Tag: amalia di Lanno

10
Apr

Ettore Frani. Ricucire il cielo

La Nuova Galleria Morone presenta la prima personale milanese di Ettore Frani, artista tra le ultime generazioni già molto apprezzato, dal titolo Ricucire il cielo.

L’esposizione, realizzata appositamente per gli spazi della galleria, è composta dall’ultimo ciclo di opere attraverso le quali l’artista, come sempre nella sua ricerca pittorica, indaga il volto e il mistero della Natura, con la quale l’uomo è da sempre in comunione. Come dice lo stesso Frani, è proprio in essa che l’uomo vede riflessa la propria componente materiale e spirituale e, meglio di ogni altra cosa, può restituirci il senso del nostro essere al mondo.

In questa personale, Frani approfondisce la direzione pittorica del suo linguaggio, lavorando su alcuni elementi fondamentali che d sempre lo accompagnano: l’uomo in relazione e conflitto tra natura e spirito, la pittura come velatura, rivelazione e attesa dell’immagine, l’intento estetico come messaggio etico. E’ dal contingente, dal mondo più concreto, ci suggerisce l’artista, che passa ciò che è più sottile e spirituale.

Durante il corso della mostra verrà pubblicato e presentato un catalogo con testi di Ilaria Bignotti e Silvano Petrosino.

Tutti i dipinti che compongono Ricucire il cielo sono interconnessi e rivelano corrispondenze nascoste dove uomo e natura, terra e cielo, micro e macrocosmo creano una sorta di respiro, una danza che vibra tra luce e gravità, dove il movimento ascendente e discendente diviene atto simultaneo. Il cielo stesso, che si fa metafora del nostro cielo interiore, appare come ferito e bisognoso di cura e dedizione. Il gesto del cucire, o meglio, del ri-cucire, vuole sottolineare da un lato un azione anche umile, quotidiana, di lavoro sofferto, dall’altro un atto impossibile che si compie su un taglio perenne, ma forse, proprio per questo, quantomai necessario.

Ettore Frani Termoli (CB) 1978. Vive e lavora a Lido di Ostia. Si diploma in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino nel 2002 e si specializza all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 2007. Nel 2010 vince il Premio Arti visive San Fedele “Il segreto dello sguardo”Castelli in occasione di Limen, ed è finalista al LXI Premio Michetti. Nel 2011 esce la sua prima monografia, edita da Vanilla edizioni, con testi di Massimo Recalcati e Stefano personale presso la Galleria L’Ariete di Bologna. Nello stesso anno è l’Evento Speciale del Padiglione Italia ‘Lo Stato dell’Arte|Padiglione Accademie’ alla 54^ Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, selezionato da Vittorio Sgarbi per invitato a Giorni Felici a Casa Testori 2011 e vince la 1^ edizione del Premio Ciaccio Broker per la Giovane Pittura Italiana. Nel 2012 invitato al MAR di Ravenna per l’evento Critica in Arte, a cura di Matteo Galbiati, e vince il Premio Opera CGIL-Le vie dell’acqua. Nel 2013 realizza la personale Attrazione Celeste, a cura di Umberto Palestini, esposta a Casa Raffaello/Bottega Giovanni Santi in Urbino e al Museo L’Arca-Lab di Teramo ed è invitato ad esporre nel Secondo Fienile del Campiaro a Grizzana Morandi per la mostra Un’Etica per la Natura curata da Eleonora Frattarolo. Nel 2014 è al Museo Nazionale di Ravenna con la personale Respiri a cura di Antonella Ranaldi. Nel 2015 prende parte al progetto internazionale Macrocosmi Ordnungen anderer Art Berlin<>Bologna, a cura di Martina Cavallarin e Pascual Jordan, e realizza la personale Composizioni. Ettore Frani e Lorenzo Cardi, a cura di Eli Sassoli de’Bianchi, presso il Complesso Monumentale di Santa Maria della Vita a Bologna. Nello stesso anno è finalista al 16° Premio Cairo.

