Category: fotografia

21
Mar

Ugo Mulas. La Photographie

January 15 – April 24, 2016

The photographer’s task is to identify his own reality; that of the camera is to record it in its entirety.

Ugo Mulas (1928-1973) was a major figure of twentieth century Italian photography. Nevertheless, his work remains little known in France. This solo exhibition is the first of its kind and pays homage to this great observer and interpreter of the novelty that appeared in the art world in Italy and in the United States in the 1960s. It brings together, for the most part, the photographs selected by Mulas for publication in La Fotografia (Einaudi, 1973), his last, now legendary, book, an essential testimony of his work and his reflections.

When he arrived in Milan in 1948, Ugo Mulas associated with the artistic and literary circles that gathered at Bar Jamaica and he quickly began to photograph the city. Turned professional photographer, he developed more personal projects simultaneously. Official photographer of the Venice Biennale beginning in 1954, he documented the Italian and New York art scene of the 1960s. From 1968 onwards, he devoted himself to the Verifications, his last project, which questions photography and its practices.

With a title that is both simple and ambitious, La Photographie is a unique work. Through brief sequences of images introduced by text, Mulas analyzed the art of his time and made portraits of artists with whom he associated while creating their work as an intimate relationship with time. For Mulas, all moments are fleeting, they are all worthy, and the least significant moment can be in fact the most exceptional. Besides its documentary value, this group of work has a strong autobiographical tone. This selection closes with the Verifications, the final seminal chapter, which will forever establish the speculative dimension of his work.

The exhibition, composed of some sixty black-and-white vintage prints, is presented in collaboration with the Ugo Mulas Archives (Milan) and Giuliano Sergio, associate curator. It is co-produced with the Point du Jour, art center / editor (Cherbourg), which published Ugo Mulas’s book La Photographie in French, reproducing the format, text, and photographs of the Italian first edition.

Fondation Henri Cartier-Bresson
2, Impasse Lebouis, 75014 Paris
Tel : 01 56 80 27 00
Fax : 01 56 80 27 01
contact@henricartierbresson.org

Image: Ugo Mulas, Jasper Johns, New York, 1967

 

14
Mar

OFFICINE SAFFI. Artista in residenza: Silvia Celeste Calcagno

Officine Saffi presenta la seconda edizione di Artista in Residenza proponendosi come centro di diffusione e promozione culturale e di produzione artistica. Anche quest’anno il progetto di Artista in Residenza nasce dalla collaborazione con il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza. Verranno ospitati gli artisti vincitori della 59ma edizione del Premio Faenza, ed in particolare Silvia Celeste Calcagno, vincitrice per la sezione over 40, Helene Kirchmair e Thomas Stollar vincitori ex aequo per la sezione under 40 e Nicholas Lees a cui è stato assegnato il Premio Cersaie.

Artista in Residenza si svolge negli spazi delle Officine Saffi, che comprendono la galleria d’arte, il Laboratorio, l’alloggio della residenza. È un’opportunità di scambio di saperi che coinvolge gli artisti ospiti e l’intera comunità. L’esito di questa osmosi è il progetto finale che verrà esposto alla fine del programma di residenze presso gli spazi della galleria Officine Saffi, nella mostra dedicata. Attraverso la residenza, l’artista ospite ha l’opportunità di entrare a far parte dell’ambiente circostante e della cultura locale, interpretando e incorporando questi nuovi stimoli attraverso il medium di elezione di Officine Saffi, la ceramica.

Il primo degli artisti a dare il via al programma è Silvia Celeste Calcagno che sarà presente alle Officine Saffi fino a metà marzo. Innocent, L’ultima cena è il titolo del progetto che la Calcagno ha scelto di sviluppare durante la sua permanenza a Milano.

