Tag: Galleria Tiziana Di Caro

11
Giu

Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi

La galleria Tiziana Di Caro ospita la mostra intitolata Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi che include opere di William Anastasi, Hanne Darboven, Gino De Dominicis, Sol LeWitt, Agnes Martin, Pino Pascali e Francesca Woodman.

Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi è un’appropriazione da David Foster Wallace, che più volte ha citato questa locuzione, in ultimo ne “Il re pallido”, e che nel 2013 è divenuta anche il titolo della biografia dedicatagli da D. T. Max.

L’idea della mostra consiste nella raccolta di opere di alcuni degli artisti che ho sempre considerato un riferimento. Coloro che hanno fatto confluire la mia attenzione in precise dinamiche artistiche e che rappresentano delle presenze costanti nelle mie scelte di gusto, sia per la natura poetica e al contempo sperimentale delle loro opere, sia per la condotta “militante” della loro ricerca.

Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi, oltre ad essere una frase bellissima, è stata scelta in relazione ad una combinazione cronologica che lega l’apertura della mia galleria alla scomparsa di David Foster Wallace nel 2008. Attraverso la lettura di alcuni dei suoi testi, DFW mi ha indotto a una costante riflessione sull’arte, pur trattando uno spettro tematico altro, intriso di riferimenti eterogenei, comunque legati a una visione poliedrica del mondo, ai miei occhi estremamente vivida al punto da poter essere associata anche ad una nicchia complessa seppur esclusiva come quella delle arti visive.

Le opere del gruppo di artisti che include William Anastasi, Hanne Darboven, Gino De Dominicis, Sol LeWitt, Agnes Martin, Pino Pascali e Francesca Woodman ben si prestano all’idea che da sempre ho in mente di “astanza”, per dirla con le parole di Cesare Brandi, che conia questo termine per fare riferimento alle opere d’arte che attraversano la storia, assorbendone l’esperienza, senza mai smettere di essere attuali.
Ogni forma artistica ha un valore che va al di là del tempo e dello spazio. Non parlo solo delle arti visive, ma anche della letteratura, della musica come di qualsiasi altro ambito del sapere, per cui l’obsolescenza non è necessariamente contemplata. I fantasmi a cui si fa riferimento nel titolo sono quelle “idee” che ognuno di noi tende a elaborare in relazione a persone che si immagina di conoscere pur non avendole mai incontrate. In questa mostra quindi non si intende parlare di aldilà , tanto meno di figure ectoplasmiche, bensì di sentimenti che derivano dalla conseguenza del “guardare”, che trascendono qualsiasi aspetto fisico per divenire pura astrazione, un atto di amore nel momento in cui la tensione verso l’opera, o verso l’artista ha il sopravvento su qualsiasi altra considerazione oggettiva.

Si ringraziano: Fondazione Paul Thorel, Galleria Alfonso Artiaco, Serena Basso, Chiara Tiberio, Maurizio Morra Greco, Alessia Volpe, Valentina Bonomo, Ines Musumeci Greco, Galleria P420, Galerie Jocelyn Wolff

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26
Mar

Shadi Harouni. An Index of Undesirable Elements

La galleria Tiziana Di Caro ospita la prima mostra personale in Italia di Shadi Harouni (Hamedan, Iran, 1985, vive e lavora a New York), intitolata An Index of Undesirable Elements (Un indice di elementi indesiderati), che inaugura sabato 25 marzo, 2017 alle ore 19:00, nella sede della galleria a Napoli in Piazzetta Nilo, 7.

Nel suo lavoro Shadi Harouni utilizza diversi mezzi, la scultura, il video, l’incisione, la scrittura, la fotografia. I temi che sviluppa sono radicati nella storia dell’Iran, suo paese di origine; spesso si serve della parola per connettere questa storia con una esperienza universale legata alla perdita, alla repressione, alla guarigione e all’audacia. Il suo lavoro riguarda la politica dello spazio e dello sguardo, e la tensione tra l’atto di rivelare e quello di occultare. Spesso evoca la relazione tra la pienezza e le cavità, la tensione a nascondere e il desiderio di rivelare.

