Category: pittura

09
Mag

PROLOGUE

a cura di Alessia Carlino

Annalù,  Michelangelo Bastiani, Blue and Joy – Daniele Sigalot, Emanuela Fiorelli,  Micaela Lattanzio, Alessandro Lupi, Paolo Radi

Opening 17 maggio 2016 ore 19

18 maggio › 17 giugno 2016

SpazioMR arte e architettura presenta il nuovo progetto espositivo, sotto la curatela di Alessia Carlino, intitolato Prologue, che inaugurerà il prossimo 17 maggio.

Le opere di Annalù, Michelangelo Bastiani, Blue and Joy – Daniele Sigalot, Emanuela Fiorelli, Micaela Lattanzio, Alessandro Lupi e Paolo Radi saranno messe a confronto in un dialogo che analizza le molteplici declinazioni della materia organica, inorganica e digitale. Prologue è un itinerario visivo dedito alla narrazione di inediti metodi espressivi che creano il ritratto di un’inedita contemporaneità a cui afferiscono l’utilizzo eterogeneo di strumenti materici consacrati alla rappresentazione di un corollario estetico di matrice plastico – spaziale. Il corpus di opere selezionato costituisce un unicum nel suo genere, la nozione stessa di scultura viene declinata nella descrizione di forme originali, di materiali dalle molteplici funzioni e duttilità. Fili elastici, alluminio, supporti cartacei, pvc, perspex, resina, ologrammi digitali, ciascun elemento porta con sé l’idea di plasmare dimensioni percettive di una realtà formatasi all’interno di contesti sintetici dove vi è una sostanziale smaterializzazione del dato concreto. Al di là del visibile, ogni opera, genera l’occasione di articolare la materia attraverso la riproduzione di un dato sensibile mai univoco o scontato. L’ambiente viene decostruito attraverso assemblaggi di matrice architettonica, scrive Robert Morris nel suo celebre saggio intitolato Antiform: “La forma non è perpetuata dai mezzi ma dal mantenimento di fini idealizzati e separabili. È un’impresa antientropica e conservatrice. Essa spiega l’architettura greca che evolve dal legno al marmo e appare identica. La preservazione della forma è una sorta di idealismo funzionale”. In questo idealismo funzionale della forma è insita la ricerca estetica degli artisti coinvolti nel progetto espositivo. Micaela Lattanzio, nelle sue installazioni cartacee, dona al materiale una dignità scultorea, ogni suo lavoro è caratterizzato dalla forte duttilità a cui viene sottoposta la carta, nelle mani dell’artista essa diviene un tassello musivo, negli intagli, nelle geometrie assunte, ciascun frammento genera forme esclusive di un vocabolario corporeo ed unitario che dà vita a strutture molecolari, tessuti connettivi di conoscenza. I segni tridimensionali di Emanuela Fiorelli compongono identità plastiche che investono la superficie, la rendono tangibile allo sguardo. I fili elastici sviluppano intricati sentieri, labirinti percettivi che narrano la dialettica di una forma duratura e di un “pensiero indissolubilmente legato” che garantisce all’opera la “possibilità della sua esistenza”. Il diaframma siliconico è il campo d’indagine che investe l’opera di Paolo Radi.Continue Reading..

27
Apr

2050. Breve storia del futuro

La mostra prende il nome dall’omonimo libro di Jacques Attali, pubblicato nel 2006, nel quale l’autore ipotizza il futuro del mondo e della nostra società. Precedente presentata ai Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique a Bruxelles, la collettiva percorre le tematiche illustrate nel saggio di Attali in otto stazioni e attraverso circa 50 opere di artisti contemporanei internazionali.

Dipinti, sculture, foto, video, installazioni: 50 opere d’arte contemporanea di 46 grandi artisti internazionali, indagano il nostro futuro in una esposizione ispirata al saggio Breve storia del futuro di Jacques Attali (pubblicato nel 2006 e rieditato nel 2016 aggiornato ai nuovi scenari globali). La mostra, a cura di Pierre-Yves Desaive e Jennifer  Beauloye, presenta attraverso una selezione di opere recenti, il modo in cui gli artisti contemporanei osservano il presente per condurre una riflessione sul futuro così come esso si delinea ai nostri occhi. Conflitti globali, mutazioni genetiche, diseguaglianze sociale ed economiche, sfruttamento delle risorse naturali compongono il complesso panorama dei prossimi decenni; gli artisti di ‘’2050’’ interpretano queste tematiche complesse e invitano a ri-pensare il tempo che verrà con visioni anche costruttive e talvolta ironiche.

