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19
Gen

Mario Cresci. La fotografia del no, 1964 – 2016

GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo

A cura di M. Cristina Rodeschini e Mario Cresci

Inaugurazione: giovedì 9 febbraio, ore 19:00

Dal 10 febbraio al 17 aprile 2017 la GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo presenta la prima grande mostra antologica dedicata al lavoro fotografico di Mario Cresci (Chiavari, 1942), la cui figura artistica può essere considerata tra le più ricche e complete, per intenti ed esiti, della scena italiana del dopoguerra.

A cura di M. Cristina Rodeschini e Mario Cresci, la mostra offre una panoramica completa della poetica dell’artista, dalle origini del suo lavoro fino a oggi, evidenziandone l’attualità della ricerca nel contesto delle tendenze artistiche contemporanee.

Cresci utilizza il linguaggio della fotografia per approfondire aspetti legati alla memoria, alla percezione, alle analogie, in un’analisi suggestiva che diventa un invito a confrontarsi in modo inedito con la realtà, con i luoghi, intesi come deposito di relazioni, memorie, tracce. La mostra attraversa la produzione dell’artista dalle prime sperimentazioni sulle geometrie alle indagini di carattere antropologico sulla cultura lucana della fine degli anni Sessanta, ai progetti dedicati alla disamina della scrittura fotografica e all’equivocità della percezione, in un percorso espositivo articolato in dodici sezioni capace di mettere in risalto analogie formali e correlazioni concettuali fra le diverse opere, privilegiando, così, uno sviluppo non necessariamente cronologico della sua produzione e poetica. Sarà inoltre presentata la rivisitazione di alcune sue famose installazioni poste in dialogo con opere più recenti, attraverso la ricerca di un’articolazione studiata per i diversi spazi espositivi; installazioni che presenteranno materiali eterogenei, non appartenenti unicamente allo specifico della tecnica fotografica, poiché, fin dagli esordi, Cresci è autore di opere composite caratterizzate da una libertà che attraversa il disegno, la fotografia, le installazioni e l’esperienza video.

La mostra si propone, infatti, di presentare il lavoro dell’artista mettendo in risalto questo continuo e proficuo scambio tra l’arte, la grafica e la fotografia, intesa quest’ultima come medium della ricerca artistica e al tempo stesso come riflessione teorica connessa con altri saperi e discipline. La profonda riflessione condotta da Cresci sulle potenzialità del linguaggio fotografico si è sviluppata, da sempre, in dialogo stringente con la più aggiornata ricerca artistica. Il titolo della mostra, La fotografia del no, si rifà al libro di Goffredo Fofi Il cinema del no. Visioni anarchiche della vita e della società (Elèuthera, 2015), che rispecchia in gran parte il pensiero dell’artista riguardo alla fotografia, intesa come mezzo privilegiato, ma non unico, per le sue scelte di vita e di relazione con gli altri. Per Cresci, infatti, la fotografia è un “atto globale, non circoscrivibile al singolo scatto”, che si contamina, diventando argomento di testi e oggetto di docenza, nella ricerca di un dialogo con le giovani generazioni, per lui cruciale.

Queste le sezioni che compongono la mostra:

Ipsa ruina docet, 1996 – 2016
Mettendo in scena ex-novo il rapporto tra classico e moderno, sollecitando una riflessione sul significato dei modelli nella cultura umanistica, Cresci rilegge l’affascinante armamentario didattico rappresentato dai modelli ottocenteschi dell’Accademia di Belle Arti G. Carrara, già protagonisti nel 1996 di un’emozionante installazione al Teatro Sociale di Bergamo (Opus Gypsicum, dalla serie In scena).

Geometrie, 1964 – 2011

La vocazione di Cresci alla sperimentazione e all’uso antinaturalistico del linguaggio fotografico si esplica in numerose variazioni sul tema, attraverso l’uso di forme geometriche quali cerchi, quadrati, croci, che dal Suprematismo al Minimalismo l’artista smitizza attraverso distorsioni e deformazioni. Serie come Geometria non euclidea (1964) e Accademia Carrara (1994) e opere quali Rotazione tra cielo e terra (1971) e Geometria Naturalis (1975 – 2011) danno luogo a immagini fortemente stranianti, che inducono l’osservatore a focalizzare la propria attenzione sulla modalità di rappresentazione piuttosto che sul contenuto.

