio spasmodico di controllo, per giungere a ciò che lei chiama, citando il titolo, “igiene”. In realtà si tratta di “mettere da parte con la certezza di non aver tralasciato nulla”, ossia di risolvere, affrontare e superare paure, insicurezze e angosce. Quando si è estremamente mentali, infatti, si rischia di demonizzare la materia, il suo peso specifico, il volume e la fisicità. In linea con ciò, gli oggetti tridimensionali che occupano lo spazio fisico dell’artista vengono da essa ridotti in immagini bidimensionali, schiacciati ed esautorati da ogni possibile funzione e significato. Vengono archiviati, numerati, conservati e riproposti in forma di surrogati. Chiusi in teche fatte di cornici di riuso, sigillate con colla e carta; messi sotto vetro dopo essere state osservate al microscopio, analizzate ed etichettate. Oggetti che assumono le sembianze di entità macroscopiche, feticci rivelati dalla luce dello scanner, immersi e relegati in un fondo grigio, scuro e profondo.Continue Reading..

08
Nov

Olafur Eliasson. The parliament of possibilities

Curated by Hyesoo Woo, Chief Curator, Leeum, Samsung Museum of Art

September 28, 2016–February 26, 2017

Leeum, Samsung Museum of Art
60-16, Itaewon-ro, 55-gil
140-893 Yongsan-gu, Seoul
South Korea

T +82 2 2014 6900

Leeum, Samsung Museum of Art is pleased to host The parliament of possibilities, a major solo exhibition by Olafur Eliasson. Danish-Icelandic artist Olafur Eliasson is one of the most acclaimed artists working today. Eliasson’s practice expands our notion of art; his use of illusions produced by mirrors, machines that create pseudo-natural phenomena, and diverse visual experiments suggests new ways of perceiving, experiencing, and responding to our shared world.

This mid-career survey exhibition presents a unique opportunity to encounter a wide range of artworks by Eliasson. The 22 works in the exhibition range from those created at the beginning of the artist’s career, in the early 1990s, to works representative of his most recent activities. A tapestry of tightly woven Icelandic moss titled Moss wall (1994) and the gravity-defying Reversed waterfall (1998) are exemplary of his early works, while new productions include Your unpredictable path (2016), a work inspired by constellations and nebulae, and Rainbow assembly (2016), made of water droplets and light.

Olafur Eliasson says, “The parliament of possibilities celebrates the fact that the world and our feelings about it are constantly changing. When we see things as a continuous process of production and relation, we may also see their potential. We then have the opportunity to negotiate reality, to decide together what world to build. I would like to think that my works encourage people’s engagement and experience of being present with and in the world. The artworks function as mirrors, reflecting a not-yet-verbalised emotional need that we carry inside ourselves.”

Throughout his career, Eliasson has employed a wide range of media, including sculpture, installation, photography, and painting, to realize works that raise questions dealing with nature, philosophy, and science. The wide spectrum of Eliasson’s creative activity leaves a profound impression on viewers across the globe. For Eliasson, though, the viewers themselves compose the most important element—it is through their encounters with his work that it continues to produce new meaning. The parliament of possibilities is thus the perfect occasion to explore the dynamic relationship between art and life.

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08
Nov

Kishio Suga. Situations

A cura di Yuko Hasegawa e Vicente Todolí / 30 settembre 2016 – 29 gennaio 2017

“Situations” è la prima retrospettiva dedicata da un’istituzione europea a Kishio Suga (Morioka, Giappone, 1944), figura chiave dell’arte contemporanea giapponese. La mostra, a cura di Yuko Hasegawa e Vicente Todolí, raccoglie nello spazio delle Navate di Pirelli HangarBicocca oltre venti installazioni realizzate da Suga dal 1969 fino a oggi e da lui riadattate per l’occasione.
Personalità di spicco di Mono-ha, gruppo artistico nato alla fine degli anni Sessanta, Kishio Suga inizia a esporre le sue opere in un contesto di grande fermento culturale per il Giappone, così come a livello internazionale, con la nascita di movimenti come la Post-Minimal Art e la Land Art negli Stati Uniti e l’Arte Povera in Italia.
Nel 1978 l’artista viene invitato a rappresentare il suo paese alla Biennale di Venezia, mostrando in Occidente il suo linguaggio che unisce una relazione profonda con la natura a una ricerca sui materiali e sullo spazio.
La mostra riunisce un insieme di opere ripensate e riadattate dall’artista in funzione dell’architettura industriale di Pirelli HangarBicocca, creando un intenso legame con i vasti spazi delle Navate e dando vita a un unico percorso dove convivono leggerezza e incombenza, linearità e tensione, solidità e immaterialità. I lavori di Suga si configurano come interventi temporanei che hanno la durata della mostra, site-specific nello spazio e nel tempo. “Situations”, si presenta come un paesaggio costituito da elementi organici e industriali – come ferro, zinco, legno, pietre e paraffina – spesso ricercati in loco. Le opere installate in Pirelli HangarBicocca acquisiscono, dunque, nuove qualità e caratteristiche che le rendono diverse da qualsiasi precedente installazione.

