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16
Mar

Yayoi Kusama. Infinity Mirrors

Yayoi Kusama: Infinity Mirrors is a celebration of the legendary Japanese artist’s sixty-five-year career and promises to be one of 2017s essential art experiences. Visitors will have the unprecedented opportunity to discover six of Kusama’s captivating Infinity Mirror Rooms alongside a selection of her other key works, including a number of paintings from her most recent series My Eternal Soul that have never been shown in the US. From her radical performances in the 1960s, when she staged underground polka dot “Happenings” on the streets of New York, to her latest Infinity Mirror Room, All the Eternal Love I Have for the Pumpkins, 2016, the Hirshhorn exhibition will showcase Kusama’s full range of talent for the first time in Washington, DC. Don’t miss this unforgettable sensory journey through the mind and legacy of one of the world’s most popular artists.

Infinity Mirror Rooms
Yayoi Kusama had a breakthrough in 1965 when she produced Infinity Mirror Room—Phalli’s Field. Using mirrors, she transformed the intense repetition of her earlier paintings and works on paper into a perceptual experience. Over the course of her career, the artist has produced more than twenty distinct Infinity Mirror Rooms, and the Hirshhorn’s exhibition—the first to focus on this pioneering body of work—is presenting six of them, the most ever shown together. Ranging from peep-show-like chambers to multimedia installations, each of Kusama’s kaleidoscopic environments offers the chance to step into an illusion of infinite space. The rooms also provide an opportunity to examine the artist’s central themes, such as the celebration of life and its aftermath. By tracing the development of these iconic installations alongside a selection of her other key artworks, Yayoi Kusama: Infinity Mirrors aims to reveal the significance of the Infinity MIrror Rooms amidst today’s renewed interest in experiential practices and virtual spaces.

Yayoi Kusama: Infinity Mirrors
February 23, 2017 – May 14, 2017
Hirshhorn Museum and Sculpture Garden
Independence Avenue at 7th Street, SW
Washington, DC
2nd Level

Image: Yayoi Kusama, “Aftermath of Obliteration of Eternity,” 2009. Collection of the artist. Courtesy of Ota Fine Arts, Tokyo/Singapore; Victoria Miro, London; David Zwirner, New York. © Yayoi Kusama

15
Mar

Nick Devereux

Nick Devereux, la prima personale dell’artista presso una pubblica istituzione a Roma, prosegue al Museo Pietro Canonica di Villa Borghese il ciclo espositivo dal titolo Fortezzuola, promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.L’arte di Nick Devereux in mostra a Villa Borghese

La splendida cornice del Museo Pietro Canonica di Villa Borghese dal 10 marzo ospiterà la prima personale dell’artista Nick Devereux presso una pubblica istituzione a Roma. Prosegue così il ciclo espositivo dal titolo Fortezzuola, promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Servizi museali di Zètema Progetto Cultura.

Il progetto, ideato e a cura di Pier Paolo Pancotto, è volto a far riflettere sul rapporto tra protagonisti dell’arte contemporanea internazionale e l’Italia e offre al pubblico l’opportunità, per la prima volta, di apprezzare la produzione di esponenti particolarmente rappresentativi della creatività odierna ma scarsamente presenti, se non del tutto assenti, nella scena espositiva pubblica italiana. Ancora oggi molti artisti stranieri si confrontano con il contesto storico e culturale italiano, rinnovando un’antica tradizione e reinterpretandone canoni e modalità esecutive. Ciascun autore è chiamato a realizzare un intervento originale concepito espressamente per le sale del museo, in stretta relazione alle loro caratteristiche storiche e strutturali.

In sintonia con le linee guida generali di Fortezzuola. Nick Devereux, dopo aver soggiornato a più riprese a Roma (ove lo scorso anno ha preso parte alla mostra Folies d’hiver all’Accademia di Francia-Villa Medici nell’ambito del programma “Art Club” ideato e curato da Pier Paolo Pancotto), ha concepito un progetto ispirato al contesto storico e culturale del Museo Canonica che si sviluppa attraverso alcuni dei sistemi espressivi più ricorrenti nel suo percorso creativo: pittorico, plastico, grafico, installativo. A far loro da comune denominatore la figura umana, ideale omaggio al lavoro di Pietro Canonica che attorno a questo soggetto ha incentrato buona parte della sua produzione. Il tema costituisce per l’artista uno spunto di riflessione sull’idea di pittura e di scultura e il significato che tali pratiche possiedono oggi e, al tempo stesso, sul concetto di identità culturale e sociale che esse sono in grado di esprimere, nel passato come nel presente. A tale scopo Devereux rielabora alcuni antichi dipinti (Known Unknown VII – XIV, 2016)

