Tag: amalia di Lanno

16
Nov

Geometria del disordine. Torbjørn Kvasbø – Carlo Zauli

Officine Saffi inaugura il 14 dicembre la mostra dedicata al grande artista faentino Carlo Zauli (1926-2002) e al norvegese Torbjørn Kvasbø (1953).

A cura di Flaminio Gualdoni

Realizzata in collaborazione con il Museo Zauli e con il patrocinio del reale consolato generale di Norvegia, la mostra rievoca così “nell’incrocio tra le esperienze ormai storiche di Carlo Zauli e quelle tutte contemporanee di Torbjørn Kvasbø, il titolo di una raccolta poetica tra le più intense degli ultimi decenni, Geometria del disordine di Maria Luisa Spaziani. Figli di generazioni e di geografie diverse, ma d’animo per molti versi affine, Zauli e Kvasbø muovono da uno snodo criticamente cruciale, la negazione della forma preventiva e l’idea di opera non come compimento di un processo fabrile, ma come affermazione della problematicità del processo stesso”. (Flaminio Gualdoni)

Il nucleo della ricerca di Carlo Zauli è il semplice “grumo” di argilla a cui dà forma esaltandone le misteriose tensioni interne, la sua memoria. Nascono così opere come le Zolle, Aratura o i Vasi sconvolti. Testimonianze del profondo legame che l’artista ha con la terra e di cui cerca di cogliere “il segno della e nella terra, della e nella natura capace di imprimere quel senso vitale e costruttivo sempre presente intorno a noi e in noi”.

Torbjørn Kvasbø celebra il legame con l’argilla partendo dall’archetipo della forma- contenitore e del suo ruolo nella storia dell’uomo. Una ricerca che vede rinnovare e rivivificare questo materiale in una serie colorata Stack che sarà esposta in mostra e che ha come riferimento la classica forma del vaso, costituito da stampi di cilindri composti a spirale. ”Forma che allo stesso tempo è un corpo a sé stante, un torso tridimensionale con i propri gesti e i propri stati d’animo”. Un lavoro consapevole della resistenza della materia sulla quale Kvasbø sa di non avere alcun controllo, e che attraverso il segno si fa interprete degli stati emotivi interiori dell’artista.

In entrambi gli artisti lo strappo e la frattura, la lacerazione e la compressione, la torsione e lo schianto, non sono tuttavia affermati come presa di posizione ideologica nell’orizzonte di un atteggiamento d’avanguardia che, fatto ormai blague ripetitiva, erge il negativo a valore. Sono invece, in modo estremo e intimamente sofferto, atti amorevoli di liberazione e di complicità più profonda, momenti di ricerca di uno strato più radicalmente decisivo della ragione di forma.” (Flaminio Gualdoni)

GEOMETRIE DEL DISORDINE

CARLO ZAULI | TORBJØRN KVASBØ
Officine Saffi I via Aurelio Saffi, 7 I Milano

dal 15 dicembre al 10 febbraio 2017
Inaugurazione: 14 dicembre 18.30
Orari di apertura: dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 18.30, sabato dalle 11.00 alle 18.00.
Domenica su appuntamento.
Ingresso gratuito

Immagine: TORBJØRN KVASBØ_STACK, TURQUOISE, 2010, terracotta bianca, elementi tubulari estrusi, smalto egiziano blu, h75x ⌀50 cm

-english below-

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16
Nov

Flavia Bucci, Enrico Fico. NYCTOPHILIA

a cura di Tiziana Tommei

Inaugurazione venerdì 18 novembre 2016
Dalle ore 19.00 alle ore 21.00

In mostra da venerdì 18 novembre a domenica 18 dicembre 2016

Da martedì a sabato, 11.00 – 13.00 / 16.30 – 19.30
o su appuntamento

Galleria 33 presenta la doppia personale di Flavia Bucci ed Enrico Fico, Nyctophilia a cura di Tiziana Tommei.

