Category: pittura

08
Ott

FABIO MAURI. Arte per legittima difesa

A cura di: Giacinto Di Pietrantonio

Dal 7 ottobre 2016 al 15 gennaio 2017 la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo presenta una personale dedicata a Fabio Mauri (Roma, 1926–2009), tra gli artisti più rilevanti della scena italiana a partire dagli anni Sessanta.

Maestro della Nuova Avanguardia Italiana e fondatore di alcune delle riviste più interessanti e programmatiche che alimentarono il dibattito in quegli stessi anni, Mauri interagì con figure del calibro di Italo Calvino, Umberto Eco e Pier Paolo Pasolini, e intraprese una ricerca artistica che si interrogava e permetteva al pubblico di interrogarsi su alcune questioni centrali della nostra esistenza e cultura, soprattutto sull’utilizzo del linguaggio quale meccanismo manipolatorio da parte del potere politico e mediatico.
Fin dall’inizio della sua produzione, infatti, il lavoro di Mauri si concentra attorno al dibattito sulla cultura dell’immagine e del linguaggio come mezzo di consumo dell’industria culturale, essedo l’artista, per lui, non un semplice “fabbricante di immagini”, ma un intellettuale in movimento, capace di esprimersi nel mondo; un concetto, questo, da cui prendono forma la sua poetica e l’intera sua opera.

Il percorso espositivo, sviluppato in quattro sale, annovera alcuni lavori storici degli anni Sessanta e Settanta, opere degli anni Novanta e dei primi anni Duemila che includono installazioni, fotografie, oggetti, opere su carta e tracciano un excursus esaustivo della ricerca artistica di Fabio Mauri; una selezione di opere volta ad abbracciare cinquant’anni di lavoro dell’artista, presentando al pubblico alcune tematiche fondanti della sua poetica: Diritti, Identità, Ideologia, Linguaggio, Narrazione e Tempo.

Tra questi, i lavori su cui campeggia protagonista la scritta “FINE” o “THE END”, un termine che Mauri ha utilizzato più volte negli anni – a partire dalla fine degli anni Cinquanta – e in varie declinazioni tipografiche, con l’intento di sottolineare un diverso aspetto estetico formale che profetizza l’idea di crisi, vista non come un elemento negativo, bensì come un’opportunità per chiudere con il passato e affacciarsi a un nuovo inizio.
La prima volta, “THE END” compare scritta su uno schermo (l’opera Schermo-disegno del 1957), un mezzo che diviene nel tempo un segno distintivo della ricerca di Mauri, forma tangibile della memoria e della coscienza, che permette di individuare un modo comune di leggere la realtà. Lo schermo bianco diviene infatti campo neutro, uno spazio libero su cui lo spettatore può proiettare i propri significati, lasciando l’opera aperta a molteplici interpretazioni. Anche la stessa parola “fine” ne ha, per Mauri, almeno due, a seconda dell’articolo che anteponiamo ad essa: la fine, intesa come termine, chiusura e dunque volta al passato, o il fine, ovvero scopo, apertura e dunque volta al futuro.Continue Reading..

08
Ott

Panem Et Circenses. Il Cibo Uccide

A cura di Barbara Fragogna

8 – 31 ottobre 2016

Inaugurazione sabato 8 ottobre ore 19

La Fusion Art Gallery presenta IL CIBO UCCIDE, prima mostra personale del collettivo artistico Panem Et Circenses formato da Ludovico Pensato e Alessandra Ivul nel 2012 a Berlino e ora di sede a Bologna dove, dopo aver vinto il bando comunale “Incredibol!” ha fondato il CACCA (Centro di Arte Contemporanea sulla Cultura Alimentare). La mostra che rientra nel nuovo progetto COLLAcontemporary e nel circuito di NEsxT, Independent Art Network, sarà arricchita da due eventi speciali di cui un evento performativo il 16 ottobre per la Giornata Mondiale dell’Alimentazione e il 27 ottobre con una presentazione del progetto CACCA.

Il Cibo Uccide non è una provocazione

di Barbara Fragogna

Periculosius solet esse malum, quia non sentitur.