rieinterpretandone l’impianto pittorico originale attraverso un sistema di stratificazione e integrazione cromatica che ne modifica sensibilmente la struttura primitiva fin quasi a cancellarla del tutto. Allo stesso modo procede su alcune cartoline postali (The turn of the century, 2010) attraverso degli interventi grafici che ne rinnovano struttura prospettica e iconografica donando loro e alle figure che riproducono maggiore rilievo e movimento. La figura umana è anche il soggetto di alcune sculture in vetro simili a dei busti/ritratto classici (Untitled, 2016) e di un gruppo di stampe fotografiche raffiguranti dei danzatori, anch’esse oggetto di un originale riadattamento grafico e compositivo da parte dell’artista (Fixed Rhythm I – IV, 2017).

Altro tema centrale nell’intervento di Devereux è lo spettacolo ispiratogli dalla teatralità presente, a suo avviso, in buona parte della produzione di Canonica e nella sua presentazione negli ambienti a Villa Borghese. A tal fine elabora una serie di dipinti tridimensionali simili a paraventi (False Perspective I – V, 2017) che dispone in dialogo con le opere del museo al fine di enfatizzarne il carattere scenografico e plastico. Le loro superfici riproducono particolari di alcuni bozzetti teatrali firmati da Adolphe François Appia (Ginevra, 1862 – Nyon,1928) tra i più significativi interpreti del Gesamtkunstwerk wagneriano, sui quali Devereux interviene pittoricamente e graficamente assimilandosi a essi e dando luogo a una sequenza di scenari in sintonia con la spettacolarità del contesto che li accoglie. Come Martin Soto Climent, Alfredo Aceto e Claire Tabouret, Tillman Kaiser, Claire Fontaine, Ciprian Mureşan anche Nick Devereux dà luogo a un percorso visivo site specific sviluppato mantenendo un atteggiamento quasi “performativo” (operando di giorno in giorno all’interno del museo, abbandonandosi alle suggestioni del luogo) il cui esito finale sarà noto solo al termine della sua realizzazione, vale a dire a ridosso della data di inaugurazione della mostraContinue Reading..

11
Mar

Pino Pinelli. La pittura disseminata

La mostra, dal titolo La pittura disseminata, presenta un’ampia selezione di 21 opere che ripercorrono la sua vicenda artistica, dagli anni settanta a oggi.

Dal 4 febbraio al 1° aprile 2017, il MARCA – Museo delle Arti di Catanzaro, diretto da Rocco Guglielmo, ospita l’antologica che analizza il percorso creativo di Pino Pinelli (Catania, 1938), tra i maggiori esponenti dell’arte italiana del dopoguerra e gli interpreti principali dell’Arte Analitica.

La mostra, curata da Giorgio Bonomi, organizzata dalla Fondazione Rocco Guglielmo e dall’Amministrazione Provinciale di Catanzaro, in collaborazione con l’Archivio Pino Pinelli di Milano, presenta 21 opere, realizzate dall’artista siciliano dagli anni settanta a oggi, sia di grandi dimensioni sia di misure più contenute, che delineano in maniera esaustiva le diverse sfumature della sua poetica.

A partire dagli anni sessanta in Italia abbiamo assistito alla nascita di una vera e propria rivoluzione stilistica. Gli artisti avvertirono il limite del quadro, inteso come insieme di tela e cornice: le superfici videro la comparsa di estroflessioni, come nel caso di Bonalumi e Castellani, così come era stato nel decennio precedente per i tagli di Lucio Fontana.
Dal canto suo, Pino Pinelli, che nasce pittore utilizzando i classici mezzi del mestiere, respirò la temperie culturale di quel periodo e giunse alla “disseminazione” – per utilizzare un termine proprio dell’arte di Pinelli – “frammentando” l’oggetto quadro negli elementi che lo compongono (tela e telaio) e coinvolgendo in questo processo l’elemento estraneo al quadro stesso: la parete che, perdendo la sua condizione di neutralità, ne diventa coprotagonista capace di accogliere elementi di colore puro, declinati in forme ora corrucciate, ora raggrumate, ora lineari e asciutte, ora a frattali e libere, raccolte in genere in un percorso leggermente arcuato, quasi a voler imitare il gesto del seminatore.
Dapprima le “disseminazioni” sono composte di pochi elementi, poi nel corso degli anni, fino a oggi, i “pezzi” si moltiplicano anche in modo considerevole.
I suoi lavori usano in prevalenza i colori fondamentali (rosso, blu, giallo, nero, bianco e grigio), ma anche i complementari. La pluralità della disseminazione, a volte, si riduce, ma mai a meno di due “parti” e, anche quando non tutta l’opera è monocroma, lo sono i singoli componenti.
Quella di Pinelli è una pittura “materica”, una sorta di concentrazione atomica del colore (realizzato con una tecnica molto personale) per cui le sue opere che con la “frammentazione” hanno una forza centrifuga, poi nella totalità dell’opera acquistano una forza, uguale e contraria, cioè centripeta: la parete così, da passivo elemento di appoggio, diviene il vero e proprio supporto, come lo sono la tela o il legno nella pittura più tradizionale, e su di essa l’artista, novello “seminatore” “sparge le parti dell’opera.
Accompagna l’esposizione un catalogo bilingue (italiano e inglese) Silvana editoriale, con una lunga conversazione tra Pino Pinelli e Giorgio Bonomi, a cura di Lara Caccia.
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10
Mar