“L’installazione Innocent è un lavoro concettuale, la sua incubazione coincide con l’invito in residenza. La notizia divide in due momenti l’esistenza dell’artista: il prima e il dopo. L’esistenza prima di ricevere l’invito e l’esistenza successiva alla notizia. Per questo, il concetto stesso di Residenza d’artista viene stravolto: l’opera porta in sé non solo l’esperienza vissuta in loco, ma anche le fasi antecedenti, che sono parte stessa del progetto. Il concept di Innocent è, ancora una volta, una registrazione meticolosa, puntuale, addirittura esasperata delle emozioni e dello stato d’essere dell’artista. Quando l’artista riceve l’annuncio, si trova nella propria casa, l’appartamento che è stato lo sfondo di numerose opere. Le cose, però, sono cambiate e l’ambiente, percepito un tempo come luogo ospitale, è divenuto estraneo. Il luogo non “è” in se stesso, ma esiste in base alle emozioni e allo sguardo dell’artista, il luogo “è” attraverso l’occhio di chi osserva. Il dolore per il mutamento di un ambiente violato, un tempo amato, viene sintetizzato attraverso un oggetto simbolo della vita quotidiana: il freezer. Una serie di constatazioni fotografiche, tradotte in ceramica secondo la tecnica sperimentale della fotoceramica ad alte temperature, inquadra l’interno di un freezer vuoto, le cui pareti sono divorate dal ghiaccio. Un’immagine, ripetuta in modo costante, attraverso scatti differenti l’uno dall’altro, pur se per particolari impercettibili, che simboleggia un dolore glaciale. I sentimenti lasciano posto a una morsa: un freezer trascurato, che nessuno sbrina da tempo; una casa vuota. Sino a un richiamo macabro: le celle dell’obitorio. La vita dell’artista è sospesa, come i fiori incastonati nel ghiaccio o nella resina. Tanto belli e integri, quando pietrificati. Il desiderio dell’arte, prima ancora dell’arte stessa, restituisce la vita. Un tepore salvifico può sciogliere il ghiaccio. Accade, così, un nuovo passaggio puramente concettuale: il corpo rinasce e diviene sacrificio nel senso etimologico del termine: “si fa sacro”. Al punto da offrirsi agli altri come un dono eucaristico. Allo stesso modo in cui le uova, che riportavano l’impronta di Piero Manzoni, venivano distribuite dall’artista, nelle sue performance, perché il pubblico se ne cibasse, mangiando la carne di Manzoni. La seconda fase di “Innocent” è la narrazione del sacrificio. È una sorta di “Ultima cena” laica quella narrata, dove la rinascita passa dal dono del proprio corpo: fotografie dedicate a parti intime del corpo – pelle, seni, capezzoli, pube, cosce – sono donate agli altri. Sono il risveglio della carne, divenuta sacra nella benedizione dell’arte, e offerta in un dono-sacrificio agli altri. Il soggiorno in Residenza costituisce la terza e ultima fase dell’installazione: la Resurrezione. Dopo la morte apparente del freezer, l’offerta eucaristica di sé, l’artista registra, ora, il ritorno alla vita. Il riappropriarsi del proprio corpo e dell’anima, alla ricerca di una unità fisico-spirituale, leit motiv del percorso artistico negli anni. Il “genius loci” – la vita in Residenza- è il momento concettuale dell’elaborazione di questo terzo momento. La constatazione del ritorno alla vita. Un video, un audio, forse nuove immagini.”Continue Reading..

14
Mar

Lorenzo Vitturi. Droste Effect, Debris and Other Problems

a cura di Fantom
Inaugurazione: martedi 5 aprile 2016 dalle 18 alle 21
Aperta fino al 20 maggio 2016

Venezia, 1980. Vive e lavora tra Londra e Milano
Precedentemente pittore di scenografie cinematografiche, Vitturi ha trasposto questa esperienza all’interno della propria pratica fotografica, basata su interventi site-specific al confine tra la fotografia, la scultura e la performance. Nel lavoro di Vitturi la fotografia è concepita come uno spazio di trasformazione, ove le differenti discipline si fondono assieme per rappresentare una sempre più complessa realtà urbana. Vitturi ha recentemente esposto presso The Photographers’ Gallery a Londra, presso la Galleria Yossi Milo di New York, la Contact Gallery di Toronto ed il CNA in Lussemburgo. L’artista ha anche partecipato a diverse mostre collettive presso il Maxxi di Roma, il Centre Georges Pompidou di Parigi, La Triennale di Milano, il museo d’Arte di Shanghai.
Dopo la collettiva Picture Perfect (Viasaterna, Milano), Droste Effect Debris and Other Problems è la sua prima personale in Italia.