I mali che non si avvertono sono i più pericolosi. – Erasmo da Rotterdam

IL CIBO UCCIDE non è una provocazione, la ripetizione e le lettere capitali sono propiziatorie.

Il collettivo Panem Et Circenses (PEC) (Ludovico Pensato e Alessandra Ivul) considera, sintetizza, produce con estrema arguzia, con brillante e ironica intelligenza i fatti esistenziali che affliggono il quotidiano gravido di eventi ed opinioni e che poi, attraverso la metafora del cibo (in presenza e/o assenza) vengono processati sotto forma di oggetti, azioni performative, installazioni definite “pratiche relazionali”. La relazione con l’altro è lo specchio in cui la coppia diventa l’Altro Sociale, in un’analisi acuta ed osmotica che ne scruta i comportamenti reinterpretandoli. Sono attori in prima persona che impersonificano la (Dramatis) Personae, la maschera conformista che denunciano ed espongono. Sono l’incarnazione dell’opposto, l’incastro, la coppia che riflette e che talvolta acceca. Il cervello astratto di PEC è un lungo intestino neuronale attraverso il quale si snodano le tappe fondamentali del pensiero fisico/metafisico, un’instancabile fluire alla ricerca di una collocazione, di una filosofia, di uno sbocco, della critica, di una risposta deiettiva.

Panem Et Circenses, a cominciare dal nome che hanno scelto per rappresentarsi, non si sprecano in mezzi termini, sono sagaci, ponderano il contemporaneo, lo metabolizzano e il rigurgito che ne deriva è appetitoso, esteticamente bramabile, senza dubbio edibile e, se efficacemente assimilato, sarà causa auspicabile di riflusso. Un banchetto irrinunciabile che acidifica il segno, una scossa emotiva attivatrice di sinapsi che non possiamo certo ignorare e sulle quali saremo costretti a elucubrare attivamente.

Il “dispositivo” (che è proprio un “innesco”) si colora di pop, neon, pattern, è bianco e nero pesante, è natura-terra-bestia vegetale, è minimal e barocco, è storia e rito ancestrale, è un sospiro mozzato che sfocia nel riso imbarazzato. Il dispositivo costringe e libera, intasa ed espelle. Il dispositivo è peristalsi.

Panem Et Circenses rifiuta il pro-forma, la retorica e il cicisbeismo del cibo alla moda che non è più nutrimento (da qualsivoglia lato) ma che è “food” griffato, moda e voga e vezzo, mezzucolo speculativo, è patina micronica tutta glitter & gloss, è pornfood e instagramigna ed è proprio per questo che PEC è peristalsi che espelle la pietra filosofale ed è esattamente per questo motivo che il “rifiuto” che nasce dal confronto sarà terra fertile di un avvenire umano sempre a breve termine ma forse un po’ più ponderato.

DICONO DI SÉ

Panem Et Circenses è un collettivo artistico fondato da Ludovico Pensato e Alessandra Ivul nel 2012 a Berlino.

Panem Et Circenses utilizza le pratiche di partecipazione per indagare le relazioni che si attivano attraverso cibo.

Significa che progettiamo e realizziamo opere partecipate (installazioni, performance) in cui il cibo è uno strumento simbolico e significativo che viene inserito site specific.

Significa che il cibo c’è (spesso) ma può anche non esserci.

Il cibo, come elemento sia materico che simbolico, è un potente dispositivo che mette in relazione la sfera naturale e quella culturale, entrambe presenti nella dimensione umana nella quale viviamo ogni giorno.Continue Reading..

07
Ott

Victor Burgin. Dear Urania

La Galleria Lia Rumma di Napoli è lieta di annunciare la mostra di Victor Burgin dal titolo “Dear Urania” che inaugurerà domenica 16 ottobre 2016.

