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01
Mar

Teoria ingenua degli insiemi

Teoria ingenua degli insiemi
Paolo Icaro
Bettina Buck, Marie Lund, David Schutter
a cura di Cecilia Canziani e Davide Ferri
30 gennaio – 26 Marzo 2016

P420 inaugura il nuovo spazio a Bologna in Via Azzo Gardino 9 con due mostre curate da Cecilia Canziani e Davide Ferri.
Un insieme è una qualunque collezione di oggetti della nostra intuizione o del nostro pensiero. Gli oggetti, detti elementi dell’insieme, devono essere distinguibili e ben determinati
G. Cantor, Teoria ingenua degli insiemi
Il modello di insieme sviluppato dal matematico tedesco Georg Cantor (1845 – 1918) elaborato alla fine del XIX secolo e fondamentale per lo sviluppo della matematica moderna, è una teoria che si basa sul concetto di appartenenza: un insieme è a tutti gli effetti una collezione di elementi distinti, con la particolarità che gli elementi dell’insieme possono essere, a loro volta, insiemi. E’ una teoria non riconducibile a concetti definiti, ma intuitiva e aperta al paradosso e alla contraddizione.

Teoria ingenua degli insiemi è un titolo per due mostre: un progetto espositivo di Paolo Icaro le cui opere sono state scelte per attivare un dialogo con una mostra che include lavori di Bettina Buck, Marie Lund e David Schutter.
Le due mostre si trovano a condividere lo stesso spazio, e una accanto all’altra, o, letteralmente, una dentro l’altra, possono dialogare per contrasti, o temporanee assonanze, portando alla luce richiami tra poetiche di artisti che appartengono a geografie e genealogie diverse. Somiglianze non sensibili che indicano preoccupazioni comuni restituite in forme differenti.

Teoria ingenua degli insiemi è dunque un’indagine sul lavoro di Paolo Icaro (Torino, 1936) condotta su un arco temporale molto ampio e declinata attorno all’opera Cardo e decumano (2010) che idealmente ri-orienta lo spazio espositivo e ne ripartisce i confini. Attorno a questa ossatura composta di due linee tratteggiate ortogonali, formate da variazioni numeriche di elementi modulari in ferro, si articola una progressione di opere non cronologica, con lavori appartenenti a periodi differenti. Così i Lunatici (1989) sono un campionario di azioni della mano su una porzione di materia data; Lassù: per un blu K (1990) è un lavoro in cui la misura del fare si distende fino a incontrare l’infinito in un punto; Esplosa (1990) è una scultura che disegna lo spazio, che “fa spazio”, anziché occuparlo; Numericals 1 – 10 (1978), in cui un danzatore interpreta liberamente una progressione numerica, è una performance in cui il corpo diventa materia scultorea.Continue Reading..

26
Feb

Chiara Dattola. Dentro la foresta

La galleria d’arte Il Vicolo presenta Dentro la foresta, mostra personale dell’artista illustratrice Chiara Dattola, giovedì 25 febbraio alle ore 18.30, in via Maroncelli 2, Milano. Il Vicolo, che segue con particolare attenzione il mondo del disegno e dell’illustrazione, collabora per la prima volta con la Dattola. Nasce da questo incontro la mostra Dentro la foresta che comprende una ventina di chine, collages e tele, realizzate dall’artista appositamente per questa esposizione.

Il tema della mostra, la foresta vista come espressione dell’immaginario, è rappresentata dalla Dattola come un viaggio in un luogo magico e surreale nel quale perdersi all’ombra umida tra gli alti tronchi – come scrive Ferruccio Giromini nel suo testo – dove realtà e mito si fondono. Dal personale punto d’indagine dell’artista la foresta è vista come madre, cibo, rifugio, vita, morte mentre i personaggi che emergono dal folto fogliame o che si trasformano in elementi naturali persi nella profondità della vegetazione sono archetipi o creature della fantasia.
Scrive l’artista e amico Alessandro Gottardo aka Shout del lavoro di Chiara Dattola:
Come nel realismo magico della narrativa sudamericana, come in Gabriel Garcia Marquez, Jorge Luis Borges o Cortazar a un certo punto quel confine di magia si scioglie e non ci sarà più modo di distinguere la realtà dal mito, e allora sarà bello perdersi, chiudere gli occhi, e lasciarsi popolare la mente da ogni singolo personaggio, animale, forma e colore creati dalla mano e dalla fantasia di Chiara Dattola.