Il progetto espositivo muove dalla volontà di mettere in dialogo i progetti personali di Flavia Bucci ed Enrico Fico: Esercizi d’igiene e À chacun son enfer. Nel primo caso si presenta una selezione d’archivio dell’artista abruzzese: una raccolta molto vasta, che conta un totale di 3.761 fotografie di oggetti domestici, ottenute mediante l’uso dello scanner. Un “esercizio” che ha impegnato Flavia Bucci nel corso di un anno e che ha visto successivamente la stampa su carta dell’immagine digitalizzata. In ultima istanza, è avvenuta la messa a punto di un sistema di presentazione delle opere in ordine al quale la scelta della cornice e il rapporto in termini di formato tra opera e immagine costituiscono elementi contingenti il lavoro sul piano concettuale prima ancora che materiale. Fotografia analogica e poesia visiva sono invece le componenti delle opere di Enrico Fico; in esse il paesaggio assume una veste cerebrale e solo di riflesso velatamente emotiva. Una natura matrigna, pungente e oscura, che viene colmata da un mondo tutto interiore, fino a divenire cassa di risonanza soggettiva. L’orizzonte viene frammentato, chiuso e annullato; gli alberi capovolti e le linee sinuose tagliate. Una voce contro un certo modo d’intendere la fotografia, in antitesi al quale egli sceglie di rappresentare il paesaggio in analogico per poi scomporlo, rovesciarlo, sporcarlo e subordinarlo alle parole. Entrambi seguono tempi ampi di metabolizzazione dei progetti – ambedue sono dispiegati nel corso di tre anni (2014-16) – e sono accomunati da un’inclinazione all’analisi scientifica del sé, mediante l’uso di ciò che sta all’esterno, in particolare luoghi e cose del mondo inanimato comunemente intesi come rassicuranti, quali la dimensione domestica e il paesaggio naturale. Non osannano l’estetica, non seguono canoni, ma cercano la verità con la consapevolezza che per avvicinarsi a questa occorra andare a fondo, in profondità, dove c’è oscurità e silenzio (come nella notte). In À chacun son enfer Enrico Fico tinge di nero la natura, disarticolandola senza in realtà toccarla. Ricorrendo ad una metafora, è come se l’autore avesse osservato il mondo attraverso uno specchio, per poi infrangere quest’ultimo a terra. Una superficie riflettente perché, se l’immagine impressa è quella di un spazio fisico, l’uso che se ne fa è quello di un luogo interiore, mentale e viscerale. Scatti realizzati nel 2014, ma letti, interpretati e decodificati nei due anni successivi attraverso la memoria e, infine, tradotti in versi. Il testo non risulta mai didascalico rispetto all’immagine, perché la poesia è più forte di ciò che si osserva. Sono opere che impongono di essere lette, non osservate: richiedono una chiave di lettura e in questo senso funzionano come un pentagramma. L’artista non vuole fornire soluzioni, perché egli stesso cerca “le risposte”. Questo lavoro deve essere ragionato in almeno due direzioni: il rapporto con la fotografia e quello tra immagine e testo. In riferimento al primo questi dichiara il rifiuto verso un uso realistico, oggettivo ed estetico del mezzo fotografico; per la seconda invece, egli sonda e investiga le possibili fusioni tra il verso e l’immagine. Quest’ultima non è mai descrittiva, ma sempre veicolo di concetti dichiaratamente non immediatamente intelligibili. Sono opere fredde attraverso le quali chi crea ragiona su di sé, utilizzando un soggetto classico, esterno ed aperto, per mettere in piedi un discorso fuori dai canoni, psichico e intellettuale, intimo e spirituale.