La mostra è promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale e la casa editrice Electa, in collaborazione con i Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique a Bruxelles dove il progetto ha preso vita con una doppia esposizione (Musées Royaux – Louvre) terminata a gennaio 2016. L’iniziativa fa parte del programma di ‘Ritorni al futuro’, il palinsesto culturale pensato per la primavera 2016 dal Comune di Milano che propone oltre cento appuntamenti tra mostre, concerti, spettacoli teatrali, proiezioni cinematografiche e incontri, con l’obiettivo di portare al centro della riflessione pubblica l’idea di futuro che abbiamo oggi, confrontandola con quelle che hanno abitato il pensiero creativo in altre stagioni della storia. Il percorso di mostra, diviso in 8 sezioni, è articolato intorno a diversi nuclei, liberamente ispirati agli interrogativi sviluppati nel saggio di Attali. Tutto ha inizio negli anni Ottanta a Los Angeles (evocata nei lavori di Chris Burden, Edward Burtynsky, Edward Ruscha, Tracey Snelling…), la città natale del microprocessore che, in arte, ha ispirato le sperimentazioni con il computer di Charles Csuri e Masao Kohmura. Al fermento della modernità della Silicon Valley, al consumismo e al capitalismo segue poi il declino dell’Impero americano, identificato in mostra con gli attentati dell’11 settembre 2001 nelle immagini di Wolfgang Staehle e Hiroshi Sugimoto; la tragica vicenda segna uno sconvolgimento politico su scala planetaria di cui ci parlano i lavori di Mark Napier, Alighiero Boetti, Mona Hatoum. Jacques Attali descrive in questa fase storica l’avvento di un “iperimpero” nel quale le diseguaglianze economiche diventano la norma, una tematica testimoniata nelle opere in mostra di AES+F, Andres Serrano, Aaron Koblin o Gavin Turk. L’iperimpero, nel quale anche il tempo diventa merce (con le opere di Gustavo Romano, Roman Opalka, On Kawara) e dove il corpo umano si trasforma per incontrare la macchina (i lavori di Stelarc, Hans Op de Beeck), si deve confrontare con molteplici calamità: sovraconsumo (John Isaacs), sovrapopolazione (Michael Wolf, Yang Yongliang) e sovrasfruttamento delle risorse naturali e inquinamento (Olga Kisseleva, Robert Mundt). Quando le tensioni nate da tali disequilibri diventano insostenibili, sopraggiunge l’“iperconflitto”, sempre nel pensiero di Attali, agevolato da un crescente accesso alle armi di distruzione di massa (Gregory Green) e sostenuto da ideologie religiose distorte (Al Farrow). A fianco di questa visione catastrofica, l’esposizione propone anche opere che fanno eco alla “iperdemocrazia” definita da Jacques Attali, la quinta ondata del futuro che potrebbe sfociare in un mondo migliore, così come lo evocano i lavori di Bodys Isek Kingelez, Mark Titchner, Gonçalo Mabunda, Jean Katembayi Mukendi o il progetto Little Sun.Continue Reading..

20
Apr

Anna Caruso. I Sillabari di Goffredo Parise

Studio d’Arte Cannaviello
5 maggio – 19 giugno 2016

L’esposizione presenta trenta opere – 15 tele, 1 libro disegnato e carte ad acrilico – dell’artista milanese dedicate al capolavoro dello scrittore veneto, nel trentennale della sua scomparsa.

Dal 5 maggio al 19 giugno 2016, lo Studio Cannaviello di Milano (piazzetta Bossi, 4) ospita la personale di Anna Caruso (Cernusco sul Naviglio, MI, 1980) che celebra Goffredo Parise (1929-1986), uno dei più lucidi intellettuali italiani del Novecento, a trent’anni dalla sua scomparsa. L’esposizione, curata da Flavio Arensi, propone trenta opere – 15 tele, 1 libro disegnato e carte ad acrilico – dell’artista milanese che s’ispirano e interpretano i Sillabari, il capolavoro dello scrittore vicentino, composto da una serie di racconti brevi dedicati a sentimenti umani “essenziali” che, disposti in ordine alfabetico, compongono una sorta di dizionario. La mostra di Anna Caruso prende spunto proprio da alcuni racconti di Parise, ma si muove intorno ai temi principali della sua produzione che contemplano la memoria, le immagini familiari, la rielaborazione della realtà come specchio dei sentimenti e delle esperienze personali. L’opera letteraria di Parise si fonde con le suggestioni pittoriche di Anna Caruso, prendendo spunto da alcuni stralci biografici dello scrittore, come il suo rapporto con l’artista e compagna Giosetta Fioroni, che compare anche in alcuni dipinti. La vita della Fioroni e di Parise si sommano dunque alle figure e alle apparizioni che da sempre animano il lavoro di Anna Caruso, arricchendola di elementi narrativi che sembrano riportar sempre a uno stato sospeso fra sogno e realtà.

