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24
Ott

Yamamoto Masao | Ettore Frani
. La misura dell’inespresso 沈黙の尺度

“Ci sono colori che rendono ciechi gli occhi degli uomini” Lao Tse
La Galleria Paraventi Giapponesi – Galleria Nobili avvia la sua stagione espositiva con la mostra La misura dell’inespresso 沈黙の尺度, occasione in cui il lavoro del celebre fotografo giapponese Yamamoto Masao (Aichi, 1957) incontra la suggestiva pittura dell’artista italiano Ettore Frani (Termoli, 1978). La mostra nasce per l’assegnazione a Frani di uno Special Project in occasione del Premio Arteam Cup 2016, di cui la galleria è stata partner, secondo l’espressa volontà dei galleristi di avvicinare, nel rispetto delle ricerche da loro condotte nei propri programmi espositivi, due universi artistici possibilmente commensurabili, come quelli dell’arte occidentale e orientale, giapponese nello specifico mandato della galleria stessa.

Yamamoto Masao presenta sei fotografie dalla magnifica serie Shizuka, esposta in varie occasioni in diverse parti del mondo a partire dal 2012; Frani propone una serie di oli su tavola laccata, di varia dimensione, che, pur rispettando la matrice del proprio linguaggio pittorico, ha appositamente concepita per l’incontro con la fotografia del maestro giapponese.
Inedito appare dunque il contatto tra due artisti che vivono presupposti culturali e abitano dimore dell’essere (parafrasando Heidegger), a partire dall’idioma, dalla tecnica fino alla metodologia espressiva, molto differenti tra loro; sebbene, infatti, l’origine natia dei due tradisca un’adesione culturale a valori e visioni evidentemente diversi, l’accostamento non appare improprio, anzi risulta altresì avvalorato dal desiderio di uscire dalle abituali convenzioni e logiche espositive e, senza vincolarsi a criteri di giudizio più rigidi e schematici, di stabilire un colloquio fecondo e inusuale tra due artisti che, incontrandosi per la prima volta in questa occasione, mostrano una sorprendente affinità nonostante la distanza, condividendo approcci, fascinazioni e suggestioni visive frutto di una silente, ma profonda connessione nella percezione e resa della realtà sensibile.

A prescindere infatti dall’utilizzo di un medium differente – per Masao la fotografia (intesa nella sua accezione più tradizionale come processo artigianale che prevede lo sviluppo di ogni singolo fotogramma) e per Frani la pittura ad olio – è possibile ravvisare in entrambi una peculiare atmosfera poetica di sospensione del tempo e dello spazio raggiunta attraverso l’evidente assenza di colore e attraverso l’equilibrio precario tra pieni e vuoti. La scelta di operare nel registro del bianco e nero, seppur data quasi per assodata in certa fotografia artistica, non è scontata per Masao e a maggior ragione per Frani che si esprime attraverso un genere di tradizione secolare come quello pittorico. In Masao questa attitudine risponde a una sensibilità tipicamente orientale che ha fondamenta e specifiche radici di riferimento; l’a-cromatismo così come l’a-simmetria non vengono, infatti, percepiti negativamente come assenza di colore o di squilibrio, al contrario, come espedienti espressivi più efficaci e risonanti nella trasmissione dell’incanto artistico. Analogamente per Frani l’avvalersi della monocromia nel processo creativo ridefinisce il consueto rapporto tra pittura, fotografia, istante visivo e fruitore, rinvigorendo e conferendo nuova capacità espressiva al mezzo pittorico.

