Tag: amalia di Lanno

30
Mar

Giovanna Ricotta. Furiosamente

Dopo il grande successo degli eventi dedicati a de Chirico e alla metafisica, Ferrara si appresta a celebrare un altro frutto nato nella sua terra: l’ “Orlando Furioso”, a 500 anni dalla sua prima pubblicazione. Per questo la MLB home gallery ha selezionato vari artisti nel cui lavoro è possibile ritrovare oggi il senso e la poetica dell’antico poema. I risultati di questa ricerca iniziano con la mostra personale di Giovanna Ricotta.

Giovanna Ricotta. Furiosamente

a cura di Maria Livia Brunelli e Silvia Grandi

Inaugura sabato 16 aprile la personale di Giovanna Ricotta “Furiosamente. Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori”, alla MLB Maria Livia Brunelli home gallery di Ferrara.

La personale dell’artista milanese inaugura il ciclo di mostre ispirate alla figura di Ludovico Ariosto e in particolare al suo poema più famoso, “L’Orlando Furioso”, di cui ricorre quest’anno il cinquecentenario della prima edizione.  Concepito nella Ferrara estense e stampato in città nel 1516, il poema è uno dei capolavori assoluti della letteratura occidentale e ha da subito parlato al cuore dei lettori italiani ed europei. A celebrarlo, una serie di iniziative e mostre che coinvolgono tutta la città di Ferrara, che culmineranno, a settembre, in una grande mostra che Palazzo dei Diamanti dedicherà  a questo capolavoro della letteratura italiana del Cinquecento. Non una mostra documentaria o di fortuna pittorica, bensì una vera e propria mostra d’arte che condurrà il visitatore in un affascinante viaggio tra le pagine del poema, tra battaglie e tornei, cavalieri e amori, desideri e incantesimi, attraverso una selezione di capolavori dei più grandi artisti del periodo, da Giovanni Bellini a Andrea Mantegna, da Giorgione a Dosso Dossi, da Raffaello a Leonardo, da Michelangelo a Tiziano. Accanto a questi, sculture antiche e rinascimentali, incisioni, arazzi, armi, libri e manufatti di straordinaria bellezza e preziosità, faranno rivivere il fantastico mondo cavalleresco del Furioso e dei suoi paladini, offrendo al contempo un suggestivo spaccato della Ferrara in cui fu concepito il libro e raccontando sogni, desideri e fantasie di quella società delle corti italiane del Rinascimento di cui Ariosto fu cantore sensibilissimo.

Un poema che continua a parlare al lettore contemporaneo per l’incredibile attualità dei temi trattati: il bisogno di armonia e serenità, contraddetto dalla continua tensione verso traguardi impossibili, come il desiderio di gloria, l’ambizione, la passione amorosa non corrisposta, tutte chimere che creano gelosia e ansia, fino a portare addirittura all’ossessione, alla follia. Ma il poema parla anche di un’epoca di forte crisi religiosa, della guerra tra mondo arabo e mondo cristiano, conflitto che mai come oggi sta scuotendo le nostre coscienze. Fili rossi che attraversano la nostra epoca come attraversavano quella di Ariosto, che lui stesso, amante della quiete e della pace interiore, denuncia nel suo poema, tanto che “L’Orlando Furioso” si configura come una grande metafora degli intrighi e delle follie di cui era spettatore ogni giorno alla corte degli Estensi.  Continue Reading..

29
Mar

Sarah Lucas – INNAMEMORABILIAMUMBUM

In occasione di miart 2016, la Fondazione Nicola Trussardi e miart presentano Sarah Lucas – INNAMEMORABILIAMUMBUM, un progetto speciale d’arte contemporanea della celebre artista inglese Sarah Lucas (Londra, 1962), a cura di Massimiliano Gioni e Vincenzo de Bellis. All’interno dell’Albergo Diurno Venezia, tempio dedicato alla bellezza e alla cura del sé, Sarah Lucas realizza un intervento espositivo site-specific studiato per l’ambiente. Sculture, installazioni, interventi sonori e performativi danno vita a una tre giorni di eventi espositivi, performance e happening live che hanno come tema principale il corpo, la sua rappresentazione, le sue storie e gli stereotipi di cui ancora si nutre la nostra società.