Artista e accademico, autore di saggi fondamentali sulla fotografia e sulla teoria dell’arte, Burgin è un indiscusso protagonista dell’arte concettuale. Se negli anni Settanta il suo lavoro indagava il rapporto tra immagine e testo (Galleria Lia Rumma, Napoli 1972), successivamente l’artista prende ad analizzare il territorio complesso tra immagine fissa e in movimento. La sua opera indaga la natura dell’immagine, ma ne decodifica i termini dominanti della rappresentazione. I suoi lavori più recenti sono prodotti con software per la creazione di giochi virtuali: un mezzo che gli consente di condurre l’immagine verso il suo stato che è essenzialmente virtuale. Le sue mostre, come ha sovente dichiarato, sono una risposta al luogo e alle città in cui viene invitato e alle suggestioni, alle associazioni mentali che da esse scaturiscono.
Per Dear Urania, più specificamente, il movente va cercato in Relazione del primo viaggio alla Luna fatto da una donna nell’anno di grazia 2057, un breve pamphlet scritto nel 1857 dal matematico e astronomo Ernesto Capocci di Belmonte (1798 – 1864), direttore della Specola di San Gaudioso, l’attuale Osservatorio Astronomico di Capodimonte. Nel pamphlet che, va detto, precede di circa dieci anni le ben più famose e immaginifiche pagine di Jules Verne, la protagonista, Urania, con una lunga lettera dalla Luna scrive alla sua amica Ernestina sulla Terra i “particolari più bizzarri di questo meraviglioso viaggio”. Dear Urania è la “reazione” a quella lettera. Con una suggestiva e intricata moltiplicazione spazio-temporale, che scivola tra passato e futuro prossimo, da Napoli all’America, dalla Luna alla Terra e ritorno, Burgin non trascrive, solo, il contenuto della lettera di Ernestina, ma immagina le circostanze in cui la donna ha scritto. Due video proiezioni – la prima delle quali mostra la luna nelle sue diverse fasi, la seconda che presenta sotto forma di didascalie le parole di Ernestina che si alternano al movimento della camera in un loft quasi vuoto – sono accompagnate dalle Pagine dallo Sketchbook di Ernestina Capocci e da due serie fotografiche, (Basilica I e Basilica II) che suggeriscono un’analogia tra il territorio lunare e quello di Pompei.
Victor Burgin (Sheffield, England, 1941) è uno dei più eminenti artisti accademici del nostro tempo. Studia pittura al Royal College of Art di Londra (1962-65) e Filosofia a Yale (M.F.A., 1967). Attualmente è Professore Emerito di “History of Consciousness” presso l’Università della California, Santa Cruz ed Emerito “Millard Chair of Fine Art” al Goldsmiths College, University of London. E’ presente in importanti istituzioni quali The Metropolitan Museum and the Museum of Modern Art, New York; Corcoran Gallery, Washington DC; Museum of Contemporary Art e LA County Museum of Art, Los Angeles; The Walker Art Center, Minneapolis; The Tate Gallery, Tate Modern, e il Victoria and Albert Museum, di Londra; Centre Georges Pompidou, Parigi. È autore di numerosi volumi che hanno notevolmente segnato il dibattito critico non solo americano. Ne ricordiamo alcuni: Thinking Photography (1982), Between (1986), The End of Art Theory: Criticism and Postmodernity (1986), In/Different Spaces: Place and Memory in Visual Culture, Shadowed (1996); The Remembered Film (Reaktion, 2004); Situational Aesthetics (Leuven University Press, 2009); Parallel Texts: interviews and interventions about art (Reaktion, 2011)Continue Reading..

05
Ott

Anna Caruso. Sei se ricordi

a cura di Lorenzo Respi

inaugurazione: giovedì 6 ottobre 2016 ore 18.30 fino al 12 novembre 2016

Anna Marra Contemporanea è lieta di presentare Sei se ricordi, prima mostra personale a Roma di Anna Caruso, curata da Lorenzo Respi.
La mostra, che inaugura giovedì 6 ottobre 2016, accoglie undici dipinti inediti della produzione più recente dell’artista milanese. Dagli acrilici su tela del 2014, sino alle opere realizzate ad hoc per l’occasione. Fin dagli esordi Anna Caruso ha intrapreso un’intensa ricerca pittorica che l’ha costretta a confrontarsi con se stessa e a prendere coscienza di “essere fatta” di ricordi, di esperienze e di inquietudini. L’artista racconta da sempre la sua storia sulla tela, in modo enigmatico e quasi ossessivo, trasferendo su di essa gli affioramenti delle memorie più intime. La componente temporale è, quindi, necessaria ed essenziale per comprendere l’impianto narrativo complesso e l’iconografia sofisticata che caratterizzano i suoi dipinti: il filtro del tempo, trascorrendo inesorabile, allontana ciascuno di noi dall’”essere stato” e trasforma così le vicende autobiografiche in una riflessione più universale sul senso della memoria.