Il sentore di vago, l’inespresso, il senso di mistero inspiegabile presente nei lavori, sono note percepite, ma non spiegabili razionalmente: esse rimandano alle infinite sfumature del possibile che abitano la Natura, evocando un ideale di bellezza sobrio e pacato, percepibile solo nel raccoglimento della contemplazione, in quello stato emotivo che i giapponesi chiamano seijuku, ovvero di profonda calma nel mezzo dell’attività.
Più nello specifico sembra che Masao e Frani partano da antipodi geografici per incontrarsi a metà del cammino: le tavole dell’artista italiano colgono appieno la contingenza insita nel tempo quotidiano sotto cui risiede l’eterna ciclicità che è legge fondamentale della Natura. Opere come Via Lattea o Ideogramma esemplificano visivamente ciò che è in continuo cambiamento nonostante, in apparenza, sembri rimanere immutabile e di cui l’ambiente conserva sempre traccia tangibile; il pensiero corre in questo caso alle linee che circoscrivono un significato attraverso i segni severi dei pittogrammi orientali a cui Frani sembra, implicitamente, far riferimento. In modo analogo – e opposto – il fotografo giapponese definisce volumetricamente la fissità di spazi in cui porre quei ritrovamenti fortuiti che, raccolti durante le sue passeggiate mattutine nei boschi e risparmiati al consueto, sono resi eterni attraverso un uso magistrale delle luci e delle sensazioni da esse evocate.

Il silenzio che affiora è ottenuto da entrambi grazie ai vuoti abbacinanti dei bianchi, all’infinita gamma di semitoni grigi in tensione lirica con gli sfondi cupi da cui, i due artisti, plasmando lo spazio, fanno emergere l’essere sottraendolo all’oblio dell’ombra. Non a caso risulta secondaria per loro la ricerca di tematiche predominanti, poiché l’attore assoluto non è tanto il soggetto rappresentato, quanto l’inconsistenza del tempo di una realtà che non permane.Continue Reading..

13
Gen

Elisa Bertaglia. Out of the blue

L’immaginario onirico e fiabesco di Elisa Bertaglia in mostra, dal 15 dicembre 2016 al 29 gennaio 2017, presso Officine dell’Immagine di Milano (Via Atto Vannucci, 13). Curata da Matteo Galbiati, l’esposizione sarà inaugurata giovedì 15 dicembre alle ore 19.00.
Vincitrice del Premio Speciale Officine dell’Immagine ad Arteam Cup 2015, l’artista presenta in galleria una trentina di opere inedite, realizzate nel 2016 in America, durante la residenza d’artista promossa dalla ESKFF (Eileen S. Kaminsky Family Foundation) presso il MANA Contemporary di Jersey City.
Il titolo della mostra – “Out of the blue” – è tratto dall’omonima serie, esposta per la prima volta al pubblico. Un’espressione, parafrasabile in “Un fulmine a ciel sereno”, che Elisa Bertaglia ha rintracciato in un libro di Patricia Highsmith, letto durante il soggiorno americano. Da un lato il rimando alla letteratura, che da sempre accompagna il percorso dell’artista, dall’altro il colore blu, predominante nella sua nuova produzione.
Il progetto si articolerà in due sezioni: a piano terra, una selezione di opere pittoriche di medie e grandi dimensioni; al piano sottostante, lavori di piccolo formato progressivamente sostituiti da una pittura parietale site-specific che trasformerà il sotterraneo in un larario, luogo sacro, intimo e raccolto, dedicato alle divinità familiari. In questo contesto, saranno installate anche due opere tridimensionali, legate al vissuto dell’artista.
Un linguaggio lirico, evanescente ed altamente simbolico, quello di Elisa Bertaglia, che attraverso un vocabolario mitologico maturato negli anni propone una riflessione sul tema del doppio e della metamorfosi, alla ricerca di un’identità personale e collettiva. Protagonisti delle sue opere, tutte realizzate a tecnica mista e collage su carta, tavola e faesite, sono bambine in età preadolescenziale ed animali, immersi in un paesaggio straniante, dove le regole prospettiche e compositive lasciano campo all’immaginazione.
«I personaggi di queste narrazioni – spiega Elisa Bertaglia – stanno tra loro in relazioni atipiche, inconsuete, portatrici di molteplici valenze simboliche: piccole bimbe-tuffatrici, attorcigliate da serpi, irte su rocce o avviluppate da edere e piante carnivore, alludono al difficile passaggio dall’infanzia all’età adulta. Qui tutto è in metamorfosi; l’identità, e non solo il corpo, è in trasformazione e rinascita. Cani e lupi, corvi e aironi sono i garanti di quello stesso passaggio di crescita, protettori di un sottile squarcio di intimità».
Come sottolinea Matteo Galbiati, le opere della serie “Out of the blue” si differenziano dalla precedente produzione sia per la scelta cromatica che per l’impaginato: se i colori sono più intensi e nitidi, meno legati alla tradizione pittorica italiana, la composizione è più libera, svincolata da elementi paesaggistici, mentre il segno viene utilizzato in maniera pittorica, in dialogo con le campiture e gli inserti a collage.
Apparentemente semplice e piacevole allo sguardo, la pittura di Elisa Bertaglia nasconde significati profondi e particolari spiazzanti: elementi duri, a tratti violenti, che spingono la narrazione oltre il piano dell’immaginazione, riportandola alla società contemporanea.

