Category: fotografia

07
Gen

Silvia Celeste Calcagno. If ( but I can explain)

a cura di Alessandra Gagliano Candela
Inaugurazione: 19 gennaio h.18:00
20 gennaio – 19 febbraio 2017

PROROGATA al 5 marzo 2017

Il Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce è lieto di annunciare la mostra di Silvia Celeste Calcagno If (but I can explain) a cura di Alessandra Gagliano Candela. Progetto studiato site-specific per la Project Room al primo piano del Museo, If ( but I can explain) presenta una nuova condizione del proprio “stare”. Partendo da un lavoro autobiografico, l’artista evoca una condizione di sospensione, in cui il corpo di donna vive o sopravvive. In una riflessione metafisica, gli oggetti del quotidiano, gli abiti, le fotografie appese al muro, diventano il racconto di una quotidianità infranta. Come nei fotogrammi di un film, vengono proposti brandelli di una vita che è stata spogliata, depauperata, violata. Un’esistenza che si interroga su quel che è stato e su quel che sarebbe potuto essere. È lo stato perpetuo del “sé”. Sono solo due lettere quelle che danno il titolo all’installazione. Due lettere che, però, aprono a un universo di contenuti: il dubbio, l’incertezza, il pentimento, l’ipotesi. È un “sé” che guarda all’infinito quello che l’artista propone al pubblico, coinvolgendo lo spettatore in un viaggio intimo, in cui ciascuno si può riconoscere. Dopo “l’uno, nessuno e centomila” delle numerose donne protagoniste delle precedenti opere, dalle installazioni dedicate a “Rose” a quelle di “Carla” e  “Interno 8”, la Calcagno supera il dramma esistenziale di una identità fragile.

If” è un’installazione composta da tre elementi: una quadreria di lastre in grès che avvolgono le pareti della Project Room, una suggestione sonora e un video. If (but I can explain) racconta un’esistenza sospesa, incompiuta. Il riferimento ideale è il Cimitero di Modena, progettato negli anni Settanta da Aldo Rossi, la soglia tra la vita e la morte, tra la realtà e il ricordo, come scrive Alessandra Gagliano Candela.

Nei suoi lavori, Silvia Celeste Calcagno fa riferimento a una dimensione autobiografica, che, tuttavia, diventa biografia di un femminile in senso ben più ampio. Esperienze, vissuti che da strettamente personali si fanno universali, per citare Angela Madesani. Un mantra, scritto dall’artista, intitolato “Could you please stop talking?” riferimento al testo di Raymond Carver accompagna lo spettatore. Recitato da una voce maschile, descrive stralci di esistenza che si concludono con la litania “Vuoi star zitto, per favore?”. Una rabbia che non eccede mai nell’ira, pur travalicando la sottile linea che separa il dolore dalla collera.

A completare il percorso è un video, “Air fermé”, che riprende con telecamera fissa il paesaggio urbano da una finestra attraverso una tenda. Un filtro che registra lo scorrere del tempo, marcato dal variare delle luci, osservando i ritmi dell’esistere.

Vincitrice del 59° Premio Internazionale Faenza della Ceramica d’Arte Contemporanea, Silvia Celeste Calcagno porta avanti una ricerca, in cui il contenuto si è sviluppato in continua simbiosi con l’evoluzione tecnica, a dimostrare lo stretto legame fra concept e studio materico. La riflessione sul corpo, sull’esistenza, sulla femminilità si sposano con la fotografia e la ceramica, attraverso una interpretazione personale e innovativa, in grado di accompagnare uno dei media più antichi, la ceramica, nel mondo dell’arte contemporanea.

Ogni installazione è frutto di un lungo e complesso lavoro che costituisce, esso stesso, una performance.

L’artista parte da una serie di constatazioni fotografiche, scattate in modo ossessivo per ore e ore, sino al raggiungimento della totale trasposizione emotiva nello scatto. A questo punto, il passaggio alchemico: la fusione fra immagine e materia. Un percorso di ricerca che ha preso il via, ormai una decina di anni fa, dalla decalcomania per raggiungere vertici del tutto inaspettati che mettono insieme tecniche, in apparenza, incompatibili. L’immagine fotografica è impressa su impasto da grès ingobbiato a fresco e sottoposta a cotture ad alta temperatura, ottenendo un risultato che può evocare la serigrafia conservando una dinamicità e una poeticità del tutto nuove.