William Eggleston. Los Alamos

In William Eggleston – Los Alamos, Foam displays his portfolio of photographs that were taken on various road trips through the southern states of America between 1966 and 1974. The exhibition includes a number of iconic images, amongst which Eggleston’s first colour photograph.

The American photographer William Eggleston (1939, Memphis Tennessee, US) is widely considered one of the leading photographers of the past decades. He has been a pioneer of colour photography from the mid-1960s onwards, and transformed everyday America into a photogenic subject.

Los Alamos starts in Eggleston’s home town of Memphis and the Mississippi Delta and continues to follow his wanderings through New Orleans, Las Vegas and south California, ending at Santa Monica Pier. During a road trip with writer and curator William Hopps, Eggleston also passed through Los Alamos, the place in New Mexico where the nuclear bomb was developed in secret and to which the series owes its name.

Foam is supported by the BankGiro Loterij, De Brauw Blackstone Westbroek, Delta Lloyd, City of Amsterdam, Olympus and the VandenEnde Foundation.

The over 2200 images made for Los Alamos were originally intended to be published in parts, but were forgotten over the years. The photographs were rediscovered almost 40 years after the project started. They were published and exhibited for the first time in 2003. The vibrant photographs of traffic signs, run-down buildings and diner interiors distinctly betray the hand of the wayward autodidact. His early work evidences his penchant for the seemingly trivial: before the lens of Eggleston’s ‘democratic camera’, everything becomes equally important.

Eggleston began Los Alamos ten years before his contested solo exhibition at MoMA in 1976, which placed colour photography on the map as a serious art form. At the time, colour photography in the fine arts was regarded as frivolous, or even vulgar. It earned Eggleston the scorn of many. However, this did not stop him from experimenting with the no longer used dye-transfer process, a labour-intensive and expensive technique that was mainly used in advertising photography. The process allowed the photographer to control the colour saturation and achieve an unparalleled nuance in tonality; a quality that also characterizes the 75 dye-transfer prints exhibited at Foam.

William Eggleston – Los Alamos will be opened on Thursday 16 March, 2017

17 March – 7 June 2017

Foam Fotografiemuseum
Keizersgracht 609, Amsterdam
+31 (0)20 5516500
info@foam.org

 

07
Mar

EFFIMERA – Suoni, luci, visioni

Carlo Bernardini, Sarah Ciracì, Roberto Pugliese
a cura di Fulvio Chimento e Luca Panaro

18 marzo – 7 maggio 2017
MATA, Modena

Inaugura sabato 18 marzo alle ore 18.00 al MATA di Modena una nuova edizione di Effimera – Suoni, luci, visioni, a cura di Fulvio Chimento e Luca Panaro e in collaborazione con la Galleria Civica di Modena, che quest’anno propone opere di Carlo Bernardini, Sarah Ciracì e Roberto Pugliese. La mostra è realizzata con il supporto di Coptip e del Gruppo Fotografico Grandangolo BFI.
Effimera giunge dunque alla sua seconda edizione, coerente con l’intento dichiarato dai suoi curatori già nel 2016: individuare e valorizzare artisti, preferibilmente italiani e con esperienza all’estero, che fanno dell’utilizzo avanzato della tecnologia la cifra stilistica del proprio lavoro. Un evento espositivo che si propone quale indagine critica in relazione alle ultime tendenze artistiche caratterizzate dai “Nuovi Media”, momento di crescita e di aggregazione a livello nazionale intorno a parole chiave quali arte, tecnologia e comunicazione.

Nel 2016 Effimera aveva individuato il suo punto focale nel web, inteso come strumento di conoscenza artistica e relazionale grazie alla presenza degli artisti Eva e Franco Mattes, Carlo Zanni e Diego Zuelli. La nuova edizione si concentra sull’analisi della componente immateriale che è caratteristica della ricerca artistica dei nostri giorni, che trova trasposizione (e sintesi) all’interno di un percorso espositivo che prevede la creazione di un viaggio sensoriale interno alle tendenze artistiche recenti.