Irriverenti e disarmanti nella loro estrema semplicità, le opere di Sarah Lucas – fotografie, collage, sculture e disegni – danno vita a un teatro dell’ambiguità in cui materiali apparentemente banali si trasformano in oggetti d’affezione che rivelano desideri e pulsioni represse.

Venerdì 8 aprile apertura dalle 12.00 alle 19.00, opening ore 19.00 – 22.00

Sabato 9 e domenica 10 aprile dalle 12.00 alle 23.00
Ingresso libero – prenotazione obbligatoria
Prenotazioni aperte a partire da martedì 29 marzo

The FONDAZIONE NICOLA TRUSSARDI and MIART
in partnership with FAI and Comune di Milano
Sarah Lucas – INNAMEMORABILIAMUMBUM
by Massimiliano Gioni and Vincenzo de Bellis
Dall’8 al 10 aprile 2016
Albergo Diurno Venezia, Piazza Oberdan, Milano

 

26
Mar

Louise Bourgeois. Structures of Existence: The Cells

Exhibition organized by Haus der Kunst, Munich, in collaboration with the Guggenheim Museum Bilbao

“Space does not exist; it is just a metaphor for the structure of our existence.” Louise Bourgeois

Louise Bourgeois (1911–2010) is one of the most influential artists of the twentieth century. Working with a wide range of materials and forms, she created a body of work that extended over seven decades.

Over her long career as an artist, Louise Bourgeois developed concepts and formal inventions that later became key positions in contemporary art; these included the use of environmental installation and theatrical formats, and the engagement with psychoanalytic and feminist themes. Both her distinctive sculptural forms and her outstanding drawings and graphic works are second to none. Among the most innovative and sophisticated sculptural works in her extensive oeuvre are the Cells, a series of architectural spaces that deal with a range of emotions. Created over a span of two decades, the Cells present individual microcosms; each is an enclosure that separates the internal from the external world. In these unique spaces, the artist arranged found objects, clothes, furniture, and sculptures to create emotionally charged, theatrical sets.

Including the five precursor works to the Cells that first emerged in 1986 with Articulated Lair, Louise Bourgeois created approximately 60 Cells over the course of her career. This exhibition is the largest overview of this body of work to date.

Louise Bourgeois’s Cells are intensely psychological microcosms: situated within various enclosures, each is a multi-faceted collection of objects and sculptural forms arranged to evoke an atmosphere of emotional resonance. In almost theatrical scenes, these everyday objects—items of clothing, fabric, or furniture—along with singular sculptures by Bourgeois, create a charged barrier between the interior world of the artist and the exterior world that is the exhibition space.

This exhibition, the first solely devoted to analyzing the Cells series, contains the largest number of Cells ever presented together. It also includes important works from previous decades that led to the development of the series. This comprehensive survey brings to light key aspects of Bourgeois’s thinking about space and memory, the body and architecture, and the conscious and the unconscious.

Louise Bourgeois: Structures of Existence; The Cells is organized by Haus der Kunst, Munich, in collaboration with the Guggenheim Museum Bilbao.

Image: Louise Bourgeois inside (Articulated Lair). (Coll.: MoMA, New York) in 1986. Photo: © Peter Bellamy© The Easton Foundation / VEGAP, Madrid

25
Mar

Stanley Kubrick- Arancia Meccanica. Fotografie di DMITRI KASTERINE

Stanley Kubrick – Arancia Meccanica – Fotografie di Dmitri Kasterine
dal 19 marzo al 7 maggio 2016

«My wanting to take a photograph appears as fast as a bolt and without warning when I spot the subject. I enjoy exploring, looking for things that stop me, or frighten me. To fear to take a picture usually means you want to take it».

