Category: fotografia

25
Nov

Non esistono oggetti brutti

«NON ESISTONO OGGETTI BRUTTI»
un progetto indisciplinato di
Thanos Zakopoulos e Alberto Zanchetta

26 novembre 2015 – 09 gennaio 2016
opening: giovedì 26 novembre 2015, ore 18.00 – 21.00
Galleria Bianconi, Via Lecco 20 – Milano

Il 26 novembre la Galleria Bianconi è lieta di presentare il progetto «Non esistono oggetti brutti» che pone in dialogo i linguaggi e le pratiche artistico-curatoriali di Thanos Zakopoulos e Alberto Zanchetta.

«Non esistono oggetti brutti, basta saperli esporre» è una frase pronunciata da Franco Albini, assunta a magistero di questo progetto. Un artista-designer, Thanos Zakopoulos, e un critico-curatore, Alberto Zanchetta, hanno deciso di selezionare un nucleo di opere conservate nel caveau della galleria Bianconi, nel tentativo di ripercorrere la storia dello spazio espositivo e degli artisti coinvolti nel corso degli anni (Alexandre Arrechea, Vasco Bendini, Mario Davico, Maria Elvira Escallon, Winfred Gaul, Via Lewandowsky, H.H. Lim, Cheryl Pope, Davide Tranchina, Nanni Valentini, Daniele Veronesi). L’allestimento verrà però arricchito da opere, oggetti e materiali forniti direttamente da Zakopoulos e Zanchetta o chiesti in prestito ad altri artisti e designer (Agostino Bergamaschi, Sergio Breviario, Martina Brugnara, Mario Consiglio, Lorenzo Damiani, Oppy De Bernardo, Riccardo Fabiani, Silvia Hell, Silvia Mariotti, Katia Meneghini, Gianni Moretti, Alberto Mugnaini, Simone Pellegrini, Alessandro Zambelli), proponendo chiavi di lettura differenti rispetto a quanto si conosceva della galleria Bianconi.

Se effettivamente «basta saper esporre», come affermava Albini, è altresì vero che un bell’oggetto nuoce a se stesso qualora sia presentato in modo frettoloso, magari sciatto, finanche insensato. Il concetto di bello e di brutto, così sottile e intercambiabile nelle arti dell’ultimo secolo, pone in risalto il problema sulla presentazione, ossia sulla [di]mostra[zione] al pubblico. Dall’oggetto si passa quindi al processo, al “rito dell’allestimento” che in questo caso si dipana tra associazioni di pensiero e liberi accostamenti. Concepita come un ibrido tra lo storage e la wunderkammer, la mostra si propone sotto forma di grande “assemblaggio” che sfrutta i materiali e i complimenti d’arredo in dotazione alla galleria. Non quindi una semplice collettiva, bensì un progetto che fa leva sull’atteggiamento appropriazionistico e sulla necessità di produrre nuova conoscenza.Continue Reading..

25
Nov

James Casebere

James Casebere
26 November – 15 January 2016
LISSON GALLERY, via Zenale 3, Milan, 20123