«Realizzo installazioni all’interno di spazi espositivi, una forma d’arte piuttosto comune oggi. Uso una varietà di materiali, accostandoli e creando una struttura che si adatta a tutto lo spazio. Le installazioni non sono mai permanenti e possono essere facilmente rimosse e distrutte. Si potrebbe dire che creo mondi temporanei»(Kishio Suga, The Conditions Surrounding an Act, 2009)

Kishio Suga, dopo aver conseguito una laurea in pittura alla Tama Art University di Tokyo nel 1968 e aver lavorato come assistente di studio dell’artista americano Sam Francis, inizia a realizzare ed esporre le sue opere in un contesto di grande fermento artistico per il Giappone. Tra il 1969 e il 1972 si forma e sviluppa il gruppo Mono-ha, di cui fa parte Suga, oltre agli artisti Kōji Enokura, Noriyuki Haraguchi, Shingo Honda, Susumu Koshimizu, Lee Ufan, Katsushiko Narita, Nobuo Sekine, Noburu Takayama e Katsuro Yoshida. L’utilizzo di materiali semplici, sia naturali sia provenienti dalla produzione industriale, l’indagine sulle relazioni tra uomo e materia, oggetti e spazio circostante, l’intervento diretto sulle opere, attraverso azioni che le alterano, accomunano la pratica individuale e personale di questi artisti. Mono-ha, che letteralmente significa “scuola delle cose”, si presenta quindi come un movimento legato a una dimensione oggettuale e perfomativa dell’opera d’arte. Aspetti tematici e formali che possono creare una vicinanza tra questo gruppo e quello italiano dell’Arte Povera, che negli stessi anni prende vita a Torino.Continue Reading..

24
Ott

Gina Pane – Silvia Giambrone. L’azione espansa

GINA PANE – SILVIA GIAMBRONE
L’azione espansa
a cura di Carlo Sala

La galleria CreArte Studio presenta Gina Pane – Silvia Giambrone. L’azione espansa, a cura di Carlo Sala, che mette in dialogo i lavori di Gina Pane, una delle più importanti performer del Novecento, con l’opera di Silvia Giambrone, artista emergente internazionale recentemente selezionata da Cristiana Collu della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma per il Level 0.

La mostra, che inaugura sabato 29 ottobre, è una riflessione attorno ai temi del corpo nell’arte e nella società, della femminilità, dei rapporti familiari, delle forme sociali di controllo e di sviluppo della soggettività – già emersi con vigore all’interno delle pratiche artistiche degli anni Settanta, e che oggi possono assumere nuovi significati ed essere trattati attraverso rinnovate modalità espressive. Proprio le fotografie tratte da alcune delle più importanti performance di Gina Pane saranno accostate alle recenti installazioni di Silvia Giambrone così da destare un gioco di rimandi, assonanze e dialoghi.
Di Gina Pane saranno esposti alcuni dei più celebri lavori della stagione della body art come Action Je (1972), Transfert (1973) e Action mélanconique (1974) e la celebre Azione sentimentale (1973). Il dialogo tematico e mediale, che si innesca tra le due autrici, parte però da un differente uso del corpo: se per Gina Pane esso è il veicolo principale della sua espressione, tanto da originare curatissime azioni di carattere simbolico ed emotivo, per Silvia Giambrone non sempre il corpo è messo in scena direttamente per cui il concetto stesso di “azione” si espande verso forme oggettuali che ne evocano lo svolgimento, ne sono una diretta derivazione o ricoprono un valore complementare per sviluppare una specifica riflessione.
Sarà esposta una ricca selezione di opere di quest’ultima che partono dalla sua performance Teatro anatomico (2012), dove l’artista si cuce direttamente sulla pelle un colletto ricamato, elemento per lei carico di ambiguità in quanto simbolo di un antico sapere artigianale, ma anche di un’adesione inconsapevole della donna ad una cultura di genere. Il video di questa performance entra così in dialogo con due dei più celebri lavori di Gina Pane: Action mélanconique e Azione sentimentale. In entrambi la Pane usa il suo corpo come veicolo espressivo, compiendo delle azioni in cui esso viene sottoposto al dolore. Nella sentimentale si parla della condizione della donna, del suo rapporto con la madre, degli stereotipi affettivi in cui talvolta si è intrappolati. Le immagini di grande pathos emotivo mostrano Gina Pane conficcarsi delle spine di rosa nel braccio e provocarsi dei tagli; il suo corpo diviene così vera materia creativa “aperta” verso gli altri.
Altre opere delle due autrici ruotano invece attorno al tema della dimensione privata: in Action Je la Pane è posta fuori dalla finestra di un appartamento e funge da veicolo per trasmettere al pubblico nella piazza sottostante le sensazioni, le emozioni e gli accadimenti della famiglia che sta osservando. Una riflessione sul privato pervade anche le opere Eroina (2012), Collars (2012) e Senza titolo – Wallpaper (2016) della Giambrone, dove il luogo domestico è visto come uno spazio in cui si forma la soggettività del singolo, ma anche dove quest’ultima può essere limitata. L’assunto appare evidente anche nell’installazione fotografica Vertigo (2015), dove una serie di oggetti di uso quotidiano, posti tra loro in dialogo, evocano sottilmente i conflitti personali.

