Category: installazione

03
Mag

Alessandro Bernardini. Catrame

Galleria 33 presenta Catrame, personale di Alessandro Bernardini, a cura di Tiziana Tommei. Il progetto espositivo propone opere realizzate dall’artista prediligendo due materiali: catrame e cemento. Il primo, da cui il titolo della mostra, è protagonista con una serie d’inediti, lavori realizzati a tecnica mista su tela o in forma di scultura-installazione. Cemento e catrame si estendono ad oggetti diversi, contaminandoli: si determinano così forme nuove, tanto trasfigurate e cristallizzate quanto, al contempo, ineluttabilmente fragili e fortissimamente delicate.

Testo critico
Un liquido denso, nero e viscoso.
Dall’arabo qaṭrān, pece liquida, il catrame è una sostanza di odore intenso, pungente e di colore scuro. Tra gli usi, il primo è come impermeabilizzante. Un guscio, che avviluppa elementi diversi, tele e oggetti. Questi, sommersi e nascosti, trasmutano e acquisiscono un nuovo status, caratterizzato da un’estrema fragilità fisica e materiale. Il catrame, al pari del cemento, ricoprendo la tela la rende epidermicamente delicata e più facilmente passibile di rottura. Si possono generare lesioni e fenditure, fino alla desquamazione e alla perdita irreparabile di materia. Anche in opere come queste, in cui il peso del materiale insiste sulla leggerezza della tela, resta centrale il nodo concettuale. Sotto c’è la volontà di dissimulare, ricorrendo ad una coltre solida e compatta, coprente e impenetrabile, con la consapevolezza che nulla possa essere realmente e interamente riposto. La questione formale resta salda, come fondamentale matrice, a partire dal processo d’ideazione. Un’estetica incentrata sull’essenzialità, che non vuole mai eccedere nel tentativo di veicolare, anche mediante questo aspetto, una incessante e mai finita sete di levità. Questa componente deve essere connessa ad un ulteriore carattere interno alla ricerca di Bernardini: la centralità dello spettatore, o meglio ancora del “fattore umano”. Le azioni e le creazioni dell’autore, le sue idee e le sue opere hanno sempre quale punto di origine colui che le osserva, con le sue reazioni, il suo sentire e le sue osservazioni.  Il pubblico è per questi un elemento ineludibile e per tale ragione è sempre chiamato a svolgere un ruolo attivo. Il coinvolgimento avviene in questo caso specifico mediante una mise-en-scène, ideata dall’artista. Il tema è la strada, intesa sia come superficie fisica (si pensi alla scelta dei materiali), che come luogo d’incontro, di passaggio e d’interazione. Dunque, anche in tal senso emerge una forte attenzione all’elemento umano e alla comunicazione, prima ancora che agli oggetti, fino alle opere stesse, che divengono così tramite per questo dialogo.Continue Reading..

30
Apr

Mimmo Paladino. Ouverture

Un viaggio a ritroso da Brescia a Brixia, attraverso la mediazione e la sensibilità di un grande artista del presente.

I primordi a colloquio con il contemporaneo, in un progetto che “ha l’ambizioso obiettivo di trasformare la città con uno sguardo”, secondo lo slogan che accompagna BRIXIA CONTEMPORARY, il progetto pluriennale messo a punto da Fondazione Brescia Musei e Comune di Brescia.

Massimo Minini, Presidente di Fondazione Brescia Musei, spiega la ratio del grande progetto: “Vorremmo che ogni anno un artista internazionale sia chiamato a svelare un nuovo punto di vista sullo spazio urbano del centro storico bresciano, grazie al dialogo tra le opere selezionate per l’occasione e i luoghi che le accoglieranno. Il risultato che vorremmo ottenere sarà un percorso d’artista, che dal cuore istituzionale della città conduca al Parco Archeologico e al Museo di Santa Giulia. Un viaggio a ritroso da Brescia a Brixia, attraverso la mediazione e la sensibilità di un grande artista del presente”.