James Casebere’s first solo exhibition in Milan presents recent bodies of work that take the natural world as their subject matter and iconic works of art as their starting points. The American artist’s staged photographs – shot in the studio from models that have been intricately assembled and cinematically lit – present a pastoral that is permeated with culture.
For over forty years Casebere has explored the fictional possibilities of photography, testing his medium’s supposed truth-telling properties to document fabrications of reality. His pictures are both poetic and political, creating simulacra that usurp reality to expose what art historian Hal Foster considers “a psychopathology of everyday life”. Casebere’s works have progressively depicted a wider perspective: the surrealist domestic scenes and claustrophobic vistas of his early pieces gave way to hauntingly evocative architectural interiors and exteriors of building typologies found both in the United States and the Middle East, while his Duchess County series (begun in 2009 and still ongoing) takes an aerial perspective of an entirely made-up, though acutely plausible community. He has also depicted urban areas blighted by mortgage foreclosures, hurricane Sandy and even destroyed by fire, although he is often attracted as much by the architecture, as in a series of wooden beach houses, one of which was originally built as a local life-boat station, again positing a site of potential catastrophe or rescue. In all these un-peopled environments, Casebere produces a deep ambiguity, pulling the viewer in as a participant through distortions that seem psychologically wrought and convey an uncanny sense of foreboding.
For his exhibition in Milan, Casebere once again executes a shift in perspective, this time immersing the viewer in the midst of landscapes that directly reference the art of the past to critically address man’s uneasy relationship with nature today. A major new piece from last year, Sea of Ice, and related works Trees and Bushes in the Snow (all 2014) revisit the work of the German Romantic landscape painter Caspar David Friedrich (1774 – 1840) to comment subtly on climate crisis. In Sea of Ice, Friedrich’s famous scene of frozen desolation currently housed at Kunsthalle Hamburg in Germany, has been exquisitely recreated by Casebere in his studio out of simple materials, suggesting the terrible sublime of nature has been entirely requisitioned by man, its spirituality no longer tenable. Taking inspiration from Friedrich’s painting of the same name, Casebere’s Trees and Bushes in the Snow series, meanwhile, employ found materials — real vegetation from the artist’s garden and kitchen ingredients such as bicarbonate of soda whose pristine whiteness is a chemical stand-in for the unadulterated purity of snow.Continue Reading..

19
Nov

Amy Feldman / Pascual Sisto

Attraverso le incontaminate superfici perlescenti delle sue opere, Feldman evidenzia il gesto sulla tela. L’alloro macchiato è il motivo usato da Sisto per la video installazione che fa dello spazio un ambiente virtuale.

Amy Feldman
Moon Decorum

Gli ultimi lavori di Amy Feldman presentati in Moon Decorum incarnano un sentimento che è al contempo pacato e ricco di pathos. Amy Feldman, attraverso le incontaminate superfici perlescenti delle sue opere, evidenzia il gesto sulla tela.

Moon Decorum, l’opera da cui la mostra prende il titolo, mette in luce entrambi gli aspetti. Da una parte ci sono le forme fluide e ondulate che si dipanano verso l’esterno mettendo in risalto le gocce di colore ai bordi del dipinto, come accade nei dipinti in bianco e nero di Willem de Kooning. Dall’altra parte, il tratto utilizzato dall’artista evidenzia una serialità ridotta che si manifesta quasi fosse una nota a piè di un’espressione o un’affermazione dell’ironia del gesto pittorico, ricordando così i lavori di Jasper Johns. È in quest’ambivalenza che risiede quello che nelle opere dell’artista viene denominato attrito: la luna si dimostra precisa e regolare nella sua rotazione ed al tempo stesso il suo potere trasformativo (basti pensare al mito del lupo mannaro) incarna le nostre paure primordiali. L’oscurità di questi dipinti è analoga all’immensità fredda e vuota dello spazio e alla paura che ci assale nel buio della notte. Come suggerito dalla teoria di Heidegger, sia l’angoscia che la fuga, sono sentimenti astratti e concreti al tempo stesso.

È interessante notare come Amy Feldman abbia intitolato la sua mostra tenendo in considerazione la luna e le sue molteplici connotazioni. Quando pensiamo all’influenza delle fasi lunari in termini scientifici o poetici è dato tutto già per assodato. Siamo altresì abituati a fare una netta distinzione tra l’astronomia e la pittura: la visione scientifica dei pianeti si oppone all’immagine romantica del rückenfigurs, dove le figure sostano dando le spalle all’osservatore mentre osservano una sfera luminosa nel cielo; proprio come avviene nei dipinti di Friedrich. Per i nostri antenati questa divisione non sussisteva. Platone studiò la rivoluzione della luna con precisione matematica ed al tempo stesso capì che essa era anche un mezzo divino per punire gli essere umani. È questa dualità che Amy Feldman rappresenta nei suoi lavori più recenti.