An Index of Undesirable Elements (Un indice di elementi indesiderati) si apre con una scritta al neon non funzionante. L’opera rievoca un’insegna dimenticata, relativa ad un negozio di una città di provincia in Iran. Scritta in Farsi, essa cita il nome del popolare Primo Ministro iraniano, Mosadegh, un simbolo di speranza e progresso, spodestato nel 1953 attraverso un colpo di stato organizzato per volontà dei servizi segreti americani e britannici. La scritta però non è totalmente illuminata e la luce evidenzia solo una parte del nome, ovvero la desinenza “degh” che in Farsi significa morto di strazio. La mostra continua con una serie di cinque monotipi, selezionati da una più ampia serie. Le forme astratte ed eteree pressate sulla carta sono radicate in eventi e documenti d’archivio iraniani. Evocano racconti e persone, così come ambienti, paesaggi, monumenti. Rimandano alla storia di oggetti segreti creati per ri evocare ciò che non c’è piu. Ognuna è accompagnata da un testo scritto in prima persona, che funziona sia come narrazione che come commentario. Qui, il peso della politica è mescolato col poetico, facendo emergere toccanti temi, alla base dei quali troviamo un tentativo persistente di cancellare la storia, scansare il progresso, impedire il ricordo. Un elemento scultoreo situato sul pavimento ci conduce nell’ultima sala dove è proiettato il video “I Dream the Mountain is Still Whole”. Ambientato nell’isolato paesaggio di una cava nelle montagne del Kurdistan, il video mostra la narrazione in prima persona di un uomo che si impone come figura di resistenza politica dei valori degli individui emarginati dalla società. La natura monumentale di questo lavoro contrasta con un altro presentato come una miniatura. Qui il pretesto della narrazione è un’assurda partita di calcio giocata nel deserto roccioso, per la quale l’artista stessa si presta come raccattapalle. La presenza di questa donna sulla scena diventa esilarante, dal momento che i giocatori sono al contempo divertiti e imbarazzati dalla sua faticosa performance. La leggerezza del gioco smorza la rassegnazione dei protagonisti del progetto, che sono costretti a vivere in esilio, privati della loro vera vita, al fine di sopravvivere per rimanerne i testimoniContinue Reading..

12
Mar

Stanislao Di Giugno. Deserted corners, collapsing thoughts

La galleria Tiziana Di Caro è felice di inaugurare Deserted corners, collapsing thoughts terza mostra nei suoi spazi di Stanislao Di Giugno (Roma, 1969), sabato 12 marzo 2016 alle ore 19:00, in piazzetta Nilo, 7 a Napoli. Il progetto espositivo include opere realizzate nel 2016, e si distingue formalmente da quanto presentato alle mostre precedenti (al 2008 risale una doppia personale con Alessandro Piangiamore presso gli spazi salernitani della galleria, mentre a dicembre 2009 si inaugurò Landescape sua esclusiva seconda personale).
La tendenza ad alterare la logica di senso è l’elemento che da sempre caratterizza il lavoro di Di Giugno che negli anni ha avuto un percorso trasversale, passando per la pittura figurativa, il collage, l’installazione spesso di matrice sonora, la scultura, la pittura astratta. Nella produzione dal 2014 ad oggi, nonostante l’autonomia totale del medium pittorico, Di Giugno sintetizza per intero il percorso effettuato dalle prime esperienze artistiche sino ad oggi, mantenendo una matrice formale sempre riconoscibile. L’artista è interessato ad esplorare le peculiarità fisiche dei materiali, prestando attenzione a caratteristiche quali il volume, la forma e la dimensione. Ne derivano forme astratte e geometriche che informano il suo immaginario, per essere poi utilizzate in maniera ripetitiva. Esse sono estrapolate da forme più complesse che l’artista estrae da varie fonti, in primis dagli oggetti di design, da parti di automobili, frammenti di billboard o pubblicità di magazine, che egli raccoglie ossessivamente come relitti di un paesaggio urbano in cui trascorre la sua quotidianità. È da tutte queste suggestioni che nasce la seduzione per le forme e per i gradienti di colore. Nei collage, nei lavori su carta così come nei dipinti Stanislao Di Giugno cerca di eludere il confine tra bidimensionalità e tridimensionalità, giocando sulle infinite possibilità e relazioni che si creano dalla giustapposizione di piani e tonalità. I suoi lavori sono dipinti per velature dove i primi strati vengono sostituiti quasi completamente da quelli che seguono, in perpetui ripensamenti che annullano il lavoro svolto, come in un costante sentimento di insoddisfazione. Alle volte, però, alcune porzioni resistono e nella composizione finale appaiono come rotture, come strappi di pagine sovrapposte in un collage o come impressione retinica di immagini scorse velocemente. Un altro elemento rintracciabile nella pittura di Di Giugno è la tensione tra il rigore formale, cioè il tentativo di semplificare la composizione attraverso geometrie e colori, e la gestualità di matrice più espressionista in cui la pennellata risulta visibile e incontrollata.Continue Reading..