La mostra verrà presentata successivamente nella sede genovese della galleria.

Nata a Varese nel 1978, Chiara Dattola vive e lavora a Milano. Ha collaborato e collabora tuttora con , fra gli altri, “Le Monde”, “Monocle”, “Les Echos”, “Internazionale!, “Philip Morris”, “Messaggerie libri”, “Elle”, “Corriere della Sera”, “Sole 24 Ore”, “Plansponsor”. Lavora inoltre per l’editoria per ragazzi, oltre che come disegnatrice, anche come scrittrice. Fra le case editrici ricordiamo: “Les Editions du Rouergue”, “Yeowon media”, “Montessori Korea”, “Les Editions du Ricochet”, edizioni “Panini”, “Coccinella e Zanichelli.
Dal 2007 è docente di illustrazione all’Istituto Europeo di Design.
Nel 2015 è stata selezionata per il Creative Quarterly n.41.
Ha illustrato interamente il calendario 2016 della rivista italiana Internazionale.Continue Reading..

26
Feb

Mythographie. Polaroid by Maurizio Galimberti

A cura di Alessia Carlino

Opening 10 marzo 2016 ore 19
11 marzo › 10 aprile 2016

SPAZIOMR arte e architettura presenta Mythographie Polaroid by Maurizio Galimberti il primo progetto espositivo che apre i battenti della nuova galleria ideata dall’architetto Marco Riccardi e dedicata al contemporaneo sotto la curatela di Alessia Carlino.
Mythographie è il racconto in polaroid di tre importanti città mondiali: Roma, Parigi, New York che divengono nella fotografia di Galimberti non solo la rappresentazione di un immaginario collettivo, bensì la visione creativa di un artista che con la sua particolare tecnica compositiva ha saputo coniugare la ricerca del movimento, tipico dell’avanguardia futurista, al racconto narrativo di matrice sperimentale. La fotografia di Galimberti registra l’istantaneità dello sguardo, i suoi mosaici costruiti attraverso l’utilizzo di polaroid rispecchiano la volontà di voler narrare allo spettatore una storia: la verità di un incontro, l’interiorità di una persona, le prospettive ardimentose di un paesaggio. In questo procedimento tecnico ed estetico l’artista mantiene in vita la poeticità del mondo circostante attraverso la testimonianza di chi è stato soggetto delle sue opere, un lirismo che lascia spazio al sentimento di indefinito, a una sorta di sospensione che accompagna le immagini e che investe l’osservatore di un piacere latente, di un tessuto emozionale che si basa anche sulla ricerca di brandelli di assenza. Un maestro della fotografia contemporanea, un artista che ha costruito il proprio linguaggio attraverso la sperimentazione visiva ed estetica.

Scrive Roland Barthes nel suo celebre saggio intitolato La Camera chiara: “Un dettaglio viene a sconvolgere tutta la mia lettura; è un mutamento vivo del mio interesse, una folgorazione. A causa dell’impronta di qualcosa, la foto non è più una foto qualunque. Questo qualcosa ha fatto tilt, mi ha trasmesso una leggera vibrazione, il passaggio d’un vuoto. Malizia del vocabolario: si dice ‘sviluppare una foto’, ma ciò che l’azione chimica sviluppa è l’insviluppabile, è un’essenza di ferita, è ciò che non può trasformarsi, ma solo ripetersi in forma di insistenza”.

Si potrebbe parlare del lavoro di Galimberti come la narrazione di un’immobilità viva, le sue immagini, frutto di molteplici contaminazioni e della personale volontà di donare ad ogni scatto l’immortalità di un tempo futuribile, si appropriano di un contesto familiare, noto ai più, ma che inevitabilmente allude a una nuova prospettiva, ad un’inedita declinazione dello sguardo.Continue Reading..