Nel 2017 i curatori hanno dunque strutturato i 500 mq del MATA in tre ambienti distinti. Punto di partenza di questo “attraversamento” è costituito dalla ricerca sonora del sound artist Roberto Pugliese, mentre l’approdo si identifica nelle installazioni luminose in fibra ottica di Carlo Bernardini, dipanando il percorso fra le immagini fluttuanti degli affreschi digitali di Sarah Ciracì.

Effimera – Suoni, luci, visioni è costruita intorno a un percorso spiccatamente immersivo, ideato e strutturato appositamente sul MATA: tre imponenti installazioni ambientali, separate ma contigue, marcano una distinzione linguistica e temporale, e al tempo stesso suggeriscono una linea di continuità all’interno del percorso evolutivo dell’arte. Arte intesa come esperienza totale e totalizzante, in grado di stimolare l’intelletto, ma anche di innescare un corto circuito a livello sensoriale.

Per rimarcare le distinte peculiarità d’approccio i curatori hanno coinvolto artisti appartenenti a tre generazioni differenti, nati rispettivamente negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, che riflettono altrettanti modi di intendere l’interazione tra arte e tecnologia. Il fil rouge che contraddistingue Effimera è sempre rappresentato dall’intento di indagare l’arte attraverso le sue componenti immateriali, al fine di far luce sullo statuto attuale dell’opera. I lavori degli artisti di ultima generazione, infatti, si caratterizzano per la spiccata componente effimera legata al procedimento artistico che rispecchia l’epoca nella quale viviamo. Non a caso il nome della rassegna si ispira anche a quello della specie animale che ha vita più breve sulla terra, l’Ephemera, un piccolo insetto acquatico (simile a una libellula) la cui esistenza dura all’incirca un’ora e mezza. Altro assioma fondante di Effimera è il constatare come l’unicità dell’opera non sia più un assunto dell’uomo contemporaneo: grazie alle tecnologie di cui disponiamo, ogni copia è riproducibile con la medesima qualità, e quindi è sempre potenzialmente identica all’originale.
Fa da corredo a Effimera un ricco calendario di incontri collaterali che prevede la presenza degli artisti coinvolti, ma anche di filosofi ed di esperti del settore “arte e tecnologia”.Continue Reading..

06
Mar

Leonardo Aquilino. Realtà aumentata

Realtà Aumentata: Arricchire con informazioni manipolate, attraverso input, la percezione umana. Solitamente questo processo viene effettuato attraverso manipolazione eletronica, ma nell’ambito della sua project room Aquilino prende in prestito la definizione per raccontare una diversa manipolazione visiva, in questo caso non elettronica ma del tutto analogica e manuale.
Leonardo presenta un progetto di mostra interamente realizzato in carta con soggetto principale la fotografia, osservata da diversi punti di vista. Tutti i supporti e le fotografie passano attraverso una lavorazione manuale fatta di piegatura e manipolazione per arrivare alla forma definitiva. Una realtà aumentata quindi, analogica, dove tutti i supporti (cornici e tavoli) sono realizzati in cartone per riproporre le fattezze e i volumi di strutture in legno godibili solo visibilmente, come fosse un’immagine. Le fotografie invece , raccontano di uno stesso soggetto ma da due punti di vista differenti. Nel primocaso in maniera classica, incorniciata, nel secondo caso la fotografia viene lavorata come fosse materia,spostata dal suo punto di vista naturale per diventare un paesaggio, una linea d’orizzonte immaginaria.

Leonardo Aquilino. Foggia 1989, concentra la sua ricerca sullo studio della fotografia e la sua successiva trasformazione, trasfigurazione e deformazione. La fotografia trattata come materia viene spesso accostata o sovrastata da altri materiali , viene mischiata o in altri casi l’immagine deformata per diventare qualcos’altro.

PROJECT ROOM #03
Leonardo Aquilino. Realtà aumentata
dal 14 marzo al 14 aprile 2017

DavidePaludetto ArteContemporanea
Via degli Artisti, 10, 10124 Torino

22
Feb

Jos de Gruyter & Harald Thys. Elegantia

La Triennale di Milano presenta la prima personale del duo di artisti belgi Jos de Gruyter & Harald Thys in un’istituzione italiana.
ELEGANTIA è la prima personale del duo di artisti belgi Jos de Gruyter & Harald Thys in un’istituzione italiana. Concepita come la costruzione di un ambiente preciso in dialogo rigoroso con le sale del Palazzo dell’Arte, ELEGANTIA è stata immaginata come una messa in scena dell’idea stessa di “mostra”, riflesso mentale e miraggio artificiale di un allestimento. Indirettamente ispirata dalla ricca, complessa e ipertrofica storia di produzione e presentazione che caratterizza la Triennale e il suo Palazzo, la mostra è la caricatura di un’architettura, l’immagine di un’esposizione sulle “belle arti”, che si rivela – dopo pochi attimi di straniamento – come un catalogo ambiguo di orrori e solo apparenti normalità.