L’artista selezionato per il 2017 è Mimmo Paladino.

Una scelta assolutamente non casuale: “Paladino ci è parso perfetto per inaugurare questo ambizioso progetto – dice Luigi Di Corato, direttore di Brescia Musei e curatore della mostra – per la sua capacità di alimentare la storia, trasformando i simboli della cultura figurativa del mediterraneo, dagli archetipi al Novecento”. Paladino è personalmente legato a Brescia. Qui, ben quarant’anni fa, tenne la sua prima personale importante, momento fondamentale per la sua carriera di artista oggi di fama mondiale. Il percorso “firmato Paladino” si espande da Piazza della Vittoria, simbolo ancora discusso ma oramai affrancato della retorica piacentiniana, tra Piazza della Loggia, sede della amministrativa città, e il Duomo Vecchio. Qui Paladino posizionerà ben sei tra i più celebri totem della sua poetica: una riedizione bresciana del Sant’Elmo e lo Scriba, opere che, per dimensioni e per collocazione, connoteranno in modo estremamente plastico la grande geometrica Piazza. Poi il gigantesco Zenith, la scultura equestre in bronzo e alluminio del 1999, alta quasi 5 metri, il grande Anello e, in una superficie liquida, la Stella. A campeggiare sul basamento che fu del contrastato “bigio” di Arturo Dazzi, rimosso dal Consiglio Comunale nel 1946, una imponente figura in marmo nero, realizzata appositamente per l’occasione, che riporta invece alla tradizione della grande avanguardia del Novecento.Continue Reading..

11
Apr

FRANÇOIS MORELLET. Mappe visive

La galleria A arte Invernizzi inaugura martedì 23 maggio 2017 alle ore 18.30 una mostra personale di François Morellet, protagonista dell’arte internazionale sin dagli anni Cinquanta. La collaborazione con l’artista francese, iniziata nel 1994 con l’esposizione Dadamaino Morellet Uecker tenutasi in occasione dell’apertura della galleria, ha portato negli anni alla realizzazione di numerose mostre personali sia in Italia che all’estero e, a un anno dalla scomparsa del maestro, questa esposizione desidera mettere in luce il suo peculiare e personalissimo approccio al “fare arte”, ripercorrendo l’ultimo decennio della sua ricerca.

Nella prima sala del piano superiore sono esposte le ultime opere realizzate nel 2016, appartenenti al ciclo “3D concertant”, in cui le direttrici nere, tratteggiate seguendo diverse gradazioni angolari, pervadono lo spazio bianco della tela e guidano l’occhio verso l’illusione ottica della terza dimensione. La combinazione tra rigore sistematico e incessante curiosità per la sperimentazione, che è una costante nella ricerca di Morellet, è evidente anche nella serie “Desarcticulation” (2012), visibile nella stessa sala, in cui le superfici e il semicerchio dipinto si accostano e si sovrappongono su due differenti tele accostate, celando il reale con la geometria ed aprendo la via a molteplici percorsi visivi. Attraverso la combinazione di dissimili soluzioni linguistiche, di cui i titoli sono parte fondamentale, François Morellet crea un senso di continuo spaesamento che genera visioni ambivalenti, come nel caso di Lunatique neonly 4 quarts n.11 (2002). Qui i tubi al neon, la cui forma suggerisce quattro segmenti del medesimo cerchio, si adagiano intersecandosi sulla tela, anch’essa circolare, fino a sconfinarne in un ironico gioco di rimandi visivi e illusione percettiva.

Al piano inferiore della galleria si trovano i lavori del ciclo “π piquant neonly” (2005-2007) in cui i neon si svincolano dal limite imposto dal perimetro delimitato dalla tela e si definiscono liberamente nello spazio. La luce bianca e azzurra diviene, in questi lavori, elemento costitutivo. Le rette si susseguono in un andamento spezzato eppure continuo acquisendo una valenza costruttiva, anche a livello formale, che si traduce nella possibilità di una percezione consapevole, seppur pervasa da un persistente senso di ambiguità.