Cultura materiale, 1967 – 2016

L’uso progettuale della fotografia offre una lettura non stereotipata della realtà contadina del Sud Italia, facendo emergere i segni e i significati che legano il singolo episodio (il manufatto, il volto, l’interno domestico, la strada, gli animali) al territorio che lo comprende. Cresci sviluppa la ricerca sulla produzione artigianale locale e sul design di matrice popolare attraverso metodologie originali che non trascurano l’aspetto creativo e sperimentale – come nei celebri Interni mossi (1966 – 1978) e nei Ritratti reali (1972) – e talvolta ludico (come nei Rayogrammi e nelle sue rivisitazioni di Scanprint e Coesistenze, 2016).

Trisorio site-specific, 1979
In occasione di una sua personale presso lo Studio Trisorio a Napoli nel 1979, Cresci elabora l’opera Campo riflesso e trasparente, che conferma la capacità dell’artista di costituire una grammatica per l’osservazione e per la ricerca sul mezzo fotografico.

Roma ‘68

È dedicata all’esperienza dei movimenti studenteschi del ’68 romano esemplificati dai cicli e dalle performance che hanno come oggetto la critica del militarismo e del potere politico.

Time out, 1969 – 2016

Protagoniste di questa grande installazione collettiva, formata da 1000 cilindri trasparenti, sono le immagini pubblicate su Instagram raccolte grazie alla “call” che l’artista ha lanciato nell’autunno 2016. Un’idea che riprende un lavoro del 1969, Environnement, presentato alla Galleria Il Diaframma di Milano diretta da Lanfranco Colombo in cui l’artista racchiuse in altrettanti cilindri 1000 immagini che rappresentavano il consumismo dell’epoca.

Attraverso l’arte, 1994 – 2015

Un’indagine sull’importanza del rapporto tra la fotografia e l’arte, nodale nella ricerca di Cresci sin dai suoi esordi. La sezione accoglie, tra gli altri, le serie Vedere attraverso (1994 – 2010) e Fuori tempo (2008), che vede protagonisti alcuni dei più famosi ritratti dell’Accademia Carrara di Bergamo.

Baudelaire, 2013
Cresci rielabora nel 2013 il ritratto che Étienne Carjat fece a Charles Baudelaire nel 1862, in un’opera (I Rivolti) composta da quarantasei copie del volto del poeta, una per ciascuno dei suoi anni di vita. Stampate su carta cotone piegata a mano in modo differente da copia a copia, le fotografie offrono allo spettatore un’immagine sempre diversa del volto di Baudelaire, in una visione d’insieme che mette in evidenza la relazione tra le geometrie involontarie causate dalle piegature dei fogli e l’interfacciarsi della superficie pulita del retro con quella stampata del fronte.

Transizioni, 1966 – 2015

Attraverso un processo psicologico molto prossimo a forme di identificazione si palesa un coinvolgimento personale che mette l’artista a contatto con il senso dell’abitare e con gli oggetti di appartenenza (La casa di Annita, 2003), con l’abbandono e le transizioni esistenziali (Via Garibaldi 19, 2015 e Le cose disposte, 2014 – 2016). Questo percorso ha inizio da lontano, con la serie sugli Interni di Barbarano Romano (1978-1979), dove autoritratti evanescenti, sullo sfondo di preziose tappezzerie, pesanti e ricche di luci e ombre irreali, talvolta proiettate su schermi televisivi, diventano pretesto per visualizzare le connessioni temporali, i rapporti causa- effetto, di affinità e di differenza.

D’après di d’après, 1985

Il disegno si avvicina alla fotografia in questa serie – che dà il titolo alla sezione – in cui Cresci realizza “copie di copie” partendo da immagini di autori che sono parte della memoria storica della fotografia. Il concetto di copia diviene per Cresci “un pretesto inventivo di nuovi percorsi segnici, vere e proprie “mappe” di un viaggio immaginario che ne consente la nascita di altre e poi di altre ancora, senza mai finire”.

Metafore, 2013 – 2016

La ricerca di Cresci conosce un ulteriore passaggio aprendosi al dramma della migrazione di persone, spinta dalle guerre, dalla violenza, dalla fame (Icona, 2016). Nelle immagini delle figure avvolte nelle coperte termiche, utilizzate nel salvataggio dei migranti, l’artista ricostruisce la plasticità della scultura per avviare un trasferimento di senso, al di là del momento della rappresentazione. Passaggio ulteriormente presente in grandi opere come Elementa e Incandescenze (2016), su tematiche apparentemente distanti ma fortemente metaforiche.

Video, 2010 – 2016

A corredo del percorso espositivo sono presentate alcune video-opere che completano le variabili delle espressioni formali e di contenuto della vasta ricerca artistica di Mario Cresci. Dal video Segni nei segni di segni (2010) alla rivisitazione della Pietà Rondanini di Michelangelo In aliam figuram mutare (2016).