Dmitri Kasterine

ONO arte contemporanea, in occasione del 45° anniversario dell’uscita del film Arancia meccanica, presenta Stanley Kubrick – Arancia Meccanica. Fotografie di Dmitri Kasterine, personale del fotografo che ha immortalato Stanley Kubrick sui set di alcuni dei suoi film più significativi. Siamo nel 1961 quando Kasterine comincia la sua carriera come fotografo professionista, durante gli anni della Swinging London e della celebrazione della giovinezza in tutte le sue forme. E proprio in questo periodo Kasterine inizia a lavorare per diverse agenzie e per svariate riviste, come Queen e Radio Times e che sente nominare Kubrick per la prima volta da un agente che aveva lavorato per due dei suoi film: “Lei mi consigliò di vedere Paths of Glory (Orizzonti di gloria, 1957), che era appena uscito a Londra. Dopo averlo visto, chiesi all’editore di Queen se poteva essere interessata ad un articolo su di lui. Lei acconsentì, così andai giù agli Shepperton Studios dove stava girando Dr Strangelove (Il dottor Stranamore, 1964) […]”. E sarà proprio alla fine di quella giornata che Kubrick chiede a Kasterine di lavorare per lui, aggiungendo “You stand in the right place”. Così iniziò il loro sodalizio, che portò Kasterine a lavorare anche sui set di 2001: A Space Odyssey e A Clockwork Orange.
Di quest’ultima pellicola, le immagini che Kasterine ci lascia, sono un compendio della violenza di cui è permeato il film, che costò anche a Kubrick il ritiro della pellicola dalle sale inglesi nel 1974, e che di fatto solo nel 2007 venne mandato in onda in Italia in una TV pubblica. Tratto dall’omonimo romanzo di Anthony Burgess (1962), Arancia meccanica fa parte dei tre film fantascientifici girati da Kubrick (2001 Odissea nello Spazio e Il Dottor Stranaore) ma tra questi è sicuramente il più ancorato al reale: nonostante i costumi futuristici e l’ambientazione distopica, il setting è quello di un’Inghilterra dai contorni ben riconoscibili, fatta di droga, sesso e violenza, di ragazzi annoiati che per sopperire alla loro condizione di apatia, non fanno altro che organizzare stupri di gruppo, rapine e violenze gratuite. «Il Korova milkbar vende ” latte+ “, cioè diciamo latte rinforzato con qualche droguccia mescalinica, che è quel che stavamo bevendo. È roba che ti fa robusto e disposto all’esercizio dell’amata ultraviolenza». L’impatto visivo, la scenografie pop, le musiche classiche di Beethoven e Rossini, e i dialoghi metà strada tra il surreale e l’onirico, hanno contribuito a far diventare Arancia Meccanica non solo un film cult, ma anche uno dei migliori film di tutti i tempi.
La mostra (19 marzo – 7 maggio) è composta da 17 fotografie in diversi formati.

Ono arte contemporanea
VIA SANTA MARGHERITA 10 | 40123 BOLOGNA | +39 051 262465
vittoria@onoarte.com | maurizio@onoarte.com | beatrice@onoarte.com

 

25
Mar

UGO LA PIETRA. Cinque verdi urbani

04 aprile 2016 – 04 maggio 2016
Brunch: domenica 10 aprile 2016, ore 11.00 – 15.00
Galleria Bianconi, Via Lecco 20 – 20124 Milano

