Category: scultura

26
Mar

Louise Bourgeois. Structures of Existence: The Cells

Exhibition organized by Haus der Kunst, Munich, in collaboration with the Guggenheim Museum Bilbao

“Space does not exist; it is just a metaphor for the structure of our existence.” Louise Bourgeois

Louise Bourgeois (1911–2010) is one of the most influential artists of the twentieth century. Working with a wide range of materials and forms, she created a body of work that extended over seven decades.

Over her long career as an artist, Louise Bourgeois developed concepts and formal inventions that later became key positions in contemporary art; these included the use of environmental installation and theatrical formats, and the engagement with psychoanalytic and feminist themes. Both her distinctive sculptural forms and her outstanding drawings and graphic works are second to none. Among the most innovative and sophisticated sculptural works in her extensive oeuvre are the Cells, a series of architectural spaces that deal with a range of emotions. Created over a span of two decades, the Cells present individual microcosms; each is an enclosure that separates the internal from the external world. In these unique spaces, the artist arranged found objects, clothes, furniture, and sculptures to create emotionally charged, theatrical sets.

Including the five precursor works to the Cells that first emerged in 1986 with Articulated Lair, Louise Bourgeois created approximately 60 Cells over the course of her career. This exhibition is the largest overview of this body of work to date.

Louise Bourgeois’s Cells are intensely psychological microcosms: situated within various enclosures, each is a multi-faceted collection of objects and sculptural forms arranged to evoke an atmosphere of emotional resonance. In almost theatrical scenes, these everyday objects—items of clothing, fabric, or furniture—along with singular sculptures by Bourgeois, create a charged barrier between the interior world of the artist and the exterior world that is the exhibition space.

This exhibition, the first solely devoted to analyzing the Cells series, contains the largest number of Cells ever presented together. It also includes important works from previous decades that led to the development of the series. This comprehensive survey brings to light key aspects of Bourgeois’s thinking about space and memory, the body and architecture, and the conscious and the unconscious.

Louise Bourgeois: Structures of Existence; The Cells is organized by Haus der Kunst, Munich, in collaboration with the Guggenheim Museum Bilbao.

Image: Louise Bourgeois inside (Articulated Lair). (Coll.: MoMA, New York) in 1986. Photo: © Peter Bellamy© The Easton Foundation / VEGAP, Madrid

23
Mar

XVI Biennale Donna. SILENCIO VIVO – Artiste dall’America Latina

XVI Biennale Donna

SILENCIO VIVO
Artiste dall’America Latina

A cura di Lola G. Bonora e Silvia Cirelli

Ferrara, Padiglione d’Arte Contemporanea
17 aprile-12 giugno 2016

Dal 17 aprile al 12 giugno 2016, torna al Padiglione d’Arte Contemporanea di Ferrara la Biennale Donna, con la presentazione della collettiva SILENCIO VIVO. Artiste dall’America Latina, curata da Lola G. Bonora e Silvia Cirelli. Organizzata da UDI – Unione Donne in Italia di Ferrara e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, la rassegna si conferma come uno degli appuntamenti più attesi del calendario artistico e dopo la forzata interruzione del 2014, a causa del terremoto che ha colpito Ferrara e i suoi spazi espositivi, può ora riprendere il proprio percorso di ricerca ed esplorazione della creatività femminile internazionale. Da sempre attenta al rapporto fra arte e la società contemporanea, la Biennale Donna intende concentrarsi sulle questioni socioculturali, identitarie e geopolitiche che influenzano i contributi estetici dell’odierno panorama delle donne artiste. In tale direzione, la rassegna di quest’anno ha scelto di spostare il proprio baricentro sulla multiforme creatività latinoamericana, portando a Ferrara alcune delle voci che meglio rappresentano questa eccezionale pluralità espressiva: Anna Maria Maiolino (Italia-Brasile, 1942), Teresa Margolles (Messico, 1963), Ana Mendieta (Cuba 1948 – Stati Uniti 1985) e Amalia Pica (Argentina, 1978).

