La mostra, dedicata al fotografo, si propone di raccontare parte della produzione artistica di Biasiucci scegliendo come chiave di lettura il processo rituale. La mostra si propone di raccontare parte della produzione artistica di Biasiucci scegliendo come chiave di lettura il processo rituale: la ritualità, intesa come gesto creatore e distruttore, si intreccia qui nel processo creativo dell’artista.
Antonio Biasiucci, classe 1961, considera da sempre la fotografia come uno strumento per indagare la realtà e risalire all’origine delle forme, guardando oltre l’estetica e i loro significati. Nella sua produzione, iniziata negli anni Ottanta, emerge una forte ritualità, elemento che non riguarda solo il processo creativo, in grado di trasformare un mondo concreto in immagini visionarie, ma anche il modo in cui le figure vengono alla luce attraverso il nero ‘primigenio’ delle ombre. La fotografia in bianco e nero è infatti il linguaggio prediletto da Biasiucci, pratica che accompagna fin dagli albori la narrazione delle sue storie: storie universali, di vita, di morte, di nascita e distruzione, rappresentate da elementi primari, terreni e concreti. Nella fotografia di Biasiucci, la componente personale e introspettiva riesce a tramutarsi in universale, in memoria collettiva, acquisendo una dimensione esistenziale nella quale tutti possono leggere una storia. Il suo linguaggio è fortemente influenzato da due luoghi fondamentali: Dragoni, paese natale in provincia di Caserta, e Napoli, dove si trasferisce nei primi anni Ottanta. La sua è un’indagine originale e inconsueta, stimolata dalla vitalità cittadina di Napoli, ma mai slegata dalla cultura contadina di Dragoni. È grazie al rapporto con quest’ultima che nascono cicli come “Vapori” (1983), “Vacche” (1987) ed “Impasto” (1991), legati alla vita dei campi, alla lentezza e ai riti propri di quei luoghi. Più legate, invece, all’esperienza napoletana sono le raccolte “Vicoli” (1987), “Res” (1993) ed “Ex voto” (2006).
Il percorso espositivo allestito in IULM si articola intorno a cinque cicli significativi del lavoro dell’artista dagli anni ’80 fino ad oggi. I Vapori, dove il gesto umano (in questo caso nell’atto di uccidere un maiale) diventa fulcro e forza scatenante del rito. L’Impasto, un momento di creazione, un gesto che questa volta non toglie, bensì dà vita. In Corpo latteo, una videoinstallazione progettata appositamente per questa mostra che presenta immagini inedite, il visitatore è immerso in uno spazio che ricorda un grembo materno, dove il rito si traduce nella ricerca ossessiva e metodica intorno a un soggetto (in questo caso, delle mozzarelle). A seguire i Crani, simbolo materiale di morte, ma anche punto di partenza per una nuova rinascita. Il ritorno all’equilibrio iniziale avverrà grazie a una pietanza ancestrale sinonimo di vita, i Pani, serie storica e qui integrata da fotografie inedite.
Fa da commento sonoro al percorso un testo scritto da Antonio Neiwiller, regista teatrale e maestro di Biasiucci, e letto da Toni Servillo.
La Triennale di Milano
Antonio Biasiucci. Riti
4 maggio – 28 luglio 2017
Credits
La mostra è il frutto della collaborazione tra La Triennale di Milano e l’Università IULM
A cura degli studenti al secondo anno del Corso di Laurea Magistrale in Arti, patrimoni e mercati, Università IULM
Coordinamento critico
Anna Luigia De Simone
Progetto di allestimento
Gianluca Peluffo
Progetto grafico
Dario Zampiron