PROROGATA fino al 13 maggio 2016

In occasione di Miart 2016, lunedì 4 aprile la Galleria Bianconi inaugura la mostra personale di UGO LA PIETRA dal titolo Cinque verdi urbani. Articolata in un ricco repertorio di dipinti, disegni, fotomontaggi e sculture in ceramica, l’esposizione è una sorta di summa summarum sul tema del verde urbano, domestico ed extraurbano che l’autore ha sviluppato dal 1980 al 2016.
Fin dai primi anni Ottanta, Ugo La Pietra ha concentrato una buona parte del suo lavoro di ricerca nel tentativo di coniugare la concettualità – che aveva contraddistinto il suo percorso nel ventennio Sessanta/Settanta – con la crescita di un sempre maggiore sviluppo della spettacolarità. Negli ultimi trent’anni il suo approccio tecno-poetico è infatti caratterizzato da queste due categorie che prendono a modello il “giardino del Settecento”, a volte in modo diretto ma più spesso come riferimento ideale, in quanto «luogo per una piacevole sosta (spettacolarità) e per la contemplazione (concettualità)».
Tenendo fede al suo impegno di operare al di fuori della logica dei sistemi prestabiliti, nel 1985 Ugo La Pietra è arrivato a concepire Il giardino delle delizie, proposizione che si confronta oggi con un’interpretazione critica e radicale del verde urbano presente nelle nostre città. Per esempio, il suo Bosco in città si pone come valida alternativa al “giardino verticale”, mentre gli Orti urbani sono un invito a coltivare i tanti spazi disponibili nei centri abitati; anche nei suoi Erbari e nei Transgenici affiora la volontà di trovare soluzioni progettuali imprevedibili ma sempre plausibili nei confronti del paesaggio metropolitano.
I cinque verdi urbani individuati dall’autore corrispondono alle serie Colti dal mio giardino (verde numero uno), Erbario: libri aperti (verde numero due), Orti urbani / bosco in città (verde numero tre), Il giardino delle delizie (verde numero quattro), Transgenici (verde numero cinque). Ogni serie corrisponde ad altrettante esplorazioni/riflessioni sul verde con cui l’autore intende tracciare una geografia di luoghi da lui stesso osservati e descritti con proverbiale eleganza e ironia. Si tratta di realtà fisiche riproposte attraverso segni e sperimentazioni che superano la ricerca della dimensione puramente estetica per denunciare una società che dovrebbe imparare ad abitare con il verde.

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22
Mar

Paolo Gioli

Peep-Hole presenta una mostra personale dell’artista Paolo Gioli

Inaugurazione sabato 9 aprile 2016, ore 18.00

Mostra dal 10 aprile al 28 maggio 2016

Paolo Gioli dalla fine degli anni Sessanta porta avanti una complessa ricerca attorno alla genesi delle immagini, alla natura dell’esperienza estetica e al funzionamento dei processi visivi.  Costantemente improntata alla sperimentazione tecnica e linguistica, la sua pratica artistica si muove con disinvoltura tra forme espressive differenti che spaziano dal disegno alla pittura, dal film alla fotografia, all’insegna di una contaminazione continua che impiega modalità di derivazione cinematografica per scopi fotografici, e un approccio marcatamente pittorico nell’utilizzo dei materiali e nella scelta dei supporti. Le sue complesse sperimentazioni sono diventate un punto di riferimento nell’ambito del cinema sperimentale e della fotografia contemporanea: dalla riscoperta e l’uso radicale del foro stenopeico all’impiego di strumenti auto-progettati o oggetti trovati per sottrarsi a qualsiasi legame con l’ottica e la meccanica, dall’utilizzo inconsueto dei materiali Polaroid trasferiti sui più svariati supporti come carta da disegno, tela, seta serigrafica, alle indagini sui processi di sviluppo o sulla tecnica del fotofinish. Tuttavia la complessità del suo lavoro non è circoscrivibile esclusivamente all’interno della sfera cinematografica o fotografica. La sua continua sfida verso le infinite possibilità di ricavare immagini da circostanze spontanee, legate alla natura, al corpo o a oggetti esistenti, è stata portata avanti all’interno di un campo d’indagine ampio in cui il cinema incontra la pittura, la pittura incrocia la fotografia e viceversa. La mostra presenta un corpo di opere che datano dalla fine degli anni Sessanta alla fine degli anni Novanta, a rappresentare i nuclei fondanti e i temi ricorrenti della produzione di Paolo Gioli, attraverso una selezione che evidenzia il fondamentale spostamento dalla pittura al cinema e alla fotografia. Alcune serie chiave della sua produzione come le Autoanatomie, i Fotofinish e le Naturae, si affiancano in mostra a lavori più inediti come alcuni dipinti e disegni realizzati alla fine degli anni Sessanta. A un ordinamento cronologico la mostra preferisce un’articolazione dialogica che sottolinea i legami e i continui rimandi tra temi, tecniche e linguaggi, in un percorso che attraversa in modo trasversale la vasta produzione dell’artista e dimostra come il passaggio da un linguaggio a un altro, da un medium o da una tecnica all’altra sia sempre fluido, biunivoco e  senza soluzione di continuità.Continue Reading..