SILENCIO VIVO riscopre le contaminazioni nell’arte di temi di grande attualità, interrogandosi sulla realtà latinoamericana e individuandone le tematiche ricorrenti, come l’esperienza dell’emigrazione, le dinamiche conseguenti alle dittature militari, la censura, la criminalità, gli equilibri sociali fra individuo e collettività, il valore dell’identità o la fragilità delle relazioni umane. L’esposizione si apre con l’eclettico contributo di Ana Mendieta, una delle più incisive figure di questo vasto panorama artistico. Nonostante il suo breve percorso (muore prematuramente a 36 anni, cadendo dal 34simo piano del suo appartamento di New York), Ana Mendieta si riconferma ancora oggi, a 30 anni dalla sua scomparsa, come un’indiscussa fonte ispiratrice della scena internazionale. La Biennale Donna le rende omaggio con un nucleo di opere che ne esaltano l’inconfondibile impronta sperimentale, dalle note Siluetas alla documentazione fotografica delle potenti azioni performative risalenti agli anni ’70 e ’80. Al centro, l’intreccio di temi a lei sempre cari, quali la costante ricerca del contatto e il dialogo con la natura, il rimando a pratiche rituali cubane, l’utilizzo del sangue – al contempo denuncia della violenza, ma anche allegoria del perenne binomio vita/morte – o l’utilizzo del corpo come contenitore dell’energia universale. Il corpo come veicolo espressivo è una caratteristica riconducibile anche nei primi lavori della poliedrica Anna Maria Maiolino, di origine italiana ma trasferitasi in Brasile nel 1960, agli albori della dittatura. L’esperienza del regime dittatoriale in Brasile e la conseguente situazione di tensione hanno influenzato profondamente la sua arte, spingendola a riflettere su concetti quali la percezione di pericolo, il senso di alienazione, l’identità di emigrante e l’immaginario quotidiano femminile. In mostra presentiamo una selezione di lavori che ne confermano la grande versatilità, dalle sue celebri opere degli anni ’70 e ’80, documentazioni fotografiche che lei definisce “photopoemaction” – di chiara matrice performativa – alle sue recenti sculture e installazioni in ceramica, dove emerge la sempre fedele attinenza al vissuto quotidiano, in aggiunta, però, all’esplorazione dei processi di creazione e distruzione alle quali l’individuo è inevitabilmente legato.Continue Reading..

19
Mar

Giuseppe Penone. Scultura

19 MARZO 2016 / 26 GIUGNO 2016
Il Mart dedica un’importante mostra a Giuseppe Penone (Garessio – CN, 1947), uno tra i maggiori protagonisti dell’arte italiana.
Fin dagli esordi Penone costruisce un discorso sulla scultura a partire dal rapporto con l’universo vegetale.  In occasione della mostra personale al Mart vengono presentate opere inedite e significative riletture di lavori storici in stretta relazione con gli ambienti del Museo. Sin dall’ingresso architettura e scultura si intrecciano esaltando le caratteristiche dell’una e dell’altra: l’espressività dello spazio e quella della materia, l’esperienza della luce e quella del volume. Nel cuore del Mart si inerpica un grande tronco bronzeo quasi a sfondare la struttura del Museo, mentre un marmo di quasi venti metri segna il centro di un percorso negli ampi spazi del secondo piano che per la prima volta vengono presentati come pura architettura libera da ogni muro. Attorno cresce un paesaggio empatico fatto di cortecce di bronzo, forme antropomorfe e gesti di piante, impronte degli alberi, vene del marmo, calchi di terra.

Si offre così al pubblico il denso vocabolario poetico di un artista che ha segnato un passaggio fondamentale nella storia dell’arte.