In trent’anni di lavoro insieme – dal loro primo incontro al Sint Lucas University College of Arts and Design di Bruxelles nel 1987 – Jos de Gruyter & Harald Thys hanno dato forma a un corpus di opere eterogeneo e complesso che muove dalla produzione video per abbracciare poi il disegno e la scultura, l’installazione, il suono e la performance.

Sedotti e terrorizzati dalle regole meccaniche della società – psicologia della dominazione e dell’umiliazione – e dal dramma crudo della quotidianità, gli artisti danno vita a mondi paralleli attraverso la compilazione ossessiva di cataloghi e liste: persone, oggetti, macchine, animali, pezzi di architetture e angoli di città. Figure e personaggi della paura e dell’innocenza, della depravazione e della leggerezza sono presentati sulla scena senza gerarchia, giudizio morale o interpretazione sociale. Piatti e immobili, bidimensionali e stereotipati, sono abitanti di uno spazio ideale e distopico, testimoni muti e inermi del nostro mondo.

L’architettura della mostra – dispositivo spaziale e ottico per dare forma alla relazione ambigua tra soggetto e oggetto – è allestimento e esso stesso opera: un’enfilade di archi in falsa prospettiva – quasi ironicamente enfatizzata per proporzioni – è infatti l’immagine manifesto di un monumento che ostenta se stesso per poi rivelarsi piatto e tragi-comicamente inutile.

Una serie di teste – in gesso e pittura, concepite appositamente per Triennale di Milano – si allinea lungo l’enfilade di stanze e quinte disegnate: in apparenza teste classiche, in verità quasi campioni microcefali di civiltà indigene – pupille dilatate, attonite e spaventate di fronte alla realtà. Le poderose sculture bianche che abitano la mostra non sono corpi in marmo dalle forme auree, ma pesanti figure metalliche bidimensionali (White Elements, 2012-2016) dai volti perturbanti. Una sequenza di ritratti (Les Enigmes de Saarlouis, 2013); un gruppo di sculture in terra cruda (Der Schlamm von Braanst, 2008) provenienti da un disumano e inquietante laboratorio di ceramica; piccoli esperimenti sulla forma umana (White Elements, prototipos, 2016); una lunga serie di acquarelli dai soggetti ambigui (Fine Arts, 2015) e infine un’alta fontana da interni dalle fattezze umane e meccaniche (De Drie Wijsneuzen, 2013) completano il corpo di una mostra enigmaticamente classica e sottilmente rivelatrice.

Tra le forme romane e industriali del Palazzo dell’Arte, De Gruyter & Thys propongono con ELEGANTIA un esperimento sofisticato sull’idea stessa di “display”, e sul suo fallimento: modello possibile di una mostra senza autore, bidimensionale e deformata come lo spazio della nostra mente.Continue Reading..

21
Feb

Dalì and Schiaparelli

Dalì and Schiaparelli – presented in collaboration by The Dali Museum and Schiaparelli Paris – will feature haute couture gowns and accessories, jewelry, paintings, drawings, objects and photos, as well as new designs by Bertrand Guyon for Maison Schiaparelli. This will be the first exhibition dedicated to the creative relationship and works of Elsa Schiaparelli and Salvador Dali – friends and collaborators that set Paris and the world ablaze with their groundbreaking visions.

Elsa Schiaparelli was regarded as the most prominent figure in fashion between the two World Wars. Her designs deliberately subverted traditional notions of women’s roles and beauty, embracing and exaggerating the transgressive nature of fashion. Schiaparelli explored bold Surrealistic themes in her designs, heavily influenced by artists, especially Dali, with whom she often collaborated. The vibrant colors, experimental fabrics and elegant handmade decorations set her apart from other designers of the 1920s and 1930s. Some of the most notable clients for Schiaparelli’s haute couture designs included the Duchess of Windsor, Wallis Simpson; heiress Daisy Fellowes; and actresses Mae West and Marlene Dietrich.