Ettore Frani. Ricucire il cielo
NUOVA GALLERIA MORONE
Via Nerino 3, Milano
6 aprile | 1 giugno 2017 6 aprile 2017, ore 18
lun. – ven. ore 11 – 19 | sab. 15 -19
(la galleria dal mese di maggio resterà chiusa il sabato)
Tel 02 72001994 | Fax 02 72002163 |
info@nuovagalleriamorone.com

09
Apr

Tadashi Kawamata. The Shower

Valorizzare il patrimonio culturale sperimentando nuove vie per il rinnovamento dell’antica sapienza artigianale attraverso la visione di artisti e designer: è questa la mission di Fondazione Made in Cloister che quest’anno vede impegnato, nella creazione di una grande istallazione site-specific dal titolo “The Shower”, l’artista giapponese Tadashi Kawamata. L’opera di Kawamata, realizzata con l’intervento degli artigiani e coinvolgendo i ragazzi  del quartiere  di Porta Capuana, con la supervisione del curatore del progetto Demetrio Paparoni, sarà inaugurata  sabato 13 maggio 2017 alle ore 19,00.

Il progetto
Tadashi Kawamata – Made in Cloister è un’installazione site-specific curata dal critico Demetrio Paparoni. L’opera, che occuperà sia l’interno del chiostro che la facciata dell’attigua Chiesa rinascimentale di S. Caterina a Formiello, sarà realizzata dall’artista giapponese durante una permanenza a Napoli di due settimane. Su invito della Fondazione Made in Cloister, l’artista ha visitato Napoli e l’area di Porta Capuana nel Settembre del 2016, esplorandola con l’occhio del ricercatore e dello studioso.  In seguito a tale indagine Kawamata ha elaborato il suo intervento che sarà definito nei particolari durante la sua nuova permanenza a Napoli, prevista a partire dal 25 aprile 2017. Come spesso accade nelle sue opere, i materiali utilizzati saranno riciclati e scelti in quanto espressione dell’economia locale sia nella ricerca dei materiali che nella costruzione delle strutture in legno da lui disegnate: in questo caso cassette di legno comunemente usate nei mercati  di frutta e verdura. L’artista coinvolgerà  nella  realizzazione  artigiani e I ragazzi del quartiere di Porta Capuana, attraverso l’associazione Officine Gomitoli, per una grande opera collettiva. Il quartiere  diventa protagonista sia per l’estensione dell’opera e sia per le modalità collaborative e partecipative dell’ esecuzione artistica.

L’Ambasciata del Giappone in Italia, ha incluso l’evento nelle celebrazioni ufficiali del 150° anniversario delle relazioni tra il Giappone e l’Italia.

L’artista
“Visitare i luoghi, conoscerne gli abitanti, le loro abitudini e la loro economia è il primo passo dei miei progetti.”Tadashi Kawamata
“L’entusiasmo con cui Tadashi ha accettato di realizzare questo suo intervento nell’area di Porta Capuana  – dice Davide de Blasio, responsabile del programma artistico di Made in Cloister – è per noi un segno importante che rafforza la nostra convinzione che l’arte e la creatività possono dare una forte spinta al processo di rigenerazione e sviluppo sostenibile per le aree urbane segnate dal degrado”. Dopo il suo intervento del 2013 a Palazzo Strozzi, Tadashi Kawamata – Made in Cloister è la prima installazione che l’artista realizza in Italia utilizzando una struttura al tempo stesso pubblica e privata.Continue Reading..

09
Apr

Alfredo Pirri. I pesci non portano fucili

Martedì 11 aprile 2017 inaugura al MACRO Testaccio la prima antologica dedicata ad Alfredo Pirri, i pesci non portano fucili, curata da Benedetta Carpi De Resmini e Ludovico Pratesi.
La mostra, che resterà aperta fino al 4 giugno 2017, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, e organizzata in collaborazione con le gallerie Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea ed Eduardo Secci Contemporary.