Il catalogo, pubblicato dalle edizioni All around art, presenta i testi del curatore e di Lorenzo Respi.

Anna Caruso, nata a Cernusco sul Naviglio nel 1980 e laureata nel 2007 all’Accademia di Belle Arti di Bergamo, con indirizzo pittura e restauro, vive e lavora a Milano. Anna Caruso fa parte del gruppo “Nuova pittura italiana”, formatosi nell’ambito dello Studio d’Arte Cannaviello, che accoglie dieci promesse dell’arte italiana che, pur provenendo da differenti percorsi formativi, hanno trovato nella pittura la loro cifra espressiva più caratteristica. Nel 2015 è invitata al premio Fabbri “Un secolo di Amarena”; nel 2014 vince il premio speciale al Talent Prize ed è finalista al Premio Lissone, al Premio Terna e al Premio Arte Laguna; nel 2013 è finalista al Premio Arte Mondadori, al Premio Combat, e al Premio Bonatto Minella. Tra le personali più recenti si ricorda “Tetris” allo Studio d’Arte Cannaviello (Milano) nel 2014.

ANNA CARUSO. I Sillabari di Goffredo Parise
Milano, Studio d’Arte Cannaviello (piazzetta Bossi, 4)
5 maggio – 19 giugno 2016
Inaugurazione: 5 maggio ore 18.00
Orari: dal martedì al sabato, dalle 11.00 alle 19.00
Ingresso libero

Informazioni: tel. 02.84084647; info@cannaviello.net

Ufficio stampa
CLP Relazioni Pubbliche
Anna Defrancesco, tel. 02.36755700
anna.defrancesco@clponline.it

Immagine: Anna Caruso – ti chiamo io, acrilico su tela, 50x50cm, 2015

19
Apr

Thomas Demand: L’IMAGE VOLÉE

18 Mar – 28 Ago 2016
“L’image volée” è una mostra collettiva curata dall’artista Thomas Demand, ospitata in un ambiente allestitivo progettato dallo scultore Manfred Pernice. La mostra occupa i due livelli della galleria Nord e il Cinema della sede di Milano.

“L’image volée” include più di 90 lavori realizzati da oltre 60 artisti dal 1820 a oggi. L’intento di Thomas Demand è di indagare attraverso la mostra le modalità con cui tutti noi ci richiamiamo a modelli preesistenti e come gli artisti hanno sempre fatto riferimento a un’iconografia precedente per realizzare le proprie opere. Esplorando i limiti tra originalità, invenzioni concettuali e diffusione di copie, “L’image volée” si concentra sul furto, la nozione di autore, l’appropriazione e il potenziale creativo di queste ricerche. Il percorso espositivo presenta tre possibili direzioni d’indagine: l’appropriazione fisica dell’oggetto o la sua assenza, la sottrazione relativa all’immagine piuttosto che all’oggetto concreto e, infine, l’atto del furto attraverso l’immagine stessa. La mostra è stata concepita come un’esplorazione anticonvenzionale di questi temi, affrontati seguendo un approccio empirico. Piuttosto che una ricognizione enciclopedica, “L’image volée” offre una prospettiva inaspettata all’interno di un viaggio di scoperta e ricerca artistica. Nella prima sezione sono raccolte fotografie, dipinti e film in cui l’oggetto rubato o mancante diventa un corpo del reato o la scena del crimine. Ci sono opere che richiamano più direttamente l’immaginario criminale, come la denuncia incorniciata da Maurizio Cattelan – Senza titolo (1991) – a seguito di un furto di un’opera immateriale, o Stolen Rug (1969), un tappeto persiano rubato su richiesta di Richard Artschwager per la mostra “Art by Telephone” a Chicago. Inoltre sono presentati lavori che evocano l’assenza, risultato di un furto, come la tela di Adolph von Menzel Friedrich der Grosse auf Reisen (1854), mutilata per ricavarne ritratti di minori dimensioni. Altri lavori, invece, si basano su un processo di alterazione di opere d’arte preesistenti, come Richter-Modell (interconti) (1987), un quadro di Gerhard Richter trasformato in un tavolino da Martin Kippenberger e Unfolded Origami (2016) di Pierre Bismuth che realizza una nuova opera a partire da poster originali di Daniel Buren. Questi lavori approfondiscono la nozione del controllo dell’autore sulla propria opera. Nella seconda parte del percorso espositivo si analizzano le logiche dell’appropriazione all’interno del processo creativo. Si parte dall’idea di contraffazione e falsificazione, esemplificata dalle banconote riprodotte a mano dal falsario Günter Hopfinger, per poi approfondire le pratiche vicine alla cosiddetta Appropriation Art. In Duchamp Man Ray Portrait (1966) Sturtevant, ad esempio, rimette in scena il ritratto fotografico di Marcel Duchamp realizzato da Man Ray, sostituendosi sia all’autore sia al soggetto della fotografia. Altri artisti spingono la logica della contraffazione al limite, fino a impossessarsi dell’identità di un altro artista. Altre opere sono il risultato di alterazioni di lavori o immagini preesistenti come le défiguration di Asger Jorn o i collage di Wangechi Mutu, che includono illustrazioni mediche e disegni anatomici, e di artisti come Haris Epaminonda, Alice Lex-Nerlinger e John Stezaker che, nei loro lavori, inglobano cartoline, fotogrammi o immagini d’archivio. Altri autori come Erin Shirreff e Rudolf Stingel realizzano i loro dipinti o video usando come fonte una riproduzione fotografica di un’opera d’arte del passato. Questa sezione prosegue con un insieme di opere in cui gli artisti prendono in prestito l’elemento visivo da un altro medium o linguaggio, oppure realizzano un atto di decontestualizzazione dell’immagine stessa. Thomas Ruff in jpeg ib01 (2006) altera un’immagine estratta dal web, Anri Sala in Agassi (2006) esplora le potenzialità del mezzo filmico nel rivelare dinamiche temporali nascoste, Guillaume Paris nel video Fountain (1994) ripropone in loop una breve sequenza del film di animazione Pinocchio (1940). Il percorso espositivo al piano terra della galleria Nord include inoltre lavori scultorei di Henrik Olesen e nuove opere realizzate da Sara Cwynar, Mathew Hale, Oliver Laric e Elad Lassry. La terza parte della mostra è ospitata al livello interrato della galleria Nord, utilizzato per la prima volta come spazio espositivo. Continue Reading..