Schiaparelli wrote that she “invented” her dresses, and the designs were known for their elegant and daring aesthetic combined with exquisite craftsmanship – a marriage of new ideas with traditional craft. Her designs were like the paintings of Dali in that they combined renaissance precision with wild imagination and dreamlike visions. Their fashion and art both delighted and shocked the senses and that approach was a trademark of their collaborations; their works embodied a sense of freedom and possibility that enlivened popular culture during a tumultuous time.

The Dali will be celebrating the exhibition with a grand fashion show and gala, bringing Paris chic to downtown St. Petersburg. The event will allow guests a glimpse into the secret world of haute couture. Held on Saturday October 14, 2017, the black tie affair will begin with a fashion show featuring contemporary Schiaparelli designs followed by an elegant dinner reception. A more casual yet equally celebratory Sunday brunch will be held the following day. A variety of other events and programs will also accompany the show.

The Dali and Schiaparelli exhibition will be accompanied by a catalog with essays by Dilys Blum, Curator of Costume and Textiles for the Philadelphia Museum of Art, Dali Museum Curator of Exhibitions William Jeffett, Dali Museum Director Hank Hine, and exhibition consultant John William Barger III.

The exhibition is organized by The Dali, St. Petersburg FL in collaboration with Schiaparelli, Paris with loans from the Philadelphia Museum of Art, the Metropolitan Museum and others.

The Dalì Museum
One Dali Blvd,
St. Petersburg, FL 33701

October 18, 2017 through January 18, 2018

Image Credit: Aphrodisiac Telephone (Lobster Telephone). Salvador Dali, 1938

 

20
Feb

Mario Nigro. Dal ‘ritmo verticale’ al ‘tempo totale’

La galleria A arte Invernizzi inaugura giovedì 23 febbraio 2017 alle ore 18.30 una mostra personale di Mario Nigro (Pistoia 1917 – Livorno 1992) che, in occasione del centenario dalla sua nascita, ripercorre il momento germinale di tutta la sua esperienza artistica, il ventennio che va dal 1948 al 1968.
L’esposizione presenta il percorso fondamentale dell’artista, dal suo Ritmo verticale del 1948 fino alle opere esposte alla XXXIV Biennale Internazionale d’Arte di Venezia del 1968.
Nella prima sala del piano superiore della galleria sono esposte opere realizzate a partire dal 1950. Questi lavori, dal ciclo “Scacchi”, testimoniano un momento di maturazione del linguaggio dell’artista, già orientato verso un interesse percettivo più dinamico e penetrante, che prelude, con l’accentuazione dell’elemento diagonale nel 1952, alla serie dello “Spazio totale”. Negli ambienti successivi dello stesso piano si trovano opere che ripercorrono l’evoluzione creativa di Mario Nigro, a partire dal Ritmo verticale del 1948, che elaborano e analizzano le sue prime suggestioni astratto-costruttive, fino al superamento della bidimensionalità del quadro in una nuova tensione tra spazio e forma che si risolve nell’intrecciarsi e accavallarsi dei piani negli “Spazi totali” del 1954.
All’ingresso della galleria è esposta Tempo e spazio: tensioni reticolari: simultaneità di elementi in lotta del 1954. Si tratta di un’opera fondamentale per comprendere i successivi sviluppi della pittura di Mario Nigro in relazione all’approfondimento dei concetti di tempo, simultaneità e progressività che diventeranno essenziali nelle opere degli anni seguenti.
Un’attenzione particolare viene inoltre riservata a un nucleo di opere del 1956. In seguito all’invasione sovietica dell’Ungheria in quell’anno, tutte le certezze politiche e ideologiche dell’artista vengono improvvisamente infrante. Con il crollo dell’utopia sociale che animava il suo lavoro, anche la fiducia nella purezza assoluta della geometria viene meno, lasciando il posto ad un progressivo accentuarsi e poi disgregarsi delle griglie spaziali, fino allo loro totale dissoluzione.
Il percorso espositivo si conclude al piano inferiore dove vengono presentate le opere esposte nella sala personale dell’artista alla XXXIV Biennale Internazionale d’Arte di Venezia del 1968. L’abisso prospettico delle opere precedenti esce dalla bidimensionalità della tela per diffondersi nello spazio, assumendo una dimensione ambientale nell’accumularsi in colonne o nel dispiegarsi lungo le pareti. Questo luogo vivo e pulsante si completa poi nel ritmo musicale sviluppato dal ripetersi dei piccoli tratti di colore che percorrono l’opera a terra dal titolo Le stagioni o dall’infinita tensione espansiva dei “Tralicci”. È in questa rinnovata sinergia tra spazio e tempo che le opere di Nigro raggiungono una totalità immersiva assoluta, nella quale, e durante la quale, lo spettatore si trova calato non tanto in una rappresentazione dell’esistenza ma in una sua concreta e drammatica manifestazione.Continue Reading..