VIASATERNA via Leopardi 32 20123 Milano
+39 02 36725378 info@viasaterna.com
Dal lunedi al venerdi dalle 12 alle 19
La mattina e il sabato su appuntamento
Chiusa il 3 e 4 maggio 2016
Immagine: Untitled – Red Tube #2 from the series Droste Effect, Debris and Other Problems,  2015
11
Mar

Stephen Shore. Retrospective

“I wanted to make pictures that felt natural, that felt like seeing, that didn’t feel like taking something in the world and making a piece of art out of it.” Stephen Shore

What does it mean to explore the essence of things through photography? Is it possible to show what holds the world together internally—not just its surface appearance? The immaterial is impossible to document directly. Cultural developments and contexts are most clearly manifest in everyday situations, banal objects, unremarkable landscapes, and faceless places. Stephen Shore’s photographic series record, preserve, and reflect on those traces of human life that are normally passed over, considered unworthy of representation. A chronicler of the unspectacular, Shore uncovers the structures  and subtle inner workings of our Western culture. In his work, the act of photographing becomes an attempt to examine the self and the external world, to arrive at deeper understanding through observation. At the same time, his work is an attempt to understand and find new ways of thinking about the medium of photography. Stephen Shore’s conceptual approach and his ongoing experimentation—spanning a range of genres, themes, and techniques—establish him as a pioneer and one of the most important visionaries in photography today; an artist who is continually reinventing himself. Due to the diversity of his different series and projects during his career, at first glance Stephen Shore’s oeuvre seems to fit easily into established documentary and narrative photographic traditions. Yet for Shore, the “decisive moment” is irrelevant, and chance plays only a minor role. He uses these categories and visual languages instead as stylistic devices to give visual expression to his conceptual ideas about reality. Bound only by his own constantly evolving rules, he frees himself from widely accepted conventions of photographic medium and continually explores and redefines its limitations and possibilities. For this reason, Stephen Shore is an important and ever-present point of reference for artists working today, and one of only a very few bridging figures who defy easy categorization solely on the basis of either visual results or working methods.  His system of references reveals the strength of his body of work as a mixture of documentary and artistic reflection. The exhibition includes over 300 pictures–some of them never published. It was organized by Fundación MAPFRE in collaboration with C/O BERLIN, and was curated by Marta Dahó and Felix Hoffmann. C/O Berlin will be the only place of Stephen Shore’s retrospective in Germany. A catalog accompanying the exhibition has been published by Kehrer Verlag. This first retrospective of Stephen Shore’s work unfolds chronologically, shedding light on the three most significant aspects of Stephen Shore’s oeuvre as well as his unique contribution to the culture of photography. The exhibition also presents some of the most important interpretations that his work has inspired over the last four decades.

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11
Mar

Studio Azzurro. Immagini sensibili

Il Comune di Milano rende omaggio a Studio Azzurro con una mostra antologica e “prospettiva”. Nelle prestigiose sale di Palazzo Reale (Appartamenti del Principe, Sala delle 4 Colonne, Sala delle 8 Colonne, Sala delle Cariatidi) si susseguono videoambienti, videoinstallazioni interattive (ambienti sensibili) e sale di videodocumentazione del vasto corpus di opere realizzate dal 1982 a oggi.

Il percorso espositivo prende inizio dalla riproposizione de IL NUOTATORE (va troppo spesso a Heidelberg) e si conclude con una nuova opera dedicata alle storie della Milano nascosta e ideata per la Sala delle Cariatidi in omaggio al grande film MIRACOLO A MILANO.L’occasione della mostra permette a Studio Azzurro di attivare la sua vocazione a fare rete coinvolgendo altri spazi della città metropolitana: anzitutto lo Spazio MIL come primo esperimento sul campo di Stazione Creativa; l’Anteo spazioCinema per la rassegna di film e video inediti; il CRT Milano; la sede dello studio alla Fabbrica del Vapore, dove si sono formati i giovani che hanno poi proseguito autonomamente la propria attività artistica.La mostra è parte del palinsesto RITORNI AL FUTURO
http://www.ritornialfuturo.it/
In mostra trentacinque anni di lavoro di Studio Azzurro, riconosciuto sia a livello nazionale che internazionale e orientato al dialogo tra spettatore e spazio che lo ospita, in una lunga ricerca artistica stimolata dalle nuove tecnologie. Alla riproposizione delle installazioni più significative che pongono come protagonista lo spettatore, si aggiunge una nuova installazione dedicata a Milano.
Studio Azzurro. Immagini sensibili
Palazzo Reale di Milano
a cura di Studio Azzurro
Dal 09 aprile al 04 settembre 2016enti promotori:
Comune di Milano Cultura
Palazzo Reale
Studio Azzurro ProduzioniT. +39 02 88445181
c.mostre@comune.milano.it

Immagine: Studio Azzurro, La Camera Astratta, opera videoteatrale, Salzmannfabrik, Documenta 8, Kassel, 1987 (part.)

report by amaliadilanno

07
Mar

PAOLO VENTURA. La Città Infinita

PAOLO VENTURA
La Città Infinita

10 marzo – 5 maggio 2016
Inaugurazione giovedì 10 marzo dalle 18.00 alle 20.00
Sarà presente l’artista

Giovedì 10 marzo Photographica FineArt di Lugano inaugura una nuova esposizione dedicata al “mondo magico” di Paolo Ventura.