Un dipinto come Swollen Omen allude proprio alle preoccupazioni primarie appena accennate ricordando le forme di un corpo con le sue cavità e le sue sporgenze che simulano le viscere. È il corpo dell’artista? Un’abbreviazione del movimento del pennello sulla tela? È un ginocchio oppure una coscia? Le linee tracciate dall’artista sono allusive, ma non è questo che le interessa. Ciò che merita di essere considerato è come queste forme attivino i ricordi e le associazioni mentali. Le forme di Amy Feldman ci ricordano un corpo scientifico e il poetico, in sospeso tra l’anatomia e la seduzione. L’artista diventa strumento attivo nella creazione delle fini superfici bianche dei suoi dipinti dove si nota la natura selvaggia ed al contempo moderata della sua azione attraverso l’utilizzo dell’acrilico grigio che viene steso sulla tela.Continue Reading..

19
Nov

Sandro del Pistoia. Future

SANDRO DEL PISTOIA
FUTURE
Sculpure/ Installation/ Photography

INAUGURAZIONE
venerdì 20 novembre 2015
dalle ore 19.00 alle ore 21.00

In mostra dal 20 novembre al 12 dicembre 2015
da martedì a sabato: 11.00 – 13.00 | 16.30 – 19.30
o su appuntamento

Galleria 33
via garibaldi 33 – 52100 Arezzo
+39 3398438565
info@galleria33.it

SANDRO DEL PISTOIA
FUTURE

Inaugura venerdì 20 novembre, dalle ore 19.00, presso Galleria 33 in via Garibaldi 33 ad Arezzo la personale di Sandro del Pistoia, Future – sculpure, installation, photography.
La mostra, a cura di Tiziana Tommei, propone una selezione di opere: dal grande formato di “Around the body” scultura – installazione di 3 metri di altezza per 3 metri di diametro, alle sculture di medio e piccolo formato, “Women” e “Untitled”, alle fotografie “Dream” e “Air 02”. Le sculture risalgono al 2013 e 2014 e sono composte da listelli di legno di noce uniti da cerniere in pelle. Le opere fotografiche (2006, 2007) documentano performance in cui l’artista imprigiona l’aria in enormi forme di plastica.

TESTO CRITICO
Entelechia. Secondo Aristotele ogni organismo si sviluppa e si evolve in base ad una finalità interiore. Realizza se stesso in base ad una meta contenuta già in sé, in potenza, e lo fa secondo codici interni. La materia torna spirito, in armonia con le leggi della Natura, con l’ordine del Creato, in quanto parte di quella che i platonici indicavano come “anima del mondo”. Sandro del Pistoia studia i materiali, sperimenta l’ordine della dimensione fenomenica e della scienza, ma la sua ricerca non riguarda la realtà fisica. Usa la materia per disegnare l’invisibile. E ci riesce! Quello che noi vediamo sono forme fatte di assenza di sostanza visibile, comprese dentro e fuori strutture architettoniche dalle unità fondamentali potenzialmente infinite. Lo spazio, compreso dalle molecole a celle esagonali disposte su modello del grafene, assume la conformazione conferita per mezzo del legame in continuum dei moduli geometrici. Il rapporto osmotico che s’instaura tra l’interno e l’esterno della membrana permeabile, ora di legno e pelle ora di metallo ora foderata di seta, trasmette in maniera palpabile un equilibrio profondo, univoco e mai frammentato. L’aria assume una dimensione nuova: prende forma, peso e volume. Quello dell’artista è un dialogo aperto ed incessante con la Natura, esteso a tutte le sue componenti, siano esse antropomorfe, amorfe o anamorfe. Scava nella materia, addirittura negli oggetti, fino a ridurre o a trasporre tutto in sintesi, in schemi in cui ciascun elemento risulta perfettamente stabile in quanto parte di un insieme più complesso. Quattro segmenti non fanno un quadrato: per costruire una figura geometrica e significativa è indispensabile conferirle una direzione, un orientamento e una struttura. Occorre darle una specificità, che in questo caso è arte. Così, la ricerca e la costruzione – intesa come ricreazione – permettono di svuotare la realtà di tutto ciò che è superfluo, di andare in profondità, di giungere all’essenza, di tornare allo spirito.Continue Reading..