13
Apr

Carlo Alfano. La pienezza dell’assenza

Venerdì 15 aprile, alle ore 19, presso lo Studio Trisorio, in via Riviera di Chiaia 215 a Napoli, sarà inaugurata una mostra di Carlo Alfano dal titolo La pienezza dell’assenza, con opere di grandi dimensioni realizzate nel decennio 1980 -1990. In tutta l’opera di Alfano è costante una tensione a interrogarsi, a porre domande sul significato della rappresentazione, del dipingere e, in senso più filosofico, dell’esistenza umana. Nei suoi lavori la “temporalità” è intesa come autoriflessione della durata, come ricerca di uno spazio aperto dell’essere che divida il sé dall’altro. Questo tema è affrontato in particolare nei cicli Eco-Narciso, Eco-Discesa e Figure, di cui fanno parte le opere esposte in mostra. In Eco-Narciso, l’artista isola la figura di Narciso e, prescindendo dall’edonistico autocompiacimento del mito, cerca di cogliere l’esatto momento in cui, rispecchiandosi, la figura si scinde e diviene altro da sé, perdendo i propri confini spazio-temporali. La duplicità è infatti un concetto fondamentale nel lavoro di Alfano, come mostrano le figure spezzate di Eco-Discesa, il primo ciclo degli anni Ottanta. Qui il doppio non è mai inteso come somma, ma come condizione di ambiguità in cui giocano il reale e il suo riflesso. Tutto oscilla fra queste due dimensioni. L’eco è una voce che va oltre la sua sorgente d’origine ma che ha sempre bisogno di una fonte: così nel quadro le due parti staccate non possono agire autonomamente. Lo spazio nero ricorrente in queste opere dà forma visibile al concetto di profondità e sulla soglia insondabile compare la figura umana. La tela tagliata sembra indicare la frattura dell’individuo, poi ricomposta attraverso una fitta trama di fili. La scissione e la perdita di centralità dell’individuo sono rimarcate anche nei lavori successivi del ciclo Figure, dove i corpi si sdoppiano specularmente, si dividono o sono spesso rappresentati di spalle nell’atto di varcare una metaforica soglia, fino a smaterializzarsi in spazi cromaticamente densi, grigi e blu saturi, che li avvolgono.

La mostra si potrà visitare fino al 3 giugno 2016.Continue Reading..

12
Apr

Gabriella Ciancimino. La Stanza dello Scirocco

a cura di Daniela Bigi
dal 17 marzo al 12 maggio 2016

Prometeogallery di Ida Pisani è lieta di presentare la prima mostra personale di Gabriella Ciancimino, dal titolo LA STANZA DELLO SCIROCCO (THE ROOM OF SIROCCO).