24
Feb

Sandra Vásquez de la Horra. El Canto del Desierto

Sandra Vásquez de la Horra
El Canto del Desierto

Inaugurazione 20 Gennaio 2016, ore 19
Opening January 20, 2016 at 7pm
20 Gennaio – 10 Marzo, 2016 / January 20 – March 10, 2016
Via Ventura, 3 Milan 20134 Italy

Prometeogallery è lieta di presentare la prima mostra personale in Italia di Sandra Vasquez de la Horra: El canto del desierto.
Le opere, disegni e sculture rievocano miti e leggende popolari che provengono dalla tradizione afro-latinoamericana della mitologia Yoruba e attingono al repertorio personale delle memorie e del vissuto dell’artista, in un alternarsi continuo di citazioni ed elementi che richiamano alla cultura europea da una parte e a quella latinoamericana dall’altra.
Nonostante abbia scelto l’Europa come sua patria elettiva l’ opera di Sandra Vasquez de la Horra è profondamente legata alla cultura e all’iconografia della sua terra di origine, il Cile.
Con la sua opera l’ artista intende superare il concetto di testimonianza storica e antropologica: esprime graficamente la complessità del proprio intimo, il senso di ambiguità, disegnando figure la cui identità resta intrappolata in una sorta di incompiutezza ; esseri morfologicamente e intimamente destabilizzanti all’occhio dello spettatore, situati tra il sogno e la visione, il sacro e il profano, a volte grotteschi e caricaturali, altre volte leggiadri e delicati.
Il processo di produzione dei suoi disegni è esso stesso molto suggestivo. L’artista immerge infatti i fogli di carta nella cera d’api, come fosse un rituale magico che rafforza il potere evocativo di ciò che è rappresentato, e conferisce all’immagine la sostanza materiale e il valore simbolico della reliquia e allo stesso tempo cristallizza il sentimento da cui scaturisce l’opera stessa.
La proiezione di un’immagine mentale, di un luogo dello spirito, diviene icona, capace di trascendere il sentimento individuale della sua indefinitezza sostanziale.Continue Reading..

24
Feb

Silvia Camporesi. ATLAS ITALIAE

La Galleria del Cembalo, in collaborazione con z2o Sara Zanin Gallery, apre al pubblico dal 20 febbraio al 9 aprile una mostra dedicata al nuovo lavoro di Silvia Camporesi. Un viaggio nell’Italia abbandonata e in via di sparizione, fotografata come realtà fantasmatica. Atlas Italiae rappresenta le tracce di un qualcosa di passato ma tuttora ancorato ai propri luoghi d’origine. Energie primordiali e impalpabili che diventano materiali tramite il mezzo fotografico. Silvia Camporesi ha esplorato nell’arco di un anno e mezzo tutte le venti regioni italiane alla ricerca di paesi ed edifici abbandonati. Atlas Italiae è il risultato di questa raccolta di immagini, una mappa ideale dell’Italia che sta svanendo, un atlante della dissolvenza.
La serie fotografica si presenta come una collezione poetica di luoghi, fondata sulla ricerca di frammenti di memoria. Borghi disabitati da decenni che sembrano non esistere nemmeno sulle cartine geografiche, architetture fatiscenti divorate dalla vegetazione selvaggia, archeologie industriali preda dell’oblio, ex-colonie balneari decadenti che paiono imbalsamate nel tempo del “non più”. “Nelle immagini dell’artista il velo dell’anonimato e del silenzio visivo si apre svelando l’anima di luoghi congelati nelle nebbie dell’amnesia generale. Qui lo sguardo di Silvia Camporesi va oltre la pura registrazione di uno stato della realtà, è indirizzato sia a cogliere la tensione silenziosa di un’Italia degli estremi sia a rivelare per la prima volta qualità liminari, inespresse, portatrici di un mistero e di un incanto”. Questo scrive Marinella Paderni nel testo che apre il volume Atlas Italiae, edito da Peliti Associati.
La mostra, che presenterà per la prima volta una selezione così ampia di immagini, sarà suddivisa tra stampe grande formato a colori e stampe più piccole in bianco e nero, colorate a mano con un procedimento – omaggio al passato della fotografia – attraverso il quale l’artista cerca di restituire simbolicamente ai luoghi l’identità persa.