Inaugurazione
Sabato 19 marzo, ingresso gratuito dalle 18 alle 21
Info: eventi@mart.tn.it

MART Museo di Arte contemporanea di Trento e Rovereto
Corso Bettini 43
38068 Rovereto (TN)
Infoline 800 397760

ORARI
Mar-Dom 10-18
Venerdì 10-21
Lunedì chiuso

Immagine: Sigillo, 2012

18
Mar

L’occhio cinematico. Arti visive e cinema oltre la soglia del visibile

A Arte Invernizzi

Inaugurazione martedì 15 marzo 2016 ore 18.30

La galleria A arte Invernizzi inaugura martedì 15 marzo 2016 alle ore 18.30 la mostra L’Occhio Cinematico a cura del regista cinematografico e filmmaker Francesco Castellani.
La mostra indaga, secondo la personale visione del regista, possibili affinità concettuali ed espressive tra arti visive e cinema, utilizzando elementi specifici del linguaggio cinematografico come strumenti di analisi e lettura delle opere e compiendo scelte iconografiche alla ricerca di possibili connessioni, di relazioni profonde e non meramente formali tra i diversi linguaggi. Il fotogramma, il campo e fuori campo, la luce e le dinamiche ottico-fotografiche, il piano sequenza, il flashback, l’ellissi di montaggio, sono “arnesi tecnici” abituali del lavoro del regista, che vengono messi in gioco per progettare e sostanziare un “sistema di visione” delle opere esposte.
“Le opere di Nicola Carrino, Enrico Castellani, Alan Charlton, Carlo Ciussi, Gianni Colombo, Dadamaino, Riccardo De Marchi, Lesley Foxcroft, François Morellet, Mario Nigro, Pino Pinelli, Niele Toroni e Michel Verjux – come scrive Francesco Castellani nel catalogo – danno corpo alla struttura di questo tentativo di racconto di connessioni, relazioni, e consonanze tra i linguaggi. Un tentativo che nel mio primo approccio è iniziato pensando istintivamente al concetto di materia oscura.” (…) “Quando rifletto sugli artisti riuniti in questo progetto e su loro possibili relazioni con il cinema, non posso fare a meno di immaginarli come sperimentatori che con mezzi diversi dagli strumenti di laboratorio, cercano anch’essi la materia oscura: tentano cioè con il loro agire artistico di dare una forma visibile a ciò che si muove al di là della soglia del visibile, oltre il tempo e lo spazio convenzionali, fuori e dentro di noi, nella vastità dell’Universo come nel complesso labirinto del mondo interiore. Una ricerca questa, che condividono con i registi più coraggiosi.”
Le opere sono proposte in un “sistema di visione” articolato sui due piani della galleria, in tre “piani sequenza” (elemento linguistico per eccellenza della tecnica cinematografica) con l’intento di offrire una fruizione delle stesse come parte, ciascuna nella sua singolarità, di un continuum coerente e fluido, proprio come nel cinema il piano sequenza identifica una dinamica di continuità narrativa non interrotta da tagli di montaggio.Continue Reading..

14
Mar

OFFICINE SAFFI. Artista in residenza: Silvia Celeste Calcagno

Officine Saffi presenta la seconda edizione di Artista in Residenza proponendosi come centro di diffusione e promozione culturale e di produzione artistica. Anche quest’anno il progetto di Artista in Residenza nasce dalla collaborazione con il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza. Verranno ospitati gli artisti vincitori della 59ma edizione del Premio Faenza, ed in particolare Silvia Celeste Calcagno, vincitrice per la sezione over 40, Helene Kirchmair e Thomas Stollar vincitori ex aequo per la sezione under 40 e Nicholas Lees a cui è stato assegnato il Premio Cersaie.

Artista in Residenza si svolge negli spazi delle Officine Saffi, che comprendono la galleria d’arte, il Laboratorio, l’alloggio della residenza. È un’opportunità di scambio di saperi che coinvolge gli artisti ospiti e l’intera comunità. L’esito di questa osmosi è il progetto finale che verrà esposto alla fine del programma di residenze presso gli spazi della galleria Officine Saffi, nella mostra dedicata. Attraverso la residenza, l’artista ospite ha l’opportunità di entrare a far parte dell’ambiente circostante e della cultura locale, interpretando e incorporando questi nuovi stimoli attraverso il medium di elezione di Officine Saffi, la ceramica.

Il primo degli artisti a dare il via al programma è Silvia Celeste Calcagno che sarà presente alle Officine Saffi fino a metà marzo. Innocent, L’ultima cena è il titolo del progetto che la Calcagno ha scelto di sviluppare durante la sua permanenza a Milano.

