“Ci sono colori che rendono ciechi gli occhi degli uomini” Lao Tse
La Galleria Paraventi Giapponesi – Galleria Nobili avvia la sua stagione espositiva con la mostra La misura dell’inespresso 沈黙の尺度, occasione in cui il lavoro del celebre fotografo giapponese Yamamoto Masao (Aichi, 1957) incontra la suggestiva pittura dell’artista italiano Ettore Frani (Termoli, 1978). La mostra nasce per l’assegnazione a Frani di uno Special Project in occasione del Premio Arteam Cup 2016, di cui la galleria è stata partner, secondo l’espressa volontà dei galleristi di avvicinare, nel rispetto delle ricerche da loro condotte nei propri programmi espositivi, due universi artistici possibilmente commensurabili, come quelli dell’arte occidentale e orientale, giapponese nello specifico mandato della galleria stessa.
Yamamoto Masao presenta sei fotografie dalla magnifica serie Shizuka, esposta in varie occasioni in diverse parti del mondo a partire dal 2012; Frani propone una serie di oli su tavola laccata, di varia dimensione, che, pur rispettando la matrice del proprio linguaggio pittorico, ha appositamente concepita per l’incontro con la fotografia del maestro giapponese.
Inedito appare dunque il contatto tra due artisti che vivono presupposti culturali e abitano dimore dell’essere (parafrasando Heidegger), a partire dall’idioma, dalla tecnica fino alla metodologia espressiva, molto differenti tra loro; sebbene, infatti, l’origine natia dei due tradisca un’adesione culturale a valori e visioni evidentemente diversi, l’accostamento non appare improprio, anzi risulta altresì avvalorato dal desiderio di uscire dalle abituali convenzioni e logiche espositive e, senza vincolarsi a criteri di giudizio più rigidi e schematici, di stabilire un colloquio fecondo e inusuale tra due artisti che, incontrandosi per la prima volta in questa occasione, mostrano una sorprendente affinità nonostante la distanza, condividendo approcci, fascinazioni e suggestioni visive frutto di una silente, ma profonda connessione nella percezione e resa della realtà sensibile.
A prescindere infatti dall’utilizzo di un medium differente – per Masao la fotografia (intesa nella sua accezione più tradizionale come processo artigianale che prevede lo sviluppo di ogni singolo fotogramma) e per Frani la pittura ad olio – è possibile ravvisare in entrambi una peculiare atmosfera poetica di sospensione del tempo e dello spazio raggiunta attraverso l’evidente assenza di colore e attraverso l’equilibrio precario tra pieni e vuoti. La scelta di operare nel registro del bianco e nero, seppur data quasi per assodata in certa fotografia artistica, non è scontata per Masao e a maggior ragione per Frani che si esprime attraverso un genere di tradizione secolare come quello pittorico. In Masao questa attitudine risponde a una sensibilità tipicamente orientale che ha fondamenta e specifiche radici di riferimento; l’a-cromatismo così come l’a-simmetria non vengono, infatti, percepiti negativamente come assenza di colore o di squilibrio, al contrario, come espedienti espressivi più efficaci e risonanti nella trasmissione dell’incanto artistico. Analogamente per Frani l’avvalersi della monocromia nel processo creativo ridefinisce il consueto rapporto tra pittura, fotografia, istante visivo e fruitore, rinvigorendo e conferendo nuova capacità espressiva al mezzo pittorico.
Il sentore di vago, l’inespresso, il senso di mistero inspiegabile presente nei lavori, sono note percepite, ma non spiegabili razionalmente: esse rimandano alle infinite sfumature del possibile che abitano la Natura, evocando un ideale di bellezza sobrio e pacato, percepibile solo nel raccoglimento della contemplazione, in quello stato emotivo che i giapponesi chiamano seijuku, ovvero di profonda calma nel mezzo dell’attività.
Più nello specifico sembra che Masao e Frani partano da antipodi geografici per incontrarsi a metà del cammino: le tavole dell’artista italiano colgono appieno la contingenza insita nel tempo quotidiano sotto cui risiede l’eterna ciclicità che è legge fondamentale della Natura. Opere come Via Lattea o Ideogramma esemplificano visivamente ciò che è in continuo cambiamento nonostante, in apparenza, sembri rimanere immutabile e di cui l’ambiente conserva sempre traccia tangibile; il pensiero corre in questo caso alle linee che circoscrivono un significato attraverso i segni severi dei pittogrammi orientali a cui Frani sembra, implicitamente, far riferimento. In modo analogo – e opposto – il fotografo giapponese definisce volumetricamente la fissità di spazi in cui porre quei ritrovamenti fortuiti che, raccolti durante le sue passeggiate mattutine nei boschi e risparmiati al consueto, sono resi eterni attraverso un uso magistrale delle luci e delle sensazioni da esse evocate.
Il silenzio che affiora è ottenuto da entrambi grazie ai vuoti abbacinanti dei bianchi, all’infinita gamma di semitoni grigi in tensione lirica con gli sfondi cupi da cui, i due artisti, plasmando lo spazio, fanno emergere l’essere sottraendolo all’oblio dell’ombra. Non a caso risulta secondaria per loro la ricerca di tematiche predominanti, poiché l’attore assoluto non è tanto il soggetto rappresentato, quanto l’inconsistenza del tempo di una realtà che non permane.Continue Reading..