Accompagna la mostra un volume – a cura di M. Cristina Rodeschini e Mario Cresci, edito da GAMeC Books – che rispecchia nella struttura le sezioni della mostra: seguendo il tema sviluppato in ciascuna sala, la pubblicazione offre un continuo transito di linguaggi, attraversamenti temporali di e con saperi diversi, al fine di stimolare interpretazioni e riflessioni per una lettura aperta dell’opera di Cresci. Ciascuna sezione è stata affidata alle parole di critici, curatori, storici dell’arte che hanno intrapreso un’esperienza di collaborazione con Cresci: Bruno Valerio Bandini, Corrado Benigni, Enzo Biffi Gentili, Maria Francesca Bonetti, Alessandro Castiglioni, Martina Corgnati, Enrico De Pascale, Nicoletta Leonardi, Luca Panaro, Alessandra Pioselli, Marco Romanelli, Marco Senaldi, Roberta Valtorta, Mauro Zanchi, Claudia Zanfi. Il volume include inoltre un testo di M. Cristina Rodeschini e una postfazione di Mario Cresci.

Si ringrazia lo Studio dell’artista per il supporto alla realizzazione della mostra e del catalogo.

19
Gen

Mario Milizia. Controcuore

Prima personale di Mario Milizia negli spazi di Viasaterna, Controcuore è il frutto della combinazione di lavori realizzati con tecniche diverse in momenti diversi, seguendo la poetica e il modus operandi di un artista insieme disgregante e inclusivo, eclettico e specifico. La mostra scaturisce da una logica di accumulazione, raccolta, aggregazione e coagulazione. Si spinge fino alla periferia del caos, ma senza mai perdere la disciplina dell’analisi, della perizia che Milizia mette in ogni gesto, sempre calibrato e, soprattutto, conseguenza di uno studio meticoloso ed enciclopedico. È un ciclo di opere sul frammento e la mutazione. Sulla perdita e la riconquista di forme e funzioni. Sull’azione trasformativa di azioni come la traduzione, il ritaglio, il restauro, ma anche del tempo stesso, nel passaggio inevitabile tra passato e presente, e viceversa.

*english version

Curated by Fantom

The first solo show by Mario Milizia in the spaces of VIASATERNA, Controcuore is the result of a combination of his recent work carried out using various media at different times, following the modus operandi of an artist who is both inclusive and disruptive, eclectic and specific.

“Controcuore” is the name of the cast-iron structure standing between the fireplace and its marble frame. An element of union, of protection, of adaptation, and also the title of the book in which Milizia brings together some of his poems written in 1992 and the analysis of his DNA, carried out through the Genographic Project with the aim of reconstructing his ancestral origins, which turned out to be Greek, Spanish and Portuguese. These poems have recently been translated into Latin and the languages of those countries, through a linguistic game which rewrites them, reinventing their sense. This is the origin of the seven tapestries on show, onto which the verses are sewn, originally produced using the cut-up technique. A technique drawn on at length, ever since the end of the 1950s, by Brion Gysin and William Borroughs, entailing the physical cutting up of one or more written texts in order to piece the elements back together as needs be.

From Wednesday 25 January to Friday 17 March 2017
Opening: Tuesday 24 January 2017, from 6 pm to 9 pm

Opening Times: from Monday to Friday, 12 pm to 7 pm

VIASATERNA via Leopardi 32 20123 Milano
+39 02 36725378 info@viasaterna.com
Dal lunedi al venerdi dalle 12 alle 19
La mattina e il sabato su appuntamento

Immagine: senza titolo, 2016, arazzo cm 220×145

 

18
Gen

Giulio Paolini. FINE

Il 10 novembre 1966 la Signora Margherita von Stein inaugurava in Via Teofilo Rossi 3 a Torino una nuova galleria con una mostra personale di Aldo Mondino. Christian Stein fu il nome d’arte scelto dalla Signora per sé e per la Galleria, destinata a diventare un punto di riferimento internazionale in particolare per la corrente dell’Arte povera.

Oggi – cinquant’anni ed oltre 250 mostre dopo, chiusa la Galleria di Torino e attive le due sedi di Milano – la Galleria Christian Stein celebra l’anniversario con una doppia esposizione dedicata a Giulio Paolini negli ambienti di Corso Monforte 23, in centro città, e di Via Vincenzo Monti 46 a Pero, nei pressi di Milano.