18
Dic

Maxime Rossi. It’s a zodiac rain

L’artista sviluppa una ricerca di rimandi in cui le opere svelano precise storie. Ruotando ancora una volta su Max Ernst, la mostra include due film, una serie di fotografie e un altro gruppo di opere preesistenti.

La galleria Tiziana Di Caro inaugura la mostra personale di Maxime Rossi (Parigi, 1980) intitolata It’s a zodiac rain, venerdì 18 dicembre 2015 alle ore 19:00, nella sua sede al primo piano di Palazzo de Sangro in piazzetta Nilo, 7 a Napoli.

Sono passati due anni da Kemosabe, prima mostra personale di Maxime Rossi in Italia, che si tenne nello spazio salernitano e che dedicava una serie di opere (fotografie, sculture, performance) a Max Ernst, le cui suggestioni Rossi ha avuto modo di esplorare durante un viaggio in Arizona, luogo che dal 1941 al 1953 ospitò l’artista tedesco in fuga dall’Europa e dalla guerra, dove egli realizzò alcuni dei suoi più importanti capolavori.

Perpetrando in un metodo che consiste nella collaborazione con artisti e artigiani del presente e del passato, Maxime Rossi sviluppa una ricerca di rimandi curiosi, in cui le opere svelano precise storie. Il tempo ed il passaggio costante dal passato al presente e vice versa rappresentano la linea su cui l’artista francese elabora il suo lavoro. It’s a zodiac rain sembra voler riprendere il discorso là dove è stato sospeso due anni fa. Ruotando ancora una volta su Max Ernst, la mostra include due film, una serie di fotografie e un altro gruppo di opere già incluse in Kemosabe, che rappresentano una sorta di déjà-vu della mostra salernitana, che funge da collegamento tra i due momenti.

Two owls on a mountain … and a snake at the bank inquadra una macchina che attraversa l’inconfondibile paesaggio del Canyon. Non si hanno tanti elementi per capire che a guidare l’auto è Max Ernst e ad accompagnarlo è Dorothea Tanning; i due stanno attraversando l’America da est ad ovest e una volta giunti tra le colline rocciose, Ernst realizza che quei paesaggi che lui credeva di aver inventato, che per tanti anni aveva immaginato e dipinto, nella realtà esistevano, decidendo di fermarsi a vivere lì, in un rifugio Hopi scavato nella roccia. Quest’ultimo è il soggetto di una serie di fotografie in 3D, in cui esso è descritto dettagliatamente attraverso precisi particolari, alcuni dei quali sono inequivocabilmente legati a Ernst. Le foto fanno sì che il visitatore possa approdare al fulcro del progetto, il film in 3D Real estate astrology (Astrologia immobiliare) del 2015. Il titolo è tratto da una pratica che consiste nell’utilizzare l’astrologia al fine di scegliere una casa ed è molto utilizzata a Sedona, città che nel tempo è divenuta un centro importante per la pratica New Age.Continue Reading..