18
Nov

Regina José Galindo. Mazorca

“Hanno distrutto le nostre case, hanno rubato i nostri beni, bruciato i nostri vestiti, hanno preso gli animali, tagliato il campo di grano, ci seguirono giorno e notte.” Caso 5339 (uomo intervistato)

—english below

Hanno distrutto le nostre case, hanno rubato i nostri beni, bruciato i nostri vestiti, hanno preso gli animali, tagliato il campo di grano, ci seguirono giorno e notte.
Caso 5339 (uomo intervistato) Piano Sánchez, Baja Verapaz, 1982.Volume 1. Capitolo terzo.REMHI.

Durante la guerra in Guatemala, come parte della strategia militare di terra bruciata, il mais è stato tagliato, è stato bruciato; fu distrutto dall’esercito con l’intenzione di distruggere le comunità indigene, considerate causa della guerriglia. La pace è stata firmata nel ’96 , il mais e il popolo hanno resistito. Nel 2014 il Congresso ha approvato una legge sulla protezione delle varietà vegetali, popolarmente conosciuta come Ley Monsanto, che metteva a rischio il futuro del mais e l’autonomia alimentare del paese. I popoli indigeni furono quelli che si opposero maggiormente e che hanno ottenuto l’abrogazione della legge.

Sono nascosta in un campo di grano. Quattro uomini con il macete, tagliano tutto il mais per scoprirmi. Per qualche minuto rimango in piedi sul mais tagliato.
Aldea Chotacaj, Totonicapan, Guatemala. Novembre 12/11/2014.

Inaugurazione 18 Novembre 2015, h.19.00 – 21.30

Prometeogallery
via Ventura, 3 Milano 20134
orario galleria: lun- ven 11-19Continue Reading..

16
Nov

VALENTINA DE’ MATHÀ. Entanglement

OPENING Thursday, 26 November, 7 – 9pm
EXHIBITION 27 November, 2015 – 16 January, 2016
HOURS Tuesday | Saturday, 12 – 7pm

Loom Gallery is delighted to announce Entanglement, a solo exhibition of brand new works by Switzerland based artist Valentina De’ Mathà. The opening reception will take place
Thursday, 26 November, from 7 to 9pm, and the artist will be present. The status of entanglement reflects an actual and impossible separation, an intertwinement.
It’s a physical phenomenon, discovered by quantum physics, where two or more subatomic particles, also known as “entities”, mutually condition themselves, but at the same time communicate among themselves.Consequently, physical systems are strongly connected, they actually resonate with each other. Subatomic particles are mutually correlated, so reflecting the Big Bang theory, according to which everything was connected at the beginning, but everything is still connected and inseparable now. Humanity consists of subatomic particles, hence the “human” entanglement is a state of nature, our day-to-day behaviour and human relationships actually originate from that connection. The artist created a structured set of “umbilical cords”, an intertwinement of emulsified papers: these same papers were then chemically “painted” by means of chemical procedures in the darkroom. Finally “painted” cords have been precisely embedded and sewn into each other, leading to tapestry works where painting, photography, sculpture and weaving are contained altogether.

Valentina De’ Mathà is born 1981 in Avezzano, Italy, she lives in Switzerland. Her research is based on the interaction among man, nature and mutation, as well as on
the causality principle and on the dialectic between her action on matter and its reaction to it. Her peculiar technique also gives vent to a high percentage of non-deterministic mechanisms and to the typical uncertainty of quantum mechanics. She examines human behaviour when people are facing the unpredictability of inescapable circumstances or events caused by themselves; consequently, she explores the human emotional instabilities and reactions of people facing the unexpected, inevitable or sudden life-changing experiences.