21
Mar

Ugo Mulas. La Photographie

January 15 – April 24, 2016

The photographer’s task is to identify his own reality; that of the camera is to record it in its entirety.

Ugo Mulas (1928-1973) was a major figure of twentieth century Italian photography. Nevertheless, his work remains little known in France. This solo exhibition is the first of its kind and pays homage to this great observer and interpreter of the novelty that appeared in the art world in Italy and in the United States in the 1960s. It brings together, for the most part, the photographs selected by Mulas for publication in La Fotografia (Einaudi, 1973), his last, now legendary, book, an essential testimony of his work and his reflections.

When he arrived in Milan in 1948, Ugo Mulas associated with the artistic and literary circles that gathered at Bar Jamaica and he quickly began to photograph the city. Turned professional photographer, he developed more personal projects simultaneously. Official photographer of the Venice Biennale beginning in 1954, he documented the Italian and New York art scene of the 1960s. From 1968 onwards, he devoted himself to the Verifications, his last project, which questions photography and its practices.

With a title that is both simple and ambitious, La Photographie is a unique work. Through brief sequences of images introduced by text, Mulas analyzed the art of his time and made portraits of artists with whom he associated while creating their work as an intimate relationship with time. For Mulas, all moments are fleeting, they are all worthy, and the least significant moment can be in fact the most exceptional. Besides its documentary value, this group of work has a strong autobiographical tone. This selection closes with the Verifications, the final seminal chapter, which will forever establish the speculative dimension of his work.

The exhibition, composed of some sixty black-and-white vintage prints, is presented in collaboration with the Ugo Mulas Archives (Milan) and Giuliano Sergio, associate curator. It is co-produced with the Point du Jour, art center / editor (Cherbourg), which published Ugo Mulas’s book La Photographie in French, reproducing the format, text, and photographs of the Italian first edition.

Fondation Henri Cartier-Bresson
2, Impasse Lebouis, 75014 Paris
Tel : 01 56 80 27 00
Fax : 01 56 80 27 01
contact@henricartierbresson.org

Image: Ugo Mulas, Jasper Johns, New York, 1967

 

19
Mar

Giuseppe Penone. Scultura

19 MARZO 2016 / 26 GIUGNO 2016
Il Mart dedica un’importante mostra a Giuseppe Penone (Garessio – CN, 1947), uno tra i maggiori protagonisti dell’arte italiana.
Fin dagli esordi Penone costruisce un discorso sulla scultura a partire dal rapporto con l’universo vegetale.  In occasione della mostra personale al Mart vengono presentate opere inedite e significative riletture di lavori storici in stretta relazione con gli ambienti del Museo. Sin dall’ingresso architettura e scultura si intrecciano esaltando le caratteristiche dell’una e dell’altra: l’espressività dello spazio e quella della materia, l’esperienza della luce e quella del volume. Nel cuore del Mart si inerpica un grande tronco bronzeo quasi a sfondare la struttura del Museo, mentre un marmo di quasi venti metri segna il centro di un percorso negli ampi spazi del secondo piano che per la prima volta vengono presentati come pura architettura libera da ogni muro. Attorno cresce un paesaggio empatico fatto di cortecce di bronzo, forme antropomorfe e gesti di piante, impronte degli alberi, vene del marmo, calchi di terra.

Si offre così al pubblico il denso vocabolario poetico di un artista che ha segnato un passaggio fondamentale nella storia dell’arte.

