Category: fotografia

21
Nov

Alessandra Spranzi. Mani che imbrogliano

Mani che imbrogliano è la seconda mostra personale di Alessandra Spranzi alla galleria P420, dopo Maraviglia (2015) e la collettiva Lumpenfotografie (2012, con Hans-Peter Feldmann, Peter Piller, Joachim Schmid e Franco Vaccari). La nuova mostra presenta lavori recenti e altri che risalgono fino al 1995, in una specie di punteggiatura del pensiero, o della visione, che è sempre nel presente, ma che si sviluppa in un ampio arco temporale. Alessandra Spranzi lavora con l’immagine fotografica in modi e forme diverse: fotografando, rifotogrando, raccogliendo, tagliando, indicando, cancellando. Interviene quando le immagini e le cose si allontanano dal loro uso e diventano, per così dire, inconsapevoli di sé, delle proprie possibilità e della propria bellezza. Per Mani che imbrogliano l’artista ha preparato un grande spettacolo di magia fatto di poco, molto poco. Immagini da manuali, di oggetti trovati o raccolti per strada insieme ad altri che animano da sempre le quinte della nostra casa, gesti che mostrano, che provano a spiegare qualcosa. Come Harry Houdini, che proponeva, per 50 centesimi, di insegnare “Come leggere al buio biglietti piegati”. Carte piegate al buio con dentro, forse, un’immagine.

Alessandra Spranzi, è nata a Milano nel 1962 dove vive. Ha studiato alla Scuola Politecnica di Design e all’Accademia di Belle Arti di Brera.
E’ docente di Fotografia all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. Dal 1992 ha partecipato a diverse mostre, sia personali che collettive alla galleria P420, Bologna, alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, al Centre National de la Photographie, Ile de France, alla galleria Arcade, Londra, al MAMbo, Bologna, alla Galleria Martano, al Maga, Gallarate, alla, galleria Nicoletta Rusconi, Milano, al Festival di Fotografia Europea, Reggio Emilia, al Museo di fotografia Contemporanea, Cinisello Balsamo, alla Galleria Fotografia Italiana, Milano, al Man, Nuoro, alla Gamec, Bergamo, al Museo Marino Marini, Firenze, alla Galleria Emi Fontana, Milano, al Museo Pecci, Prato, a Le Magasin, Grenoble, al Careof, Cusano Milanino. Dal 1997 ha realizzato numerose pubblicazioni e libri d’artista.
L’ultimo libro, Uova, posate e altri oggetti, è stato pubblicato in occasione di Mani che imbrogliano.

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07
Nov

Hito Steyerl. The City of Broken Windows

Hito Steyerl (Monaco, 1966) è una tra gli artisti e teorici più attivi del nostro tempo e le sue riflessioni sulla possibilità di pensiero critico nell’era digitale hanno influenzato il lavoro di numerosi artisti. Ha rappresentato la Germania alla 56. Biennale di Venezia nel 2015. La sua opera si concentra sul ruolo dei media, della tecnologia e della circolazione delle immagini nell’era della globalizzazione. Sconfinando dal cinema all’arte visiva e viceversa, l’artista realizza installazioni in cui la produzione filmica viene associata alla costruzione di ambienti immersivi ed estranianti. In occasione della mostra nella Manica Lunga del Castello di Rivoli, Steyerl crea una nuova installazione multimediale basata sul suono, sul video e sull’intervento architettonico. Steyerl presenta in anteprima The City of Broken Windows (La città delle finestre rotte, 2018), nata dalla sua ricerca attorno alle industrie di AI (artificial intelligence), sulle tecnologie di sorveglianza e attorno al ruolo che i musei d’arte contemporanea svolgono nella società oggi. L’artista indaga il modo in cui l’intelligenza artificiale influenza il nostro ambiente urbano e come possano emergere atti pittorici alternativi in spazi pubblici. Schermi, finestre, cristalli liquidi e non liquidi si legano tutti insieme in questa nuova installazione, la prima realizzata dall’artista dopo Hell Yeah We Fuck Die (Eh già cazzo moriamo, 2016), nella quale Steyerl esaminava la performatività e la precarietà dei robot. Creata per la Biennale di San Paolo, l’installazione Hell Yeah We Fuck Die è stata recentemente esposta a Skulptur Projekte a Münster (2017), è attualmente in mostra al Kunstmuseum di Basilea ed è stata acquisita per le Collezioni del Castello di Rivoli.

The City of Broken Windows ruota attorno a registrazioni alterate di suoni; come in una sinfonia atonale e disturbante, esse documentano il processo d’apprendimento dell’intelligenza artificiale alla quale viene insegnato come riconoscere il rumore di finestre che si rompono, una pratica comune all’industria e alla tecnologia della sicurezza nella nostra società. Il progetto di Steyerl offre un contributo cruciale e una prospettiva intrigante su come l’immaginario contemporaneo digitale plasmi le emozioni e l’esperienza del reale. Fra l’altro, Chris Toepfer, protagonista della nuova opera, occluderà il Castello di Rivoli con un dipinto trompe l’oeil. Le riflessioni di Steyerl sono contenute nei suoi numerosi scritti. Tra i suoi testi più importanti, ha pubblicato In Defense of the Poor Image (In difesa dell’immagine povera) nella rivista online e-flux nel 2009. Recentemente, i suoi scritti sono stati raccolti in volumi come The Wretched of the Screen (I dannati dello schermo), e-flux e Sternberg Press, 2012 e Duty Free Art. Art In the Age of Planetary Civil War, Verso Press, Londra e New York, 2017, pubblicato in Italia con il titolo Duty Free Art. L’arte nell’epoca della guerra civile planetaria, Johan & Levi, 2018.

La mostra sarà accompagnata da una nuova pubblicazione a cura del Castello di Rivoli per i tipi di Skira e da un simposio sull’intelligenza artificiale che si terrà il 12 dicembre 2018 al quale parteciperà tra gli altri Esther Leslie, Professore di Estetica Politica presso Birkbeck, University of London.

La mostra è realizzata con l’ulteriore sostegno di Graham Foundation for Advanced Studies in the Fine Arts, Andrew Kreps Gallery, Collezione E. Righi, Marco Rossi, Fondazione per l’Arte Moderna e Contemporanea CRT.