3.761 oggetti accumulati come “i frutti di una quotidiana apocalisse” e passati allo scanner in “una sorta di rituale”, per adempiere e condurre a termine Esercizi d’igiene. Flavia Bucci sottopone all’esame della macchina tutta la sua quotidianità materiale, ciò che la circonda, ma soprattutto quello che compone la sua dimensione domestica, intima, personale. Radiografie più che fotografie: opere di carattere scientifico e più specificatamente medico. Viviseziona la vita, quella vera, quella quotidiana, e lo fa con abnegazione, metodo e disciplina. Quello che la guida è un desiderio spasmodico di controllo, per giungere a ciò che lei chiama, citando il titolo, “igiene”. In realtà si tratta di “mettere da parte con la certezza di non aver tralasciato nulla”, ossia di risolvere, affrontare e superare paure, insicurezze e angosce. Quando si è estremamente mentali, infatti, si rischia di demonizzare la materia, il suo peso specifico, il volume e la fisicità. In linea con ciò, gli oggetti tridimensionali che occupano lo spazio fisico dell’artista vengono da essa ridotti in immagini bidimensionali, schiacciati ed esautorati da ogni possibile funzione e significato. Vengono archiviati, numerati, conservati e riproposti in forma di surrogati. Chiusi in teche fatte di cornici di riuso, sigillate con colla e carta; messi sotto vetro dopo essere state osservate al microscopio, analizzate ed etichettate. Oggetti che assumono le sembianze di entità macroscopiche, feticci rivelati dalla luce dello scanner, immersi e relegati in un fondo grigio, scuro e profondo.Continue Reading..

08
Nov

Olafur Eliasson. The parliament of possibilities

Curated by Hyesoo Woo, Chief Curator, Leeum, Samsung Museum of Art

September 28, 2016–February 26, 2017

Leeum, Samsung Museum of Art
60-16, Itaewon-ro, 55-gil
140-893 Yongsan-gu, Seoul
South Korea

T +82 2 2014 6900

Leeum, Samsung Museum of Art is pleased to host The parliament of possibilities, a major solo exhibition by Olafur Eliasson. Danish-Icelandic artist Olafur Eliasson is one of the most acclaimed artists working today. Eliasson’s practice expands our notion of art; his use of illusions produced by mirrors, machines that create pseudo-natural phenomena, and diverse visual experiments suggests new ways of perceiving, experiencing, and responding to our shared world.

This mid-career survey exhibition presents a unique opportunity to encounter a wide range of artworks by Eliasson. The 22 works in the exhibition range from those created at the beginning of the artist’s career, in the early 1990s, to works representative of his most recent activities. A tapestry of tightly woven Icelandic moss titled Moss wall (1994) and the gravity-defying Reversed waterfall (1998) are exemplary of his early works, while new productions include Your unpredictable path (2016), a work inspired by constellations and nebulae, and Rainbow assembly (2016), made of water droplets and light.

Olafur Eliasson says, “The parliament of possibilities celebrates the fact that the world and our feelings about it are constantly changing. When we see things as a continuous process of production and relation, we may also see their potential. We then have the opportunity to negotiate reality, to decide together what world to build. I would like to think that my works encourage people’s engagement and experience of being present with and in the world. The artworks function as mirrors, reflecting a not-yet-verbalised emotional need that we carry inside ourselves.”

Throughout his career, Eliasson has employed a wide range of media, including sculpture, installation, photography, and painting, to realize works that raise questions dealing with nature, philosophy, and science. The wide spectrum of Eliasson’s creative activity leaves a profound impression on viewers across the globe. For Eliasson, though, the viewers themselves compose the most important element—it is through their encounters with his work that it continues to produce new meaning. The parliament of possibilities is thus the perfect occasion to explore the dynamic relationship between art and life.