La relazione che si crea tra le opere delle due autrici proviene dall’indagine sul tema centrale del corpo, inteso sia come medium espressivo che come soggetto capace di formulare delle riflessioni sul rapporto tra individuo e società.

CreArte Studio – Palazzo Porcia
Piazza Castello n°1, Oderzo (TV)
Inaugurazione: sabato 29 ottobre, ore 18.00
da sabato 30 ottobre a domenica 18 dicembre 2016
Orari: giovedì -sabato: 16.00 – 19.30;
domenica 9.30 – 12.30 e 16.00 – 21.30.

Catalogo in galleria
www.crearte-studio.it
info@crearte-studio.it
tel. +39 333.7474335

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17
Ott

CASA MORRA. Archivio d’arte contemporanea_Opening

CASA MORRA
Archivio d’arte contemporanea – Il gioco dell’oca – 100 anni di mostre

INAUGURAZIONE VENERDÌ 28 OTTOBRE 2016 ore 17:00
I EVENTO – 1° ANNO

JOHN CAGE – MARCEL DUCHAMP – ALLAN KAPROW

Ore 19:00 – CONCERTO 1 DANIELE LOMBARDI CAGE 1-13
Ore 21:00 – CONCERTO 2 EMANUEL DIMAS DE MELO PIMENTA

Casa Morra è un nuovo spazio museale creato da Giuseppe Morra a Napoli nel Palazzo Ayerbo D’Aragona Cassano, un complesso di 4.200 mq che sarà gradualmente ristrutturato per accogliere l’ampia collezione Morra: oltre 2000 opere presentate con percorsi tematici e focus su artisti. Un attraversamento nella storia dell’arte contemporanea e nei fondamentali movimenti come Gutai, Happening, Fluxus, Azionismo Viennese, Living Theatre, Poesia Visiva sino alle ricerche più avanzate italiane e straniere. Prosegue così la grande avventura del mecenate napoletano che qui sistemerà la sua ampia collezione, frutto di oltre quarant’anni di presenza attiva nello scenario internazionale dell’arte.
Morra ha infatti pianificato 100 anni di mostre, attraverso il meccanismo del gioco dell’oca fatto di rimandi, attraversamenti e ritorni. Cicli espositivi regolati dall’alchimia dei numeri 3 e 7 che coincidono di volta in volta con il numero di artisti presentati o la quantità di opere e sequenze di mostre.

Primo evento il 28 ottobre con un inedito dialogo di opere di John Cage – Marcel Duchamp – Allan Kaprow. Il principio della casualità anima il percorso simbolico del gioco dell’oca, posto a fondamento dello statuto e del divenire di Casa Morra. La prima mostra si apre pertanto con tre artisti che della casualità hanno fatto pratica creativa, applicando una svolta nel modo di vedere e percepire l’arte: Cage, Duchamp, Kaprow riuniti insieme per mostrare il desiderio di costruire un ambiente in cui agire, fare esperienza sperimentando.