In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo bilingue contenente la riproduzione delle opere in mostra, un saggio di Massimo Donà, una poesia di Carlo Invernizzi e un aggiornato apparato bio- bibliografico.

A Arte Studio Invernizzi
via D. Scarlatti, 12 Milano
lun-ven 10-13 e 15-19, sab su appuntamento
ingresso libero

FRANÇOIS MORELLET
INAUGURAZIONE MARTEDÌ 23 MAGGIO 2017 ORE 18.30
CATALOGO CON SAGGIO DI: MASSIMO DONÀ
PERIODO ESPOSITIVO: 23 MAGGIO – 12 LUGLIO 2017
ORARI: DA LUNEDÌ A VENERDÌ 10-13 15-19, SABATO SU APPUNTAMENTO

François Morellet_Desarcticulation n°1, 2012 1/3_Olio su acrilico su tela su legno, 138x162x37 cm© A arte Invernizzi, Milano

10
Apr

Third Identity – Al Dahkel

The majority of native Palestinians were dispersed, uprooted or exiled after the Nakba of 1948; as a result, their common history was fragmented between Al Dakhel Palestinians and the diaspora. Those who stayed–or could return home – came of age in a system where their culture and immediate past were erased. Their cultural education was further unique in the region, as it reflected the influences from western and eastern Europe of the newly emigrated people. This slowly changed after the 1970s, when the second generation started to claim their roots post-Nakba and question their unequal status in society. In parallel, artists such as Abed Abdi and Asad Azi, were working on the reconstruction of a local Palestinian collective memory. Therefore, the identity of Al Dakhel artists is suspended between citizenship, Israeli education, occidental influences, belonging to Palestinian culture and a strong attachment to their land.

Questions related to displacement, belonging, native culture and fragmentation recur in the work of Al Dakhel artists. By addressing these personal and highly specific questions within the context of a complex society, the artists touch upon more universal questions: who are we, and how does identity evolve when challenged?

THIRD IDENTITY explores the artistic (re)construction of the Al Dakhel identity and its evolution through three generations of artists. It is conceived as a journey through time that outlines common themes and concerns such as memory, post colonialism, hybridity, minority, and both the absence and cross-fertilization of cultures. It shows the richness and the diversity that flourished despite the traumas and “schizophrenic” living conditions, as one artist put it. This exhibition aims to shine a light on this group and give it its rightful place within the regional Arab culture.

Artists Bio
Six emerging and established artists of Al Dakhel, meaning Palestinians of the Interior. Al Dakhel sub-groups include Muslim Arabs, Christian Arabs and Druze, all whose roots are traced to historic Palestine and who live today on / close to their land, as both Palestinians and citizens of Israel. It is the first time that Al Dakhel artists will be shown in the Arab World.
Rula Alami is a Palestinian-Lebanese art collector and curator, based in Beirut and involved with the Palestinian Museum in Birzeit. She invited Valerie Reinhold, an art curator and advisor based in Amsterdam, to tell the story of these artists.

Contemporary Art Platform Kuwait
Industrial Shuwaikh, Block 2, Street 28
Life Center (same building as Eureka), Mezzanine
T: +965 2492 5636

Third Identity – Al Dahkel
08/03/2017 – 22/04/2017
Contemporary Art Platform / Main Exhibition