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08
Nov

Kishio Suga. Situations

A cura di Yuko Hasegawa e Vicente Todolí / 30 settembre 2016 – 29 gennaio 2017

“Situations” è la prima retrospettiva dedicata da un’istituzione europea a Kishio Suga (Morioka, Giappone, 1944), figura chiave dell’arte contemporanea giapponese. La mostra, a cura di Yuko Hasegawa e Vicente Todolí, raccoglie nello spazio delle Navate di Pirelli HangarBicocca oltre venti installazioni realizzate da Suga dal 1969 fino a oggi e da lui riadattate per l’occasione.
Personalità di spicco di Mono-ha, gruppo artistico nato alla fine degli anni Sessanta, Kishio Suga inizia a esporre le sue opere in un contesto di grande fermento culturale per il Giappone, così come a livello internazionale, con la nascita di movimenti come la Post-Minimal Art e la Land Art negli Stati Uniti e l’Arte Povera in Italia.
Nel 1978 l’artista viene invitato a rappresentare il suo paese alla Biennale di Venezia, mostrando in Occidente il suo linguaggio che unisce una relazione profonda con la natura a una ricerca sui materiali e sullo spazio.
La mostra riunisce un insieme di opere ripensate e riadattate dall’artista in funzione dell’architettura industriale di Pirelli HangarBicocca, creando un intenso legame con i vasti spazi delle Navate e dando vita a un unico percorso dove convivono leggerezza e incombenza, linearità e tensione, solidità e immaterialità. I lavori di Suga si configurano come interventi temporanei che hanno la durata della mostra, site-specific nello spazio e nel tempo. “Situations”, si presenta come un paesaggio costituito da elementi organici e industriali – come ferro, zinco, legno, pietre e paraffina – spesso ricercati in loco. Le opere installate in Pirelli HangarBicocca acquisiscono, dunque, nuove qualità e caratteristiche che le rendono diverse da qualsiasi precedente installazione.

«Realizzo installazioni all’interno di spazi espositivi, una forma d’arte piuttosto comune oggi. Uso una varietà di materiali, accostandoli e creando una struttura che si adatta a tutto lo spazio. Le installazioni non sono mai permanenti e possono essere facilmente rimosse e distrutte. Si potrebbe dire che creo mondi temporanei»(Kishio Suga, The Conditions Surrounding an Act, 2009)

Kishio Suga, dopo aver conseguito una laurea in pittura alla Tama Art University di Tokyo nel 1968 e aver lavorato come assistente di studio dell’artista americano Sam Francis, inizia a realizzare ed esporre le sue opere in un contesto di grande fermento artistico per il Giappone. Tra il 1969 e il 1972 si forma e sviluppa il gruppo Mono-ha, di cui fa parte Suga, oltre agli artisti Kōji Enokura, Noriyuki Haraguchi, Shingo Honda, Susumu Koshimizu, Lee Ufan, Katsushiko Narita, Nobuo Sekine, Noburu Takayama e Katsuro Yoshida. L’utilizzo di materiali semplici, sia naturali sia provenienti dalla produzione industriale, l’indagine sulle relazioni tra uomo e materia, oggetti e spazio circostante, l’intervento diretto sulle opere, attraverso azioni che le alterano, accomunano la pratica individuale e personale di questi artisti. Mono-ha, che letteralmente significa “scuola delle cose”, si presenta quindi come un movimento legato a una dimensione oggettuale e perfomativa dell’opera d’arte. Aspetti tematici e formali che possono creare una vicinanza tra questo gruppo e quello italiano dell’Arte Povera, che negli stessi anni prende vita a Torino.Continue Reading..

06
Nov

Alessandro Bernardini. Fausti

a cura di Tiziana Tommei

Inaugurazione venerdì 11 novembre 2016

Dalle ore 19.00 alle ore 21.00

Secret Gallery di Luciferi fine art LAB in partnership con Galleria 33 presenta la personale di Alessandro Bernardini, Fausti. La mostra prevede un corpus di cinquanta opere realizzate tra il 2012 e il 2016, mediante assemblage, collage e tecnica mista su tela. Il progetto espositivo, curato da Tiziana Tommei, ripercorre la sua ricerca: muove dalle prime sperimentazioni del 2012-13 – in primis “Tela sei giocata” (2012) – passando per la serie dei cementi su tela (“Tela muro”, 2014 – in progress), per giungere ai più recenti catrami del 2016 e ad alcune creazioni inedite. La versatilità e la vena sperimentatrice di A. B. sfocia per l’occasione anche nella messa appunto di un profumo “IdeAle”, un prodotto dal design minimale, proposto in edizione limitata.