Quella del Macro Testaccio rappresenta la tappa conclusiva del progetto I pesci non portano fucili, un viaggio all’interno dell’opera, del pensiero e della ricerca dell’artista che è iniziato nel novembre 2016 con la prima mostra RWD / FWD, allestita presso lo Studio/Archivio dell’artista. Il titolo del progetto è stato scelto dallo stesso Pirri in omaggio all’opera The Divine Invasion di Philip K. Dick (1981), in cui l’autore immagina una società disarmata e fluida come il mare aperto dentro il quale immergersi e riemergere dando forma ad avvenimenti multiformi. Tutto il progetto viene proposto come un nuovo possibile modello di rete culturale, fortemente sostenuto da Pirri, in cui ogni istituzione coinvolta è autonoma ma in costante dialogo con le altre. L’esposizione riunisce 50 opere tra le più importanti e significative realizzate dall’artista nel corso della sua carriera dagli anni ‘80 ad oggi, sottolineando l’alternarsi ritmico di fluidità e fissità, dove i repentini mutamenti di tecnica diventano allegoria di un tempo mentale, scandito dagli elementi che da sempre contraddistinguono la ricerca dell’artista: lo spazio, il colore e la luce. “Questa mostra, come afferma il curatore Ludovico Pratesi, permette una lettura completa e ragionata della complessità della ricerca di Alfredo Pirri, attraverso un itinerario espositivo strutturato come un’opera in sé. Lo spazio del Macro Testaccio viene interpretato dall’artista in maniera da sottolineare le componenti fondamentali del suo pensiero, per invitare il visitatore a condividere un’esperienza immersiva giocata sull’armonia tra spazio, luce e colore”.

La mostra si snoda attraverso un percorso articolato in cui il tema della città, intesa non solo come agglomerato urbano ma come spazio aperto, luogo di condivisione e di incontro, è declinato in varie sfaccettature, attraverso una profonda rielaborazione dello spazio architettonico stesso e qui diviso in due sezioni principali. Apre la mostra l’opera che l’artista ha realizzato nei mesi di ricerca all’interno del laboratorio allestito alla Nomas Foundation: Quello che avanza (2017), prosecuzione dello studio sulla luce e il colore che da sempre caratterizza la sua poetica. Costituito da 144 stampe, il lavoro è frutto di una ricerca sulla tecnica della cianotipia, che consente di realizzare immagini fotografiche off-camera di grandi dimensioni, caratterizzate da intense variazioni di blu. Di queste stampe, 130 testimoniano le fasi di lavorazione di un’opera e i residui da essa prodotti, mentre 14 sono il risultato di una procedura unica, che vede l’uso di piume appoggiate direttamente a impressionare i fogli preparati con sostanze chimiche ed esposti ai raggi UV.

Tra le altre opere scelte, Gas (1990), lavoro che combina elementi concettuali e minimalisti, capace già nel titolo, di evocare una materia invisibile che attraversa e riempie lo spazio circostante; le Squadre plastiche (1987-88), con la loro immobilità di testimoni mute e contemporaneamente la loro pittura che si riverbera sulla parete come energia viva; Verso N (2003), installazione in cui i frammenti costruiscono un orizzonte immaginario, un paesaggio spirituale attraversato da fasci di luce che si irradiano nello spazio riflettendo i colori della pittura; La stanza di Penna (1999), costituita da copertine di libro disposte in modo da creare uno skyline urbano, paesaggio bagnato da una luce diffusa che ricorda i colori del tramonto. A fare da raccordo tra le due sezioni l’opera Passi, che assume la valenza di una soglia. Si tratta di un’installazione site specific costituita da pavimenti di specchi che si frantumano sotto i passi dell’artista e dell’osservatore, creando narrazioni deformate che promuovono un dialogo dialettico con lo spazio circostante, la sua natura e la sua storia.

Come spiega la curatrice Benedetta Carpi de Resmini: “Alfredo Pirri ha sperimentato negli anni molteplici linguaggi espressivi spaziando dalla pittura alla scultura, dal video alla performance, ma è soprattutto la sua concezione del rapporto spazio – temporale, mediato dal lavoro che genera l’opera, che si presenta allo spettatore come una palingenesi: una nuova visione della realtà e della città. Lo spazio architettonico si trasforma così in supporto-tela su cui Pirri “dipinge” vuoti e pieni, luci e ombre, in una meditata metamorfosi che ne esalta i valori cromatici, concettuali e simbolici”Continue Reading..