“L’installazione Innocent è un lavoro concettuale, la sua incubazione coincide con l’invito in residenza. La notizia divide in due momenti l’esistenza dell’artista: il prima e il dopo. L’esistenza prima di ricevere l’invito e l’esistenza successiva alla notizia. Per questo, il concetto stesso di Residenza d’artista viene stravolto: l’opera porta in sé non solo l’esperienza vissuta in loco, ma anche le fasi antecedenti, che sono parte stessa del progetto. Il concept di Innocent è, ancora una volta, una registrazione meticolosa, puntuale, addirittura esasperata delle emozioni e dello stato d’essere dell’artista. Quando l’artista riceve l’annuncio, si trova nella propria casa, l’appartamento che è stato lo sfondo di numerose opere. Le cose, però, sono cambiate e l’ambiente, percepito un tempo come luogo ospitale, è divenuto estraneo. Il luogo non “è” in se stesso, ma esiste in base alle emozioni e allo sguardo dell’artista, il luogo “è” attraverso l’occhio di chi osserva. Il dolore per il mutamento di un ambiente violato, un tempo amato, viene sintetizzato attraverso un oggetto simbolo della vita quotidiana: il freezer. Una serie di constatazioni fotografiche, tradotte in ceramica secondo la tecnica sperimentale della fotoceramica ad alte temperature, inquadra l’interno di un freezer vuoto, le cui pareti sono divorate dal ghiaccio. Un’immagine, ripetuta in modo costante, attraverso scatti differenti l’uno dall’altro, pur se per particolari impercettibili, che simboleggia un dolore glaciale. I sentimenti lasciano posto a una morsa: un freezer trascurato, che nessuno sbrina da tempo; una casa vuota. Sino a un richiamo macabro: le celle dell’obitorio. La vita dell’artista è sospesa, come i fiori incastonati nel ghiaccio o nella resina. Tanto belli e integri, quando pietrificati. Il desiderio dell’arte, prima ancora dell’arte stessa, restituisce la vita. Un tepore salvifico può sciogliere il ghiaccio. Accade, così, un nuovo passaggio puramente concettuale: il corpo rinasce e diviene sacrificio nel senso etimologico del termine: “si fa sacro”. Al punto da offrirsi agli altri come un dono eucaristico. Allo stesso modo in cui le uova, che riportavano l’impronta di Piero Manzoni, venivano distribuite dall’artista, nelle sue performance, perché il pubblico se ne cibasse, mangiando la carne di Manzoni. La seconda fase di “Innocent” è la narrazione del sacrificio. È una sorta di “Ultima cena” laica quella narrata, dove la rinascita passa dal dono del proprio corpo: fotografie dedicate a parti intime del corpo – pelle, seni, capezzoli, pube, cosce – sono donate agli altri. Sono il risveglio della carne, divenuta sacra nella benedizione dell’arte, e offerta in un dono-sacrificio agli altri. Il soggiorno in Residenza costituisce la terza e ultima fase dell’installazione: la Resurrezione. Dopo la morte apparente del freezer, l’offerta eucaristica di sé, l’artista registra, ora, il ritorno alla vita. Il riappropriarsi del proprio corpo e dell’anima, alla ricerca di una unità fisico-spirituale, leit motiv del percorso artistico negli anni. Il “genius loci” – la vita in Residenza- è il momento concettuale dell’elaborazione di questo terzo momento. La constatazione del ritorno alla vita. Un video, un audio, forse nuove immagini.”Continue Reading..

01
Mar

Teoria ingenua degli insiemi

Teoria ingenua degli insiemi
Paolo Icaro
Bettina Buck, Marie Lund, David Schutter
a cura di Cecilia Canziani e Davide Ferri
30 gennaio – 26 Marzo 2016

P420 inaugura il nuovo spazio a Bologna in Via Azzo Gardino 9 con due mostre curate da Cecilia Canziani e Davide Ferri.
Un insieme è una qualunque collezione di oggetti della nostra intuizione o del nostro pensiero. Gli oggetti, detti elementi dell’insieme, devono essere distinguibili e ben determinati
G. Cantor, Teoria ingenua degli insiemi
Il modello di insieme sviluppato dal matematico tedesco Georg Cantor (1845 – 1918) elaborato alla fine del XIX secolo e fondamentale per lo sviluppo della matematica moderna, è una teoria che si basa sul concetto di appartenenza: un insieme è a tutti gli effetti una collezione di elementi distinti, con la particolarità che gli elementi dell’insieme possono essere, a loro volta, insiemi. E’ una teoria non riconducibile a concetti definiti, ma intuitiva e aperta al paradosso e alla contraddizione.