Gettare e stendere cemento o catrame sopra una tela bianca non è un gioco. Soprattutto se su quella tela è già stata scritta una storia. Infatti, nella migliore delle ipotesi sotto la coltre di materia c’è una superficie intonsa, mentre in altri casi, come in coincidenza del primo momento con il quale ha preso avvio il progetto aperto della serie dei cementi, c’è “un pieno”. A venire ricoperto, e dunque celato, può essere un assemblage come un testo, ma in ogni caso è una realtà in essere. La tela viene incisa, forata, tagliata, frammentata e sommersa. Raramente il risultato è ottenuto per sottrazione, e quindi asportazione di tessuto; più volte si determina infatti per addizione, e dunque assemblaggio di oggetti o stesura di materia; infine, ancora più di frequente, per giustapposizione di ambedue le soluzioni. Nel dittico “Tela involti” l’elemento della testa pare diverso nelle due versioni. In realtà è il medesimo che, nel bianco ci appare sospeso ne vuoto, mentre nel nero subissato dal catrame. Lo status di frammento, il soggetto umano femminile, la posizione entro l’area della tela e il taglio del corpo plastico rappresentano già dei significanti rispetto ai quali la colata di catrame arriva solo in parte e in seconda istanza. Mentre viene apertamente dichiarato un desiderio di leggerezza, si determina una forbice tra ricerca in chiave ludica, unita alla messa in atto di espedienti capaci di innescare una subitanea ilarità, ed esigenza di dare voce, spazio e forma a qualcosa di molto serio. I giochi di parole dei titoli, sono appunto dei giochi che, al pari dell’immediatezza tecnica non devono trarre in inganno. Se Alessandro Bernardini gioca, allora dobbiamo ricordarci che, per i bambini, il gioco è una cosa molto seria.
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02
Nov

Tagreed Darghouth. Ain’t nowhere to hide

Contemporary Art Platform (CAP) is pleased to announce Tagreed Darghouth’s first exhibition in Kuwait called AIN’T NOWHERE TO HIDE

Exhibition is available till Saturday the 3rd of December 2016

About the exhibition

The human-less war

In 2011, Tagreed Darghouth presented Canticle of Death[1]. This solo exhibition at Agial Art Gallery in Beirut, consisted of two series of paintings, apparently independent and ultimately linked by the idea of death: nuclear weapons and skulls. Skulls are not something especially new in art history. In the 17th century, French, Spanish, Flemish and Dutch still life masters applied their virtuosity to depict these anatomical shapes inside compositions that included a multiplicity of objects related to arts, science and wealth. These were the vanities, symbolic artworks taking their name from a verse in the Ecclesiastes:

Vanitas vanitatum dixit Ecclesiastes vanitas vanitatum omnia vanitas

The Vanitas allege that everything, except the love of God, is futile. In opposition with these sophisticated accumulations, Darghouth’s skulls do not cohabit with anything. They float over an abstract pattern composed of flowers, stars, leaves or dots. Their sinister and frightening presences convey a fundamental menace towards humanity and should be seen in accordance with what (or who) the young artist previously painted. In 2010, Darghouth showed Fair and Lovely, a series of portraits of domestic maids. Fair and Lovely also included pictures of women having been subject to plastic surgery. These were already the main topic of Mirror, Mirror! in 2008. From Mirror, Mirror! to Fair and Lovely, Darghouth was revealing the Lebanese society through its extremes: foreign workers – let’s not say slaves – who only exist to serve their masters, and plastic surgery, very popular among the same masters of these workers. We have a confrontation between the inexistent body and the transformed body that attempted to defy time and death. In this perspective, the Vanitasis an absolute and definitive response.