07
Apr

Sasha Vinci e Maria Grazia Galesi. La terra dei fiori

Alla Reggia di Caserta, La terra dei fiori, il progetto del duo Sasha Vinci – Maria Grazia Galesi a cura di Daniele Capra, propone una contro mitologia.

Dalla terra dei fuochi, disseminata di scorie tossiche e avvelenata dalla malavita, alla terra dei fiori, luogo in cui crescono gerbere e crisantemi, fiori che l’arte accoglie per farne espressione di rigenerazione, bellezza e spiritualità. Un progetto che racconta con foto, video e documentazione le storie di un luogo e la bellezza solitaria della Reggia di Caserta, che ha osservato nel tempo la violenta trasformazione del territorio campano.
La mostra è promossa dalla Reggia di Caserta in collaborazione con la galleria aA29 Project Room, Milano I Caserta, con il contributo di McArthurGlen La Reggia Designer Outlet, Axa Assicurazioni Loffredo Caserta, Oliveo.it, Grand Hotel Vanvitelli, Artec e con il Patrocinio Comune di Caserta. Il catalogo, bilingue, è a cura di Daniele Capra.

La mostra ospitata nei saloni del piano nobile della Reggia è costituita da opere fotografiche di grandi dimensione, disegni, video e documentazione che raccontano “il percorso che ha portato il duo Vinci–Galesi ad interrogare, grazie all’impiego del fiore, le identità individuali ma anche i luoghi dimenticati segnati da abbandono, trascuratezza, degrado civile”.
“A tutto questo – aggiunge il curatore – si contrappone il rigoglioso germogliare della natura, elemento di meraviglia, espressione della volontaria ricerca di riscatto. È il tentativo di inversione, l’espressione della necessità di superare l’impasse della situazione attuale che l’arte deve compiere. Per mostrare come anche dall’estremo abbandono si possano far germinare onestà, bellezza, dignità”.

Le immagini di Vinci–Galesi sono visioni cariche di elementi contrastanti. In contesti dal valore simbolico, quali ad esempi una spiaggia in cui mare e terra si contendono la supremazia o in una cava abbandonata popolata di residui di pietre, i due artisti si mostrano interamente avvolti da un mantello floreale coloratissimo e che nasconde i tratti somatici. La loro figura diventa così quella di un spirito che dissemina colore e futuro nel grigio e nell’abbandono del presente.
Il drappo in cui gli artisti sono avvolti è realizzato cucendo a mano migliaia e migliaia di fiori su eterei tessuti. Rispettando un’antica tradizione propria delle celebrazioni religiose di un’altra terra complessa e difficile, il ragusano, sulle cui coste negli ultimi anni sono sbarcati disperati provenienti dall’altra sponda del Mediterraneo in fuga dalla guerra o si sono arenati corpi senza più speranza. La bellezza di quei luoghi, testimoniata da alcune immagini degli ultimi progetti, è un controcanto che fa stridere ancor di più i limiti della condizione umana.
Vinci–Galesi propongono visioni transitorie, occasioni preziose e fugaci. Fuggevoli quanto è fuggevole la bellezza di un fiore, meraviglia condannata ad un veloce disfacimento.Continue Reading..