Third Identity is available in CAP till the 20th of May

gallery report by amaliadilanno

10
Apr

Santiago Sierra. Mea Culpa

Il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano presenta MEA CULPA, la prima grande antologica in Italia dedicata all’artista concettuale Santiago Sierra. Nato nel 1966 a Madrid, da quasi trent’anni il suo lavoro si muove sul terreno impervio della critica alle condizioni sociopolitiche della contemporaneità. Messaggero della cupa verità del nostro tempo, Sierra è spesso stigmatizzato per le sue performance intense ed ambigue. Eppure il loro linguaggio visivo, il simbolismo complesso ed energico, il loro essere calate nella realtà delle persone conferisce loro un raro impatto emozionale. Sierra ha esposto in prestigiosi musei ed istituzioni nel mondo e nel 2003 ha rappresentato la Spagna alla 50a Biennale di Venezia. La mostra al PAC riunisce per la prima volta le opere politiche più iconiche e rappresentative dell’artista, dagli anni Novanta a oggi, e la documentazione di sue numerose performance realizzate in tutto il mondo, insieme a nuove produzioni e riattivazioni di installazioni e azioni passate. Con la mostra di Santiago Sierra il PAC attiva la prima delle quattro linee di racconto sulle quali si muove il suo palinsesto annuale, proponendo in occasione di miart mostre di artisti conosciuti e affermati nel panorama artistico internazionale.

Promossa dal Comune di Milano – Cultura e prodotta dal PAC con Silvana Editoriale, la mostra apre il calendario di appuntamenti dell’Art Week, la settimana milanese dedicata all’arte contemporanea.

Santiago Sierra. Mea culpa
29 Marzo 2017 – 04 Giugno 2017
a cura di Diego Sileo e Lutz Henke
Pac Padiglione d’Arte  Contemporanea
Via Palestro, 14
20122 Milano
+39 02 8844 6359

 

09
Apr

Tadashi Kawamata. The Shower

Valorizzare il patrimonio culturale sperimentando nuove vie per il rinnovamento dell’antica sapienza artigianale attraverso la visione di artisti e designer: è questa la mission di Fondazione Made in Cloister che quest’anno vede impegnato, nella creazione di una grande istallazione site-specific dal titolo “The Shower”, l’artista giapponese Tadashi Kawamata. L’opera di Kawamata, realizzata con l’intervento degli artigiani e coinvolgendo i ragazzi  del quartiere  di Porta Capuana, con la supervisione del curatore del progetto Demetrio Paparoni, sarà inaugurata  sabato 13 maggio 2017 alle ore 19,00.

Il progetto
Tadashi Kawamata – Made in Cloister è un’installazione site-specific curata dal critico Demetrio Paparoni. L’opera, che occuperà sia l’interno del chiostro che la facciata dell’attigua Chiesa rinascimentale di S. Caterina a Formiello, sarà realizzata dall’artista giapponese durante una permanenza a Napoli di due settimane. Su invito della Fondazione Made in Cloister, l’artista ha visitato Napoli e l’area di Porta Capuana nel Settembre del 2016, esplorandola con l’occhio del ricercatore e dello studioso.  In seguito a tale indagine Kawamata ha elaborato il suo intervento che sarà definito nei particolari durante la sua nuova permanenza a Napoli, prevista a partire dal 25 aprile 2017. Come spesso accade nelle sue opere, i materiali utilizzati saranno riciclati e scelti in quanto espressione dell’economia locale sia nella ricerca dei materiali che nella costruzione delle strutture in legno da lui disegnate: in questo caso cassette di legno comunemente usate nei mercati  di frutta e verdura. L’artista coinvolgerà  nella  realizzazione  artigiani e I ragazzi del quartiere di Porta Capuana, attraverso l’associazione Officine Gomitoli, per una grande opera collettiva. Il quartiere  diventa protagonista sia per l’estensione dell’opera e sia per le modalità collaborative e partecipative dell’ esecuzione artistica.

L’Ambasciata del Giappone in Italia, ha incluso l’evento nelle celebrazioni ufficiali del 150° anniversario delle relazioni tra il Giappone e l’Italia.