Ogni tela è un intreccio di storie diverse, ogni tela è un palinsesto di frammenti di vita, ogni tela riporta i confini pittorici delle cesure del tempo.
Anna Caruso cerca costantemente di ricomporre, ricostruire e razionalizzare il proprio vissuto alla ricerca di certezze che, paradossalmente, il destino non le permetterà mai di avere. Tutto si raffredda, si congela l’attimo. Ecco, quindi, che per trovare questa certezza negata si rifugia nella pittura, dove nella composizione del quadro ricrea il suo mondo ideale, che protegge i ricordi belli e allontana quelli brutti, che fa i conti con il passato e interroga il futuro, consapevole che è un’illusione.

La scelta dei colori e il loro accostamento, la sovrapposizione delle immagini – uomini, donne, bambini e animali – le architetture astratte invasive e i boschi misteriosi in secondo piano, e perfino i titoli delle opere – tra cui, (fotografie) in mancanza d’altro (2016), Senza domande si apre il bosco (2016), Il lutto di ciò che perderemo (2016) -, sono i pezzi di un puzzle mentale che il visitatore della mostra deve pazientemente rimettere insieme per comprendere l’intimo messaggio esistenziale che Anna Caruso vuole trasmettere senza svelarcene immediatamente il senso.

La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Gangemi Editore con testo del curatore e sarà visibile fino al 12 novembre 2016.Continue Reading..

28
Set

Sophie Ko. Terra. Geografie temporali

TERRA – GEOGRAFIE TEMPORALI – 8 OTTOBRE 2016

Sabato 8 ottobre alle ore 18.00 lo spazio della Galleria de’ Foscherari di Bologna si apre per ospitare la mostra personale di Sophie Ko Chkheidze (Tbilisi, 1981) artista georgiana che vive e lavora a Milano.

In questa mostra a cura di Federico Ferrari sono presentati i seguenti lavori: Kaspar Hauser, L’uomo accende a se stesso una luce nella notte, Atlanti (polittico), Terra (polittico). Tutte le opere esposte sono Geografie temporali (a eccezione di Kaspar Hauser) ovvero quadri fatti di cenere di immagini bruciate o di pigmento puro che costituiscono il momento più intenso della riflessione poetica dell’artista sulle immagini. L’intera opera di Sophie Ko è incentrata sul senso delle immagini nella nostra vita e le Geografie temporali per la forza espressiva e per l’essenzialità della potenza figurativa entrano in dialogo con alcuni momenti fondativi della storia (e della pre-istoria) dell’arte.