Teoria ingenua degli insiemi è un titolo per due mostre: un progetto espositivo di Paolo Icaro le cui opere sono state scelte per attivare un dialogo con una mostra che include lavori di Bettina Buck, Marie Lund e David Schutter.
Le due mostre si trovano a condividere lo stesso spazio, e una accanto all’altra, o, letteralmente, una dentro l’altra, possono dialogare per contrasti, o temporanee assonanze, portando alla luce richiami tra poetiche di artisti che appartengono a geografie e genealogie diverse. Somiglianze non sensibili che indicano preoccupazioni comuni restituite in forme differenti.

Teoria ingenua degli insiemi è dunque un’indagine sul lavoro di Paolo Icaro (Torino, 1936) condotta su un arco temporale molto ampio e declinata attorno all’opera Cardo e decumano (2010) che idealmente ri-orienta lo spazio espositivo e ne ripartisce i confini. Attorno a questa ossatura composta di due linee tratteggiate ortogonali, formate da variazioni numeriche di elementi modulari in ferro, si articola una progressione di opere non cronologica, con lavori appartenenti a periodi differenti. Così i Lunatici (1989) sono un campionario di azioni della mano su una porzione di materia data; Lassù: per un blu K (1990) è un lavoro in cui la misura del fare si distende fino a incontrare l’infinito in un punto; Esplosa (1990) è una scultura che disegna lo spazio, che “fa spazio”, anziché occuparlo; Numericals 1 – 10 (1978), in cui un danzatore interpreta liberamente una progressione numerica, è una performance in cui il corpo diventa materia scultorea.Continue Reading..

14
Feb

Goshka Macuga

Fondazione Prada presenta a Milano la mostra di Goshka Macuga “To the Son of Man Who Ate the Scroll” dal 4 febbraio al 19 giugno 2016 negli spazi del Podium, della Cisterna e della galleria Sud. Il progetto è stato ideato da Goshka Macuga che nella sua ricerca artistica ricopre i ruoli normalmente distinti dell’autore, curatore, collezionista, ricercatore e ideatore di mostre. Macuga descrive queste categorie normalmente associate alla sua pratica come definizioni che “descrivono e individuano la sua posizione all’interno di una tassonomia della storia dell’arte”. L’artista opera nel punto d’incontro tra discipline diverse come la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura e il design. Esplora le modalità e le motivazioni con cui ricordiamo eventi personali e culturali, concentrando l’attenzione sullo sviluppo di complessi sistemi di classificazione in grado di dare forma e tramandare la conoscenza, in tempi caratterizzati da una tecnologia in costante evoluzione e da una saturazione di informazioni.
“To the Son of Man Who Ate the Scroll”, concepito dall’artista per gli spazi della Fondazione Prada, esplora questioni fondamentali come il tempo, l’origine, la fine, il collasso e la rinascita. Osservando l’angoscia che accomuna l’umanità di fronte all’idea della propria estinzione, Macuga si pone un interrogativo essenziale: quanto è importante affrontare la questione della “fine” nel contesto della pratica artistica attuale? La capacità di pensare l’universo in maniera astratta e oggettiva e di concepire noi stessi come esseri umani ci permette di determinare l’epoca in cui viviamo come una delle molte ere dell’universo e di immaginare un’esistenza dopo di noi, un universo senza l’uomo. All’interno di questo scenario apocalittico, alcuni studiosi hanno riflettuto sul ruolo della tecnologia e dei robot come fattori che potenzialmente contribuiscono all’estinzione dell’umanità e alla loro successiva dominazione sul mondo. Il “man-made man” (l’uomo perfetto prodotto dall’uomo) potrebbe trasformarsi in una delle maggiori minacce nei confronti del suo stesso creatore e proprietario. Non a caso nel corso della storia il potere della tecnologia ha generato nell’uomo fantasie, preoccupazioni e paure, come dimostra l’invenzione di figure mitologiche quali Prometeo o di personaggi letterari come il mostro di Frankenstein.
La mostra di Macuga segna il culmine di una sua lunga e approfondita ricerca finalizzata a elaborare una metodologia di categorizzazione di materiali e informazioni attorno a questi temi. L’artista considera l’arte della retorica e la memoria artificiale come strumenti interconnessi, in grado di organizzare e far progredire la conoscenza. Concepita originariamente nell’antica Grecia, la retorica è stata celebrata nel Rinascimento non solo come una tecnica finalizzata alla formulazione di discorsi, dibattiti, ragionamenti, ma anche come uno strumento per organizzare le idee attraverso la costruzione della conoscenza e delle tecniche mnemoniche. L’Ars memorativa getta le basi della memoria artificiale estendendo e sviluppando la memoria naturale attraverso visualizzazioni complesse che richiamano informazioni specifiche. L’influenza di questa macro-struttura risuona nella mostra “To the Son of Man Who Ate the Scroll”, in cui sono inclusi riferimenti all’arte della retorica e alle tecniche mnemoniche. Continue Reading..