Giulio Paolini (Genova, 1940), protagonista dell’arte concettuale, espose una prima volta a Torino in Via Teofilo Rossi nel 1967 e in seguito, in varie altre occasioni, al nuovo indirizzo di Piazza San Carlo. Negli anni rimase sempre vicino alla Galleria oggi diretta da Gianfranco Benedetti che, dal 1971, affiancò la Signora Stein poi scomparsa nel 2003.

Per questa esposizione l’artista ha scelto di presentare negli ampi spazi di Pero alcune opere particolarmente significative e di grande formato datate dagli anni ’70 ad oggi. Il percorso segna le tappe più importanti dell’evoluzione artistica di Paolini che ha personalmente effettuato una scelta di opere storiche in dialogo con tre interventi inediti. Dialoghi che si articolano in sei capitoli espositivi corrispondenti alle sei sale a disposizione. Degli anni ‘70 i calchi in gesso dal titolo “Mimesi” (1976-88) a proposito dei quali l’artista scrive “dei due esemplari identici, posti l’uno di fronte all’altro, di una stessa scultura antica, l’intento è di cogliere la distanza che li separa e il vuoto che l’opera crea intorno a sé sottraendoci la facoltà di possedere il suo impenetrabile significato”. Esemplare della ricerca degli anni ’90 è l’opera “Hic et nunc (Le Radeau de la Méduse)” (1991) che evoca in termini metaforici la scena raffigurata nel dipinto di Géricault “La zattera della Medusa” e suggerisce con enfasi teatrale l’equilibrio instabile che presiede al compimento della visione.

In questa esposizione, come sempre accade negli allestimenti paoliniani, si avverte l’eco degli artisti del passato assunti come elementi vitali e insostituibili del divenire dell’opera: un “teatro” della rappresentazione senza tempo, sempre fedele a se stesso eppure ogni volta rinnovato.

Nella storica sala di Palazzo Cicogna, in Corso Monforte, Paolini presenta invece un’unica grande installazione dal titolo “Fine”, realizzata espressamente per l’occasione: un’opera complessa e articolata che tende a ripercorrere l’intera esperienza creativa dell’artista in un simbolico “viaggio di ritorno”. Attraverso un dichiarato riferimento a Jean-Antoine Watteau e al suo dipinto ”L’embarquement pour Cythère” (1717), Paolini mette in scena una sorta di grande zattera che ospita una varietà di oggetti, tutti provenienti dallo studio dell’artista, opere o semplici strumenti d’uso.

*Uno scritto di Paolini accoglie il visitatore e lo introduce alla lettura dell’esposizione.
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18
Gen

Bill Viola

Dal 10 marzo al 23 luglio 2017 la Fondazione Palazzo Strozzi presenta al pubblico di Firenze Bill Viola, una grande mostra che celebra il maestro indiscusso della videoarte contemporanea attraverso opere della sua produzione dal 1973 a oggi esposte in dialogo con l’architettura di Palazzo Strozzi e in un inedito confronto con grandi capolavori del Rinascimento.

La rassegna, a cura di Arturo Galansino (direttore generale, Fondazione Palazzo Strozzi) e Kira Perov (direttore esecutivo, Bill Viola Studio), si pone come un evento unico per ripercorrere la carriera dell’artista, sempre segnata dall’unione tra ricerca tecnologica e riflessione estetica, dalle prime sperimentazioni con il video negli anni settanta fino alle grandi installazioni degli anni duemila che catturano l’attenzione del pubblico con forti esperienze sensoriali.
In modo totalmente inedito, nella cornice rinascimentale di Palazzo Strozzi, la mostra crea inoltre uno straordinario dialogo tra antico e contemporaneo attraverso il diretto confronto delle opere di Viola con quei capolavori di grandi maestri del passato, che sono stati fonte di ispirazione per l’artista americano e ne hanno segnato l’evoluzione del linguaggio.

Nato a New York nel 1951, Bill Viola è internazionalmente riconosciuto come uno dei più importanti artisti contemporanei, autore di videoinstallazioni, ambienti sonori e performance che propongono al pubblico straordinarie esperienze di immersione tra spazio, immagine e suono. Esplorando spiritualità, esperienza e percezione Viola indaga l’umanità: persone, corpi, volti sono i protagonisti delle sue opere, caratterizzate da uno stile poetico e fortemente simbolico in cui l’uomo è chiamato a interagire con forze ed energie della natura come l’acqua e il fuoco, la luce e il buio, il ciclo della vita e quello della rinascita.

