Nato a Venezia nel 1980, Lorenzo Vitturi trasferisce l’eredità della laguna nel suo universo creativo, in cui un sapiente uso di luce e colore conferisce movimento e tridimensionalità a scatti fotografici che offrono anche evidente traccia, nelle caratteristiche allestitive e cromatiche delle composizioni, della sua precedente esperienza di pittore di scena e della sua passione per scultura e collage.
Il luogo di indagine prediletto di Lorenzo Vitturi è la strada, fonte inesauribile di idee, materiali e soggetti. In modo particolare il mercato, il primo luogo in cui l’artista generalmente si reca quando visita una città, rappresenta un perfetto microcosmo per osservare le dinamiche sociali, economiche e culturali di un territorio e, in generale, di un paese. E’ stato così nel caso del Ridley Road Market situato nel cuore di Dalston, distretto multiculturale dell’East London, e soggetto dell’acclamato progetto fotografico ‘Dalston Anatomy’ (2013). Attraverso surreali ritratti e funamboliche nature morte, Vitturi ci ha consegnato la testimonianza di una lenta trasformazione, resa ancor più evidente nel progetto successivo ‘Droste Effect, Debris and Other Problems’ presentato a Viasaterna, Milano nel 2016: la scomparsa della composizione multietnica di un quartiere in cui la convivenza di culture locali e provenienti dall’Africa, dalla Turchia, dalla Cina, dai Caraibi è costantemente minacciata da un’inarrestabile gentrificazione che costringe molti dei suoi abitanti ad abbandonare il quartiere. Da qui l’interesse di Vitturi per la cultura dell’Africa occidentale, successivamente maturato durante la residenza in Lagos nel 2015 e concretizzatosi nel progetto ‘Money Must Be Made’ (2017), di cui viene presentata per la prima volta una selezione in occasione della mostra presso T293. Invitato dalla African Artists Foundation, l’artista non poteva non addentrarsi nel Balogun Market, smisurato e tentacolare mercato di strada, concentrandosi su una porzione in particolare: quella adiacente la Financial Trust House, palazzo di 27 piani ormai in completo disuso, una volta sede di multinazionali che nel tempo hanno dovuto trasferirsi altrove a causa dell’avanzare prepotente del mercato nel quartiere. Da un lato il caos travolgente del mercato, con le sue strade rumorose e banchi stracolmi allestiti con straordinaria creatività e arguzia; dall’altro i silenziosi interni abbandonati della Financial Trust House, distopica versione di un futuro scenario ipercapitalista in cui i loghi e grandi marchi giacciono ormai impotenti sotto una spessa coltre di sabbia sahariana.
Vitturi si è immerso nelle strade del mercato, osservando come le folle si fondevano in una massa indistinguibile di oggetti e persone. Dopo aver intervistato e ritratto i venditori e raccolto oggetti e prodotti di varia natura, Vitturi ha isolato questi materiali in studio: qui li ha assemblati, alterati con pigmenti e pitture, fotografati, stampati, riassemblati e infine rifotografati. Il suo intervento esclusivamente manuale, mai digitale, permette alle composizioni finali di non risultare artificiali ma di conservare quella materialità che accorcia le distanze con l’osservatore a cui sembra di poter toccare con mano i tessuti e gli oggetti che compongono le curiose e precarie installazioni che tentano di riprodurre i fantasiosi allestimenti osservati nel mercato. Nei ritratti dei venditori con le loro merci facciamo difficoltà a distinguere gli uni dagli altri, in un’apparente fusione tra umano e inorganico, simbolo di una invasione incontenibile di beni di consumo che travalica lo spazio circostante e si insinua nel profondo.