Abbi cura della (tua) cenere – Le immagini vivono nel tempo, ne sono silenziose testimoni; le immagini scompaiono, ritornano nel tempo e al tempo sopravvivono. Le immagini portano con sé anche un proprio tempo: le immagini parlano del tempo che vivono, ci mostrano la loro scomparsa, la loro coriacea resistenza o addirittura una gloriosa rinascenza nella furia distruttiva della storia. Ma forse ciò che non sappiamo più riconoscere è l’estasi delle immagini, il loro (e con loro, noi) stare al di fuori del tempo. Come scrive Federico Ferrari, «quando tutto nel nostro tempo sembra diventato calcolabile, determinabile, dipendente dalla volontà umana, l’opera d’arte rende al mondo la possibilità che appaia l’ignoto». L’ignoto è elusione al mero funzionamento, immaginazione, azione libera. Lo stupore primordiale dell’uomo davanti all’essere ha nell’immagine la sua espressione più alta. Sotto questo aspetto l’immagine è l’annullamento dei limiti ordinari delle cose per portare alla luce la domanda dinanzi al puro che c’è. Nella nostra epoca tutto è divenuto immagine e proprio per questo noi siamo divenuti i più ciechi e i più incapaci di comprenderne il senso. Nel momento in cui lo spettacolo è allo stesso tempo il progetto e il risultato del sistema di produzione e di comunicazione, le immagini non ci dicono più nulla: semplicemente funzionano. Che cosa resta delle immagini quando se ne è fatto scempio? Cenere e colore. Da qui traggono origine le immagini di Sophie Ko. Così le Geografie temporali sono un ritorno alla domanda originaria dell’uomo dinanzi all’immagine, un retrocedere alla dimensione primordiale ed essenziale del fare immagine, nell’attimo della massima usura delle immagini. Le Geografie temporali sono un insistere sulla essenza delle immagini che da sempre interpella l’artista al di là di ogni linearità temporale della storia dell’arte. Come scrive Federico Ferrari in Finis initium «la cenere è quel che resta, quel che ci resta» di tutta la tradizione di immagini del passato. Le opere in mostra Kaspar Hauser, L’uomo accende a se stesso una luce nella notte, Atlanti, Terra – rispetto al nostro abituale rapporto con le immagini fatto di «nichilismo passivo», di incapacità persino di avere cura delle proprie ceneri – sono una forma di pietas per le immagini e per noi stessi. Una Geografia temporale ci interpella: «Abbi cura della tua cenere».Continue Reading..

22
Set

René Magritte. La trahison des images

21 September 2016 – 23 January 2017
from 11h00 to 23h00
Galerie 2 – Centre Pompidou, Paris

Every day from 11 a.m. to 9 p.m. (except Tuesdays)

Late night opening till 11 pm: Thursdays and Mondays from October 3

The exhibition “Magritte: La trahison des images” offers a completely new approach to the work of the Belgian artist René Magritte. Featuring both well-known masterpieces and other less familiar works, all drawn from leading public and private collections, it offers a fresh look at one of the key figures of Modern art.

The latest in the series of monographic exhibitions the Centre Pompidou has devoted to major figures in 20th-century art ¬– “Edward Munch: L’œil moderne”, “Matisse: Paires et séries” and “Duchamp: La peinture, même” – this exhibition brings together around one hundred paintings, drawings and documents offering a fresh approach to the painter. “Magritte: La trahison des images” explores the artist’s interest in philosophy, an interest that would culminate in the publication of Foucault’s Ceci n’est pas une pipe (1973), born out of the writers discussions with the artist. In a 1936 lecture, Magritte declared that Les affinités électives, painted in 1932, marked a turning point in his work – his abandonring of the automatism and random chance of early Surrealism. Showing an egg enclosed in a cage, this was the first of his paintings intended to solve what he termed a “problem”. After randomness and a “chance encounter between sewing machines and umbrellas” came a relentlessly logical method that sought solutions to the “problems” of women, of chairs, of shoes, of rain… The exhibition opens with Magritte’s research on these problems, which mark the “reasoning” turn in his art.

Magritte’s art is characterized by a series of motifs – curtains, shadows, words, flames, bodies in pieces, and more – which he endlessly arranges and re-arranges. The exhibition replaces of these into each to one of painting’s foundational narratives and hence to the philosophical challenge to visual representation: the curtains with the antique fend of in realism illustrated by the contest of Zeuxis and Parrhasius; words with the biblical story of the Adoration of the Golden Calf, that counterposes the text of the law to pagan image; flames and enclosed spaces with Plato’s Allegory of the Cave; shadows with Pliny the Elder’s account of the invention of painting.

An reformulated version version of the exhibition will be presented at Schirn Kunsthalle in Frankfurt, Germany, from 10 February to 5 June 2017.