03
Feb

Alexander Calder. Performing Sculpture

11 November 2015 – 3 April 2016
Tate Modern, Level 3
Open daily from 10.00 – 18.00 and until 22.00 on Friday and Saturday

Tate Modern presents the UK’s largest ever exhibition of Alexander Calder (1898-1976). Calder was one of the truly ground-breaking artists of the 20th century and as a pioneer of kinetic sculpture, played an essential role in shaping the history of modernism. Alexander Calder: Performing Sculpture will bring together approximately 100 works to reveal how Calder turned sculpture from a static object into a continually changing work to be experienced in real time.

Alexander Calder initially trained as an engineer before attending painting courses at the Arts Students League in New York. He travelled to Paris in the 1920s where he developed his wire sculptures and by 1931 had invented the mobile, a term first coined by Marcel Duchamp to describe Calder’s motorised objects. The exhibition traces the evolution of his distinct vocabulary – from his initial years captivating the artistic bohemia of inter-war Paris, to his later life spent between the towns of Roxbury in Connecticut and Sachéin France.

The exhibition will feature the figurative wire portraits Calder created of other artists including Joan Miró 1930 and Fernand Léger c.1930, alongside depictions of characters related to the circus, the cabaret and other mass spectacles of popular entertainment, including Two Acrobats 1929, The Brass Family 1929 and Aztec Josephine Baker c.1929. Following a visit to the studio of Piet Mondrian in 1930,where he was impressed with the environment-as-installation, Calder created abstract, three-dimensional, kinetic forms and suspended vividly coloured shapes in front of panels or within frames hung on the wall. Red Panel 1936, White Panel 1936 and Snake and the Cross 1936 exemplify the artist’s continuous experimentation with forms in space and the potential for movement to inspire new sculptural possibilities. They will be shown together with a selection of other panels and open frames for the first time, illustrating this important moment in Calder’s development.

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02
Feb

DPI – Darkness Per Inch. Mustafa Sabbagh e Milena Altini

DPI – Darkness Per Inch
doppia personale di Mustafa Sabbagh e Milena Altini
dal 6 febbraio al 19 marzo 2016
Galleria Marcolini – Forlì