07
Apr

Miroslaw Balka. Crossover/s

“CROSSOVER/S” è la prima retrospettiva italiana di Miroslaw Balka(Varsavia, 1958), artista tra i più rilevanti degli ultimi trent’anni che pone al centro del suo lavoro l’indagine sulla natura dell’uomo e sulla memoria individuale e collettiva. Attraverso una riflessione sulla storia dell’Europa e della Polonia, dove l’artista vive e lavora, Balka prende spunto da elementi ed eventi della propria biografia per realizzare opere che affrontano temi universali con grande potenza evocativa.
Dagli inizi degli anni ‘90, Miroslaw Balka abbandona le forme antropomorfe, che avevano caratterizzato gli esordi della sua carriera artistica, per creare opere che rappresentano oggetti simbolici quali letti, pedane e fontane. Balka concepisce questi lavori anche attraverso l’uso di materiali comuni come legno, sale, cenere, sapone, cemento e acciaio, utilizzando spesso come unità di misura le dimensioni del proprio corpo.
La mostra raccoglie quindici lavori – tra sculture, installazioni e video realizzati dagli anni ‘90 a oggi – in un percorso immersivo caratterizzato da incroci fisici, simbolici e temporali, dove anche la luce e l’oscurità assumono un ruolo centrale e in cui lo spettatore prende coscienza della propria presenza e funzione nello spazio.

Pirelli HangarBicocca
Via Chiese 2
20126 Milano
T (+39) 02 66 11 15 73
F (+39) 02 64 70 275
info@hangarbicocca.org

Miroslaw Balka. Crossover/s
a cura di Vicente Todolì
16 marzo – 30 luglio 2017

06
Apr

Abdullah Al-Mutairi. Byproducts of Development

Focusing on the impact industrial expansion has had on the bodies and identities of youth in the region, “Byproducts of Development” utilizes found materials, both digital and physical, to portray a theory of cultural transformation. The show aims to draw attention to the physiological repercussions of rapid urbanization; linking the effects of oil industry to noticeable changes in the body. Additionally, digital connectivity is scrutinized as a locus of change, prompting shifts in self-image and methods of self-actualization that mirror the drastic changes in local landscapes. Male fragility is positioned as a reaction to, as well as a consequence of, rapid development, with youth caught between a changing ecology and digital influences.

This is Abdullah Al-Mutairi’s first solo show.

Abdullah Al-Mutairi was born in Kuwait in 1990. He lives between Kuwait and the United States. He is studying liminal identities and the intersection of gender, religion, and technology in the Gulf. He is working on a commissioned work for Global Art Forum 7 at Mathaf: Arab Museum of Modern Art and Art Dubai.

Abdullah Al-Mutairi. Byproducts of Development
11th April – 27th April, 2017

Sultan Gallery
South Subhan, Block 8, Street 105, Building #168 besides Sadeer.
Madinat al-Kuwait

06
Apr

Gerhard Richter. The Editions

In the spring of 2017, Gerhard Richter celebrated his 85th birthday. To mark this occasion, the entirety of Richter’s editioned work created since 1965 will be on view at the Museum Folkwang from April 7 until July 30, 2017. The exhibition Gerhard Richter. The Editions is the most comprehensive that the editions, currently numbering more than 170, have been given to date, and brings the artist’s most famous motifs together with many of his works that are rarely shown.

Gerhard Richter’s editioned works—prints, photographs, objects, and paintings—form an important group within the artist’s complex oeuvre. At the same time, they offer an overview of his more than five decades of extensive artistic work. Richter has used the concept of editioning since the early years of his artistic career to interpret his works and ideas anew and simultaneously to extend their reach through wider dissemination.

Richter’s earliest editions already show a new formulation of the same questions that occupy him in painting: questions about the meaning of original and copy, about the idiosyncrasies of photography, painting, and printing, and about the interpretation of his chosen subjects. As his painting has changed and evolved, his editions also reflect new subjects, concepts, and artistic strategies. In addition to found family portraits and photographs from newspapers and magazines—for example, Flugzeug II (Airplane II), 1966—he increasingly uses his own snapshots as the starting point for new artwork. Thus, for the edition Ella (2014), he returned to a photograph of his own daughter taken in 2006. Abstraction also plays a central role in the editions. Not only does Richter use abstract paintings as templates for photographs, excerpts from which he combines to make new works; he also creates editions with unique characteristics, as in Fuji, a series of 110 abstract paintings, of which the exhibition will feature two selections.

The exhibition is a collaboration with the Olbricht Collection.

Supported by Merck Finck Privatbankiers.