L’artista
“Visitare i luoghi, conoscerne gli abitanti, le loro abitudini e la loro economia è il primo passo dei miei progetti.”Tadashi Kawamata
“L’entusiasmo con cui Tadashi ha accettato di realizzare questo suo intervento nell’area di Porta Capuana  – dice Davide de Blasio, responsabile del programma artistico di Made in Cloister – è per noi un segno importante che rafforza la nostra convinzione che l’arte e la creatività possono dare una forte spinta al processo di rigenerazione e sviluppo sostenibile per le aree urbane segnate dal degrado”. Dopo il suo intervento del 2013 a Palazzo Strozzi, Tadashi Kawamata – Made in Cloister è la prima installazione che l’artista realizza in Italia utilizzando una struttura al tempo stesso pubblica e privata.Continue Reading..

09
Apr

Alfredo Pirri. I pesci non portano fucili

Martedì 11 aprile 2017 inaugura al MACRO Testaccio la prima antologica dedicata ad Alfredo Pirri, i pesci non portano fucili, curata da Benedetta Carpi De Resmini e Ludovico Pratesi.
La mostra, che resterà aperta fino al 4 giugno 2017, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, e organizzata in collaborazione con le gallerie Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea ed Eduardo Secci Contemporary.

Quella del Macro Testaccio rappresenta la tappa conclusiva del progetto I pesci non portano fucili, un viaggio all’interno dell’opera, del pensiero e della ricerca dell’artista che è iniziato nel novembre 2016 con la prima mostra RWD / FWD, allestita presso lo Studio/Archivio dell’artista. Il titolo del progetto è stato scelto dallo stesso Pirri in omaggio all’opera The Divine Invasion di Philip K. Dick (1981), in cui l’autore immagina una società disarmata e fluida come il mare aperto dentro il quale immergersi e riemergere dando forma ad avvenimenti multiformi. Tutto il progetto viene proposto come un nuovo possibile modello di rete culturale, fortemente sostenuto da Pirri, in cui ogni istituzione coinvolta è autonoma ma in costante dialogo con le altre. L’esposizione riunisce 50 opere tra le più importanti e significative realizzate dall’artista nel corso della sua carriera dagli anni ‘80 ad oggi, sottolineando l’alternarsi ritmico di fluidità e fissità, dove i repentini mutamenti di tecnica diventano allegoria di un tempo mentale, scandito dagli elementi che da sempre contraddistinguono la ricerca dell’artista: lo spazio, il colore e la luce. “Questa mostra, come afferma il curatore Ludovico Pratesi, permette una lettura completa e ragionata della complessità della ricerca di Alfredo Pirri, attraverso un itinerario espositivo strutturato come un’opera in sé. Lo spazio del Macro Testaccio viene interpretato dall’artista in maniera da sottolineare le componenti fondamentali del suo pensiero, per invitare il visitatore a condividere un’esperienza immersiva giocata sull’armonia tra spazio, luce e colore”.

La mostra si snoda attraverso un percorso articolato in cui il tema della città, intesa non solo come agglomerato urbano ma come spazio aperto, luogo di condivisione e di incontro, è declinato in varie sfaccettature, attraverso una profonda rielaborazione dello spazio architettonico stesso e qui diviso in due sezioni principali. Apre la mostra l’opera che l’artista ha realizzato nei mesi di ricerca all’interno del laboratorio allestito alla Nomas Foundation: Quello che avanza (2017), prosecuzione dello studio sulla luce e il colore che da sempre caratterizza la sua poetica. Costituito da 144 stampe, il lavoro è frutto di una ricerca sulla tecnica della cianotipia, che consente di realizzare immagini fotografiche off-camera di grandi dimensioni, caratterizzate da intense variazioni di blu. Di queste stampe, 130 testimoniano le fasi di lavorazione di un’opera e i residui da essa prodotti, mentre 14 sono il risultato di una procedura unica, che vede l’uso di piume appoggiate direttamente a impressionare i fogli preparati con sostanze chimiche ed esposti ai raggi UV.