Il carattere di casualità è il primo tratto distintivo dell’opera Stockroom (1961-1992), come sottolineato nelle parole di Kaprow: «…questa versione di Stockroom deve essere dipinta dal visitatore in un colore diverso ogni giorno: bianco, rosso, arancione, giallo, verde, blu, viola, nero, ripetendo questa sequenza ogni otto giorni. Le persone che hanno piacere di partecipare troveranno pennelli adatti, rulli, una scala e qualche cosa per proteggere i vestiti. Sentitevi liberi di partecipare a questo procedimento».Continue Reading..

12
Ott

LO SPECCHIO CONCAVO

22.10.2016 – 27.11.2016

A cura di Sara Benaglia e Mauro Zanchi

Inaugurazione | sabato 22 ottobre 2016, ore 11.00
Palazzo della Misericordia, Via Arena 9, Bergamo

Sabato 22 ottobre, all’interno dell’antico Palazzo della Misericordia di via Arena 9, nel cuore di Città Alta, e nello Spazio ALT di Alzano Lombardo aprirà al pubblico Lo Specchio Concavo, una mostra collettiva costituita dalla ricerca di quaranta artiste internazionali, che hanno scritto la storia del contemporaneo privilegiando l’uso di fotografia e videoarte. La mostra accoglierà i lavori di Marina Abramović | Yael Bartana | Letizia Battaglia | Vanessa Beecroft | Elisabetta Benassi | Vanessa Billy | Barbara Bloom | Fatma Bucak | Angela Bulloch | Sophie Calle | Shannon Ebner |Tracey Emin | Haris Epaminonda | Stefania Galegati | Nan Goldin | Barbara Hammer | Dana Hoey | Emily Jacir | Joan Jonas | Kimsooja | Barbara Kruger | Ketty La Rocca | Zoe Leonard | Sarah Lucas | Anna Maria Maiolino | Joanna Malinowska | Eva Marisaldi | Zanele Muholi | Shirin Neshat | Rä di Martino | Catherine Opie | Marinella Pirelli | Cindy Sherman | Kiki Smith |  Alessandra Spranzi | Georgina Starr | Jemima Stehli | Rosemarie Trockel |Bettina von Zwelh | Francesca Woodman .

Se in ambito esoterico si tramanda che lo specchio concavo sia un mezzo per esercitare la capacità di osservazione più sottile della realtà e per focalizzare l’attenzione sul mondo astrale, studi di genere si concentrano sulle norme sociali stabilite che hanno fatto della donna lo specchio eterno dell’uomo. Pur desiderando rompere con un certo modo di specularizzazione decidono di non rinunciare a qualsiasi specchio. È Luce Irigary la prima a proporre di speculare convogliando la forza e il calore del sole nella concavità dello specchio, arma ustoria nell’antichità e mezzo per focalizzare l’attenzione sul mondo astrale e per esercitare la capacità di osservazione più sottile. Sibille, profetesse, streghe, vaticinanti e sciamani hanno utilizzato questo medium per migliorare le loro doti di chiaroveggenza. Fissavano nel cavo dello specchio attendendo immagini rivelatrici. Agivano telepaticamente, pensando per immagini.

Negli anni Sessanta e Settanta del Novecento il femminismo conduce numerose artiste ad attaccare le gerarchie patriarcali, il linguaggio, il sistema educativo e la psicanalisi, che tendono ad associare le donne non solo alla passività ma anche alla mancanza. A partire dalle ricerche performative affermatosi in quegli anni, il medium fotografico diviene strumento di documentazione e testimonianza di una sperimentazione sul corpo femminile, che porta la dimensione privata dell’artista su un piano politico e sociale. La critica alle strutture di potere trasferisce negli anni Ottanta l’attenzione anche alla cultura di massa, sfidando la credibilità della fotografia come supporto veritiero di informazione autentica e facendo avanzare la nozione di postmodernismo critico in arte. Nonostante le battute d’arresto subite dal femminismo, in risposta al back-lash conservatore degli anni Ottanta, le ricerche radicali vengono continuate con declinazioni geografiche differenti e raccontano il modo in cui una intenzione politica di genere sia divenuta con il passare del tempo responsabilità personale.Continue Reading..