“I wish I could’ve been a bird, so I could have flown back and forth between here and there to be with everyone”*. Lo scriveva intorno al 1920 una donna del Sud Italia che frequentava i più radicali ambiti politici newyorkesi. Gabriella Ciancimino, siciliana, prende in prestito queste righe anonime per introdurci alla sua Stanza dello Scirocco.

L’architettura settecentesca annoverava in Sicilia, nelle dimore aristocratiche di campagna, dei confortevoli ambienti sotterranei, spesso decorati, che nei periodi estivi costituivano il più accogliente rifugio per sfuggire al caldo torrido portato dai venti di sud-est. Erano dette “camere dello scirocco”, ove la temperatura si abbassava grazie alle correnti di aria fresca che si generavano con lo scorrere dell’acqua, reso possibile dal sistema idraulico arabo dei qanat. Erano stanze che offrivano un refrigerio e che Ciancimino richiama oggi come metafora di una condizione di libertà. L’artista conduce da tempo un’indagine intorno alle dinamiche di adattamento, di interazione e di auto-organizzazione dei flussi migratori di esseri umani e piante che legge come fenomeni di modificazione del paesaggio in virtù del loro oltrepassare i confini territoriali dei luoghi. Il paesaggio al quale pensa è essenzialmente un “luogo” di riflessione, ma anche di salvaguardia della memoria storica e insieme di azione collettiva. Il suo lavoro ha avuto luogo in paesaggi differenti, il Marocco, la Sicilia, la Turchia e racconta di “coloro che vengono da lontano” e arrivano in quelle città portuali che lungo i secoli hanno mantenuto la funzione di gate d’ingresso per i flussi migratori. Ad affascinarla è l’atteggiamento libertario di uomini, donne e organismi vegetali, dei quali cerca di rintracciare quelle micro-storie che, nel passato come nel presente, si possano ricollegare alla grande storia della resistenza, storica per gli uni, biologica per gli altri. A guidare questo nuovo progetto intervengono in particolare due input, il concetto di “ecologia sociale” formulato da Murray Bookchin nei primi anni settanta e perfezionato nei decenni successivi con progressivi sviluppi, e lo specifico concetto di “furor” che Giordano Bruno teorizza nei suoi Eroici Furori. È in queste pagine che Ciancimino incontra la spiegazione di quella concezione dell’amore “eroico”, dell’amore dell’uomo per la natura, che più si avvicina alla sua idea di “amore furioso”, quello che permette ai liberty flowers di resistere. I fiori resistenti, i Liberty Flowers, sono da anni al centro del suo operare, in termini sia di concentrazione figurale che di rimando simbolico. Sono i fiori delle piante endemiche, i fiori delle erbacce, che migrano, attecchiscono e crescono rigogliosi in terre sconosciute, lontani dai terreni di origine, in condizioni per lo più inospitali. Sono gli stessi fiori del terzo paesaggio, portatori di istanze di libertà e di resistenza. Un banner di seta con su scritto “The Liberty Flowers love to resist, the Resistant Flowers resist for love” accoglie lo spettatore all’ingresso della mostra e fornisce la chiave di lettura dei wall drawings, delle tele, dei disegni, della proiezione e delle sculture de La Stanza dello Scirocco (The room of Sirocco). L’artista l’ha pensata come una sintesi di pensiero ecologico, antropologico e libertario e l’ha realizzata attraverso un linguaggio che si muove contemporaneamente su più livelli, frutto a sua volta della contaminazione tra disegno, graffiti, graphic design, video e gli stilemi architettonici e decorativi che hanno intriso la cultura visiva siciliana dalla tradizione arabo-normanna fino al Liberty – uno stile, quest’ultimo, che nel suo ispirarsi alla natura e agli elementi strutturali che la intessono, viene assunto quasi con il valore dello slogan, viene scelto come angolazione privilegiata dalla quale guardare all’uomo. Le contaminazioni, le stratificazioni, le coesistenze si ritrovano innanzitutto nei disegni, The Flow of Flowers, in cui la sovrapposizione di differenti livelli grafici – ottenuti con matite, acquarelli, con texture derivate da inchiostro su bottoni di metallo come fossero timbri su carta – restituisce la ricchezza dei segni e degli immaginari delle tante culture che più o meno pacificamente si sono sedimentate in terra siciliana, ma anche, e su altri piani, nel bagaglio biografico dell’artista. Ma The Flow of Flowers non si può considerare soltanto un insieme di disegni, dobbiamo leggerlo come unpaesaggio storico, costruito accostando alcuni tra i più famosi poster delle rivolte susseguitesi tra il 1968 e la rivoluzione in Egitto. L’artista modifica l’iconografia del pugno chiuso che è presente nella maggior parte dei poster ruotandola in un gesto di offerta dell’adonis annua l., un fiore rosso proveniente dall’area mediterranea comunemente conosciuto come “Red Morocco”, un’erbaccia dissidente, che l’uomo ha combattuto fin quasi a portarla all’estinzione.