Tra le altre opere scelte, Gas (1990), lavoro che combina elementi concettuali e minimalisti, capace già nel titolo, di evocare una materia invisibile che attraversa e riempie lo spazio circostante; le Squadre plastiche (1987-88), con la loro immobilità di testimoni mute e contemporaneamente la loro pittura che si riverbera sulla parete come energia viva; Verso N (2003), installazione in cui i frammenti costruiscono un orizzonte immaginario, un paesaggio spirituale attraversato da fasci di luce che si irradiano nello spazio riflettendo i colori della pittura; La stanza di Penna (1999), costituita da copertine di libro disposte in modo da creare uno skyline urbano, paesaggio bagnato da una luce diffusa che ricorda i colori del tramonto. A fare da raccordo tra le due sezioni l’opera Passi, che assume la valenza di una soglia. Si tratta di un’installazione site specific costituita da pavimenti di specchi che si frantumano sotto i passi dell’artista e dell’osservatore, creando narrazioni deformate che promuovono un dialogo dialettico con lo spazio circostante, la sua natura e la sua storia.

Come spiega la curatrice Benedetta Carpi de Resmini: “Alfredo Pirri ha sperimentato negli anni molteplici linguaggi espressivi spaziando dalla pittura alla scultura, dal video alla performance, ma è soprattutto la sua concezione del rapporto spazio – temporale, mediato dal lavoro che genera l’opera, che si presenta allo spettatore come una palingenesi: una nuova visione della realtà e della città. Lo spazio architettonico si trasforma così in supporto-tela su cui Pirri “dipinge” vuoti e pieni, luci e ombre, in una meditata metamorfosi che ne esalta i valori cromatici, concettuali e simbolici”Continue Reading..

07
Apr

Sasha Vinci e Maria Grazia Galesi. La terra dei fiori

Alla Reggia di Caserta, La terra dei fiori, il progetto del duo Sasha Vinci – Maria Grazia Galesi a cura di Daniele Capra, propone una contro mitologia.

Dalla terra dei fuochi, disseminata di scorie tossiche e avvelenata dalla malavita, alla terra dei fiori, luogo in cui crescono gerbere e crisantemi, fiori che l’arte accoglie per farne espressione di rigenerazione, bellezza e spiritualità. Un progetto che racconta con foto, video e documentazione le storie di un luogo e la bellezza solitaria della Reggia di Caserta, che ha osservato nel tempo la violenta trasformazione del territorio campano.
La mostra è promossa dalla Reggia di Caserta in collaborazione con la galleria aA29 Project Room, Milano I Caserta, con il contributo di McArthurGlen La Reggia Designer Outlet, Axa Assicurazioni Loffredo Caserta, Oliveo.it, Grand Hotel Vanvitelli, Artec e con il Patrocinio Comune di Caserta. Il catalogo, bilingue, è a cura di Daniele Capra.

La mostra ospitata nei saloni del piano nobile della Reggia è costituita da opere fotografiche di grandi dimensione, disegni, video e documentazione che raccontano “il percorso che ha portato il duo Vinci–Galesi ad interrogare, grazie all’impiego del fiore, le identità individuali ma anche i luoghi dimenticati segnati da abbandono, trascuratezza, degrado civile”.
“A tutto questo – aggiunge il curatore – si contrappone il rigoglioso germogliare della natura, elemento di meraviglia, espressione della volontaria ricerca di riscatto. È il tentativo di inversione, l’espressione della necessità di superare l’impasse della situazione attuale che l’arte deve compiere. Per mostrare come anche dall’estremo abbandono si possano far germinare onestà, bellezza, dignità”.