L’artista dichiara: “Sono davvero felice di recuperare le mie radici italiane e di avere l’occasione di ripagare il mio debito con la città di Firenze attraverso le mie opere. Dopo aver vissuto e lavorato a Firenze negli anni settanta, non avrei mai immaginato di avere l’onore di realizzare una così grande mostra in una istituzione così importante come Palazzo Strozzi”.Continue Reading..

17
Gen

Giuseppe Penone. Equivalenze

Le vene d’acqua che sgorgano dal terreno scorrono in rivoli che confluiscono, come i rami nel tronco, come le dita nel palmo di una mano, come il bronzo nella matrice di un albero.
—Giuseppe Penone

Gagosian Roma è lieta di presentare Equivalenze, una mostra di nuove sculture di Giuseppe Penone.

 Fin dagli esordi nel movimento dell’Arte Povera, il lavoro di Penone si è contraddistinto per il coinvolgimento attivo con la natura e il tempo attraverso la consapevolezza del potere rivelatore dell’arte. Partendo dall’idea che la scultura abbia origine da impulsi primari—come riempirsi la bocca con dell’acqua, imprimere un segno sull’argilla con le mani, e così via, l’artista elabora e arricchisce le sue intenzioni attraverso una ricerca filosofica e un intenso processo estetico.

In Equivalenze Penone utilizza il processo scultoreo per rivelare le corrispondenze tra il corpo e la natura. Forme di terracotta modellate nel pugno dell’artista contengono l’impronta della sua energica presa. Penone le ha fissate su piastre di metallo dove l’ossidazione riproduce il contatto della pelle con la superficie. Questa ripetizione di segni dà vita ad una vivace astrazione che richiama le ombre tremolanti di una pianta rigogliosa o le macchie intermittenti di un paesaggio fauve: una zona di confine tra natura e arte.

Le opere di Penone sono memorie corporee, materializzate, testimoni della sua idea che anche noi, come le rocce, gli alberi, e l’acqua, siamo costantemente in trasformazione, e trasformati dall’ambiente circostante. I nostri gesti rispecchiano la tortuosità e la verticalità degli alberi che contengono testimonianze concentriche del tempo nel loro legno. Per l’opera Equivalenze (2016), Penone ha realizzato il calco in gesso di alcune parti di un albero, facendone poi una fusione in bronzo. Dalle radici emerge una spirale antropomorfa di corteccia che si trasforma in figura di fronte alla sua controparte vegetale, in un’equivalenza di forme tra il vuoto dell’albero e il vuoto della persona. Penone considera questi incontri come gesti vegetali. Nelle sue mani la forma umana viene liberata dall’albero e l’albero, a sua volta, rivela i tratti viscerali del corpo. Attraverso la scultura, Penone svela l’anima delle cose, creando un legame tra l’essenza della natura e la percezione del gesto umano.

Giuseppe Penone è nato nel 1947 a Garessio, Italia, e attualmente vive e lavora a Parigi e Torino. La sua opera è inclusa in collezioni istituzionali tra cui il Museum of Modern Art, New York; Tate Modern, Londra; Centre Georges Pompidou, Parigi; MOCA, Los Angeles; National Gallery of Canada, Ottawa, ON; Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma; National Museum of Modern Art Tokyo; Royal Museums of Fine Arts of Belgium, Bruxelles; MAXXI – Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, Roma; Inhotim Centro de Arte Contemporânea, Brumadinho, Minas Gerais, Brasile; Fondation Louis Vuitton, Parigi; Sammlung Reinking, Amburgo; Neues Museum Weimar, Germania; Stedelijk Museum Amsterdam; Berardo Museum, Lisbona; MAMbo – Galleria d’Arte Moderna di Bologna, Italia; ARCO Collection, Madrid.

Tra le recenti mostre personali: “Retrospective Exhibition 1968–2004”, Centre Georges Pompidou, Parigi (2004, poi a CaixaForum, Barcellona); Museo d’Arte Moderna di Bologna, Italia (2008); Toyota Municipal Museum of Art, Giappone (2009); Musée des Arts Contemporains du Grand-Hornu, Belgio (2010); “Drawings and Sculptures”, Fondation De Pont, Tilburg, Noord-Brabant, Paesi Bassi (2010); “The Hidden Life Within”, Art Gallery of Ontario, Canada (2011); Centre d’arts et de nature, Parc du Château, Domaine de Chaumont-sur-Loire,