[1] Tagreed Darghouth, Canticle of Death (Beirut: Agial Art Gallery), 2011. Essays by Joe Tarrab and Myrna Ayad.

About the artist

Tagreed Darghouth was born in 1979. She received a Diploma of higher education in Painting and Sculpting from the Lebanese University’s Institute of Fine Arts, and did a year of graduate studies in Space Art from at the École Nationale Supérieure des Arts Décoratifs (ENSAD), Paris in 2003. She won the Boghossian Foundation Prize, in the catagory of painting, in 2012. She has held a number of solo exhibitions, including Vision Machines: Shall You See Me Better Now?, 2015,Rehearsals, 2013, Canticle of Death, 2011, Fair & Lovely, 2010, and Mirror, Mirror!, 2008, all at Agial Art Gallery, Beirut. And she has participated in various group exhibitions, including “Thin Skin: Six Artists from Beirut,” Taymour Grahne Gallery, New York, 2015; “Insondable Surface,” French Cultural Center, Beirut, 2013; “Re-Orientations I,” Rose Issa Projects, London, 2012; and “10th Anniversary of Kasa Art Gallery,” Kasa Gallery, Istanbul, 2010.Continue Reading..

01
Nov

Jean-Michel Basquiat

Come ogni artista “maledetto” Jean-Michel Basquiat, scomparso nel 1988 a soli 27 anni, è riuscito nell’arco brevissimo di pochi anni a costruire una leggenda attorno alla sua figura e alla sua arte.

A cura di Jeffrey Deitch e Gianni Mercurio.
Con quasi 100 opere provenienti da collezioni private, la mostra attraversa la breve ma intensa carriera di Basquiat, che si è conclusa con la morte prematura all’età di soli ventisette anni. In modo diretto e apparentemente infantile Basquiat e’ stato in grado di portare all’attenzione del grande pubblico tematiche essenziali sull’identità umana e sulla questione dolorosa e aperta della razza. È stato un personaggio fondamentale nella storia contemporanea americana perché capace di intrecciare, unico per quei tempi, l’energia urbana dannata di New York con le sue radici segnate dalla schiavitù e dalla diaspora. Venti anni dopo la sua prima mostra al Whitney Museum of American Art (1992-1993) e dieci anni dopo la retrospettiva al Brooklyn Museum of Art (2005), questa esposizione mostrerà il ruolo centrale di Basquiat nella generazione dei suoi artisti coetanei e la funzione della sua arte come un ponte di collegamento tra le diverse culture.

Mudec – Museo delle Culture
via Tortona 56, Milano

Jean-Michel Basquiat
28 ottobre 2016 / 26 febbraio 2017

24
Ott

Gina Pane – Silvia Giambrone. L’azione espansa

GINA PANE – SILVIA GIAMBRONE
L’azione espansa
a cura di Carlo Sala

La galleria CreArte Studio presenta Gina Pane – Silvia Giambrone. L’azione espansa, a cura di Carlo Sala, che mette in dialogo i lavori di Gina Pane, una delle più importanti performer del Novecento, con l’opera di Silvia Giambrone, artista emergente internazionale recentemente selezionata da Cristiana Collu della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma per il Level 0.