Le immagini di Vinci–Galesi sono visioni cariche di elementi contrastanti. In contesti dal valore simbolico, quali ad esempi una spiaggia in cui mare e terra si contendono la supremazia o in una cava abbandonata popolata di residui di pietre, i due artisti si mostrano interamente avvolti da un mantello floreale coloratissimo e che nasconde i tratti somatici. La loro figura diventa così quella di un spirito che dissemina colore e futuro nel grigio e nell’abbandono del presente.
Il drappo in cui gli artisti sono avvolti è realizzato cucendo a mano migliaia e migliaia di fiori su eterei tessuti. Rispettando un’antica tradizione propria delle celebrazioni religiose di un’altra terra complessa e difficile, il ragusano, sulle cui coste negli ultimi anni sono sbarcati disperati provenienti dall’altra sponda del Mediterraneo in fuga dalla guerra o si sono arenati corpi senza più speranza. La bellezza di quei luoghi, testimoniata da alcune immagini degli ultimi progetti, è un controcanto che fa stridere ancor di più i limiti della condizione umana.
Vinci–Galesi propongono visioni transitorie, occasioni preziose e fugaci. Fuggevoli quanto è fuggevole la bellezza di un fiore, meraviglia condannata ad un veloce disfacimento.Continue Reading..

07
Apr

Miroslaw Balka. Crossover/s

“CROSSOVER/S” è la prima retrospettiva italiana di Miroslaw Balka(Varsavia, 1958), artista tra i più rilevanti degli ultimi trent’anni che pone al centro del suo lavoro l’indagine sulla natura dell’uomo e sulla memoria individuale e collettiva. Attraverso una riflessione sulla storia dell’Europa e della Polonia, dove l’artista vive e lavora, Balka prende spunto da elementi ed eventi della propria biografia per realizzare opere che affrontano temi universali con grande potenza evocativa.
Dagli inizi degli anni ‘90, Miroslaw Balka abbandona le forme antropomorfe, che avevano caratterizzato gli esordi della sua carriera artistica, per creare opere che rappresentano oggetti simbolici quali letti, pedane e fontane. Balka concepisce questi lavori anche attraverso l’uso di materiali comuni come legno, sale, cenere, sapone, cemento e acciaio, utilizzando spesso come unità di misura le dimensioni del proprio corpo.
La mostra raccoglie quindici lavori – tra sculture, installazioni e video realizzati dagli anni ‘90 a oggi – in un percorso immersivo caratterizzato da incroci fisici, simbolici e temporali, dove anche la luce e l’oscurità assumono un ruolo centrale e in cui lo spettatore prende coscienza della propria presenza e funzione nello spazio.

Pirelli HangarBicocca
Via Chiese 2
20126 Milano
T (+39) 02 66 11 15 73
F (+39) 02 64 70 275
info@hangarbicocca.org

Miroslaw Balka. Crossover/s
a cura di Vicente Todolì
16 marzo – 30 luglio 2017

31
Mar

Hermann Nitsch – O.M.T. Colore dal Rito

“Il mio teatro delle orge e dei misteri concentra l’esperienza intensa, il rituale nel senso della forma, creando un festival dell’esistenza, un’esperienza concentrata, consapevole e sensuale, del nostro esser(ci)”, Hermann Nitsch.

Il CIAC Centro Italiano Arte Contemporanea di Foligno ospita dal 25 marzo prossimo sino al 9 luglio la mostra Hermann Nitsch O.M.T Orgien Mysterien Theatre (Teatro delle Orge e dei Misteri) – Colore dal Rito, personale dedicata al grande maestro austriaco, esponente dell’Azionismo viennese, dell’Informale e quindi creatore di performance e installazioni molto discusse e rimaste memorabili.

Curata da Italo Tomassoni e da Giuseppe Morra, dal 1974 storico gallerista ed editore degli scritti di Nitsch cui ha dedicato nel 2008 un Museo a Napoli, la mostra raccoglie circa 40 opere, divise in 9 diversi cicli di lavori, realizzati tra il 1984 e il 2010 e allestite come fossero un’unica grande opera aperta negli spazi del CIAC, che diversifica nuovamente la propria offerta espositiva offrendo l’opportunità di incontrare uno tra i maggiori protagonisti dell’arte internazionale della seconda metà del Novecento.