Silvia Camporesi, nata a Forlì nel 1973, laureata in filosofia, vive e lavora a Forlì. Attraverso i linguaggi della fotografia e del video costruisce racconti che traggono spunto dal mito, dalla letteratura, dalle religioni e dalla vita reale. Negli ultimi anni la sua ricerca è dedicata al paesaggio italiano. Dal 2003 tiene personali in Italia e all’estero – Terrestrial clues all’Istituto italiano di cultura di Pechino nel 2006; Dance dance dance al MAR di Ravenna nel 2007; La Terza Venezia alla Galleria Photographica fine art di Lugano nel 2011; À perte de vue alla Chambre Blanche in Quebec (CAN) nel 2011; 2112, al Saint James Cavalier di Valletta (Malta) nel 2013; Souvenir Universo alla z2o Sara Zanin Gallery di Roma nel 2013; Planasia al Festival di Fotografia Europea di Reggio Emilia nel 2014; Atlas Italiae all’Abbaye de Neumünster in Lussemburgo nel 2015. Fra le collettive ha partecipato a: Italian camera, Isola di San Servolo, Venezia nel 2005; Confini al PAC di Ferrara nel 2007; Con gli occhi, con la testa, col cuore al Mart di Rovereto nel 2012, Italia inside out a Palazzo della Ragione, Milano nel 2015. Nel 2007 ha vinto il Premio Celeste per la fotografia; è fra i finalisti del Talent Prize nel 2008 e del Premio Terna nel 2010; ha vinto il premio Francesco Fabbri per la fotografia nel 2013 e il premio Rotary di Artefiera 2015. Atlas Italiae è il suo terzo libro fotografico.

Immagine: Atlas Italiae1. Hotel Porretta Terme (Emilia Romagna)

Galleria del Cembalo
Largo della Fontanella di Borghese, 19 – Roma
Tel. 06 83796619
20 febbraio / 9 aprile 2016
ORARIO
da martedì a venerdì: 16.00 – 19.00
sabato: 10.30 – 13.00 e 16.00 – 19.00
Ufficio stampa Galleria del Cembalo
Davide Macchia | ufficiostampa@galleriadelcembalo.it
tel. 06 83081425 | cel. 340 4906881

24
Feb

Alexander Calder. Performing Sculpture

11 November 2015 – 3 April 2016
Tate Modern, Level 3
Open daily from 10.00 – 18.00 and until 22.00 on Friday and Saturday

Tate Modern presents the UK’s largest ever exhibition of Alexander Calder (1898-1976). Calder was one of the truly ground-breaking artists of the 20th century and as a pioneer of kinetic sculpture, played an essential role in shaping the history of modernism. Alexander Calder: Performing Sculpture will bring together approximately 100 works to reveal how Calder turned sculpture from a static object into a continually changing work to be experienced in real time.

Alexander Calder initially trained as an engineer before attending painting courses at the Arts Students League in New York. He travelled to Paris in the 1920s where he developed his wire sculptures and by 1931 had invented the mobile, a term first coined by Marcel Duchamp to describe Calder’s motorised objects. The exhibition traces the evolution of his distinct vocabulary – from his initial years captivating the artistic bohemia of inter-war Paris, to his later life spent between the towns of Roxbury in Connecticut and Sachéin France.

The exhibition will feature the figurative wire portraits Calder created of other artists including Joan Miró 1930 and Fernand Léger c.1930, alongside depictions of characters related to the circus, the cabaret and other mass spectacles of popular entertainment, including Two Acrobats 1929, The Brass Family 1929 and Aztec Josephine Baker c.1929. Following a visit to the studio of Piet Mondrian in 1930,where he was impressed with the environment-as-installation, Calder created abstract, three-dimensional, kinetic forms and suspended vividly coloured shapes in front of panels or within frames hung on the wall. Red Panel 1936, White Panel 1936 and Snake and the Cross 1936 exemplify the artist’s continuous experimentation with forms in space and the potential for movement to inspire new sculptural possibilities. They will be shown together with a selection of other panels and open frames for the first time, illustrating this important moment in Calder’s development.

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24
Feb

DPI – Darkness Per Inch | Mustafa Sabbagh e Milena Altini

DPI – Darkness Per Inch
doppia personale di Mustafa Sabbagh e Milena Altini
dal 6 febbraio al 19 marzo 2016
Galleria Marcolini – Forlì