Hito Steyerl. The City of Broken Windows / La città delle finestre rotte
A cura di Carolyn Christov-Bakargiev e Marianna Vecellio
1 novembre 2018 – 30 giugno 2019
Inaugurazione: 31 ottobre 2018, ore 19

Castello di Rivoli. MUSEO D ’ A R T E CONTEMPORANEA
Piazza Mafalda di Savoia – 10098 Rivoli (Torino) – Italia
tel. +39/011.9565222 – 9565280 fax +39/011.9565231
e-mail: info@castellodirivoli.org

Ufficio Stampa Castello di Rivoli
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Consulenza Stampa
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06
Nov

Alberto Giacometti. A retrospective

This exhibition surveys four decades of production by Alberto Giacometti (b. 1901; d. 1966), one of the most influential artists of the 20th century. More than 200 sculptures, paintings, and drawings make up a show that offers a unique perspective on the artist’s work, highlighting the extraordinary holdings of artworks and archive material gathered by Giacometti’s wife, Annette, now in the Fondation Giacometti in Paris.  Giacometti was born in Switzerland to a family of artists. He was introduced to painting and sculpture by his father, the renowned Neo-Impressionist painter Giovanni Giacometti. Three heads done of him by the young Giacometti are seen on display here. In 1922 Alberto Giacometti moved to Paris to continue his artistic training, and four years later he set up what was to remain his studio until the end of his life, a rented space of just 23 square meters on the Rue Hippolyte-Maindron, close to Montparnasse. In that tiny narrow room, Giacometti created a very personal vision of the world about him. The human figure is a fundamental theme in this artist’s oeuvre. Over the years, he produced works inspired by the people around him, especially his brother Diego, his wife Annette, and his friends and lovers. The artist said: “For me, sculpture, painting, and drawing have always been means of understanding my own vision of the outside world, and above all the face and the whole of the human being. Or to put it more simply, of my fellow creatures, and especially of those who for one reason or another are closest to me.” Giacometti’s ideas on how to approach the human figure were to become crucial questions of contemporary art for the following generations of artists.

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30
Ott

Jan Fabre: The Castles in the Hour Blue

I Castelli nell’Ora Blu , è la prima mostra personale a Milano dell’artista, creatore teatrale e autore Jan Fabre, curata da Melania Rossi.
In mostra una selezione di lavori – in gran parte in anteprima assoluta perché provenienti dalla collezione dell’artista, e messi ora a disposizione del pubblico- realizzati da Jan Fabre dalla fine degli anni Ottanta, incentrati su due temi particolarmente significativi per l’artista: i castelli e l’Ora Blu. Disegni, collage, film e opere fotografiche compongono un percorso nell’immaginario più “romantico” e poetico, ma sempre radicale e simbolico, di uno degli artisti più interessanti della scena contemporanea.
Se il castello è il luogo della favola romantica per eccellenza, i castelli di Jan Fabre hanno qualcosa di diverso, sono infusi del personale romanticismo dell’artista, che si definisce “cavaliere della disperazione e guerriero della bellezza”.
La tonalità dell’inchiostro Bic ricorda all’artista l’atmosfera di quell’ora speciale tra la notte e il giorno, tra il sonno e la veglia, tra la vita e la morte. L’Ora Blu, teorizzata da Jean Henri Fabre, considerato il padre dell’entomologia, è un momento di totale silenzio e perfetta simmetria in natura, quando gli animali notturni si stanno per addormentare e quelli diurni si stanno svegliando, in cui i processi di metamorfosi hanno atto.
Anche nei grandi formati in mostra, l’attenzione si concentra naturalmente su piccole porzioni di disegno per seguirne le linee ora più lievi, ora più marcate, oppure trova un immaginario punto di fuga negli insetti-foglia applicati sulla carta, che formano profili di torri castellane. Come di fronte al grande telo in seta di quasi diciassette metri (Un Castello nel Cielo per René, 1987) che è esposto all’interno della Basilica di Sant’Eustorgio, al cospetto della scultura nella Cappella Portinari o nell’opera site specific che l’artista ha realizzato sul lucernario di BUILDING, siamo dentro il disegno, che diviene spazio, casa, castello.

Jan Fabre: The Castles in the Hour Blue
a cura di Melania Rossi
22 Sep 201822 Dec 2018

BUILDING
Via Monte di Pietà 23, Milano
Mar – Sab, 10:00 – 19:00

Basilica di Sant’Eustorgio e Cappella Portinari
P.zza Sant’Eustorgio 1, 20122 Milano
Lun – Dom, 10:00 – 17:30
Ingresso Capella Portinari: €6

English below

BUILDING is pleased to present The Castles in the Hour Blue, the first solo exhibition ever held in Milan of the visual artist and theatrical author Jan Fabre. The exhibition, curated by Melania Rossi, will open to the public on 22 September, with site specific installations at BUILDING; it will also feature ad hoc installations in two institutional places of the city of Milan, such as the Basilica of Sant’Eustorgio and the Portinari Chapel.