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15
Gen

Vitriol. Disegni di Gillo Dorfles, 2016

VITRIOL è un personaggio fantastico, inventato da Gillo Dorfles, presente la prima volta nel dipinto del 2010, esposto in mostra, poi di nuovo protagonista di una serie di disegni e di appunti, realizzati nella seconda metà del 2016. VITRIOL è uno degli acronimi più utilizzati dagli alchimisti, le cui iniziali stanno al posto di “Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum Lapidem”, ovvero “Visita l’interno della terra e, con successive purificazioni, troverai la pietra nascosta”, che è la vera medicina. Come afferma lo stesso Dorfles, nel dialogo con Aldo Colonetti e Luigi Sansone, “attraverso la figurazione, molto spesso si riesce ad andare al di là della propria “conoscenza cosciente”, per approdare a una sorta di figurazione dell’inconscio: alcuni mie disegni provengono dall’inconscio, e si affacciano sul foglio di carta attraverso elementi figurativi che ovviamente derivano da uno stato di coscienza, non razionalizzato”.
È il Dorfles pittore che parla, ma soprattutto lo studioso di psichiatria, lettore attento di Goethe, Jung e Rudolf Steiner, una sorta di filo conduttore presente in tutti suoi scritti, soprattutto là dove affronta il tema della “creatività”, accanto a quello dell’interpretazione. In totale, accanto al dipinto del 2010, sono esposti, per la prima volta, 18 disegni, che rappresentano un’ assoluta novità, in quanto sono altrettanto capitoli di una storia che è un viaggio, anche un po’ misterioso, alla ricerca della “pietra nascosta”.Continue Reading..

15
Gen

Ghadah Alkandari. UNTIL

Contemporary Art Platform (CAP) is pleased to announce the opening night of “UNTIL” exhibition by Ghadah Alkandari taking place on Wednesday the 11th of January 2017.

About the exhibition

Two years ago I constructed my first origami polyhedron. I was unaware that this one object would be instrumental in shaping many paintings and stories to come. And many, many polyhedra to follow. But such is the pattern that plays itself out in my life as an artist: creations are influenced by both the banal and the important in life, not imitating art but mirroring it.

As I prepared for this exhibition, the mood of my work kept shifting from purpose to purpose. Until love, until peace, until I’m settled in a place I want to be. Always waiting for the big Until.

About the artist

Ghadah Alkandari is a Kuwaiti artist born in Delhi in 1969. In 1992 she received a BA in Mass Communications from the American University in Cairo. But it was a six-week painting course at the School of Visual Arts that “shaped my current painting style, which was also influenced early on by both classical painters: Cezanne, Matisse, Schiele, Modigliani and Klimt, and comic books: Mad Magazine, Archie and Asterix.”

Her body of work ranges from large-scale acrylic paintings, primarily figurative, exploring the wide spectrum of human emotion and familial complexities, to smaller intimate pen and ink surreal drawings detached and focused on everyday happenings.

The artist had numerous solo exhibitions in Kuwait, and has participated in several group exhibitions locally and internationally, including the Arab Culture in Diaspora exhibition in Kuwait, Femmes Artistes Du Koweit at the Institut du Monde Arabe in Paris (2006), Approaches to Figurative Practices at the Third Line Gallery, Dubai (2007), and JAMM Contemporary Art Auction in Kuwait (2010).

Since 2009, Ghadah Alkandari uses her blog ‘prettygreenbullet’ as a platform to display her work on a daily basis.Continue Reading..