Hermann Nitsch (1938) massimo esponente dell’Azionismo viennese, elabora già dal 1957-1960 la sua idea di Orgien Mysterien Theatre (Teatro delle Orge e dei Misteri): esperienza di arte totale legata al concetto psicanalitico di Abreaktion, cioè la scarica emozionale che consente ad un soggetto di rimuovere gli effetti di accadimenti drammatici. L’esecuzione di atti orgiastici e onanistici con la messinscena di riti sacrificali consente, secondo l’artista, la liberazione catartica da tabù religiosi, moralistici, sessuali. Nel frattempo Nitsch dipinge seguendo il movimento del tachisme cioè l’immediatezza del gesto che versa o schizza colori sulla tela, anche usando direttamente le mani. Dal 1961 si intensificano le azioni in cui Nitsch comincia ad utilizzare gli animali macellati, il cui sangue viene usato come colore, così come aumenta il numero di partecipanti alle sue azioni con attori passivi crocefissi e cosparsi di sangue e attori attivi che utilizzano interiora di animali, si diversificano i materiali e gli apparati scenici. La provocazione si fa sempre più spinta tanto che nel 1965 Nitsch andrà in carcere per due settimane, ma si allarga anche il giro delle sue relazioni internazionali, specie con la Germania e gli Stati Uniti. Nel 1971 acquista il castello di Prinzerdorf in Austria che diventa la sede del suo Orgien Mysterien Theatre. Nel 1974 entra in contatto a Napoli con Giuseppe Morra e il suo Studio che diviene la sua galleria e il suo editore di riferimento, pubblicando l’O.M. Theatre 2, sua opera teorica fondamentale e gli spartiti musicali delle sue molteplici azioni sceniche. Nel corso degli anni Settanta-Ottanta si intensificano le partecipazioni alle grandi rassegne internazionali, gli interventi in prestigiosi musei e le esecuzioni musicali. Nel 1984 la sua 80.ma azione dura tre giorni e tre notti consecutive e dieci anni dopo Morra ne pubblica la partitura integrale. Dagli anni Novanta prevalgono in tutto il mondo le esposizioni dotate di forte energia espressiva, in cui Nitsch installa i relitti, gli oggetti, le grandi tele, le partiture, i progetti grafici che hanno dato vita alla sua personalissima esperienza artistica, in cui confluiscono teatro, pittura, musica, fotografia, video, performance.

La mostra presenta alcune celebri installazioni di Nitsch come 18b.malaktion, 1986 Napoli Casa Morra. Si tratta di grandi tele dove domina il colore rosso versato o schizzato, “una pittura d’azione – afferma Nitsch – che assolve una funzione drammatica, coinvolgendo gli spettatori, come un accadere drammatico che si manifesta a mò di litania, all’interno del mio teatro, attraverso una esibizione pittorica”. Oppure azioni dimostrative-teoriche come 108.lehration, 2001 Roma Galleria d’Arte Moderna, dove in altre grandi tele Nitsch evidenzia elementi base del suo teatro, cercando “il segreto profondo del colore” e dando precise indicazioni sulla propria teoria estetica, le sue speculazioni filosofiche e la sua idea del cosmo.

E 130.aktion installazione di relitti, 2010 Museo Nitsch Napoli, dove l’artista costruisce opere autonome ma al tempo stresso tracce rielaborate delle sue precedenti azioni sceniche con elementi che provengono dall’azione stessa come grandi teli bianchi e camici macchiati di sangue, barelle servite per trasportare corpi che divengono tavoli o altari, attrezzi chirurgici come bisturi o divaricatori, provette e alambicchi che rimandano al corpo e ai suoi umori, zollette di zucchero e fazzolettini di carta messi in file perfettamente regolari, che suggeriscono sensazioni di freschezza e purezza. Relitti come installazioni di quanto è già avvenuto, testimonianza di un evento sacrificale assente, segni rituali e formali di fatti fisici e carnali.Continue Reading..