Inaugurazione
Sabato 19 marzo, ingresso gratuito dalle 18 alle 21
Info: eventi@mart.tn.it

MART Museo di Arte contemporanea di Trento e Rovereto
Corso Bettini 43
38068 Rovereto (TN)
Infoline 800 397760

ORARI
Mar-Dom 10-18
Venerdì 10-21
Lunedì chiuso

Immagine: Sigillo, 2012

18
Mar

L’occhio cinematico. Arti visive e cinema oltre la soglia del visibile

A Arte Invernizzi

Inaugurazione martedì 15 marzo 2016 ore 18.30

La galleria A arte Invernizzi inaugura martedì 15 marzo 2016 alle ore 18.30 la mostra L’Occhio Cinematico a cura del regista cinematografico e filmmaker Francesco Castellani.
La mostra indaga, secondo la personale visione del regista, possibili affinità concettuali ed espressive tra arti visive e cinema, utilizzando elementi specifici del linguaggio cinematografico come strumenti di analisi e lettura delle opere e compiendo scelte iconografiche alla ricerca di possibili connessioni, di relazioni profonde e non meramente formali tra i diversi linguaggi. Il fotogramma, il campo e fuori campo, la luce e le dinamiche ottico-fotografiche, il piano sequenza, il flashback, l’ellissi di montaggio, sono “arnesi tecnici” abituali del lavoro del regista, che vengono messi in gioco per progettare e sostanziare un “sistema di visione” delle opere esposte.
“Le opere di Nicola Carrino, Enrico Castellani, Alan Charlton, Carlo Ciussi, Gianni Colombo, Dadamaino, Riccardo De Marchi, Lesley Foxcroft, François Morellet, Mario Nigro, Pino Pinelli, Niele Toroni e Michel Verjux – come scrive Francesco Castellani nel catalogo – danno corpo alla struttura di questo tentativo di racconto di connessioni, relazioni, e consonanze tra i linguaggi. Un tentativo che nel mio primo approccio è iniziato pensando istintivamente al concetto di materia oscura.” (…) “Quando rifletto sugli artisti riuniti in questo progetto e su loro possibili relazioni con il cinema, non posso fare a meno di immaginarli come sperimentatori che con mezzi diversi dagli strumenti di laboratorio, cercano anch’essi la materia oscura: tentano cioè con il loro agire artistico di dare una forma visibile a ciò che si muove al di là della soglia del visibile, oltre il tempo e lo spazio convenzionali, fuori e dentro di noi, nella vastità dell’Universo come nel complesso labirinto del mondo interiore. Una ricerca questa, che condividono con i registi più coraggiosi.”
Le opere sono proposte in un “sistema di visione” articolato sui due piani della galleria, in tre “piani sequenza” (elemento linguistico per eccellenza della tecnica cinematografica) con l’intento di offrire una fruizione delle stesse come parte, ciascuna nella sua singolarità, di un continuum coerente e fluido, proprio come nel cinema il piano sequenza identifica una dinamica di continuità narrativa non interrotta da tagli di montaggio.Continue Reading..

17
Mar

Nicola Samorì. Solo Show

Opening 18 marzo | h 19 -21

Monitor è lieta di annunciare la prima personale di Nicola Samorì (Forlì 1977) nei suoi spazi.