On view will be a “world premiere” selection of artworks – for the main part, never seen before since part of the artist’s collection, now available to the public for the very first time – made by Jan Fabre since the late Eighties, focused on two themes which are particularly important to the master: castles and the Hour Blue. Drawings, collages, videos and photographic works bring together a journey in the most “romantic” and poetic – but always radical and symbolic – imagery of one of the most important artists on the contemporary scene. The aesthetic and ethical fusion of the two themes in the conception of Jan Fabre, declared in the title of the show, is evident in the exhibited artworks, starting from Tivoli(1990), one of the works that consecrated the artistic career of Jan Fabre at an international level. In this case, Fabre had completely covered the Tivoli castle (Mechelen) in sheets all drawn in blue Bic, which had been left transforming under the sun light and bad weather. A real architectural performance that the artist had been recording during day and night, releasing a 35 mm short movie that will be on view at the gallery. “Sometimes the castle has a purple reflection, sometimes more towards the red, then a silvery glow, to then turn into intense blue bic again. (The sculpture-drawing trembles and lives with its enigmas)”, Fabre writes in his nocturnal diary during the realization of the work.
The tone of the Bic ink reminds the artist of the atmosphere of that special hour between night and day, between sleep and awakening, between life and death. The Hour Blue, a sublime moment of complete silence and perfect symmetry in nature, when nocturnal animals are about to fall asleep and the diurnal ones are waking up, in which the processes of metamorphosis take place. Theorized by Jean-Henri Fabre, considered the father of entomology, the Hour Blue has inspired Jan Fabre a production of Bic pen drawings of different sizes, but it is mostly in the large works that the eye is completely immersed in the dense blue lines, where it is difficult – if not impossible – to embrace the work in its entirety. The drawing, in this production by Fabre, acquires a dignity which is not only autonomous but also three- dimensional, becoming sculpture, architecture; it is not a mere preparation for a painting or a draft sketch for a sculpture, it is an immersive artwork that reveals the most intimate, true and instinctive feeling of the artist’s thought. On this idea Jan Fabre has been working since his beginnings, since the birth of his “bic art”. “I want my viewers to be able to abandon themselves to the physical experience of drowning in the apparently calm sea of my blue bic drawings”, the artist writes in 1988. Even in the large formats on display, the attention is naturally captured by small portions of drawing in order to follow the lines, now subtler, now more marked, or it finds an imaginary point of escape in the leaf-insects applied on the paper, which form profiles of castle towers. As in front of the large silk installation displayed inside the Basilica of Sant’Eustorgio, in presence of the sculptures in the Portinari Chapel or in front of the site specific work that the artist will make at BUILDING, we are inside the drawing, which becomes space, house, castle. If the castle is the place of the romantic fairytale par excellence, Jan Fabre’s castles have something different, they are infused with the personal romanticism of the artist, who defines himself “a knight of despair and a warrior of beauty”. The first aim, the only creed of the artist, is to defend the beauty and fragility of art. Jan Fabre is a contemporary knight who makes castles in the air, castles of cards, rests in his castle and dreams. Tivoli, Wolfskerke, Monopoli, are the castles on which the artist has taken action with his blue sign and which are represented in the artworks on display, covered in the typical light of that special moment in which we can dream of owning a castle, still being in a chivalrous era made of values for which to fight strenuously. The “way of the sword” is “the way of the art”, the true avant-garde of the artist who, while dreaming, draws, writes and invents a personal universe starting from the great tradition that precedes him. Fabre fights to the point of exhaustion in defense of the most authentic, tragic, mad and heroic spirit of the artist and of the man.

Basilica of Sant’Eustorgio and Portinari Chapel
Mon – Sun, 10:00 AM – 5:30 PM
Entrance to Portinari Chapel: €6
P.zza Sant’Eustorgio 1, 20122 Milan

Jan Fabre: The Castles in the Hour Blue
Curated by Melania Rossi

Tue – Sat, 10 AM – 7 PM

Additional venues:
Basilica of Sant’Eustorgio
Portinari Chapel

22
Ott

Ryoji Ikeda

The exhibition Ryoji Ikeda, on show at ers an insightful perspective on the radical work of Japanese audiovisual artist Ryoji Ikeda. The selection ranges from sculptural pieces such as data.scan (2009) and grid.system (nº1-A)(2012) to newly adapted versions of large-scale projections like the radar [3 WUXGA version A] (2012-2018) and data.tron [3 SXGA + version] (2009-2018), and includes two new audiovisual installations made specially by Ikeda for Eye.

Sound artist, electronic composer and visual artist Ryoji Ikeda (born in Gifu in 1966) started in electronic music and now ranks as one of the pioneering artists who approach the fundamental elements of sound and image in a mathematical, physical and aesthetic manner. Ikeda’s career as an audiovisual artist transformed when he joined the multidisciplinary artist collective “dumb type” from Kyoto, which radically renewed theatre in the 1990s. By then, Ikeda had already defined the alphabet of his sonic language in the two fundamental elements of sound: the sine wave and white noise. Inspired by his experience with dumb type, Ikeda broadened his scope of work to encompass both sound and image. He applied a comparable reductionist approach in identifying the pixel as the elementary component of the image.

In his series “datamatics,” featuring data.tron [3 SXGA + version] (2009-2018) and data.scan(2009), both on show in the exhibition, Ikeda investigates how we can perceive and experience vast flows of data that go beyond our comprehension. Each pixel is determined by strict mathematical rules that are applied to the data sets that form the source material. The resulting works are not so much about the abstract data level but about representations of reality that we can generate with data. They are an ode to the scientific imagination and the enthralling exploration of uncharted worlds and aspects of reality that we can now access thanks to science. During his stay at CERN and Ars Electronica Futurelab in 2014-2015, Ikeda explored the world of particle physics and further refined his notion of (big) data. He examined dynamic data but defined his source material exclusively as static data: absolute facts, constant truths such as DNA code, galactic coordinates, or proteins, as in his spellbindingly immersive floor projection data.gram [n ° 1] (2018), which he developed specially for Eye. Here Ikeda also explores his interest in the micro-scale: identifying and isolating the smallest particle, the alphabet of all material. Also on show in the exhibition is 4’33” (2010), Ikeda’s celluloid homage to the iconic work of the American experimental composer John Cage. A framed and sliced strip of blank 16 mm film: the piece forms a conceptual introduction to Ikeda’s ongoing study of the contrast between the continuous and the discrete or discontinuous. In data.tron [3 SXGA + version], Ikeda explores his fascination for the concept of infinity and fundamental mathematical and philosophical questions. Is reality continuous or not? Is it continuous but can we do nothing but apply the modern scientific method of reducing it to elementary particles in order to understand it? The exhibition culminates with the second new piece specially made for the Eye exhibition: point of no return, which represents nothing but a black hole. A black circle is bordered by a clear white light. Shining from the other side is an extremely powerful lamp whose colour temperature approaches that of the sun on the projection screen. According to the general theory of relativity, a black hole in the universe swallows everything. Nothing can escape from it—no material, no information, not even light. There is no way back. In Ikeda’s own words: “This technically simple work is my most metaphysical to date.”

The exhibition is accompanied by films, talks and events in the cinemas at Eye.

On November 23, Ryoji Ikeda will perform a live audiovisual concert at Eye entitled datamatics [version 2.0]. In collaboration with Amsterdam Art Weekend and IDFA.