Il titolo accenna al monopolio cromatico del Nero nel lavoro presentato dai due artisti in Galleria Marcolini, dal 6 febbraio al 19 marzo 2016.
Le fotografie dalla matericità pittorica di Mustafa Sabbagh hanno quasi tutte una composizione tradizionale dalle reminiscenze religiose; l’artista italo-giordano ritrae contemporanee Madonne con Bambino e Pietà i cui corpi sporchi, imbevuti spesso di un materico colore petrolio, pulsano anche nell’immobilità delle loro pose.
Una donna bionda, di cui conosciamo il nome – come Francis Bacon ci confessava l’identità di chi ritraeva all’interno delle camere d’albergo, così Sabbagh ci fa conoscere i nomi dei suoi modelli, quasi sempre esplicitandoli nei titoli dei files – maneggia lo strumento ginecologico di dilatazione vaginale come se fosse una pistola. Ci ricorda che corpo e battaglia spesso sono sinonimi, e di come dolore e sofferenze siano connaturati e acquisiti tramite una condizione di genere, sessuale.
Paesaggi sublimi e romantiche contemplazioni naturali si alternano a ritratti non solo dall’invadente potenza estetica, ma anche provocatori. Innocenza e consapevolezza. William Blake e Bill Henson.  Ugualmente innocenti, indipendenti da ogni giudizio, e parimenti consapevoli, avvolgendosi potentemente su loro stesse, le Waiting Souls di Milena Altini sono un gruppo scultoreo di anime perfette, collegate nella loro unità di forme e di fine. Lembi di pelle di vitello e di agnello, sacri o sacrificali a seconda della loro latitudine di provenienza, dal movimento di una spirale e tono di un’ascesa. La Altini, percorrendo i gradienti di nero del derma delle sue anime, ne onora una immensa composta da mille altre sue simili, sul solco di una cucitura e di una necessità contingente, ma ancora incomprensibile.  Attraverso il linguaggio che più le si confà: la scultura. Parlando la lingua che meglio conosce: quella della pelle. Sfiorando corde note ad ogni essere umano, ma soprattutto ad ogni donna: quelle dell’attesa. Berlinde de Bruyckere ed Eva Hesse.
Fil rouge tra i due artisti, oltre al riferimento cromatico, è ovviamente il corpo o – ricordando Malaparte – la pelle, corpo livido e materia evocativa, e – parafrasando Bulgakov – la carne, il cui odore che si sente da lontano toglie significato anche all’atto di imparare a leggere.

Galleria Marcolini
via Francesco Marcolini 25/A – 47121 forlì
Orari: mercoledì e giovedì, dalle 16.30 alle 19.30
venerdì e sabato, dalle 10 alle 13 e dalle 16.30 alle 19.30
visitabile anche su appuntamento
Info: +39 388 3711896 – info@galleriamarcolini.it

24
Feb

FAIG AHMED – Points of Perception

a cura di Claudio Libero Pisano

10 febbraio – 29 marzo 2016

MACRO Testaccio
Padiglione 9A
Piazza Orazio Giustiniani, 4 – Roma

Il MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma ospita la prima personale italiana presso un museo dell’artista azero Faig Ahmed (Baku, 1982). Nel padiglione 9A del MACRO Testaccio si svolge infatti, dal 10 febbraio al 29 marzo 2016, la mostra Points of Perception, a cura di Claudio Libero Pisano, promossa da Roma Capitale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, dall’Ambasciata della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia, e realizzata in collaborazione con la galleria Montoro12 Contemporary Art di Roma.