Curator : Mnam/Cci, Didier Ottinger

18
Ago

Silvestre Pestana. Techno-form

FROM 26 MAY 2016 TO 25 SEP 2016

Silvestre Pestana (1949, Funchal, Madeira) is one of the most radical and least known figures in Portuguese contemporary art. A poet, artist, and performer, Pestana has created a singular body of work in a variety of media since the late 1960s. The first major presentation of his work, this exhibition brings together over 100 rarely seen works with documentation and archival materials to highlight the artist’s pioneering use of drawing, collage, photography, sculpture, installation, video and performance to confront the relation between society, art and technology.
Emerging from a group of experimental poets in the 1960s, Pestana combined the visual arts with poetry as a form of resistance against censorship in early drawings, collages, and sculptures. Between 1969 and 1974, as a political exile in Sweden, he created public interventions in the form of gardens and performance-based actions that suggested the fragile ecological and social conditions of contemporary life. Returning to Portugal after the 1974 Revolution, Pestana developed a unique visual grammar using light, language, and visual forms that conceived of the human body as a social, ideological, and technological circuit. The politicized actions, collages, and photographs from 1970s and 1980s use his body to activate linguistic and non-linguistic codes, while attempting to expand poetry into a spatial and choreographic practice.
The artist’s polemical performances of the 1970s and 1980s — documented in a few remaining images — presciently addressed how technologies of the third industrial revolution could elicit both horror and fascination, offering both forms of entertainment and control. Biometrics, militarization, and the extension of the human into a vast information network mark his photography, video, and installation work of the 1980s. Using the moving image as a tool for performative and poetic action, Pestana became one of the pioneering figures of video art in Portugal. Always an early adopter of novel technologies, he has utilized computing, gaming software, and drones in recent decades to develop new expressions of artistic resistance, continuing his decades-long engagement with various political and technological systems that permeate contemporary life.Continue Reading..

09
Ago

Giorgio Griffa: Quasi Tutto

FROM 14 MAY 2016 TO 04 SEP 2016

‘His art deserves a place in the global history of abstraction.’
Roberta Smith, The New York Times

Serralves Museum of Contemporary Art presents the first large-scale museum survey of the paintings and drawings of Giorgio Griffa. It is the Italian artist’s first exhibition in Portugal. The exhibition is the culmination of a series of shows originating at the Centre d’Art Contemporain, Genève (Switzerland), travelling to the Bergen Kunsthall, Bergen (Norway) and the Fondazione Giuliani, Rome (Italy). Curated by Serralves Museum director Suzanne Cotter and Andrea Bellini, Director of the Centre d’Art Contemporain, Genève, the exhibition at Serralves presents an expanded selection of more than thirty paintings and over forty drawings dating from 1969 to 2015. Surveying Griffa’s highly abstract yet eminently pictorial production, this ambitious exhibition reveals the artist’s commitment to the practice of painting as a cumulative process whose continuum is part of a broader physical and metaphysical reality.

Giorgio Griffa (1936, Turin, Italy) is part of the Italian generation of artists who came of age in the 1960s and proposed a radical redefinition of painting. From the late 1960s, Griffa set about reducing painting to its essential components of raw, unstretched canvas, pigment and brushstrokes, stripped of expressive subjectivity, radically redefining the medium and its possibilities within a world in transformation. While his use of simple materials and gestures aligns him with the work of the Italian arte povera artists and the proponents of Support/Surface in France, who were his peers in the 1960s and 1970s, his interest in the immediacy and performative dimension of painting as a time-based process was also inspired by Zen philosophy. During the 1980s, a return to neo-expressionism and the Italian transavanguardia marked for Griffa a period of re-engagement with the expressive potential of his elemental use of colour, line and gesture that had sustained his practice in the previous decade. Inspired in part by fellow artist Mario Merz’s use of the Fibonacci sequence, in the 1990s the numbers of the golden ratio entered into Griffa’s pictorial language. His paintings from the past two decades bring together these constitutive elements with renewed vigour and vital urgency. The works in the exhibition at Serralves reflect these key moments in Griffa’s oeuvre, including important paintings from the artist’s cycle of paintings known as ‘Alter Ego’ that constitute a conceptual and intellectual dialogue with painters from Tintoretto to Matisse and Agnes Martin.Continue Reading..