Press conference
Wednesday, April 5, 11am

Press contact
Anna Littmann: T +49 201 8845 160 / anna.littmann@museum-folkwang.essen.de

Public program
The exhibition will be accompanied by a range of public and educational programs. For the dates, please visit www.museum-folkwang.de or subscribe to our newsletter by clicking here.

Lecture
Thursday, June 22, 7pm, CONCEPTION – PRODUCTION – EDITION. with Mike Karstens, Print workshop, Münster

Gerhard Richter. The Editions
April 7–July 30, 2017

Opening: April 6, 7–10pm

Museum Folkwang
Museumsplatz 1
45128 Essen
Germany

Image: Kerze I, 1988. Candle I. Offset print and chalk on paper, 89,3 x 94,5 cm. Courtesy Olbricht Collection© Gerhard Richter, 2017

04
Apr

Luca Cacioli. [A – stràt – to]

In occasione del quarto anniversario, Galleria 33 presenta [A – stràt – to], personale di Luca Cacioli, a cura di Tiziana Tommei. Un progetto inedito quello proposto, in cui le componenti proprie della fotografia dell’autore, quali equilibrio, misura e sintesi, trovano piena forma nella pura astrazione. Un’indagine lenticolare, che registra dettagli, texture e struttura di superfici, oggetti e materiali.

Testo critico
Essenzialità, rigore, minimalismo, geometria e astrazione. I progetti fotografici realizzati da Luca Cacioli negli anni, sebbene ben distinti tra loro, sono accomunati dalla medesima matrice di ricerca: la forma. Quest’ultima non intesa quale mezzo, ossia con valore strumentale rispetto all’espressione, ma come espressione essa stessa. Dal primo lavoro, “Confini”, passando per “Surrealismo”, “Notturni Urbani” e “Details”, fino a giungere a “La nuvola” e ad “[A – stràt –to]” quello che emerge è un percorso ordinato, che muove in sottrazione. Questo, non tanto in termini quantitativi, quanto di restituzione di elementi che, seppur realistici, si staccano dalla realtà intesa come trasposizione diretta di un oggetto di natura. Il fotografo, infatti, non solo è attratto in misura crescente da elementi architettonico-urbanistici e industriali, ma li osserva e li viviseziona, lasciando emergere il lato meno realistico e figurativo, e quindi, più propriamente, astratto. In “[A – stràt – to]” non è più tanto interessato a comporre un’immagine ben costruita (Surrealismo) o a tagliare spazi e strutture, valorizzandone le geometrie (Notturni urbani) e neanche a focalizzarsi su dettagli specifici (Details), quanto a mettere in luce ogni dettaglio di superficie, rendendo protagonista la texture. Il colore, la materia e le linee, insieme alle componenti fisiche che costituiscono quest’ultima, fino ad ogni millimetrico elemento, vengono fissati in luogo dell’oggetto fotografato. Questo progetto è imperniato sull’osservazione e registrazione chimico-chirurgica dell’oggetto scelto, che perde in virtù dello scatto stesso lo status si soggetto. Procedendo a ritroso fino a “Confini”, non si può non soffermarsi su talune associazioni: l’elemento antropico ed artificiale, che al tempo si frapponeva tra l’uomo e il paesaggio, oggi viene eletto ad assoluto protagonista della scena, fino ad essere indagato nella sua consistenza e area di sviluppo. Singolare è la libertà di lettura e, di conseguenza, d’immaginazione, che il fotografo lascia al riguardante attraverso questa serie: le coordinate di orientamento, al pari dell’immagine evocata, sono ad appannaggio dell’osservatore. Forme piene, che colmano lo sguardo, attraverso la negazione dell’inessenziale, come della diretta e immediata riconoscibilità della figura ripresa. Hanno un perimetro fisico su carta, ma non hanno confini in sé: si estendono oltre la cornice, si espandono. Il movimento è per questo doppio: in profondità nella materia, multidirezionale sulla superficie. Il processo che determinano non attiene a qualsivoglia interrogativi sull’entità dell’oggetto, ma induce piuttosto ad un atteggiamento di contemplazione prolungata.Continue Reading..