La mostra è visitabile fino al 29 gennaio 2017

Officine dell’Immagine – Via Atto Vannucci, 13 – 20135 Milano
info@officinedellimmagine.it  +39 0331 898608
Orari: Martedì – Venerdì 15.00 – 19.00 Sabato 11.00 – 19.00 Altri orari, lunedì e giorni festivi su appuntamento.

 

23
Mag

Marco Rossi. Frames

a cura di Matteo Galbiati
Inaugurazione 11 giugno 2016 ore 18.00

Lo spazio Sanpaolo Invest a Treviglio ospiterà a partire dall’11 giugno la personale di Marco Rossi, giovane artista bergamasco finalista nella “sezione giovani talenti” dell’ultima edizione del Premio Città di Treviglio. La mostra Frames (frammenti) si articola intorno a un nucleo di opere di diversa natura comprendente tre installazioni video multimediali, una selezione scelta di opere su tela e taccuini di disegni e schizzi. L’allestimento inedito è concepito per essere in armonia con lo spazio ospitante in perfetto accordo con un progetto site-specific. Stabilire con precisione i confini di genere di Marco Rossi ci espone a un quesito senza risposta: ciò che si evince, infatti, ad un primo sguardo è la pluralità di mezzi espressivi introiettati magistralmente in ogni singola opera – “frammento” – citando il titolo della mostra. Come homo faber di rinascimentale memoria, l’artista si muove a suo agio e con perizia artigianale in territori apparentemente inconciliabili: musica elettronica, video arte e disegno si fondono per sovrapposizioni in una sorta di collage sensoriale e visivo, volto a creare un’architettura artistica onnicomprensiva che ingloba sguardi, suscitando una risonanza emotiva inconscia nell’Io osservatore, costantemente sollecitato da un leitmotiv ipnotico e suadente. La ripetizione veloce e continua, in gergo musicale loop, unita alla frammentazione visiva come costanti espressive di stimoli sensoriali, ci consegnano le chiavi di accesso a uno dei temi sottesi e più frequentati da Rossi: l’eterno ritorno dell’uguale, cui un disperato anelito all’irraggiungibile unione con l’Unicum appare evidente. Il suo universo è popolato da ombre solitarie di uomini, quasi macchie nere indistinte nella loro individualità che si piegano e curvano assumendo sembianze proteiformi per resistere e assecondare gli urti del vissuto. Contenuto e forma, significato e significante coincidono totalmente nella sua misura espressiva: il disegno è vittima stessa del flusso costante dei cambiamenti, infatti, la linea si spezza gravata dal dinamismo e, molto spesso, segmenta. Allo stesso tempo il rumore/suono è interrotto e intermittente, a metà strada tra la melodia e il disturbo sonoro. Attraverso forze di volta in volta creatrici e distruttrici, l’urgenza espressiva si rigenera di continuo facendo di Rossi un artista fecondo. In questo senso i taccuini colmi di schizzi che accompagnano l’incedere del suo quotidiano, testimoniano i moti dell’anima di una personalità apparentemente silenziosa, ma profondamente attiva e non pacificata. Se, tradizionalmente, l’uomo fautore di se e della sua fortuna si calava sicuro nel tessuto sociale del mondo che abitava, in questo caso il nostro sembra sondare con coraggio i territori più ostici e tumultuosi del proprio io tracimante. Ne è prova il ritmo convulso espressivo e incessante che genera continue filiazioni artistiche. Ebbene da questo apparente caos espressivo si ha, al contrario, la chiara percezione di una visione autentica e rarefatta delle cose che, nonostante il flusso costante dei cambiamenti cui tutti siamo sottoposti, permane integra e pura.