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11
Apr

La sfida di Aracne – Riflessioni sul femminile dagli anni ’70 a oggi

La sfida di Aracne – Riflessioni sul femminile dagli anni ’70 a oggi
a cura di Angela Madesani
NUOVA GALLERIA MORONE, Via Nerino 3, Milano
31 marzo | 13 maggio 2016
Inaugurazione: 31 marzo, ore 18
Orari: martedì – sabato, ore 11 – 19

Artisti: Mariella Bettineschi, Louise Bourgeois, Silvia Celeste Calcagno, Daniela Comani, Bruna Esposito, Inés Fontenla, Nan Goldin, Meri Gorni, Rebecca Horn, Julia Krahn, Maria Lai, Chiara Lecca, Annette Messager, Shirin Neshat, Gina Pane, Cindy Sherman, Chiharu Shiota, Fausta Squatriti

Nuova Galleria Morone presenta La sfida di Aracne Riflessioni sul femminile dagli anni ’70 a oggi, curata da Angela Madesani. Da sempre, le donne sono state considerate le fedeli rappresentanti della Terra, nostra Madre Natura e origine feconda. Intuitivamente percepiamo questa analogia come vera, come qualcosa che incarna una realtà evidente e ci parla direttamente dell’Essenza del Femminile… Un’esposizione complessa, che indaga i diversi linguaggi della contemporaneità artistica attraverso il lavoro di 18 artiste. La rassegna, che prende in esame oltre quarant’anni di storia dell’arte, non deve essere intesa come una collettiva con i lavori di sole donne, ma come una riflessione sul lavoro di artiste che hanno indagato approfonditamente il tema in oggetto. Dai lavori di Body Art di Gina Pane a Louise Bourgeois, che ha fatto, nel corso degli anni, di questo tema il fulcro della sua ricerca. In mostra saranno i lavori di alcune delle più importanti protagoniste dell’arte internazionale da Annette Messager a Rebecca Horn, da Cindy Sherman, Shirin Neshat, Nan Goldin a Bruna Esposito, che ha vinto il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia nel 1999. Una particolare attenzione sarà riservata a Maria Lai, una delle più intense artiste italiane della seconda parte del XX secolo, rappresentata dalla galleria, come pure Daniela Comani, che da oltre venticinque anni vive e lavora a Berlino e che si occupa di tematiche legate alla cultura di genere. Sono presenti opere di artiste di diverse generazioni, che hanno posto la loro attenzione su questo tema da Fausta Squatriti a Mariella Bettineschi ( con l’opera La vestizione dell’angelo del 1996), all’argentina Inès Fontenla, a Meri Gorni, il cui lavoro si pone a cavallo fra arte figurativa e letteratura, alle più giovani Chiara Lecca,Chiharu Shiota, Julia Krahn e Silvia Celeste Calcagno, vincitrice del Premio Faenza nel 2015. Il progetto deve essere inteso come dialogo tra i vari linguaggi espressivi della contemporaneità. Il titolo della mostra presenta un chiaro riferimento di natura mitologica, ad Aracne, abile tessitrice e ricamatrice che, conscia della sua bravura, ebbe l’ardire di sfidare la dea Atena in una pubblica gara. Un’ambiziosa e vittoriosa sfida, simile a quella proposta dalle artiste del mondo occidentale dal dopoguerra in poi, desiderose di conquistarsi un loro ruolo, ben al di là dei coercitivi limiti a loro attribuiti dalla società e dal mondo dell’arte sino a quel momento.

NUOVA GALLERIA MORONE
via Nerino n°3, 20123
Milano – Italy
T. 02 72001994
F. 02 72002163
info@nuovagalleriamorone.com

Reportage by amaliadilanno

 

30
Mar

Jorge Eleison. Bridging the gap

A cura di Davide Sarchioni

Opening: giovedì 31 marzo 2016 ore 18

Dal 1° aprile al 13 maggio 2016

Dal lunedì al venerdì dalle 10.30 alle 18

Sabato su appuntamento

MAAB Gallery. Michael Biasi, via Nerino 3, 20123 Milano

MAAB Gallery di Milano è lieta di presentare “Bridging the gap” la mostra dedicata a Jorge Eduardo Eielson (Lima 1924 – Milano 2006), quale omaggio a uno dei più grandi artisti peruviani contemporanei, visionario e poliedrico, che è riuscito ad abbracciare i linguaggi e gli strumenti delle arti visive e della letteratura, spaziando dalla performance all’assemblage, dall’installazione alla fotografia, al cinema, per esprimere la molteplicità del mondo.