01
Apr

Italian Pavilion at the Venice Biennale

Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi, Adelita Husni-Bey
Il mondo magico
May 13–November 26, 2017

Italian Pavilion at the Venice Biennale
Arsenale
Venice
Italy

www.ilmondomagico2017.it

Commissioned by the Ministry of Cultural Heritage and Activities and Tourism
DGAAP – Directorate-General for Contemporary Art and Architecture Urban Peripheries
Commissioner: Federica Galloni, Director General DGAAP
Realized by the Venice Biennale

Curated by Cecilia Alemani

Il mondo magico is the exhibition for the Italian Pavilion at the Venice Biennale 2017, and it presents ambitious new projects by Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi, and Adelita Husni-Bey. These artists—all born in Italy between the 1970s and the 1980s—emerged on the scene in the first decade of the new millennium and, despite many stylistic differences, share a fascination with the transformative power of the imagination and an interest in magic.

In their works, Andreotta Calò, Cuoghi, and Husni-Bey construct parallel universes that teem with references to magic, fancy, and fable, creating complex personal cosmologies. They see themselves not just as producers of artworks, but as active interpreters and creators of the world, which they reinvent through magic and the imagination. For the invited artists, magic is not an escape into the depths of irrationality but rather a new way of experiencing reality: it is a tool for inhabiting the world in all its richness and multiplicity.

The title of the exhibition is borrowed from Ernesto de Martino’s book Il mondo magico; this Neapolitan scholar developed seminal theories about the anthropological function of magic, which he studied for decades, describing its rituals as devices through which individuals try to regain control in times of uncertainty and reassert their presence in the world.

Within the landscape of contemporary Italian art, Andreotta Calò, Cuoghi, and Husni-Bey use magic as a cognitive instrument for reconstructing and reinventing reality, sometimes through fantasy and play, sometimes through poetry and imagination. This approach allows them to create complex aesthetic universes that eschew the documentary-style narrative found in much recent art, relying instead on an alternative form of storytelling woven from myths, rituals, beliefs, and fairy tales.

Like the rituals described by de Martino, the works of Andreotta Calò, Cuoghi, and Husni-Bey stage situations of crisis that are resolved through processes of aesthetic and ecstatic transfiguration. If one looks closely, these works offer up the image of a country—both real and fanciful—where ancient traditions coexist with new global languages and vernaculars, and where reality and imagination melt together into a new magical world.

Il mondo magico will be accompanied by a bilingual catalogue published by Marsilio with essays by Giovanni Agosti, Cecilia Alemani, Giuliana Bruno, Barbara Casavecchia, Fabio Dei, Brian Dillon, Silvia Federici, Marina Warner, and Chris Wiley.

Image: Adelita Husni-Bey, 2017. Production still, 5k video. Courtesy the artist and Galleria Laveronica

31
Mar

Hermann Nitsch – O.M.T. Colore dal Rito

“Il mio teatro delle orge e dei misteri concentra l’esperienza intensa, il rituale nel senso della forma, creando un festival dell’esistenza, un’esperienza concentrata, consapevole e sensuale, del nostro esser(ci)”, Hermann Nitsch.

Il CIAC Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno ospita dal 25 marzo prossimo sino al 9 luglio la mostra Hermann Nitsch O.M.T Orgien Mysterien Theatre (Teatro delle Orge e dei Misteri) – Colore dal Rito, personale dedicata al grande maestro austriaco, esponente dell’Azionismo viennese, dell’Informale e quindi creatore di performance e installazioni molto discusse e rimaste memorabili.

Curata da Italo Tomassoni e da Giuseppe Morra, dal 1974 storico gallerista ed editore degli scritti di Nitsch cui ha dedicato nel 2008 un Museo a Napoli, la mostra raccoglie circa 40 opere, divise in 9 diversi cicli di lavori, realizzati tra il 1984 e il 2010 e allestite come fossero un’unica grande opera aperta negli spazi del CIAC, che diversifica nuovamente la propria offerta espositiva offrendo l’opportunità di incontrare uno tra i maggiori protagonisti dell’arte internazionale della seconda metà del Novecento.