(Italian text below )

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13
Nov

Boris Mikhailov. Io non sono io

Una galleria di ritratti e autoritratti del fotografo ucraino. Mikhailov affronta una molteplicità di temi sociali, indagando i profondi e spesso traumatici cambiamenti che hanno investito il suo Paese e l’identità contemporanea.
a cura di Andrea Viliani ed Eugenio Viola

Boris Mikhailov (Kharkov, 1938) è uno dei più autorevoli fotografi contemporanei. Nato in Ucraina, nelle serie fotografiche in cui si articola la sua ricerca, avviata negli anni Sessanta, mentre lavora come ingegnere in una fabbrica, e ripetutamente boicottata dal regime sovietico, Mikhailov affronta una molteplicità di temi sociali, indagando i profondi e spesso traumatici cambiamenti che hanno investito, e ancora oggi investono, il suo paese e, per traslato, la stessa identità contemporanea, nella sua frammentazione, ma, al contempo, nella ricerca delle sue comuni radici etiche.

La mostra al Madre, organizzata in collaborazione con Incontri Internazionali d’Arte e Polo museale della Campania, Villa Pignatelli – Casa della fotografia, segue e integra la retrospettiva che, nell’autunno del 2015, sarà dedicata all’artista da Camera – Centro Italiano per la Fotografia di Torino. A Napoli la mostra approfondisce in particolare il tema del ritratto e dell’autoritratto e quindi la matrice intimamente biografica di tutta la sua ricerca, in cui sono esplorati i temi della disintegrazione identitaria, dell’oppressione sociale, della povertà iniqua, dell’inermità del corpo, dell’abbandono e della solitudine in una situazione sospesa fra guerra e pace, così come l’inesauribile e insopprimibile ricerca della verità umana nelle pieghe del reale, temi che riecheggiano, attraversando i confini dello spazio e del tempo, la grande pittura barocca napoletana, come nelle tele del grande pittore spagnolo Jusepe de Ribera (Xàtiva, 1591-Napoli, 1652), alcune delle quali saranno accostate in mostra, in un inedito confronto, alle opere fotografiche dell’artista. Evocando inoltre anche altre possibili relazioni, come l’interesse per i “vinti” della pittura e della fotografia ottocentesca (come nelle opere della “Scuola di Resina”), fino alla ricerca di responsabilità personale e civile delle avanguardie storiche del primo Novecento, la mostra ci restituisce una galleria di ritratti e autoritratti al contempo disturbanti quanto universali nella loro urgente richiesta di dignità personale e collettiva.Continue Reading..

13
Nov

Maïmouna Guerresi. Talwin

In due sale si illustrano la versatilità  del linguaggio artistico di Guerresi: un’alchimia tra sospensione metafisica, trasformazione, misticismo e mimesis.
Talwin (in arabo cambiamento), termine che dà il titolo alla personale di Maïmouna Guerresi presso la galleria Matèria di Roma, rappresenta per i Sufi uno degli ultimi stadi di elevazione spirituale dell’essere verso la conoscenza. La mostra propone numerose opere fotografiche inedite affiancate dal video Akhfa Zero, una scultura dal titolo Adama e da Students and Teacher, un polittico fotografico realizzato nel 2012.

Le due sale della galleria illustrano la versatilità del linguaggio artistico di Guerresi, sviluppatosi sulla solidità di una ricerca radicata e caratterizzante; un’unica alchimia tra sospensione metafisica, trasformazione, misticismo e mimesis.

I soggetti rappresentati si mescolano a oggetti bellici abbandonati e poi recuperati. Taniche, bossoli e reperti di guerra perdono il loro significato originale per assumerne uno innocuo, decorativo e quotidiano; una forma di ready-made contemporaneo in dialogo con l’eredità del passato e le dinamiche socio-politiche del presente.

Questa dicotomia tra tensione, e serenità pone l’accento sul concetto stesso di cambiamento (Talwin), fil rouge della mostra: il divenire Eraclitiano dell’essere, dove ogni cosa è soggetta al tempo e alla trasformazione.