Nei suoi dipinti, sculture e installazioni, realizzati per l’occasione, l’artista invita lo spettatore a partecipare non solo a un contatto visivo, ma anche a un’esperienza profondamente fisica. Riuscendo a combinare, in maniera magistrale, una forte intensità ispirata all’estetica teatrale dell’arte rinascimentale e barocca con la perdita di controllo dell’Informale, le composizioni pittoriche di Samorì, così come le sculture, documentano la persistenza di un’impronta inattuale nel contemporaneo. L’artista ha, infatti, sviluppato un modo del tutto personale di relazionarsi con il corpo del Museo: manipola la sintassi di un vastissimo repertorio di opere e, nel momento in cui sembra saggiarne l’insostenibilità, ne documenta al contempo la vulnerabilità, sabotandone i codici con incursioni ingombranti oppure con spostamenti minimi. Ciascuna delle sue composizioni è segnata da una cerimonia di sistematica decostruzione, un dispositivo in grado di mettere in crisi nel minor tempo possibile la mano accademica. Diverse sono le overture che registrano il dialogo di Samorì con le opere: un nucleo trae origine dalla degenerazione di un progetto di forma condotta con controllo chirurgico; una precisione che si perde progressivamente nel tremolio del battito e nella stanchezza dei tendini. Altrove lo spettatore segue invece il confronto dell’artista con un ostacolo, che impone tenacia e rigore per essere vinto. L’inedito corpo di lavori realizzato da Nicola Samorì in occasione della sua prima personale da Monitor documenta un coro involontario, un insieme che si è precisato di opera in opera, con soggetti/oggetti in preda a un’urgenza infettiva. Le opere vivono di un’osmosi insistente che le costringe a imitare le sostanze delle altre, oppure a sottrarle l’un l’altra, in una continua compenetrazione della pittura nella scultura e viceversa. In questo coro si contrappongono una “Stanza dei fuochi” e una “Stanza delle crisi” che si danno battaglia per il consumo della loro stessa materia. I corpi in campo disegnano, infatti, una piccola Martiropoli assumendo e digerendo un ampio spettro di un’iconografia che ci restituisce la Roma Eterna. Così San Pietro, riverso in una grande tela centinata, sembra trattenere con un’ampia bracciata il suo stesso peso, un cascame di pittura scotennata che sotto la pelle opaca conserva i fluidi di Rubens. È il peso a parlare, sotto forma di tramonto di un’immagine, di crepuscolo che riverbera nella discrezione minuta – a tratti minimale – delle piccole tavole che lo avvicinano, apparizioni femminili dotate di una solennità sottilissima. Fra queste “Traspirazione della Vergine”, che innesca una conversione ottica di una Madonna fiamminga in una testa occultata da un burqa, non attraverso una prevedibile vestizione tramite pittura del soggetto, bensì tramite la spellatura della pellicola pittorica che porta alla luce il bruno della tavola sottostante.

L’elemento processuale è accolto anche ne “La Madonna dello zucchero”, che introduce un nuovo elemento nella composizione, prima d’ora inedito per l’artista: la pelle freschissima del volto è ridisegnata dal segno involontario di un insetto. Insetto che con un ricamo imprevedibile porta scompiglio nell’ordito di Memling, scrivendo il pensiero di Huberman in riferimento alle forme accidentali. Al gesto di Pietro fanno eco altre cadute, come quella della pelle di un San Bartolomeo da Luca Giordano (“Ascia romana”), verticalizzato, spogliato di paesaggio e “spopolato”. Il martire si apre sotto i colpi dello scalpello e la scultura classica presente ai suoi piedi nell’iconografia tradizionale viene sbalzata fuori diventando una testa senza tempo, scavata in un tronco fossile che presenta ampi brani di corteccia pietrificata. Sorveglia questo supplizio un altro legno, un palo con le sembianze del Risorto: una verticale simmetria spezzata, ancora una volta, dal lavorio degli insetti che ne hanno rimodellato i fianchi aggredendo i passaggi più morbidi del gustoso legno di noce. Persino in “L’estasi trascendentale dell’idolo anemico”, scultura in bianco statuario di Carrara, il marmo cariato e crivellato come pizzo pare il nido irregolare forgiato da batteri petrofaghi. Così come nella pittura l’artista procede per sottrazioni e per scavi che rianimano i modelli, così nella scultura Samorì sembra lavorare sull’idea di spontaneità facendo leva sui difetti della superficie e sulla perdita d’integrità: dalla difformità del legno fossilizzato al disegno di un tronco solcato dalle larve, dall’imitazione del segno spontaneo cesellato nel sasso all’interpretazione dei geodi.Continue Reading..