13
Gen

Elisa Bertaglia. Out of the blue

L’immaginario onirico e fiabesco di Elisa Bertaglia in mostra, dal 15 dicembre 2016 al 29 gennaio 2017, presso Officine dell’Immagine di Milano (Via Atto Vannucci, 13). Curata da Matteo Galbiati, l’esposizione sarà inaugurata giovedì 15 dicembre alle ore 19.00.
Vincitrice del Premio Speciale Officine dell’Immagine ad Arteam Cup 2015, l’artista presenta in galleria una trentina di opere inedite, realizzate nel 2016 in America, durante la residenza d’artista promossa dalla ESKFF (Eileen S. Kaminsky Family Foundation) presso il MANA Contemporary di Jersey City.
Il titolo della mostra – “Out of the blue” – è tratto dall’omonima serie, esposta per la prima volta al pubblico. Un’espressione, parafrasabile in “Un fulmine a ciel sereno”, che Elisa Bertaglia ha rintracciato in un libro di Patricia Highsmith, letto durante il soggiorno americano. Da un lato il rimando alla letteratura, che da sempre accompagna il percorso dell’artista, dall’altro il colore blu, predominante nella sua nuova produzione.
Il progetto si articolerà in due sezioni: a piano terra, una selezione di opere pittoriche di medie e grandi dimensioni; al piano sottostante, lavori di piccolo formato progressivamente sostituiti da una pittura parietale site-specific che trasformerà il sotterraneo in un larario, luogo sacro, intimo e raccolto, dedicato alle divinità familiari. In questo contesto, saranno installate anche due opere tridimensionali, legate al vissuto dell’artista.
Un linguaggio lirico, evanescente ed altamente simbolico, quello di Elisa Bertaglia, che attraverso un vocabolario mitologico maturato negli anni propone una riflessione sul tema del doppio e della metamorfosi, alla ricerca di un’identità personale e collettiva. Protagonisti delle sue opere, tutte realizzate a tecnica mista e collage su carta, tavola e faesite, sono bambine in età preadolescenziale ed animali, immersi in un paesaggio straniante, dove le regole prospettiche e compositive lasciano campo all’immaginazione.
«I personaggi di queste narrazioni – spiega Elisa Bertaglia – stanno tra loro in relazioni atipiche, inconsuete, portatrici di molteplici valenze simboliche: piccole bimbe-tuffatrici, attorcigliate da serpi, irte su rocce o avviluppate da edere e piante carnivore, alludono al difficile passaggio dall’infanzia all’età adulta. Qui tutto è in metamorfosi; l’identità, e non solo il corpo, è in trasformazione e rinascita. Cani e lupi, corvi e aironi sono i garanti di quello stesso passaggio di crescita, protettori di un sottile squarcio di intimità».
Come sottolinea Matteo Galbiati, le opere della serie “Out of the blue” si differenziano dalla precedente produzione sia per la scelta cromatica che per l’impaginato: se i colori sono più intensi e nitidi, meno legati alla tradizione pittorica italiana, la composizione è più libera, svincolata da elementi paesaggistici, mentre il segno viene utilizzato in maniera pittorica, in dialogo con le campiture e gli inserti a collage.
Apparentemente semplice e piacevole allo sguardo, la pittura di Elisa Bertaglia nasconde significati profondi e particolari spiazzanti: elementi duri, a tratti violenti, che spingono la narrazione oltre il piano dell’immaginazione, riportandola alla società contemporanea.

La mostra è visitabile fino al 29 gennaio 2017

Officine dell’Immagine – Via Atto Vannucci, 13 – 20135 Milano
info@officinedellimmagine.it  +39 0331 898608
Orari: Martedì – Venerdì 15.00 – 19.00 Sabato 11.00 – 19.00 Altri orari, lunedì e giorni festivi su appuntamento.

 

11
Gen

Roger Ballen: Retrospective

The retrospective follows the trajectory of American-born South African artist Roger Ballen since the 1980s. Ballen’s distinctive and unique style of photography evolved from a form of documentary photography into a style that he describes as “ballenesque”.

Ballen employs drawing, painting, collage and sculptural techniques to create a new hybrid aesthetic, but one still firmly rooted in photography. Ballen’s works are evocative of the photography of Walker Evans, not only in terms of their formal aspects—texture, light, and interaction with the subject—but also in their aim to witness and reveal marginalized lives in a period of social change. Diane Arbus and Eugene Meatyard are other photographers who have been touchstones for Ballen. In both cases, though their photographs may appear distinct in formal terms, their subjects smolder with psychological intensity.

It is possible to describe Ballen’s human actor-participants as stranger, starker, and more indeterminate than those in the theater of Samuel Beckett or Harold Pinter. These marginalized characters, who can neither exert force on the world around them nor escape it, have a definite kinship to the Theater of the Absurd. Ballen lays bare the absurdity of the human condition through the agency of ordinary people, finding the comical in the grotesque and situating madness on the edge of reality.

The “Roger Ballen: Retrospective” features the following series and an installation by the artist: Dorps: Small Towns of South Africa, Platteland: Images of Rural South Africa, Outland, Shadow Chamber, Boarding House, Asylum of the Birds, The Theatre of Apparitionsand “Room of the Ballenesque”.