Inaugurazione 12 novembre 2015 ore 19,00

Materia
via Tiburtina, 149 Roma
ore 11-19
ingresso libero

MAIMOUNA GUERRESI
dal 12 novembre 2015 al 23 gennaio 2016

 

11
Nov

Michael Kenna. Forms of Japan

Le sue immagini sono caratterizzate da un bianco e nero essenziale. La mostra ‘Forms of Japan’ racconta un amore per il Giappone, da parte dell’autore, iniziato oltre 30 anni fa.

Michael Kenna è considerato uno dei più importanti ed influenti fotografi di paesaggio al livello internazionale. Le sue immagini sono caratterizzate da un bianco e nero essenziale. La mostra Forms of Japan racconta un amore per il Giappone da parte dell’autore iniziato oltre 30 anni fa. Un legame empatico per la filosofia e il paesaggio di una terra che esprime poesia visiva. Il linguaggio fotografico di Michael Kenna si appropria di questi elementi poetici che l’autore rende in forme poetiche e meditative in equilibrio con l’anima del Giappone. Un percorso di meditazione attraverso alberi solitari, profili delle montagne, ponti , giochi d’acqua, piccole isole, paesaggi sommersi dalla neve ma anche sagome di pesci e particolari di antiche pitture. I suoi scatti diventano Haiku e ne seguono la composizione e le strutture logiche.

L’Haiku consiste in tre versi costruiti in ordine verticale di solito con lo schema 7/5/7. Questa rappresentazione della natura come specchio dell’anima, come rappresentazione di una realtà interiore che si esprime con simboli e sillogismi ritorna nelle immagini dell’autore costruite con rigore e ordine apparente di un ‘equilibrio che in realtà genera emozioni profonde e contrastanti. D’altronde L’haiku (visto come anti-sillogismo) e il sillogismo stesso incarnano, a ben vedere, la doppia condizione della vita, che, per mantenersi, deve riuscire sia a rinnovarsi sia ad innovarsi. Se il rinnovamento esprime la riproduzione dei cicli vitali, l’innovazione deve realizzare quelle trasformazioni che permettono alla vita di affrontare e superare quei mutamenti dell’ambiente che ostacolano oppure rendono impossibili o inefficaci i processi ciclici di rinnovamento. Continue Reading..

10
Nov

STORIE SOVIETICHE

Tre mostre apriranno contemporaneamente al pubblico il 4 dicembre presso la Galleria del Cembalo, e proseguiranno fino al 13 febbraio per raccontare quasi un secolo di arte, di storia, di fotografia. Tre storie per tre voci soliste. Tre storie indipendenti, ma unite idealmente, per raccontare nell’arco di 85 anni, dal 1930 al 2015, la storia immensa dell’Unione Sovietica, nel suo farsi e disfarsi, tra illusioni, propaganda, disillusioni, memoria. Apre la trilogia Rozalija Rabinovič (Kiev, 1895 – Mosca, 1988), pittrice, allieva del VChUTEMAS e interprete originalissima della propaganda negli anni ’30 nel segno di Stalin. Segue Sergei Vasiliev (Čeljabinsk, 1937), nome di riferimento del fotogiornalismo oltre cortina, premiato cinque volte al World Press Photo, e autore di un intenso ritratto della vita quotidiana negli anni del primo “disgelo”, tra i carcerati e la follia dei loro tatuaggi, e i corpi morbidi e immacolati delle donne nella sauna e nelle fasi più emozionanti del parto in acqua. Chiudono le immagini compostissime di Danila Tkachenko (Mosca, 1989), enfant prodige della fotografia russa, che ha ritratto le zone off limits, militari e industriali, dell’ex Urss, simbolo della guerra fredda e della più ambiziosa tecnocrazia di regime. A distanza di quarant’anni uno dall’altro, e in assoluta autonomia artistica, Rozalija Rabinovič, Sergei Vasiliev e Danila Tkachenko si passano il testimone per narrare le stagioni di un paese straordinario e della sua ideologia, che mai come oggi torna a guardare indietro nel tempo.Continue Reading..