18
Feb

Bruno Munari. Artista totale

Il percorso espositivo pone in evidenza la sua multiforme ricerca e l’originalità della sua sperimentazione offrendo alla fruizione del pubblico l’ampio arco delle sue operazioni creative: disegni, progetti, collage, dipinti, sculture, libri illeggibili, nuove tecniche di riproduzione delle immagini, oggetti di industrial design, esperienze di grafica editoriale, architettura, nonché nuove proposte di pedagogia, solo per indicare le discipline più rappresentative all’interno del suo progetto di sintesi delle arti. Partendo dalla convinzione che il lavoro a tutto campo di Munari non possa essere definito seguendo il meccanismo delle tendenze artistiche e delle tipologie stilistiche, la rassegna verte intorno all’idea di arte totale, somma di orientamenti e relazioni conoscitive che rivelano il piacere del comunicare, il rigore e la semplicità delle forme, la critica delle convenzioni artistiche, con l’ironia necessaria per esercitare l’immaginazione da molteplici prospettive.
«Arte è ricerca continua – ha scritto Munari – assimilazione delle esperienze passate, aggiunta di esperienze nuove, nella forma, nel contenuto, nella materia, nella tecnica, nei mezzi».

Quest’approccio consente di cogliere la dialettica tra l’atto sperimentale e quello didattico, tra l’idea di fantasia e quella di creatività, tra la proposta innovativa e il suo carattere giocoso, soprattutto la consapevolezza di un universo di scelte possibili, una costante tensione a interpretare le immagini in modo sempre diverso. L’atto di osservare le cose della vita è fondamentale non solo per capire la loro genesi ma anche per valutare le possibili relazioni attraverso lo spostamento percettivo che esse suscitano nell’osservatore.

«Conservare lo spirito dell’infanzia dentro di sé per tutta la vita – ha scritto sempre Munari – vuol dire conservare la curiosità di conoscere, il piacere di capire, la voglia di comunicare». L’artista non individualista si muove con lo sguardo rivolto verso la collettività, si propone di aiutarla a crescere culturalmente, a esprimersi con libera creatività. D’altro lato, Munari vede nella figura del designer la volontà di sperimentare i materiali più idonei a ottenere il massimo risultato con il minimo costo, un metodo di lavoro in grado di soddisfare la funzione degli oggetti in relazione alle esigenze della collettività. In tal senso, Munari ha dichiarato che la sua attività si svolge nei due canali principali della sperimentazione e della didattica, perseguendo idee svolte nel modo più semplice ed essenziale, al fine di curare non solo l’emissione dei messaggi ma anche la loro ricezione, secondo indicazioni dedotte dall’esperienza.
Mai trascurato è il rapporto tra la regola e il caso, due forze contrarie che tuttavia hanno bisogno di coesistere per garantire il flusso delle idee, il divenire delle forme sperimentate, soprattutto l’equilibrio della fantasia che ha bisogno della congiunzione tra queste due dimensioni della vita.Attraverso un’esemplare scelta di opere dagli anni Trenta agli anni Novanta, l’omaggio al genio creativo di Munari ripercorre le fasi iniziali che, dalle premesse futuriste delle “tavole tattili”, si sviluppano in modo provocatorio e ironico nei confronti delle logiche razionaliste con l’invenzione di “sculture aeree”, “macchine inutili”, oggetti di rete metallica appesi al soffitto “concavi-convessi” e successivamente “macchine aritmiche” fino alle “sculture da viaggio” che sfidano la retorica della scultura monumentale.

La ricerca pittorica è documentata da opere che dall’Astrattismo degli anni Trenta approdano all’importante ciclo dei Negativi-positivi degli anni Cinquanta, esempi di una ricerca che si protrae fino agli anni Novanta con varianti compositive caratterizzate da varietà di supporti e tecniche (disegni, bozzetti, progetti, collage, dipinti a olio, tempera, acrilico) realizzati nel corso del tempo su carta, su tela e su tavola, con superfici anche sagomate, con parti vuote che dialogano con la parete. La dinamica cromatica di queste opere determina un senso di instabilità ottica, ambivalenze tra il primo piano e lo sfondo, effetti che non permettono mai di fissare l’immagine in modo univoco.
Con la serie delle Curve di Peano (1974) Munari affronta il rapporto tra linea e quadrato interpretando l’ipotesi matematica che possano esistere linee curve senza tangenti, spingendo l’osservatore a «immaginare quale potrà essere il colore della superficie quadrata quando la curva, rimpicciolendosi e moltiplicandosi all’infinito, l’avrà riempita quasi tutta».
Su altri versanti di sperimentazione, Munari inventa Scritture illeggibili di popoli sconosciuti (1947), alfabeti ironici e scherzi grafici, Ricostruzioni teoriche di oggetti immaginari (1955), e ancora giochi grafici, Ideogrammi, Variazioni sul viso umano, Antenati, Alberi, Nomi, e altri divertimenti come la serie delle “cartoline modificate”.
Sul piano dell’invenzione di nuovi spaziali tridimensionali si pongono opere come Salto mortale, Filipesi, Alta tensione, Flexy, costruzioni plastiche dotate di materiali metallici, lignei, filiformi: continui avvolgimenti di aerea leggerezza dove il peso del vuoto risulta determinante per il dialogo tra fantasia e immaginazione.