Ryoji Ikeda
Until December 2, 2018

EYE Filmmuseum
IJpromenade 1
1031 KT Amsterdam
The Netherlands

Image: Ryoji Ikeda photo by Ryuichi Maruo

15
Ott

Alfredo Jaar. Lament of the images

La Galleria Lia Rumma è lieta di annunciare la mostra personale dell’artista cileno Alfredo Jaar che inaugura giovedì 18 ottobre 2018, presso la sede di Milano. La mostra è preceduta, il 17 ottobre alle ore 18.00, da una lecture dell’artista alla Fondazione Gian Giacomo Feltrinelli di Milano.
A 10 anni dall’intervento pubblico Domanda, Domanda per le strade di Milano e dalla personale all’Hangar Bicocca It Is Difficult, Alfredo Jaar torna a Milano con una personale rigorosa e poetica che si sviluppa sui tre piani della Galleria. Al piano terra, l’artista presenta una nuova installazione site-specific WHAT NEED IS THERE TO WEEP OVER PARTS OF LIFE? THE WHOLE OF IT CALLS FOR TEARS (Che bisogno c’è di piangere momenti della vita? La vita intera è degna di pianto), una citazione di Seneca tratta dal “De Consolatione ad Marciam”. L’opera, una scritta al neon rosso, le cui lettere sono disposte come una pioggia di lacrime a cui il testo allude, è l’unica fonte di luce nello spazio che si presenta completamente rosso. Il lavoro è un riferimento poetico al progetto pubblico che Jaar sta realizzando per la città di Milano curato da Roberto Pinto: un grande cubo di cemento, attraverso la cui vetrata rossa il visitatore può osservare la città “filtrata” dal colore rosso. Un gesto nostalgico e malinconico e insieme un omaggio, secondo l’artista, alla sinistra italiana che sta scomparendo.
Al primo piano, Lament of the Images, che dà il titolo alla mostra, è composta da due tavoli fotografici luminosi, di solito usati nei laboratori fotografici per guardare i negativi.  Il tavolo superiore, montato al contrario e sospeso al soffitto, lentamente si avvicina a quello inferiore, fino a lasciare solo una sottile linea di luce proveniente dalla fessura tra le due superfici che poi, come per dare inizio a un nuovo ciclo di visioni, si allontanano. Volutamente non è presente nessuna immagine. Dice infatti Jaar: “Credo che abbiamo perso la capacità di vedere ed essere scossi dalle immagini”. La mostra si completa al secondo piano con Shadows che fa parte della trilogia – iniziata con The Sound of Silence, esposta nel 2008 all’Hangar Bicocca di Milano – in cui Jaar indaga il potere e la politica delle immagini iconiche. Entrando in un corridoio buio si incontrano sei piccoli lightbox, una sequenza di immagini del fotoreporter olandese Koen Wessing scattate in Nicaragua nel 1978 che documentano gli eventi che seguono la morte di un contadino ucciso dalla Guardia Nazionale del regime di Somoza nei giorni della guerra civile. Si passa poi in una stanza più grande, anch’essa completamente oscurata, dove è presentata l’immagine di due donne, le figlie del contadino, nel momento in cui vengono a sapere dell’uccisione del padre. Le donne, devastate dal dolore, alzano le braccia al cielo. L’immagine lentamente diventa una luce accecante. Per Jaar quest’immagine è “la più potente espressione del dolore” che abbia mai visto.

Alfredo Jaar è artista, architetto e regista. Vive e lavora a New York. Nato a Santiago del Cile (1956), il lavoro di Jaar è stato esposto in tutto il mondo. Ha partecipato alle Biennali di Venezia (1986, 2007, 2009, 2013), São Paulo (1987, 1989, 2000) e a Documenta a Kassel (1987, 2002). Sue importanti mostre personali includono il New Museum of Contemporary Art, New York; Whitechapel, Londra; il Museum of Contemporary Art, Chicago; il Museo di Arte Contemporanea (MACRO) di Roma e al Moderna Museet di Stoccolma. Un’ampia retrospettiva sul suo lavoro è stata ospitata nell’estate del 2012 in tre spazi istituzionali a Berlino: la Berlinische Galerie, la Neue Gesellschaft fur bildende Kunst e.V. e la Alte Nationalgalerie. Nel 2014 il Museum of Contemporary Art Kiasma di Helsinki gli ha dedicato la più completa restrospettiva della sua carriera. Jaar ha realizzato più di sessanta interventi pubblici nel mondo. Sono state pubblicate oltre cinquanta monografie sul suo lavoro. È diventato Guggenheim Fellow nel 1985 e MacArthur Fellow nel 2000. Il suo lavoro fa parte delle collezioni del MAXXI e del MACRO di Roma, del Museum of Modern Art e del Guggenheim Museum di New York, del MCA di Chicago, del MOCA e del LACMA di Los Angeles, della TATE di Londra, del Centre Georges Pompidou di Parigi, del Centro Reina Sofia di Madrid, del Moderna Museet di Stoccolma, del Louisiana Museum of Modern Art di Humlebaek e in molte altre collezioni pubbliche e private del mondo.

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03
Ott

SARAH SZE

In the age of the image, a painting is a sculpture. A sculpture is a marker in time.
—Sarah Sze

Gagosian is pleased to present new works by American artist Sarah Sze. This is Sze’s first gallery exhibition in Italy, following her participation in the Biennale di Venezia in 2013 (Triple Point, US Pavilion) and 2015.