10
Ott

Mohammad Al-Hemd. INDULGENCES: REBORN

CAP Contemporary Art Platform Kuwait
INDULGENCES: REBORN
Installation by Mohammad Al-Hemd

Opening september 21, 2016

History repeats itself in similar cycles no matter how long those cycles are; whether they are days, years, decades, centuries, or even millenniums. We may not notice these repetitions as they occur because of the changes in time or the new pattern that they may take, yet we only notice them once they become part of history. This installation attempts to relate what is happening now in the Middle East to what was happening in the past. In particular, this installation emphasizes the similarities between the current events in the Middle East and the events in Europe during the dark ages. During the dark ages, Catholic priests had the ultimate power. They preyed on the trust of the common man, which was hindered by the spread of illiteracy. Priests promised sinners salvation for a levy. In a similar fashion, some groups are misusing the name of religion in the Middle East, where poverty and paucity of the good education are also ubiquitous.

In this installation, the similarity between both periods is underscored. In particular, the video highlights the dark ritual elements in a suicide bombers’ preparation. Furthermore, the insertion of elements from a catholic sacramental service underlines the twisted notion that religion can be used to justify the commitment of cruel actions.

The suicide vests are the contemporary equivalent to the indulgences from the dark ages. Both are utilized by the so-called religious men and marketed as the key to salvation and god’s forgiveness. Moreover, this installation can be seen in two perspectives. First, it explains to non-Muslims that the current violence is the fruit of abusing religion and following a false path and in some ways, it’s a revival of the indulgences. Second, it warns Muslims that they are living in their own dark age and they need an awakening.

Contemporary Art Platform Kuwait
Industrial Shuwaikh, Block 2, Street 28
Life Center (same building as Eureka), Mezzanine
T: +965 2492 5636

image: installation view, 2016 ph.amaliadilanno

report by amaliadilanno

 

 

08
Ott

FABIO MAURI. Arte per legittima difesa

A cura di: Giacinto Di Pietrantonio

Dal 7 ottobre 2016 al 15 gennaio 2017 la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo presenta una personale dedicata a Fabio Mauri (Roma, 1926–2009), tra gli artisti più rilevanti della scena italiana a partire dagli anni Sessanta.

Maestro della Nuova Avanguardia Italiana e fondatore di alcune delle riviste più interessanti e programmatiche che alimentarono il dibattito in quegli stessi anni, Mauri interagì con figure del calibro di Italo Calvino, Umberto Eco e Pier Paolo Pasolini, e intraprese una ricerca artistica che si interrogava e permetteva al pubblico di interrogarsi su alcune questioni centrali della nostra esistenza e cultura, soprattutto sull’utilizzo del linguaggio quale meccanismo manipolatorio da parte del potere politico e mediatico.
Fin dall’inizio della sua produzione, infatti, il lavoro di Mauri si concentra attorno al dibattito sulla cultura dell’immagine e del linguaggio come mezzo di consumo dell’industria culturale, essedo l’artista, per lui, non un semplice “fabbricante di immagini”, ma un intellettuale in movimento, capace di esprimersi nel mondo; un concetto, questo, da cui prendono forma la sua poetica e l’intera sua opera.

Il percorso espositivo, sviluppato in quattro sale, annovera alcuni lavori storici degli anni Sessanta e Settanta, opere degli anni Novanta e dei primi anni Duemila che includono installazioni, fotografie, oggetti, opere su carta e tracciano un excursus esaustivo della ricerca artistica di Fabio Mauri; una selezione di opere volta ad abbracciare cinquant’anni di lavoro dell’artista, presentando al pubblico alcune tematiche fondanti della sua poetica: Diritti, Identità, Ideologia, Linguaggio, Narrazione e Tempo.

Tra questi, i lavori su cui campeggia protagonista la scritta “FINE” o “THE END”, un termine che Mauri ha utilizzato più volte negli anni – a partire dalla fine degli anni Cinquanta – e in varie declinazioni tipografiche, con l’intento di sottolineare un diverso aspetto estetico formale che profetizza l’idea di crisi, vista non come un elemento negativo, bensì come un’opportunità per chiudere con il passato e affacciarsi a un nuovo inizio.
La prima volta, “THE END” compare scritta su uno schermo (l’opera Schermo-disegno del 1957), un mezzo che diviene nel tempo un segno distintivo della ricerca di Mauri, forma tangibile della memoria e della coscienza, che permette di individuare un modo comune di leggere la realtà. Lo schermo bianco diviene infatti campo neutro, uno spazio libero su cui lo spettatore può proiettare i propri significati, lasciando l’opera aperta a molteplici interpretazioni. Anche la stessa parola “fine” ne ha, per Mauri, almeno due, a seconda dell’articolo che anteponiamo ad essa: la fine, intesa come termine, chiusura e dunque volta al passato, o il fine, ovvero scopo, apertura e dunque volta al futuro.Continue Reading..