La visione fantastica anima il lavoro di Paolo Ventura. Figlio di un famoso novellista per bambini, appena ha potuto emanciparsi a livello artistico, ha abituato la sua mente a volare tra fantasie irreali creando mondi virtuali, a lui paralleli, dove regnano enigmi, intrighi, sentimenti, tragedie e stravaganze. Luoghi gestiti da personaggi – fiabeschi come le sue scenografie – sempre plasmati nella fanciullesca visione di una persona che vuole mantenere uno stretto contatto con il mondo pre-adolescenziale, consapevole che questa è la porta della sua anima artistica.
Il “mondo di Paolo” è sempre ripreso dalla sua fotocamera con angolature differenti da quelle razionali perché è un mondo illogico e inesistente nel quale l’artista stesso ne è addirittura protagonista.
Nel suo ultimo progetto artistico, La Città infinita, Paolo Ventura si evolve ancora una volta e crea la sua città realizzandola con pezzi di scenografie e di edifici che poi fotografa e monta come dei collages. Il progetto, che prende ispirazione dal secondo futurismo e dalla “Pittura murale” di Sironi, presenta paesaggi urbani solitari e onirici punteggiati da figure umane, sempre impersonate da Ventura stesso. Sebbene le scene composte differiscano le une dalle altre, la linea dell’orizzonte rimane sempre la stessa, creando in questo modo un infinito paesaggio urbano, La Città Infinita.
Oltre a quest’ultimo lavoro di Ventura, in mostra verranno esposti alcuni lavori precedenti di War Souvenir (2006), Winter Stories (2008) dove i personaggi sono delle marionette vestitie secondo le tematiche del soggetto e le sue più recenti Short Stories, brevi racconti impersonati da Ventura stesso, sua moglie Kim e suo figlio Primo. Oltre alle opere esposte, una sala sarà dedicata alle sue scenografie costruite per la realizzazione delle opere esposte.

Orari galleria:
dal martedì al venerdì dalle 9.00 alle 12.30 e dalle 14.00 alle 18.00.
Sabato su appuntamento.

Photographica FineArt Gallery
Via Cantonale 9 – 6900 Lugano – Switzerland – mail@photographicafineart.com

03
Mar

Hiroshi Sugimoto: Black Box

Curated by Philip Larratt-Smith

From February 19 through May 8, 2016

“I feel like a man from the stone age. I try to go back to the original roots of our mind, of our conscience, that we may have lost thousands of years ago, or maybe just fifty or a hundred years ago.” Hiroshi Sugimoto

From February 19, 2016, you can visit the exhibition at the Casa Garriga i Nogués in Barcelona, dedicated to the Japanese photographer, Hiroshi Sugimoto. The exhibition, under the title of Hiroshi Sugimoto. Black Box provides a journey through some of his most famous series and invites us to learn about the work that the artist is working on right now. This multidisciplinary artist, based in New York since the ’70s, works with sculptures, architecture, installation and photography, and is considered to be one of the most important international artists in the last field. The exhibition includes 39 large prints, showing the last forty years of the artist’s work.

Hiroshi Sugimoto has explored ideas of time, empiricism and metaphysics through a surreal and formalistic approach since the 1970s. A self-described “habitual self-interlocutor,” Sugimoto uses the camera as a bridge between abstract questions and the quiet, comical nature of modern everyday life. Whether formally photographing Madame Tussauds wax figures and the wildlife scenes at the American Museum of Natural History, or opening the lens of his eight-by-ten camera to capture a two-hour-long film in one exposure, he explores themes of consumerism, narrative and existence in rich and evocative imagery. This new project presents a survey of Sugimoto’s iconic work, from his calm seascapes to his more recent exploration of lightning fields and photogenic drawing. Created in conjunction with an upcoming exhibition at Fundación Mapfre in Spain, the survey includes an introduction and essay by writer and curator Philip Larratt-Smith, an interview with Sugimoto and text by the prominent Brazilian artist Iran do Espírito Santo.Continue Reading..