27
Lug

GIORGIO MORANDI – VINCENZO AGNETTI. Differenza e ripetizione

A cura di Andrea Bruciati

24 luglio – 11 settembre 2016 dal martedì alla domenica dalle 19.00 alle 24.00 palazzo De Sanctis, Castelbasso

Fondazione Carima, Macerata-Museo Palazzo Ricci
Partendo da un maestro come Giorgio Morandi (1890 – 1964) e dal concetto di differenza e ripetizione ribadito dall’omonimo saggio di Gilles Deleuze (1968), la mostra arriva all’originale interpretazione di un’altra figura fondamentale, Vincenzo Agnetti (1926 – 1981). Attraverso questo accostamento inedito il progetto, intitolato “GIORGIO MORANDI – VINCENZO AGNETTI: differenza e ripetizione”, vuole illustrare, attraverso un display espositivo eccentrico, la produzione di due artisti secondo una prospettiva concettuale eterodossa.

Dagli anni Cinquanta, proprio attraverso le serie, Giorgio Morandi abbandona l’idea di capolavoro. L’artista persegue pragmaticamente, all’interno della pittura e di un genere storico come la natura morta, la morte dell’aura, perché non crede più che il reale, molteplice e discontinuo, soggetto alla posizione relativa dell’osservatore e alle scelte arbitrarie del pittore, possa ancora essere rappresentato con un atto emblematico e unitario.Lavorando attraverso le serie Morandi varia la composizione degli oggetti, le proporzioni della tela, il punto di vista dello spettatore, l’inquadratura come campo delimitante. Proprio con questo sistema di variabili, con tutte le possibilità e le contraddizioni che esso contiene, Morandi pensa di poter esprimere la sua ricerca ossessiva di una bellezza assoluta. Di differente timbro ma fedele ad una linea analitica rigorosa e poetica si sviluppa il precipitato linguistico di Vincenzo Agnetti. L’opera d’arte non può consistere se non nella funzione di traccia di pensiero, se non nel suo essere pura apertura al pensare stesso. Il rapporto tra parola e immagine si riconduce a un legame in chiave epistemologica tra filosofia e matematica. Per questo l’artista sceglie il linguaggio verbale come veicolo principale e a un tempo come oggetto di analisi, perché il linguaggio è il tramite più diretto della comunicazione del pensiero, ma anche il più ambiguo. La rappresentazione viene ricondotta all’astrazione, quella cioè di un universo descritto attraverso l’oggettività e la purezza di dati numerici.Continue Reading..

22
Lug

Aron Demetz – Robert Pan. AUTARK

Vernissage 20.07.2016 ore 19:00
Conferenza stampa 20.07.2016 ore 16:00 (Hotel Adler)
21.07 – 15.10.2016

AUTARK. ARON DEMETZ – ROBERT PAN
Dell’autonomia della materia e della disciplina del pensiero e della mano.

In un panorama artistico spesso dominato da formule espressive preconfezionate per facilitare la collocazione critica ed il compito di spettatori, collezionisti e addetti ai lavori, Aron Demetz e Robert Pan si possono a pieno diritto inserire nel ristretto novero degli artisti che non possono prescindere dalla sperimentazione continua e inesausta come motore primo della loro poetica e della loro prassi. Sperimentazione che coinvolge tutti gli aspetti della creazione, dalla concezione alla progettazione fino ai materiali e alle tecniche per realizzare le opere. Materiali, metodi e tecniche che eccedono la dimensione meramente “oggettuale” e tecnologica per diventare veri e propri supporti e motori di scelte poetiche e filosofiche, e che rappresentano il tema ed il fulcro della mostra ospitata presso la Galleria Doris Ghetta. Il complesso di opere esposte in galleria rappresenta anche una nuova tappa della ricerca espressiva dei due artisti, accomunati da uno stesso approccio etico e sperimentativo alla ricerca espressiva, pur mantenendo peculiarità stilistiche ben distinte.
Testo: Alessandro Romanini

Galleria Doris Ghetta
dorisghetta.com
Pontives Sud 8
info@galleriaghetta.com
39046 Ortisei, Val Gardena
+39 39 39 32 39 27

Immagine: Aron Demetz, Untitled, fire clay and bronze, 2016 – Robert Pan, AUT 1,696 ARK, mixed media and resin on wood, 2015-2016