La mostra sarà visitabile presso:
Spazio Sanpaolo Invest
Via F. Cavallotti 31B – Treviglio
13 giugno – 15 luglio 2016
Da lunedì a venerdì 10.00-12.00 e 15.00-17.00, sabato e domenica su appuntamento
Info: + 39 0363 48160

Immagine: Senza titolo, 2016, tecnica mista su carta intelata, 135×135 cm (dettaglio)

16
Ott

Asako Hishiki. Simbiosi armoniche

L’artista presenta 10 opere a parete e un’installazione con cui riproduce, attraverso l’evocazione del ricordo, un ambiente naturale circoscritto.

a cura di Matteo Galbiati

La Galleria Paraventi Giapponesi – Galleria Nobili è lieta di riproporre nel proprio spazio a Milano la giovane artista giapponese Asako Hishiki con la nuova mostra personale intitolata Simbiosi Armoniche. Dopo il felice esordio di Natura Tenue nel 2012, Hishiki si misura con altre tematiche presentando un progetto inedito e itinerante, promosso e sostenuto da NOMURA JOSEI PRIZE, bando che, indetto in Giappone lo scorso anno, l’artista ha vinto.

La mostra, concepita in tappe in diverse città, tra cui Meda, Monza e Cremona, ruota attorno alla già frequentata tematica della Natura che, in questo caso, si ispira al giardino orientale e alla musica. L’artista presenta una composizione di dieci opere a parete e un’ installazione con cui riproduce, attraverso l’evocazione del ricordo e la sollecitazione sinestetica di olfatto e udito, un ambiente naturale circoscritto, suscettibile al mutamento del tempo e dei moti dell’animo.

Il progetto trae ispirazione dall’incontro, e relativo studio intenso e proficuo, di Hishiki, con la figura emblematica del compositore giapponese contemporaneo Toru Takemitsu (1930-1996); accomuna, infatti, entrambe le ricerche, la relazione attiva con il mondo naturale, esperito quotidianamente attraverso l’osservazione costante dei fenomeni atmosferici e dell’avvicendamento delle stagioni. L’analogia e il connubio tra le loro visioni avviene in un luogo preciso: il giardino giapponese. Tradizionalmente esso è concepito come riproduzione del macrocosmo riportato su scala ridotta, attraverso l’orchestrazione meditata dei vari elementi principali identificati dalle rocce, dall’acqua e dalla vegetazione. L’intenzione sottesa è quella di suggerire la spontaneità dei principi che regolano la Natura. La variabilità e il cambiamento fanno capo al concetto di “impermanenza” e sono categorie assimilabili sia al mondo naturale che, metaforicamente e simbolicamente, al processo creativo musicale e artistico. La Natura di Hishiki, così come la musica di Takemitsu, non è un processo fisso e statico, ma un flusso costante di momenti differenti, inaspettati e sorprendenti che scandiscono un percorso temporale ed esperienziale coinvolgente e avvolgente per lo spettatore che viene toccato profondamente nella propria intima sensibilità. Chi guarda si trova così coinvolto fisicamente e spiritualmente ed è reso parte integrante del quadro e delle energie. Da questo deriva il titolo: Simbiosi Armoniche. Continue Reading..