01
Mar

Teoria ingenua degli insiemi

Teoria ingenua degli insiemi
Paolo Icaro
Bettina Buck, Marie Lund, David Schutter
a cura di Cecilia Canziani e Davide Ferri
30 gennaio – 26 Marzo 2016

P420 inaugura il nuovo spazio a Bologna in Via Azzo Gardino 9 con due mostre curate da Cecilia Canziani e Davide Ferri.
Un insieme è una qualunque collezione di oggetti della nostra intuizione o del nostro pensiero. Gli oggetti, detti elementi dell’insieme, devono essere distinguibili e ben determinati
G. Cantor, Teoria ingenua degli insiemi
Il modello di insieme sviluppato dal matematico tedesco Georg Cantor (1845 – 1918) elaborato alla fine del XIX secolo e fondamentale per lo sviluppo della matematica moderna, è una teoria che si basa sul concetto di appartenenza: un insieme è a tutti gli effetti una collezione di elementi distinti, con la particolarità che gli elementi dell’insieme possono essere, a loro volta, insiemi. E’ una teoria non riconducibile a concetti definiti, ma intuitiva e aperta al paradosso e alla contraddizione.

Teoria ingenua degli insiemi è un titolo per due mostre: un progetto espositivo di Paolo Icaro le cui opere sono state scelte per attivare un dialogo con una mostra che include lavori di Bettina Buck, Marie Lund e David Schutter.
Le due mostre si trovano a condividere lo stesso spazio, e una accanto all’altra, o, letteralmente, una dentro l’altra, possono dialogare per contrasti, o temporanee assonanze, portando alla luce richiami tra poetiche di artisti che appartengono a geografie e genealogie diverse. Somiglianze non sensibili che indicano preoccupazioni comuni restituite in forme differenti.

Teoria ingenua degli insiemi è dunque un’indagine sul lavoro di Paolo Icaro (Torino, 1936) condotta su un arco temporale molto ampio e declinata attorno all’opera Cardo e decumano (2010) che idealmente ri-orienta lo spazio espositivo e ne ripartisce i confini. Attorno a questa ossatura composta di due linee tratteggiate ortogonali, formate da variazioni numeriche di elementi modulari in ferro, si articola una progressione di opere non cronologica, con lavori appartenenti a periodi differenti. Così i Lunatici (1989) sono un campionario di azioni della mano su una porzione di materia data; Lassù: per un blu K (1990) è un lavoro in cui la misura del fare si distende fino a incontrare l’infinito in un punto; Esplosa (1990) è una scultura che disegna lo spazio, che “fa spazio”, anziché occuparlo; Numericals 1 – 10 (1978), in cui un danzatore interpreta liberamente una progressione numerica, è una performance in cui il corpo diventa materia scultorea.Continue Reading..

26
Feb

Mythographie. Polaroid by Maurizio Galimberti

A cura di Alessia Carlino

Opening 10 marzo 2016 ore 19
11 marzo › 10 aprile 2016

SPAZIOMR arte e architettura presenta Mythographie Polaroid by Maurizio Galimberti il primo progetto espositivo che apre i battenti della nuova galleria ideata dall’architetto Marco Riccardi e dedicata al contemporaneo sotto la curatela di Alessia Carlino.
Mythographie è il racconto in polaroid di tre importanti città mondiali: Roma, Parigi, New York che divengono nella fotografia di Galimberti non solo la rappresentazione di un immaginario collettivo, bensì la visione creativa di un artista che con la sua particolare tecnica compositiva ha saputo coniugare la ricerca del movimento, tipico dell’avanguardia futurista, al racconto narrativo di matrice sperimentale. La fotografia di Galimberti registra l’istantaneità dello sguardo, i suoi mosaici costruiti attraverso l’utilizzo di polaroid rispecchiano la volontà di voler narrare allo spettatore una storia: la verità di un incontro, l’interiorità di una persona, le prospettive ardimentose di un paesaggio. In questo procedimento tecnico ed estetico l’artista mantiene in vita la poeticità del mondo circostante attraverso la testimonianza di chi è stato soggetto delle sue opere, un lirismo che lascia spazio al sentimento di indefinito, a una sorta di sospensione che accompagna le immagini e che investe l’osservatore di un piacere latente, di un tessuto emozionale che si basa anche sulla ricerca di brandelli di assenza. Un maestro della fotografia contemporanea, un artista che ha costruito il proprio linguaggio attraverso la sperimentazione visiva ed estetica.