Il titolo accenna al monopolio cromatico del Nero nel lavoro presentato dai due artisti in Galleria Marcolini, dal 6 febbraio al 19 marzo 2016.
Le fotografie dalla matericità pittorica di Mustafa Sabbagh hanno quasi tutte una composizione tradizionale dalle reminiscenze religiose; l’artista italo-giordano ritrae contemporanee Madonne con Bambino e Pietà i cui corpi sporchi, imbevuti spesso di un materico colore petrolio, pulsano anche nell’immobilità delle loro pose.
Una donna bionda, di cui conosciamo il nome – come Francis Bacon ci confessava l’identità di chi ritraeva all’interno delle camere d’albergo, così Sabbagh ci fa conoscere i nomi dei suoi modelli, quasi sempre esplicitandoli nei titoli dei files – maneggia lo strumento ginecologico di dilatazione vaginale come se fosse una pistola. Ci ricorda che corpo e battaglia spesso sono sinonimi, e di come dolore e sofferenze siano connaturati e acquisiti tramite una condizione di genere, sessuale.
Paesaggi sublimi e romantiche contemplazioni naturali si alternano a ritratti non solo dall’invadente potenza estetica, ma anche provocatori. Innocenza e consapevolezza. William Blake e Bill Henson.  Ugualmente innocenti, indipendenti da ogni giudizio, e parimenti consapevoli, avvolgendosi potentemente su loro stesse, le Waiting Souls di Milena Altini sono un gruppo scultoreo di anime perfette, collegate nella loro unità di forme e di fine. Lembi di pelle di vitello e di agnello, sacri o sacrificali a seconda della loro latitudine di provenienza, dal movimento di una spirale e tono di un’ascesa. La Altini, percorrendo i gradienti di nero del derma delle sue anime, ne onora una immensa composta da mille altre sue simili, sul solco di una cucitura e di una necessità contingente, ma ancora incomprensibile.  Attraverso il linguaggio che più le si confà: la scultura. Parlando la lingua che meglio conosce: quella della pelle. Sfiorando corde note ad ogni essere umano, ma soprattutto ad ogni donna: quelle dell’attesa. Berlinde de Bruyckere ed Eva Hesse.
Fil rouge tra i due artisti, oltre al riferimento cromatico, è ovviamente il corpo o – ricordando Malaparte – la pelle, corpo livido e materia evocativa, e – parafrasando Bulgakov – la carne, il cui odore che si sente da lontano toglie significato anche all’atto di imparare a leggere.

Galleria Marcolini
via Francesco Marcolini 25/A – 47121 Forlì
Orari: mercoledì e giovedì, dalle 16.30 alle 19.30
venerdì e sabato, dalle 10 alle 13 e dalle 16.30 alle 19.30
visitabile anche su appuntamento
Info: +39 388 3711896 – info@galleriamarcolini.it

21
Gen

Sandra Vásquez de la Horra. El Canto del Desierto

Sandra Vásquez de la Horra
El Canto del Desierto

Inaugurazione 20 Gennaio 2016, ore 19
Opening January 20, 2016 at 7pm
20 Gennaio – 10 Marzo, 2016 / January 20 – March 10, 2016
Via Ventura, 3 Milan 20134 Italy

Prometeogallery è lieta di presentare la prima mostra personale in Italia di Sandra Vasquez de la Horra: El canto del desierto.
Le opere, disegni e sculture rievocano miti e leggende popolari che provengono dalla tradizione afro-latinoamericana della mitologia Yoruba e attingono al repertorio personale delle memorie e del vissuto dell’artista, in un alternarsi continuo di citazioni ed elementi che richiamano alla cultura europea da una parte e a quella latinoamericana dall’altra.
Nonostante abbia scelto l’Europa come sua patria elettiva l’ opera di Sandra Vasquez de la Horra è profondamente legata alla cultura e all’iconografia della sua terra di origine, il Cile.
Con la sua opera l’ artista intende superare il concetto di testimonianza storica e antropologica: esprime graficamente la complessità del proprio intimo, il senso di ambiguità, disegnando figure la cui identità resta intrappolata in una sorta di incompiutezza ; esseri morfologicamente e intimamente destabilizzanti all’occhio dello spettatore, situati tra il sogno e la visione, il sacro e il profano, a volte grotteschi e caricaturali, altre volte leggiadri e delicati.
Il processo di produzione dei suoi disegni è esso stesso molto suggestivo. L’artista immerge infatti i fogli di carta nella cera d’api, come fosse un rituale magico che rafforza il potere evocativo di ciò che è rappresentato, e conferisce all’immagine la sostanza materiale e il valore simbolico della reliquia e allo stesso tempo cristallizza il sentimento da cui scaturisce l’opera stessa.
La proiezione di un’immagine mentale, di un luogo dello spirito, diviene icona, capace di trascendere il sentimento individuale della sua indefinitezza sostanziale.Continue Reading..