Curator: Demet Yıldız

Roger Ballen
Retrospective
December 28, 2016–June 4, 2017

Istanbul Museum of Modern Art
Meclis-i Mebusan Cad. Liman İşletmeleri Sahası Antrepo No: 4
34433 Karaköy/İstanbul
Turkey
Hours: Tuesday–Sunday 10am–6pm,
Thursday 10am–8pm

T +90 212 334 7300
F +90 212 243 4319
info@istanbulmodern.org

Image: Twirling Wi̇res, 2001

07
Gen

Silvia Celeste Calcagno. If ( but I can explain)

a cura di Alessandra Gagliano Candela
Inaugurazione: 19 gennaio h.18:00
20 gennaio – 19 febbraio 2017

PROROGATA al 5 marzo 2017

Il Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce è lieto di annunciare la mostra di Silvia Celeste Calcagno If (but I can explain) a cura di Alessandra Gagliano Candela. Progetto studiato site-specific per la Project Room al primo piano del Museo, If ( but I can explain) presenta una nuova condizione del proprio “stare”. Partendo da un lavoro autobiografico, l’artista evoca una condizione di sospensione, in cui il corpo di donna vive o sopravvive. In una riflessione metafisica, gli oggetti del quotidiano, gli abiti, le fotografie appese al muro, diventano il racconto di una quotidianità infranta. Come nei fotogrammi di un film, vengono proposti brandelli di una vita che è stata spogliata, depauperata, violata. Un’esistenza che si interroga su quel che è stato e su quel che sarebbe potuto essere. È lo stato perpetuo del “sé”. Sono solo due lettere quelle che danno il titolo all’installazione. Due lettere che, però, aprono a un universo di contenuti: il dubbio, l’incertezza, il pentimento, l’ipotesi. È un “sé” che guarda all’infinito quello che l’artista propone al pubblico, coinvolgendo lo spettatore in un viaggio intimo, in cui ciascuno si può riconoscere. Dopo “l’uno, nessuno e centomila” delle numerose donne protagoniste delle precedenti opere, dalle installazioni dedicate a “Rose” a quelle di “Carla” e  “Interno 8”, la Calcagno supera il dramma esistenziale di una identità fragile.

If” è un’installazione composta da tre elementi: una quadreria di lastre in grès che avvolgono le pareti della Project Room, una suggestione sonora e un video. If (but I can explain) racconta un’esistenza sospesa, incompiuta. Il riferimento ideale è il Cimitero di Modena, progettato negli anni Settanta da Aldo Rossi, la soglia tra la vita e la morte, tra la realtà e il ricordo, come scrive Alessandra Gagliano Candela.

Nei suoi lavori, Silvia Celeste Calcagno fa riferimento a una dimensione autobiografica, che, tuttavia, diventa biografia di un femminile in senso ben più ampio. Esperienze, vissuti che da strettamente personali si fanno universali, per citare Angela Madesani. Un mantra, scritto dall’artista, intitolato “Could you please stop talking?” riferimento al testo di Raymond Carver accompagna lo spettatore. Recitato da una voce maschile, descrive stralci di esistenza che si concludono con la litania “Vuoi star zitto, per favore?”. Una rabbia che non eccede mai nell’ira, pur travalicando la sottile linea che separa il dolore dalla collera.

A completare il percorso è un video, “Air fermé”, che riprende con telecamera fissa il paesaggio urbano da una finestra attraverso una tenda. Un filtro che registra lo scorrere del tempo, marcato dal variare delle luci, osservando i ritmi dell’esistere.

Vincitrice del 59° Premio Internazionale Faenza della Ceramica d’Arte Contemporanea, Silvia Celeste Calcagno porta avanti una ricerca, in cui il contenuto si è sviluppato in continua simbiosi con l’evoluzione tecnica, a dimostrare lo stretto legame fra concept e studio materico. La riflessione sul corpo, sull’esistenza, sulla femminilità si sposano con la fotografia e la ceramica, attraverso una interpretazione personale e innovativa, in grado di accompagnare uno dei media più antichi, la ceramica, nel mondo dell’arte contemporanea.

Ogni installazione è frutto di un lungo e complesso lavoro che costituisce, esso stesso, una performance.

L’artista parte da una serie di constatazioni fotografiche, scattate in modo ossessivo per ore e ore, sino al raggiungimento della totale trasposizione emotiva nello scatto. A questo punto, il passaggio alchemico: la fusione fra immagine e materia. Un percorso di ricerca che ha preso il via, ormai una decina di anni fa, dalla decalcomania per raggiungere vertici del tutto inaspettati che mettono insieme tecniche, in apparenza, incompatibili. L’immagine fotografica è impressa su impasto da grès ingobbiato a fresco e sottoposta a cotture ad alta temperatura, ottenendo un risultato che può evocare la serigrafia conservando una dinamicità e una poeticità del tutto nuove.

La mostra è accompagnata da un catalogo che documenta il progetto, pubblicato da Nomos editore, con un’intervista di Ilaria Bonacossa all’artista, testi di Alessandra Gagliano Candela e Angela Madesani. Il catalogo verrà presentato nel corso dell’esposizione.Continue Reading..