Per quanto riguarda il rapporto con le tecnologie Munari indaga la possibilità di usare in modo differente le caratteristiche degli strumenti a disposizione; nella serie delle Xerografie originali crea forme di vario tipo muovendo sul piano della fotocopiatrice l’immagine di base, in modo irripetibile.
Nel caso delle Proiezioni dirette la scelta dei materiali (Cellofan colorati, Rodhoid, Fibralin, carta sottile nera e due tipi di spugna artificiale) permette di comporre piccoli collage colorati trasparenti che possono essere proiettati con un comune proiettore per diapositive. Ognuno di questi materiali assume diversi aspetti secondo come viene trattato, garantendo gradi continui di sperimentazione. Nel Polariscop (1969) pellicole trasparenti disposte in una scatola di ferro e retroilluminate diventano – seguendo precisi accorgimenti –mezzi «per generare e animare il colore», osservando la sua nascita e la sua mutazione. Tetracono è un oggetto cinetico e programmato a quattro dimensioni dotato di motori che determinano la rotazione dei coni con combinazioni cromatiche sempre diverse, simili agli aspetti variabili del reale.
L’interesse per la dimensione ludica del comunicare porta Munari a frequentare il linguaggio della fantasia con forte senso ironico e umoristico nei confronti degli oggetti d’uso, trasformando la percezione del quotidiano con nuove morfologie (Forchette parlanti, Supplemento al dizionario italiano, Fossili del Duemila, Scimmietta Zizì, Sedia per visite brevi, Occhiali paraluce, Orologio Tempo Libero per Swatch). Celebri sono diventati gli oggetti di design, prodotti da Zanotta, Interflex, Robots e Danese (Lampada Falkland, Ora X, Portacenere cubico, Abitacolo, solo per citarne alcuni).

A queste tipologie si aggiungono anche esperienze nel campo delle arti cosiddette applicate con esempi di tessuti stampati, tessuti morbidi con composizioni astratte, piatti, gioielli e costellazioni.
Considerevole è infine il ruolo che nella mostra assume la documentazione intorno al libro, nelle sue molteplici identità di libri-oggetto, pre-libri, libri illeggibili, libri didattici, libri teorici, con varie ricerche di grafica editoriale, in particolare le prime idee, un prezioso repertorio che testimonia i rapporti con le case editrici con cui ha maggiormente collaborato: Einaudi, Scheiwiller, Zanichelli, Laterza, Lucini, Corraini.
Di quest’ultimo editore si segnalano tra gli altri i seguenti titoli: MN1 Libro illeggibile (1984); I negativi-positivi (1986); MN2 Libro illeggibile (1988); Simultaneità degli opposti (1989); Alla faccia! (1992); Viaggio nella Fantasia (1992); Saluti e baci (1992); MN3 Libro illeggibile, Luna Capricciosa (1992); MN4 Libro illeggibile (1993); Pensare confonde le idee (1993); La favola delle favole (1994); MN5 Libro illeggibile (1995); Il mare come artigiano (1995); Emozioni, (1995); Prima del disegno (1996); La Rana Romilda (1997); Il prestigiatore giallo (1997); Buona notte a tutti (1997); Cappuccetto Bianco (1999).
Nel corso della mostra è programmato un ciclo di attività didattiche che si svolgeranno nella sede del Museo con laboratori aperti ai bambini con la finalità di avvicinarli all’arte attraverso l’esperienza diretta del fare. Vedere, toccare, provare e fare sono infatti processi attraverso i quali sviluppare una sensibilità tattile che amplifica la conoscenza sensoriale.
In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo con la riproduzione delle opere esposte, introdotte da un saggio storico-critico del curatore Claudio Cerritelli (docente di Storia dell’arte contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti di Brera), un’intervista a Gillo Dorfles e apparati bio-bibliograficiContinue Reading..