L’artista espone al MACRO Testaccio una serie di opere site-specific che hanno come filo conduttore il Sufismo. Attraverso questa forma di ricerca mistica, l’artista crea la relazione tra la coscienza e tutto quanto esiste al di fuori di essa. L’arte è uno strumento per ampliare i sensi, e l’artista il tramite della condivisione. Sperimentando tecniche diverse e collegandole a pratiche mistiche, Ahmed trova una sua peculiare soluzione all’interrogativo sulla percezione della verità. L’arte è una disciplina senza confini e serve a comprendere la storia dell’essere umano, dei suoi percorsi inerpicati sul confine stretto tra coscienza e percezione. Tra misticismo e realtà. L’artista, per paradosso, utilizza l’ascetismo Sufi proprio per interpretare la realtà nei suoi aspetti più concreti. L’arte, secondo Ahmed, è un passepartout eccellente per riconnettere passato e presente, tradizione e modernità. La sua natura e le sue tecniche non hanno confini, e tutto ciò che è dentro e fuori la percezione può essere interpretato attraverso i suoi infiniti linguaggi. L’artista è un esploratore attivo che, come uno sciamano, mette in relazione la mente e il corpo. Le sue opere sono un messaggio di condivisione che pone interrogativi e sollecita stupore e meraviglia. L’aspetto estetico ha un ruolo decisivo solo se accostato al processo che l’ha maturato e reso possibile. La mostra è composta da numerose opere, tra cui grandi installazioni, video, e i suoi noti “carpet works”, con i quali l’artista trasforma oggetti dalla tradizione secolare in imponenti opere d’arte contemporanea, creando manufatti che sembrano proiettati nel futuro grazie a un’estetica azzardata e fuori dal tempo, nonostante l’esecuzione fedele ad antichissimi procedimenti. Partendo infatti dal design dei tradizionali tappeti dell’Asia centrale, Ahmed li manomette e li riprogetta in forma digitale sul computer. Il risultato è trasportato su disegni a grandezza naturale, che, come nella realizzazione dei tappeti tradizionali, vengono poi realizzati da artigiani locali su telai tradizionali, dando vita ad oggetti nei quali si è portati a perdersi, dove il segno viene continuamente spostato, pixellato, liquefatto. Al centro della sala, è posta una monumentale installazione che sfida le leggi fisiche e dispone il pavimento tessuto di una moschea in una sorta di onda che travolgere lo spettatore.Continue Reading..

24
Feb

Goshka Macuga

Fondazione Prada presenta a Milano la mostra di Goshka Macuga “To the Son of Man Who Ate the Scroll” dal 4 febbraio al 19 giugno 2016 negli spazi del Podium, della Cisterna e della galleria Sud. Il progetto è stato ideato da Goshka Macuga che nella sua ricerca artistica ricopre i ruoli normalmente distinti dell’autore, curatore, collezionista, ricercatore e ideatore di mostre. Macuga descrive queste categorie normalmente associate alla sua pratica come definizioni che “descrivono e individuano la sua posizione all’interno di una tassonomia della storia dell’arte”. L’artista opera nel punto d’incontro tra discipline diverse come la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura e il design. Esplora le modalità e le motivazioni con cui ricordiamo eventi personali e culturali, concentrando l’attenzione sullo sviluppo di complessi sistemi di classificazione in grado di dare forma e tramandare la conoscenza, in tempi caratterizzati da una tecnologia in costante evoluzione e da una saturazione di informazioni.
“To the Son of Man Who Ate the Scroll”, concepito dall’artista per gli spazi della Fondazione Prada, esplora questioni fondamentali come il tempo, l’origine, la fine, il collasso e la rinascita. Osservando l’angoscia che accomuna l’umanità di fronte all’idea della propria estinzione, Macuga si pone un interrogativo essenziale: quanto è importante affrontare la questione della “fine” nel contesto della pratica artistica attuale? La capacità di pensare l’universo in maniera astratta e oggettiva e di concepire noi stessi come esseri umani ci permette di determinare l’epoca in cui viviamo come una delle molte ere dell’universo e di immaginare un’esistenza dopo di noi, un universo senza l’uomo. All’interno di questo scenario apocalittico, alcuni studiosi hanno riflettuto sul ruolo della tecnologia e dei robot come fattori che potenzialmente contribuiscono all’estinzione dell’umanità e alla loro successiva dominazione sul mondo. Il “man-made man” (l’uomo perfetto prodotto dall’uomo) potrebbe trasformarsi in una delle maggiori minacce nei confronti del suo stesso creatore e proprietario. Non a caso nel corso della storia il potere della tecnologia ha generato nell’uomo fantasie, preoccupazioni e paure, come dimostra l’invenzione di figure mitologiche quali Prometeo o di personaggi letterari come il mostro di Frankenstein.
La mostra di Macuga segna il culmine di una sua lunga e approfondita ricerca finalizzata a elaborare una metodologia di categorizzazione di materiali e informazioni attorno a questi temi. L’artista considera l’arte della retorica e la memoria artificiale come strumenti interconnessi, in grado di organizzare e far progredire la conoscenza. Concepita originariamente nell’antica Grecia, la retorica è stata celebrata nel Rinascimento non solo come una tecnica finalizzata alla formulazione di discorsi, dibattiti, ragionamenti, ma anche come uno strumento per organizzare le idee attraverso la costruzione della conoscenza e delle tecniche mnemoniche. L’Ars memorativa getta le basi della memoria artificiale estendendo e sviluppando la memoria naturale attraverso visualizzazioni complesse che richiamano informazioni specifiche. L’influenza di questa macro-struttura risuona nella mostra “To the Son of Man Who Ate the Scroll”, in cui sono inclusi riferimenti all’arte della retorica e alle tecniche mnemoniche. Continue Reading..