Sze’s art utilizes genres as generative frameworks, uniting intricate networks of objects and images across multiple dimensions and mediums, from sculpture to painting, drawing, printmaking, and video installation. She has been credited with changing the very potential of sculpture. Working from an inexhaustible supply of quotidian materials, she assesses the texture and metabolism of everything she touches, then works to preserve, alter, or extend it. Likewise, images culled from countless primary and secondary sources migrate from the screen to manifest on all manner of physical supports—or as light itself. A video installation, the latest of Sze’s Timekeeper series begun in 2015, transforms the oval gallery of Gagosian Rome into a lanterna magica, an immersive environment that is part sculpture, part cinema. In these studies of the image in motion, at once expansive and intimate, time, place, distance, and the construction of memory are engaged through a mesmerizing flux of projected images, both personal and found. A sort of Plato’s Cave, the new work confronts the viewer from simultaneous points of view: moving pictures of people, animals, scenes, and abstractions unfold, flickering and orbiting randomly like thought, or life itself. In an in-situ gesture that links the darkened video gallery with the adjoining room of new panel paintings, Sze materializes light as a spill of paint applied directly to the stone floor. In the paintings, her nuanced sculptural language adapts to the conditions of the flat support. In delicate yet bold layers of paint, ink, paper, prints, and objects, the three dimensions of bricolage are parsed into the two dimensions of collage. Here, color draws its substantive energies as much from the innate content of found images as from paint and ink. Fields of static, blots, and cosmic vortices emerge out of archival material drawn from the studio and its daily workings in endless visual permutations that collide and overlap in an abundance of surface detail. In November, Sze will add her first outdoor stone sculpture to the exhibition, a natural boulder split open like a geode. Each of the two revealed cuts has a sunset sky embedded in its flat surface, alluding to both the images perceptible in gongshi (scholar’s rocks) and the heavenly subjects of Renaissance paintings. From November 19, Sze’s large-scale installation Seamless (1999) will be on view at Tate Modern, London.

SARAH SZE
Inaugurazione: sabato 13 ottobre, 18:00 – 20:00
13 ottobre 2018–12 gennaio 2019

Gagosian
Via Francesco Crispi 16
00187 Rome
T. 39.06.4208.6498
roma@gagosian.com
Hours: Tue–Sat 10:30-7

Ufficio Stampa PCM Studio
Federica Farci | federica@paolamanfredi.com | +39 342 05 15 787

Karla Otto
Lissy Von Schwarzkopf | lissy.vonschwarzkopf@karlaotto.com| +44 20 7287 9890

Ottavia Palomba | ottavia.palomba@karlaotto.com | +33 6 67 88 32 29
Michel Hakimian | michel.hakimian@karlaotto.com | +33 6 12 59 41 93

Gagosian
Matilde Marozzi | pressrome@gagosian.com | +39 06 4208 6498

Image: Sarah Sze, Untitled, 2018(dettaglio), olio,acrilico, cartad’archivio, stabilizzatori UV, adesivo, scotch, inchiostro e polimeri acrilici, gommalacca, e vernice ad acqua su legno, 213.4×266.7×8.9cm©SarahSze

01
Ott

Black Hole. Arte e matericità tra Informe e Invisibile

Dal 4 ottobre 2018 al 6 gennaio 2019 la GAMeC presenta Black Hole. Arte e matericità tra Informe e Invisibile, prima mostra di un ambizioso ciclo espositivo triennale dedicato al tema della materia, ideato da Lorenzo Giusti e sviluppato insieme a Sara Fumagalli, con la consulenza scientifica del fisico Diederik Sybolt Wiersma e la partecipazione di BergamoScienza.
Attivando un dialogo con la storia delle scoperte scientifiche e tecnologiche e un confronto con lo sviluppo delle teorie estetiche, Black Hole rivolge lo sguardo al lavoro di quegli artisti che hanno indagato l’elemento materiale nella sua più intrinseca valenza, laddove il concetto stesso di “materiale” si infrange per aprirsi a un’idea più profonda di “materia” come elemento originario, come sostanza primordiale costituente il tutto.
In particolare, l’esposizione intende raccontare questa dimensione attraverso tre diverse restituzioni: quella di chi ha guardato all’elemento materiale, concreto, come a un’entità originaria, precedente o alternativa alla forma; quella di chi ha interpretato la natura umana come parte di un più ampio discorso materiale e quella di chi, nel processo di penetrazione della materia, si è spinto nel profondo, ai confini della materialità stessa, cogliendone la dimensione infinitesimale ed energetica.

Attraverso una ricca selezione di opere realizzate tra la fine dell’Ottocento e i giorni nostri, il percorso espositivo illustra, all’interno di un’unica visione integrata, questa preziosa dialettica, oscillante tra la materialità dell’Informe e la materialità dell’Invisibile, poli soltanto apparentemente antitetici e in realtà coesistenti e complementari.

Sezione 1 – Informe
Le acquisizioni della scienza – dal principio di indeterminazione di Heisenberg alla metodologia quantistica – e la loro circolazione culturale, che le ha rese a noi familiari, hanno profondamente influenzato la visione degli artisti, al punto da condizionarne non soltanto la percezione delle cose e del mondo, ma anche la più profonda sostanza del loro operare.
In dialogo con lo sviluppo di queste scoperte, le opere presenti all’interno della prima sezione rifuggono dunque dal rappresentare il mondo e utilizzano materiali, sia tradizionali sia inusuali, non come elementi da plasmare con l’intento di creare nuove forme, ma in virtù della loro valenza intrinseca, del loro presentarsi come “elementi in sé”.
Configurazioni materiche che, per la loro indeterminatezza, restituiscono un’idea della realtà come sostanza in continuo mutamento.
Si collocano all’origine di questo percorso le ricerche di Jean Fautrier, con le sue concrezioni di colore stratificato, e di Lucio Fontana, con le sue Nature di materia incisa, la quale, penetrata e lacerata, animandosi si fa opera.
Una linea di ricerca che prosegue – tra gli altri – con le superfici grumose intessute di fenditure e lacerazioni di Antoni Tàpies, la densità bituminosa delle Combustioni e dei Cretti di Alberto Burri, presente anche nei primi lavori di Piero Manzoni, e, decenni più tardi, i Big Clay “senza forma” di Urs Fischer, le statue “colanti” di Cameron Jamie, le eteree astrazioni screpolate di Ryan Sullivan.