Il progetto espositivo è incentrato sull’immagine e il significato dei celebri “nodi” che egli introduce progressivamente nei suoi lavori a partire dal 1963,  attraverso i quali approda a una vera e propria sintesi culturale, plastica, magica e simbolica. I nodi di Eielson, derivati da una personalissima elaborazione dell’antico linguaggio incaico dei “quipus”, costituiscono il punto di congiunzione fra la contemporaneità e il passato storico-artistico e antropologico precolombiano, diventando l’imprescindibile fondamento costitutivo del proprio sistema espressivo, quale nucleo estetico e semantico di un codice linguistico nuovo ed estremamente attuale. Essi sono il risultato di una torsione, del piegarsi della tela su se stessa, di una  tensione fisica che è prodotta da un gesto esistenziale, dando luogo ad un complesso insieme di significati e di simbologie. In ogni lavoro il “nodo” è formulato attraverso molteplici e sorprendenti variazioni che esercitano  altrettante tensioni per descrivere possibili traiettorie e creare spazi dinamici ed estroflessioni, ora acquietati nella calma del monoscromo, ora più complicati e perturbati da una successione di annodamenti, con fasci di tessuti attorcigliati, che producono interessanti e vivaci giochi plastici e cromatici. Il “nodo”, l’antico segno quechua, diventa così epicentro di energie e qualità differenti, struttura archetipica capace di suscitare forme spaziali in cui elementi diversi sono legati in un processo in continua evoluzione per congiungere gli opposti e colmare le distanze tra ambiti apparentemente inconciliabili, tra ricerca materiale e quella metafisica, ovvero tra la componente oggettuale e concreta del suo lavoro, che occupa lo spazio della superficie della tela, e quella mentale, metaforica e filosofica. In mostra una scelta di lavori diversi per tipologia, forme e dimensioni, fra i quali “Camicia” del 1963, alcuni “Quipus” monocromi e colorati degli anni ’60 / ’70, gli annodamenti della serie “Amazzonia” del 1978-79, fino al grande “Disco Terrestre” del 1989.

Sarà disponibile una pubblicazione con testo Italiano / Inglese di Davide Sarchioni.Continue Reading..

25
Mar

UGO LA PIETRA. Cinque verdi urbani

04 aprile 2016 – 04 maggio 2016
Brunch: domenica 10 aprile 2016, ore 11.00 – 15.00
Galleria Bianconi, Via Lecco 20 – 20124 Milano

PROROGATA fino al 13 maggio 2016

In occasione di Miart 2016, lunedì 4 aprile la Galleria Bianconi inaugura la mostra personale di UGO LA PIETRA dal titolo Cinque verdi urbani. Articolata in un ricco repertorio di dipinti, disegni, fotomontaggi e sculture in ceramica, l’esposizione è una sorta di summa summarum sul tema del verde urbano, domestico ed extraurbano che l’autore ha sviluppato dal 1980 al 2016.
Fin dai primi anni Ottanta, Ugo La Pietra ha concentrato una buona parte del suo lavoro di ricerca nel tentativo di coniugare la concettualità – che aveva contraddistinto il suo percorso nel ventennio Sessanta/Settanta – con la crescita di un sempre maggiore sviluppo della spettacolarità. Negli ultimi trent’anni il suo approccio tecno-poetico è infatti caratterizzato da queste due categorie che prendono a modello il “giardino del Settecento”, a volte in modo diretto ma più spesso come riferimento ideale, in quanto «luogo per una piacevole sosta (spettacolarità) e per la contemplazione (concettualità)».
Tenendo fede al suo impegno di operare al di fuori della logica dei sistemi prestabiliti, nel 1985 Ugo La Pietra è arrivato a concepire Il giardino delle delizie, proposizione che si confronta oggi con un’interpretazione critica e radicale del verde urbano presente nelle nostre città. Per esempio, il suo Bosco in città si pone come valida alternativa al “giardino verticale”, mentre gli Orti urbani sono un invito a coltivare i tanti spazi disponibili nei centri abitati; anche nei suoi Erbari e nei Transgenici affiora la volontà di trovare soluzioni progettuali imprevedibili ma sempre plausibili nei confronti del paesaggio metropolitano.
I cinque verdi urbani individuati dall’autore corrispondono alle serie Colti dal mio giardino (verde numero uno), Erbario: libri aperti (verde numero due), Orti urbani / bosco in città (verde numero tre), Il giardino delle delizie (verde numero quattro), Transgenici (verde numero cinque). Ogni serie corrisponde ad altrettante esplorazioni/riflessioni sul verde con cui l’autore intende tracciare una geografia di luoghi da lui stesso osservati e descritti con proverbiale eleganza e ironia. Si tratta di realtà fisiche riproposte attraverso segni e sperimentazioni che superano la ricerca della dimensione puramente estetica per denunciare una società che dovrebbe imparare ad abitare con il verde.