Hermann Nitsch (1938) massimo esponente dell’Azionismo viennese, elabora già dal 1957-1960 la sua idea di Orgien Mysterien Theatre (Teatro delle Orge e dei Misteri): esperienza di arte totale legata al concetto psicanalitico di Abreaktion, cioè la scarica emozionale che consente ad un soggetto di rimuovere gli effetti di accadimenti drammatici. L’esecuzione di atti orgiastici e onanistici con la messinscena di riti sacrificali consente, secondo l’artista, la liberazione catartica da tabù religiosi, moralistici, sessuali. Nel frattempo Nitsch dipinge seguendo il movimento del tachisme cioè l’immediatezza del gesto che versa o schizza colori sulla tela, anche usando direttamente le mani. Dal 1961 si intensificano le azioni in cui Nitsch comincia ad utilizzare gli animali macellati, il cui sangue viene usato come colore, così come aumenta il numero di partecipanti alle sue azioni con attori passivi crocefissi e cosparsi di sangue e attori attivi che utilizzano interiora di animali, si diversificano i materiali e gli apparati scenici. La provocazione si fa sempre più spinta tanto che nel 1965 Nitsch andrà in carcere per due settimane, ma si allarga anche il giro delle sue relazioni internazionali, specie con la Germania e gli Stati Uniti. Nel 1971 acquista il castello di Prinzerdorf in Austria che diventa la sede del suo Orgien Mysterien Theatre. Nel 1974 entra in contatto a Napoli con Giuseppe Morra e il suo Studio che diviene la sua galleria e il suo editore di riferimento, pubblicando l’O.M. Theatre 2, sua opera teorica fondamentale e gli spartiti musicali delle sue molteplici azioni sceniche. Nel corso degli anni Settanta-Ottanta si intensificano le partecipazioni alle grandi rassegne internazionali, gli interventi in prestigiosi musei e le esecuzioni musicali. Nel 1984 la sua 80.ma azione dura tre giorni e tre notti consecutive e dieci anni dopo Morra ne pubblica la partitura integrale. Dagli anni Novanta prevalgono in tutto il mondo le esposizioni dotate di forte energia espressiva, in cui Nitsch installa i relitti, gli oggetti, le grandi tele, le partiture, i progetti grafici che hanno dato vita alla sua personalissima esperienza artistica, in cui confluiscono teatro, pittura, musica, fotografia, video, performance.

La mostra presenta alcune celebri installazioni di Nitsch come 18b.malaktion, 1986 Napoli Casa Morra. Si tratta di grandi tele dove domina il colore rosso versato o schizzato, “una pittura d’azione – afferma Nitsch – che assolve una funzione drammatica, coinvolgendo gli spettatori, come un accadere drammatico che si manifesta a mò di litania, all’interno del mio teatro, attraverso una esibizione pittorica”. Oppure azioni dimostrative-teoriche come 108.lehration, 2001 Roma Galleria d’Arte Moderna, dove in altre grandi tele Nitsch evidenzia elementi base del suo teatro, cercando “il segreto profondo del colore” e dando precise indicazioni sulla propria teoria estetica, le sue speculazioni filosofiche e la sua idea del cosmo.

E 130.aktion installazione di relitti, 2010 Museo Nitsch Napoli, dove l’artista costruisce opere autonome ma al tempo stresso tracce rielaborate delle sue precedenti azioni sceniche con elementi che provengono dall’azione stessa come grandi teli bianchi e camici macchiati di sangue, barelle servite per trasportare corpi che divengono tavoli o altari, attrezzi chirurgici come bisturi o divaricatori, provette e alambicchi che rimandano al corpo e ai suoi umori, zollette di zucchero e fazzolettini di carta messi in file perfettamente regolari, che suggeriscono sensazioni di freschezza e purezza. Relitti come installazioni di quanto è già avvenuto, testimonianza di un evento sacrificale assente, segni rituali e formali di fatti fisici e carnali.Continue Reading..