Sezione 2 – Uomo-Materia
La materia che permea l’universo e che tutto crea e compone definisce anche la natura umana. Questo lasciano intendere i lavori degli artisti presenti nella seconda sezione della mostra, dove, all’interno di un percorso articolato e trasversale, sono messe a confronto le opere di autori di generazioni diverse contraddistinte da una forte componente materica e allo stesso tempo da una presenza, più o meno manifesta, dell’elemento antropomorfo. Lavori in cui il corpo umano è dunque in primis un “corpo materico” e in cui la figura, accennata o scomposta, si fa veicolo di una visione integrata del mondo, tenuta assieme dal principio stesso della materia.
Le sintesi plastiche di Auguste Rodin e Medardo Rosso, con le loro immagini di volti e corpi affioranti da blocchi indistinti, costituiscono un significativo precedente storico per la ricerca di una serie di artisti che, in forme diverse, hanno fatto convergere dentro un’unica visione creativa il discorso sulla materia e l’indagine sull’uomo. Ne è un esempio Alberto Giacometti, con le sue figure “intrappolate”, “sempre a mezza via fra l’essere e il non essere”, per citare Jean-Paul Sartre, così come lo scultore svizzero Hans Josephsohn, con le sue caratteristiche teste monolitiche, imprigionate dentro blocchi di materia compatta.

Volto e materia, prettamente pittorica, ritornano nei primi dipinti informali di Enrico Baj, nelle Dame di Jean Dubuffet degli inizi degli anni Cinquanta così come nei lavori di Karel Appel e Asger Jorn, storici membri del gruppo Cobra, caratterizzati dall’utilizzo di colori brillanti, violente pennellate e figure umane distorte.
A questi maestri della modernità sono affiancati lavori di artisti contemporanei, da William Tucker, con i suoi agglomerati di materia a metà tra la roccia e il corpo umano, a Florence Peake, con le sue sculture informali, esito di performance collettive in cui corpo e materia sembrano cercare una sintesi dinamica.

Sezione 3 – Invisibile
Diversamente da quelle della prima e della seconda sezione, testimoni di una relazione fisica con la materia – incisa, spatolata, graffiata, bruciata, colata, e pur sempre materia “in sé” – le opere presenti nella terza sezione guardano agli aspetti più nascosti della materia, invisibili ai nostri occhi, in dialogo con la dimensione atomistica e subatomica.
Punto di partenza di un discorso in evoluzione che trova ampio sviluppo nei linguaggi della contemporaneità sono le celebri Tessiturologie di Jean Dubuffet, visioni ravvicinate, microscopiche, di un generico “elemento materiale”, di cui si restituisce
visivamente l’idea dell’incessante brulichio interno. Una ricerca che trova eco nelle esplosioni di “materia-luce” di Tancredi Parmeggiani, o ancora nelle composizioni degli artisti del Movimento Arte Nucleare – fondato nel 1951 da Enrico Baj e Sergio Dangelo, con l’aggiunta, un anno dopo, di Joe Colombo – che rielaborano in forma visiva le suggestioni provocate dall’esplosione della bomba atomica alla fine del secondo conflitto mondiale.
Dal dopoguerra alla contemporaneità, gli artisti creano nuove immagini di ciò che le teorie scientifiche suggeriscono, ma che parole e illustrazioni non riescono descrivere. La nozione classica di “materia”, valida dal familiare livello degli oggetti visibili fino al livello molecolare e atomico, sfuma ai livelli subatomici, abbracciando il concetto di energia.
Così, lavorando a stretto contatto con i Laboratori Nazionali del Gran Sasso – tra i più importanti istituti di ricerca a livello mondiale per lo studio dei neutrini – Jol Thomson crea un dialogo fra scienza e arte, indagando i territori dell’ignoto materiale, dell’intangibile e del non-ottico. Su questa linea di ricerca si muovono anche le performance di Hicham Berrada, che invita lo spettatore a fare esperienza diretta delle energie e delle forze che emergono dalla materia, e i Photograms di Thomas Ruff, le cui composizioni astratte nascono dalla consapevolezza dell’esistenza di un universo microscopico, oltre la dimensione tangibile delle cose.
Nella loro diversità di approcci, i lavori presentati in questa sezione testimoniano la medesima urgenza di interrogarsi sulle implicazioni filosofiche, percettive e conoscitive delle rivoluzionarie scoperte scientifiche della nostra epoca.

MERU ART*SCIENCE RESEARCH PROGRAM
La mostra si avvarrà del contributo della Fondazione Meru – Medolago Ruggeri per la ricerca biomedica, che nell’ambito della “Trilogia della materia”, e quale parte del programma del festival BergamoScienza, ha dato vita a un nuovo progetto di ricerca – Meru Art*Science Research Program – finalizzato alla realizzazione di interventi “site specific” dedicati al rapporto arte-scienza.
Coordinato da Anna Daneri, insieme ad Alessandro Bettonagli e Lorenzo Giusti, il programma vede, per questa prima edizione, la partecipazione degli artisti Evelina Domnitch & Dmitry Gelfand, che per lo Spazio Zero della GAMeC hanno progettato un’installazione ambientale capace di declinare sul piano visivo l’interazione di due buchi neri attraverso un cunicolo spazio-temporale (wormhole), laddove cioè la materia dell’universo collassa su se stessa per rigenerarsi.Continue Reading..

26
Set

Carte Blanche to Tomás Saraceno. On Air

The exhibition On Air  is an emerging ecosystem that hosts a choreography of multiple voices belonging to human and non-human universes and in which works reveal common, fragile and ephemeral rhythms and trajectories linking these worlds. On Air is comprised of the myriad presences, animate and inanimate, that meet and cohabit within it.

The exhibition functions as an ensemble, revealing the strength of the various entities floating in the air and the ways in which they interact with us: from CO2 to cosmic dust, from radio waves to reimagined corridors of movement. Thus, when breath becomes air, the invisible histories that compose the nature of which we are part invite us to poetically reimagine our ways of inhabiting the world—and of being human.

As industrial extraction mines the Earth for resources, threatening entire ecologies, On Air celebrates new ways of thinking and new modes of knowledge production that point the way to a planet free of borders and fossil fuels. In so doing, the exhibition responds to the debate and global challenges posed by the Anthropocene, a word coined to define an epoch in which human activity leaves an impact so great that it profoundly modifies terrestrial ecosystems.

On Air gathers numerous collaborators and collaborations, bringing together scientific institutions, research groups, activists, local communities, visitors, musicians, philosophers, non-human animals, and celestial phenomena, all of whom collectively take part in the evolution of the exhibition. Workshops, concerts, and public talks will regularly transform the exhibition into a “cosmic jam session,” animating On Air with new encounters and assemblies that appear out of this togetherness as part of nascent rhythms of interspecies solidarity.