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23
Mar

XVI Biennale Donna. SILENCIO VIVO – Artiste dall’America Latina

XVI Biennale Donna

SILENCIO VIVO
Artiste dall’America Latina

A cura di Lola G. Bonora e Silvia Cirelli

Ferrara, Padiglione d’Arte Contemporanea
17 aprile-12 giugno 2016

Dal 17 aprile al 12 giugno 2016, torna al Padiglione d’Arte Contemporanea di Ferrara la Biennale Donna, con la presentazione della collettiva SILENCIO VIVO. Artiste dall’America Latina, curata da Lola G. Bonora e Silvia Cirelli. Organizzata da UDI – Unione Donne in Italia di Ferrara e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea di Ferrara, la rassegna si conferma come uno degli appuntamenti più attesi del calendario artistico e dopo la forzata interruzione del 2014, a causa del terremoto che ha colpito Ferrara e i suoi spazi espositivi, può ora riprendere il proprio percorso di ricerca ed esplorazione della creatività femminile internazionale. Da sempre attenta al rapporto fra arte e la società contemporanea, la Biennale Donna intende concentrarsi sulle questioni socioculturali, identitarie e geopolitiche che influenzano i contributi estetici dell’odierno panorama delle donne artiste. In tale direzione, la rassegna di quest’anno ha scelto di spostare il proprio baricentro sulla multiforme creatività latinoamericana, portando a Ferrara alcune delle voci che meglio rappresentano questa eccezionale pluralità espressiva: Anna Maria Maiolino (Italia-Brasile, 1942), Teresa Margolles (Messico, 1963), Ana Mendieta (Cuba 1948 – Stati Uniti 1985) e Amalia Pica (Argentina, 1978).

SILENCIO VIVO riscopre le contaminazioni nell’arte di temi di grande attualità, interrogandosi sulla realtà latinoamericana e individuandone le tematiche ricorrenti, come l’esperienza dell’emigrazione, le dinamiche conseguenti alle dittature militari, la censura, la criminalità, gli equilibri sociali fra individuo e collettività, il valore dell’identità o la fragilità delle relazioni umane. L’esposizione si apre con l’eclettico contributo di Ana Mendieta, una delle più incisive figure di questo vasto panorama artistico. Nonostante il suo breve percorso (muore prematuramente a 36 anni, cadendo dal 34simo piano del suo appartamento di New York), Ana Mendieta si riconferma ancora oggi, a 30 anni dalla sua scomparsa, come un’indiscussa fonte ispiratrice della scena internazionale. La Biennale Donna le rende omaggio con un nucleo di opere che ne esaltano l’inconfondibile impronta sperimentale, dalle note Siluetas alla documentazione fotografica delle potenti azioni performative risalenti agli anni ’70 e ’80. Al centro, l’intreccio di temi a lei sempre cari, quali la costante ricerca del contatto e il dialogo con la natura, il rimando a pratiche rituali cubane, l’utilizzo del sangue – al contempo denuncia della violenza, ma anche allegoria del perenne binomio vita/morte – o l’utilizzo del corpo come contenitore dell’energia universale. Il corpo come veicolo espressivo è una caratteristica riconducibile anche nei primi lavori della poliedrica Anna Maria Maiolino, di origine italiana ma trasferitasi in Brasile nel 1960, agli albori della dittatura. L’esperienza del regime dittatoriale in Brasile e la conseguente situazione di tensione hanno influenzato profondamente la sua arte, spingendola a riflettere su concetti quali la percezione di pericolo, il senso di alienazione, l’identità di emigrante e l’immaginario quotidiano femminile. In mostra presentiamo una selezione di lavori che ne confermano la grande versatilità, dalle sue celebri opere degli anni ’70 e ’80, documentazioni fotografiche che lei definisce “photopoemaction” – di chiara matrice performativa – alle sue recenti sculture e installazioni in ceramica, dove emerge la sempre fedele attinenza al vissuto quotidiano, in aggiunta, però, all’esplorazione dei processi di creazione e distruzione alle quali l’individuo è inevitabilmente legato.Continue Reading..