Scrive Roland Barthes nel suo celebre saggio intitolato La Camera chiara: “Un dettaglio viene a sconvolgere tutta la mia lettura; è un mutamento vivo del mio interesse, una folgorazione. A causa dell’impronta di qualcosa, la foto non è più una foto qualunque. Questo qualcosa ha fatto tilt, mi ha trasmesso una leggera vibrazione, il passaggio d’un vuoto. Malizia del vocabolario: si dice ‘sviluppare una foto’, ma ciò che l’azione chimica sviluppa è l’insviluppabile, è un’essenza di ferita, è ciò che non può trasformarsi, ma solo ripetersi in forma di insistenza”.

Si potrebbe parlare del lavoro di Galimberti come la narrazione di un’immobilità viva, le sue immagini, frutto di molteplici contaminazioni e della personale volontà di donare ad ogni scatto l’immortalità di un tempo futuribile, si appropriano di un contesto familiare, noto ai più, ma che inevitabilmente allude a una nuova prospettiva, ad un’inedita declinazione dello sguardo.Continue Reading..

02
Feb

DPI – Darkness Per Inch. Mustafa Sabbagh e Milena Altini

DPI – Darkness Per Inch
doppia personale di Mustafa Sabbagh e Milena Altini
dal 6 febbraio al 19 marzo 2016
Galleria Marcolini – Forlì

Il titolo accenna al monopolio cromatico del Nero nel lavoro presentato dai due artisti in Galleria Marcolini, dal 6 febbraio al 19 marzo 2016.
Le fotografie dalla matericità pittorica di Mustafa Sabbagh hanno quasi tutte una composizione tradizionale dalle reminiscenze religiose; l’artista italo-giordano ritrae contemporanee Madonne con Bambino e Pietà i cui corpi sporchi, imbevuti spesso di un materico colore petrolio, pulsano anche nell’immobilità delle loro pose.
Una donna bionda, di cui conosciamo il nome – come Francis Bacon ci confessava l’identità di chi ritraeva all’interno delle camere d’albergo, così Sabbagh ci fa conoscere i nomi dei suoi modelli, quasi sempre esplicitandoli nei titoli dei files – maneggia lo strumento ginecologico di dilatazione vaginale come se fosse una pistola. Ci ricorda che corpo e battaglia spesso sono sinonimi, e di come dolore e sofferenze siano connaturati e acquisiti tramite una condizione di genere, sessuale.
Paesaggi sublimi e romantiche contemplazioni naturali si alternano a ritratti non solo dall’invadente potenza estetica, ma anche provocatori. Innocenza e consapevolezza. William Blake e Bill Henson.  Ugualmente innocenti, indipendenti da ogni giudizio, e parimenti consapevoli, avvolgendosi potentemente su loro stesse, le Waiting Souls di Milena Altini sono un gruppo scultoreo di anime perfette, collegate nella loro unità di forme e di fine. Lembi di pelle di vitello e di agnello, sacri o sacrificali a seconda della loro latitudine di provenienza, dal movimento di una spirale e tono di un’ascesa. La Altini, percorrendo i gradienti di nero del derma delle sue anime, ne onora una immensa composta da mille altre sue simili, sul solco di una cucitura e di una necessità contingente, ma ancora incomprensibile.  Attraverso il linguaggio che più le si confà: la scultura. Parlando la lingua che meglio conosce: quella della pelle. Sfiorando corde note ad ogni essere umano, ma soprattutto ad ogni donna: quelle dell’attesa. Berlinde de Bruyckere ed Eva Hesse.
Fil rouge tra i due artisti, oltre al riferimento cromatico, è ovviamente il corpo o – ricordando Malaparte – la pelle, corpo livido e materia evocativa, e – parafrasando Bulgakov – la carne, il cui odore che si sente da lontano toglie significato anche all’atto di imparare a leggere.

Galleria Marcolini
via Francesco Marcolini 25/A – 47121 Forlì
Orari: mercoledì e giovedì, dalle 16.30 alle 19.30
venerdì e sabato, dalle 10 alle 13 e dalle 16.30 alle 19.30
visitabile anche su appuntamento
Info: +39 388 3711896 – info@galleriamarcolini.it