Curator: Rebecca Lamarche-Vadel

Jamming with spiders concerts program:
October 26: Alvin Lucier
November 23: Evan Ziporyn
December 14: Éliane Radigue

On Air, carte blanche to Tomás Saraceno, with:
Holocnemus pluchei, Éliane Radigue, Psechrus jaegeri, Bruno Latour, Bise, Argiope lobata, PM 2.5, Mitchell Akiyama, Air, Caesium-137, Peter Jäger, Mark Wigley, 1.62 m/s², Yannick Guedon, Tegenaria domestica, Christina Dunbar-Hester, Dermatophagoides pteronyssinus, Anselm Franke, Sagittarius A*, Yasmil Raymond, Vinciane Despret, GW170817, Milovan Farronato, CO, Maximiliano Laina, Andrea Belfi, Isabelle Su, (C8H8)n, Estelle Zhong Mengual, Cyanobacteria, Michael Marder, Nephila senegalensis, Turritopsis dohrnii, Nephila edulis, Philip Ursprung, Sasha Engelmann, Theridiidae sp, Christine Southworth, Linyphia triangularis, Nick Shapiro, Alberto-László Barabási, Markus J. Buehler, Peggy S. M. Hill, Larinioides sclopetarius, Sam Hertz, Linyphiidae sp, Cyclosa conica, 51 Pegasi b, Bertrand Gauguet, Emidio Giorgio, Nephila inaurata, Anna-Sophie Springer, Zygiella x-notata, Lodovica Illari, Fecenia sp, Pm3n (223), Gabriele Uhl, Steatoda triangulosa, Freifunk Antenna, 9.789 m/s2, Jonathan Ledgard, Eben Kirksey, Robert Barry, Porous Chondrite, Argyroneta aquatica, Jo Grys, Débora Switsun, Glenn Flierl, Badumna longinqua, pm, Parasteatoda tepidariorum, Eratigena atrica, Primavera de Filippi, <10 Hz, Ingo Allekotte, Christian Spiering, Yellow dwarf star, Veronica Fiorito, CO2, Stavros Katsanevas, Mistral, Anna Lena Vaney, Marie Thébaud-Sorger, Ozone, Jol Thomson, Nicolas Arnaud, Soot, Caroline A. Jones, Alberto de Campo, Panda algorithm, Hannes Hoelzl, Brandon LaBelle, U, Etienne Turpin, Alex Jordan, Megan Prelinger, VOC, PM10, Carol Robinson, Jens Hauser, Valerio Boschi, Julia Eckhardt, Christine Rollard, 6.62607004 × 10-34 m2 kg/s, João Ribas, Whales, David Haskell, Leila W. Kinney, CHO, Giorgio Riccobene, Bill McKenna, Cyrtophora citricola, Claudie Haigneré, Neriene peltata, Steatoda grossa, Hg, Philoponella alata, d’bi.young anitafrika, Frédérique Ait-Touati, Anelosimus studiosus, Fernando Ferroni, Bronislaw Szerszynski, Sofia Lemos, Aerocene Explorer, Argiope bruennichi, Neriene clathrata, Luca Cerizza, Derek McCormack, Manuel Platino, Chondrite, Alvin Lucier, Paschal Coyle, Salvatore Viola, Filipa Ramos, (C2H4)n, Timothy Choy, HD 209458 b, Andrea Familari, Li, Steve Torchinsky, 20 Hz, Jussi Parikka, Cumulonimbus, Sarodia Vydelingum, Alberto Etchegoyen, Enoplognatha ovata, Latrodectus geometricus, Vincenzo Napolano, siberian tiger, Claude Vallee, OGLE-2005-BLG-390, Agelena labyrinthica, Benjamin Bratton, Beatriz Garcia, 1 Hz, Heinrich Jaeger, Andreas Philippopoulos-Mihalopoulos, Museo Aerosolar, Evan Ziporyn…

Tomás Saraceno thanks: Aerocene Foundation, Airparif, BIENALSUR / Universidad Nacional Tres de Febrero, CCK / Sistema Federal de Medios y Contenidos Públicos / Argentina, European Gravitational Observatory, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Massachusetts Institute of Technology, Museum für Naturkunde Berlin, Muséum national d’Histoire naturelleContinue Reading..

17
Set

da MAGRITTE a DUCHAMP 1929: Il Grande Surrealismo dal Centre Pompidou

“La Gioconda è così universalmente nota e ammirata da tutti che sono stato molto tentato di utilizzarla per dare scandalo. Ho cercato di rendere quei baffi davvero artistici.”
Marcel Duchamp

Dopo la prima grande collaborazione nell’ambito della mostra “Modigliani et ses amis” che nel 2015 ha riscosso un grande successo di critica ed ha portato a Palazzo BLU oltre 110.000 visitatori, la Fondazione Palazzo BLU, il Centre Georges Pompidou di Parigi e MondoMostre tornano a collaborare per proporre un nuovo grande evento espositivo al pubblico italiano, in occasione del decennale anniversario della Fondazione Palazzo BLU.

L’11 ottobre 2018 aprirà al pubblico la mostra “da MAGRITTE a DUCHAMP. 1929: il Grande Surrealismo dal Centre Pompidou”. Per la prima volta in Italia, l’istituzione francese presterà una serie di capolavori di cui difficilmente si priva, essendo esposti nella collezione permanente di quella che è la più importante istituzione europea dedicata all’arte del Novecento. La mostra ha il Patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, della Regione Toscana e del Comune di Pisa.