La mostra, che inaugura sabato 29 ottobre, è una riflessione attorno ai temi del corpo nell’arte e nella società, della femminilità, dei rapporti familiari, delle forme sociali di controllo e di sviluppo della soggettività – già emersi con vigore all’interno delle pratiche artistiche degli anni Settanta, e che oggi possono assumere nuovi significati ed essere trattati attraverso rinnovate modalità espressive. Proprio le fotografie tratte da alcune delle più importanti performance di Gina Pane saranno accostate alle recenti installazioni di Silvia Giambrone così da destare un gioco di rimandi, assonanze e dialoghi.
Di Gina Pane saranno esposti alcuni dei più celebri lavori della stagione della body art come Action Je (1972), Transfert (1973) e Action mélanconique (1974) e la celebre Azione sentimentale (1973). Il dialogo tematico e mediale, che si innesca tra le due autrici, parte però da un differente uso del corpo: se per Gina Pane esso è il veicolo principale della sua espressione, tanto da originare curatissime azioni di carattere simbolico ed emotivo, per Silvia Giambrone non sempre il corpo è messo in scena direttamente per cui il concetto stesso di “azione” si espande verso forme oggettuali che ne evocano lo svolgimento, ne sono una diretta derivazione o ricoprono un valore complementare per sviluppare una specifica riflessione.
Sarà esposta una ricca selezione di opere di quest’ultima che partono dalla sua performance Teatro anatomico (2012), dove l’artista si cuce direttamente sulla pelle un colletto ricamato, elemento per lei carico di ambiguità in quanto simbolo di un antico sapere artigianale, ma anche di un’adesione inconsapevole della donna ad una cultura di genere. Il video di questa performance entra così in dialogo con due dei più celebri lavori di Gina Pane: Action mélanconique e Azione sentimentale. In entrambi la Pane usa il suo corpo come veicolo espressivo, compiendo delle azioni in cui esso viene sottoposto al dolore. Nella sentimentale si parla della condizione della donna, del suo rapporto con la madre, degli stereotipi affettivi in cui talvolta si è intrappolati. Le immagini di grande pathos emotivo mostrano Gina Pane conficcarsi delle spine di rosa nel braccio e provocarsi dei tagli; il suo corpo diviene così vera materia creativa “aperta” verso gli altri.
Altre opere delle due autrici ruotano invece attorno al tema della dimensione privata: in Action Je la Pane è posta fuori dalla finestra di un appartamento e funge da veicolo per trasmettere al pubblico nella piazza sottostante le sensazioni, le emozioni e gli accadimenti della famiglia che sta osservando. Una riflessione sul privato pervade anche le opere Eroina (2012), Collars (2012) e Senza titolo – Wallpaper (2016) della Giambrone, dove il luogo domestico è visto come uno spazio in cui si forma la soggettività del singolo, ma anche dove quest’ultima può essere limitata. L’assunto appare evidente anche nell’installazione fotografica Vertigo (2015), dove una serie di oggetti di uso quotidiano, posti tra loro in dialogo, evocano sottilmente i conflitti personali.

La relazione che si crea tra le opere delle due autrici proviene dall’indagine sul tema centrale del corpo, inteso sia come medium espressivo che come soggetto capace di formulare delle riflessioni sul rapporto tra individuo e società.

CreArte Studio – Palazzo Porcia
Piazza Castello n°1, Oderzo (TV)
Inaugurazione: sabato 29 ottobre, ore 18.00
da sabato 30 ottobre a domenica 18 dicembre 2016
Orari: giovedì -sabato: 16.00 – 19.30;
domenica 9.30 – 12.30 e 16.00 – 21.30.

Catalogo in galleria
www.crearte-studio.it
info@crearte-studio.it
tel. +39 333.7474335

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20
Ott

Maria Lai. Sul filo del mistero

«I grovigli esprimono la mia tensione verso altri spazi» diceva Maria Lai. Nei primi anni Sessanta le sue mani hanno cominciato a intessere storie misteriose. Storie fatte di uomini fortemente legati alla terra. Ma anche di uomini tesi a elevare il proprio spirito verso nuove dimensioni.

Signora dell’arte, dei fili e dei telai. Signora delle montagne, nella Sardegna rupestre, Maria Lai (1919-2013) è stata una delle interpreti più intense nel mondo della ricerca estetica contemporanea. Un’artista lontana dalle mode, difficilmente riconducibile a un gruppo o a un movimento, ma il cui carisma l’ha consacrata nell’empireo dei grandi nomi del Novecento.