24
Feb

Pamela Grigiante. A different way to make love

A CURA DI TIZIANA TOMMEI

26 FEBBRAIO – 26 MARZO 2016
INAUGURAZIONE: VENERDÌ 26 FEBBRAIO, 19.00
GALLERIA 33 VIA GARIBALDI 33 AREZZO

Dal 26 febbraio al 26 marzo Galleria 33 presenta la personale di Pamela Grigiante “A different way to make love”.
Il titolo della mostra è tratto da un’opera dell’artista, “Dinner is an unconventional way to make love”, una tecnica mista su carta della collezione nata nel 2014 su commissione di Feltrinelli, “Domestic Love”. Il progetto espositivo propone un’indagine della più recente produzione dell’artista vicentina, presentando una selezione dei lavori su carta, dai progetti “Private Papers” (2012-14) e il già citato “Domestic Love”, oltre alle sculto-installazioni “Private Boxes”, serie della quale si presentano per l’occasione quattro opere inedite.
La mostra è accompagnata da testi critici di Francesco Mutti e Tiziana Tommei.

È del tutto normale assegnare alla produzione di un artista quel significato assolutamente intimo e personale che non può prescindere dalla sua esperienza di vita. In quanto narrazione molto spesso didascalica o moraleggiante, l’Arte stessa ha incentivato questo tipo di analisi favorendo la comprensione dell’opera attraverso la conoscenza dell’autore e delle sue esperienze a cui idealmente di volta in volta sostituirsi o immedesimarsi: una comprensione direttamente proporzionale dunque che sviluppa la propria indagine critica sulla base di quella storica e umana, in un continuo e reciproco scambio che accompagna lo studioso, l’amante, l’appassionato o il semplice fortuito fruitore. Riferire però una produzione totalmente al vissuto di chi l’ha prodotta; e limitare l’area di interesse dei messaggi veicolati a quel solo ed unico ambito, fa correre il rischio di considerare ogni esperienza come fine a se stessa, venendo meno lo scopo ultimo dell’arte che è comunicazione nel senso più allargato del termine. Solo nel caso in cui il messaggio trasmesso sia allo stesso tempo esperienza personale ed indagine sociale da applicare per intero alla comunità di cui fa parte, allora si potrà parlare di analisi completa ed esauriente.
Possiede questo carattere la poliedrica artista Pamela Grigiante, in grado – con i suoi collages e le sue sculture-volume – di rappresentare visceralmente la nostra intimità più cara in un procedere verticale che è continua scoperta, feroce rivelazione. Legato alle condizioni di un quotidiano intensamente vissuto, il suo è un percorso artistico che pare superficialmente esaurire il proprio potenziale nell’indagine di situazioni contestuali a tale esperienza di vita, sezionata, analizzata e dunque restituita in forme semplici e pregresse di segno. Eppure, laddove si voglia considerare erroneamente l’immediato ed epidermico tratto come incapacità o puerile gestualità, si dovrà invece sommare una scaltra e violentissima critica al tessuto culturale che proprio il quotidiano – inteso in ogni suo singolo aspetto, dal cibo agli affetti, dalle tensioni emotive alle pulsioni sessuali, dai rapporti col prossimo a quello con la propria natura – porta con sé. Specchio reale di una società sull’orlo del baratro, le opere della Grigiante rivelano il senso della vita con ferocia e puntualità, celando dietro un’evidente genuinità ora intellettuale ora tecnica la totale padronanza dei media: nei collages, nelle sculture, nelle carte e, soprattutto, nelle ficcanti inserzioni letterarie di chiara matrice visivo-poetica, ella dunque recupera al proprio vissuto un monito personale e una regola generale, restituendo con gelida intuizione ciò che pochi altri osano dire. L’analisi emozionale della prima ora, già ampiamente assimilata e metabolizzata, si fa dunque più distante: a ciò la Grigiante sostituisce la sintesi di una comune esistenza, raccontata con fredda evidenza attraverso un ingannevole e innocente apparire. (Francesco Mutti)Continue Reading..