Il percorso espositivo e la selezione delle opere è frutto della curatela di Didier Ottinger, Directeur adjoint du Centre national d’art et de culture Georges-Pompidou, Musée national d’art moderne di Parigi. Ottinger, tra i luminari dell’istituzione museale francese, curatore di fama internazionale, tra i massimi esperti al mondo dell’opera di Magritte, di Picasso e del Surrealismo quale movimento, ha messo insieme per quest’occasione un impeccabile corpus di capolavori che accompagneranno i visitatori di Palazzo BLU a scoprire le meraviglie di quel Surrealismo che ha profondamente mutato l’arte del XX secolo. Sono circa 90 le opere, tra capolavori pittorici, sculture, oggetti surrealisti, disegni, collage, installazioni e fotografie d’autore in arrivo a Pisa per mostrare la straordinaria avventura dell’avanguardia surrealista, attraverso i capolavori prodotti al suo apogeo e dunque intorno all’anno 1929, come vedremo, un’annata cruciale per il gruppo di artisti che in quegli anni operava in quella Parigi fucina delle Avanguardie e capitale dello sviluppo artistico mondiale. Anno catastrofico per la memoria collettiva (crollo dell’economia, crisi dell’Internazionale comunista etc.), il 1929 segna anche una svolta decisiva nella storia del Surrealismo. In quell’ anno il teorico del movimento André Breton e il poeta Louis Aragon cercano di modificare il movimento dalle sue fondamenta teoriche. Questo nuovo approccio non trova tutti i membri d’accordo e sembra creare una insanabile frattura all’interno del gruppo stesso. Nonostante queste lacerazioni interne, la vitalità del movimento resta intatta. L’arte surrealista sembra più che mai affermarsi. A dicembre, sulla rivista “Révolution Surréaliste”, André Breton pubblica il Secondo manifesto surrealista che sancisce l’allineamento al Partito comunista francese e imprime al movimento la nuova svolta “ragionante”.

I protagonisti. Attraverso la quasi totalità dei capolavori surrealisti conservati dall’istituzione francese di René Magritte, Salvador Dalí, Marcel Duchamp, Max Ernst, Giorgio De Chirico, Alberto Giacometti, Man Ray, Joan Miró, Yves Tanguy, Pablo Picasso e molti altri, questo ambizioso progetto scientifico mira a presentare le opere, le interazioni, le visioni estetiche dei principali artisti surrealisti considerati per antonomasia tra i più grandi Maestri del Novecento. Magritte, Dalí ma anche Duchamp e Picasso appaiono quali i protagonisti indiscussi della rassegna pisana a cui si aggiungono diversi altri celebri surrealisti per una presentazione esaustiva di questa ricca stagione creativa.
Desideroso di avvicinarsi ai surrealisti parigini, Magritte si era trasferito con la moglie Georgette a Perreux-sur-Marne nel 1927. Questo “surrealista” sui generis detto anche “le saboteur tranquille”, per la sua capacità di insinuare dubbi sul reale attraverso la rappresentazione del reale stesso, che evita deliberatamente il mondo dell’inconscio e si sottrae con ogni mezzo all’automatismo, non crede né ai sogni né alla psicoanalisi, denigra il caso e pone logica e intelligenza ben al di sopra dell’immaginazione, partecipa infatti alla svolta “ragionante” che André Breton desidera imprimere al “secondo” Surrealismo.
Sempre in quel fatidico 1929 Salvador Dalí irrompe sulla scena parigina. Grazie al suo celebre metodo detto della “paranoia critica” realizza i capolavori presenti in mostra e per diversi anni l’artista incarnerà agli occhi di Breton lo “spirito del Surrealismo”.
Dalí non appare da solo, il fermento del movimento è testimoniato in quell’anno dall’uscita del primo film surrealista, “Un chien andalou”, ideato dal pittore insieme al compatriota Luis Buñuel.

I capolavori. Attraverso la quasi totalità dei capolavori surrealisti conservati dall’istituzione francese di René Magritte, Salvador Dalí, Marcel Duchamp, Max Ernst, Giorgio De Chirico, Alberto Giacometti, Man Ray, Joan Miró, Yves Tanguy, Pablo Picasso e molti altri, questo ambizioso progetto scientifico mira a presentare le opere, le interazioni, le visioni estetiche dei principali artisti surrealisti considerati per antonomasia tra i più grandi Maestri del Novecento.
Magritte, Dalí ma anche Duchamp e Picasso appaiono quali i protagonisti indiscussi della rassegna pisana a cui si aggiungono diversi altri celebri surrealisti per una presentazione esaustiva di questa ricca stagione creativa.
Desideroso di avvicinarsi ai surrealisti parigini, Magritte si era trasferito con la moglie Georgette a Perreux-sur-Marne nel 1927. Questo “surrealista” sui generis detto anche “le saboteur tranquille”, per la sua capacità di insinuare dubbi sul reale attraverso la rappresentazione del reale stesso, che evita deliberatamente il mondo dell’inconscio e si sottrae con ogni mezzo all’automatismo, non crede né ai sogni né alla psicoanalisi, denigra il caso e pone logica e intelligenza ben al di sopra dell’immaginazione, partecipa infatti alla svolta “ragionante” che André Breton desidera imprimere al “secondo” Surrealismo.
Sempre in quel fatidico 1929 Salvador Dalí irrompe sulla scena parigina. Grazie al suo celebre metodo detto della “paranoia critica” realizza i capolavori presenti in mostra e per diversi anni l’artista incarnerà agli occhi di Breton lo “spirito del Surrealismo”.
Dalí non appare da solo, il fermento del movimento è testimoniato in quell’anno dall’uscita del primo film surrealista, “Un chien andalou”, ideato dal pittore insieme al compatriota Luis Buñuel.

INFO SULLA MOSTRA
da MAGRITTE a DUCHAMP
1929: Il Grande Surrealismo dal Centre Pompidou

BLU | Palazzo d’arte e cultura
Lungarno Gambacorti 9
Tel. 050 22 04 650
Mail: info@palazzoblu.it

Con il patrocinio:
Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo
Comune di Pisa
Regione Toscana

Organizzazione:
Fondazione Palazzo Blu
MondoMostre

Con la collaborazione:
Fondazione Pisa

Curatore:
Didier Ottinger

Date della mostra:
11 ottobre 2018 – 17 febbraio 2019

Orari / Opening hours
Lunedì-Venerdì 10.00 – 19.00
Sabato-Domenica e festivi 10.00 – 20.00
(La biglietteria chiude un’ora prima della chiusura)

Biglietti (audioguida inclusa):
Intero Euro 12,00
Ridotto Euro 10,00
Ridotto speciale Euro 5,00

Informazioni online:
www.mondomostre.it
www.palazzoblu.it

Catalogo:
Skira

Ufficio Stampa:
MondoMostre – Federica Mariani
cell  + 39 366 6493235  tel. 06 6893806
e-mail: federicamariani@mondomostre.it