La Galleria San Fedele, nell’ambito del suo programma dedicato ai maestri dell’arte contemporanea votati a una dimensione profonda della ricerca spirituale ed estetica, presenta un omaggio a questa grande autrice.

I temi eterni dell’identità, delle origini, della femminilità e della memoria; i temi celesti, i motivi cosmici, le geografie di un universo parallelo, sono alla base di un nucleo di opere popolate di spiriti benigni, di donne e pastori. Abilissima nel passare dal piccolo formato dei libri di cotone, cuciti con testi segreti e sacri, alla dimensione monumentale della land art, ha firmato installazioni e performance, come la celebre Legarsi alla montagna, del 1981, in cui stese un lunghissimo nastro celeste per unire le case del paese di Ulassai alle rocce del Tacco, ossequio alla natura, un rito collettivo per scongiurare frane e sigillare con la montagna un patto di convivenza.

Meraviglioso il valore sacrale conferito da Maria Lai al nastro e al tessuto, simboli di comunione e testimoni dell’origine antropologica del legame sancito fra l’uomo e il paesaggio che lo accoglie.Continue Reading..

17
Ott

CASA MORRA. Archivio d’arte contemporanea_Opening

CASA MORRA
Archivio d’arte contemporanea – Il gioco dell’oca – 100 anni di mostre

INAUGURAZIONE VENERDÌ 28 OTTOBRE 2016 ore 17:00
I EVENTO – 1° ANNO

JOHN CAGE – MARCEL DUCHAMP – ALLAN KAPROW

Ore 19:00 – CONCERTO 1 DANIELE LOMBARDI CAGE 1-13
Ore 21:00 – CONCERTO 2 EMANUEL DIMAS DE MELO PIMENTA

Casa Morra è un nuovo spazio museale creato da Giuseppe Morra a Napoli nel Palazzo Ayerbo D’Aragona Cassano, un complesso di 4.200 mq che sarà gradualmente ristrutturato per accogliere l’ampia collezione Morra: oltre 2000 opere presentate con percorsi tematici e focus su artisti. Un attraversamento nella storia dell’arte contemporanea e nei fondamentali movimenti come Gutai, Happening, Fluxus, Azionismo Viennese, Living Theatre, Poesia Visiva sino alle ricerche più avanzate italiane e straniere. Prosegue così la grande avventura del mecenate napoletano che qui sistemerà la sua ampia collezione, frutto di oltre quarant’anni di presenza attiva nello scenario internazionale dell’arte.
Morra ha infatti pianificato 100 anni di mostre, attraverso il meccanismo del gioco dell’oca fatto di rimandi, attraversamenti e ritorni. Cicli espositivi regolati dall’alchimia dei numeri 3 e 7 che coincidono di volta in volta con il numero di artisti presentati o la quantità di opere e sequenze di mostre.

Primo evento il 28 ottobre con un inedito dialogo di opere di John Cage – Marcel Duchamp – Allan Kaprow. Il principio della casualità anima il percorso simbolico del gioco dell’oca, posto a fondamento dello statuto e del divenire di Casa Morra. La prima mostra si apre pertanto con tre artisti che della casualità hanno fatto pratica creativa, applicando una svolta nel modo di vedere e percepire l’arte: Cage, Duchamp, Kaprow riuniti insieme per mostrare il desiderio di costruire un ambiente in cui agire, fare esperienza sperimentando.

Il carattere di casualità è il primo tratto distintivo dell’opera Stockroom (1961-1992), come sottolineato nelle parole di Kaprow: «…questa versione di Stockroom deve essere dipinta dal visitatore in un colore diverso ogni giorno: bianco, rosso, arancione, giallo, verde, blu, viola, nero, ripetendo questa sequenza ogni otto giorni. Le persone che hanno piacere di partecipare troveranno pennelli adatti, rulli, una scala e qualche cosa per proteggere i vestiti. Sentitevi liberi di partecipare a questo procedimento».Continue Reading..