La mostra è accompagnata da un catalogo che documenta il progetto, pubblicato da Nomos editore, con un’intervista di Ilaria Bonacossa all’artista, testi di Alessandra Gagliano Candela e Angela Madesani. Il catalogo verrà presentato nel corso dell’esposizione.Continue Reading..

19
Dic

Eulalia Valldosera. Plastic Mantra

Inaugurata lo scorso 14 dicembre alle ore 19 presso lo Studio Trisorio la mostra PLASTIC MANTRA. Canto di guarigione per le acque marine e l’isola di Capri, un progetto site specific dell’artista catalana Eulalia Valldosera che ha lavorato muovendosi nella baia di Napoli tra i Campi Flegrei e Capri. L’artista ci induce a riflettere sull’inquinamento del mare causato dalla plastica. Considerando l’ecologia come una questione spirituale e l’ambiente come una creatura vivente, la Valldosera esprime la sua denuncia attraverso una manifestazione di luce e bellezza.

L’arte per la Valldosera è un viaggio interiore, un’esperienza d’ascolto dei livelli invisibili della memoria, attraverso il contatto con le energie profonde della materia. L’artista si fa “medium” di queste esperienze ricalcando il modello di figure archetipiche di mediatrici e guaritrici come le sibille e ripercorre fisicamente i luoghi che queste donne avevano vissuto come guidata dalle loro stesse voci. Nel video Il Canto – filo conduttore della mostra – l’artista riporta i loro messaggi attraverso la sua voce in stato di trance e mediante gesti silenziosi, traducendoli in linguaggio artistico.

Una sibilla o il suo archetipo è evocato da un mantello di plastica che fluttua nello spazio della galleria, come un vestito in attesa di essere abitato da una figura della quale vediamo solamente una corona luminosa che riverbera i suoi bagliori colorati sul soffitto e sul pavimento.

Due fontane con giochi di acqua e luce, realizzate con utensili da cucina, emergono dalla penombra: nella Fonte dell’incontro l’acqua scorre da due ampolle tradizionalmente utilizzate per il vino e l’olio creando un circuito di colori grazie a fasci di luce. Il movimento dell’acqua che si riversa in un terzo contenitore evoca la circolazione dei fluidi e dell’energia nel corpo umano.

La Fonte del perdono è realizzata invece con pentole e piatti di diverse epoche impilati a formare una spirale ascendente fino ad assumere la forma di un vortice: una cascata di acqua luminosa pulisce metaforicamente avanzi di pasti consumati in un tempo passato. I suoni e i riflessi di luce colorata influenzano il nostro corpo e la nostra mente come un mantra di guarigione.
Le immagini del video in cui l’artista interagisce con la natura nei luoghi intrisi di storia come l’antro della Sibilla a Cuma o Villa Jovis a Capri, appaiono e scompaiono, alternandosi sincronicamente con la fontana che si accende e si spegne.

Nelle fotografie in mostra l’acqua ritorna ad essere rappresentata come spazio infinito di ispirazione, ma anche come luogo di contaminazione ridotto dall’uomo a ricettacolo di rifiuti inquinanti.
L’acqua è dunque elemento portante della memoria, fonte di vita, sostanza purificante e rigenerante che necessita della nostra attenzione e cura.

La mostra si potrà visitare fino all’11 febbraio 2017.Continue Reading..

15
Dic

Gian Maria Tosatti. Sette stagioni dello spirito

17.12.16 — 20.03.17

Dal pluriennale progetto di Gian Maria Tosatti, in mostra al Madre un’officina creativa presentata come un diario, immaginato per la città e i suoi abitanti.

a cura di EUGENIO VIOLA

Dal 2013 al 2016 l’intera città di Napoli è stata coinvolta nell’imponente progetto pluriennale Sette Stagioni dello Spirito di Gian Maria Tosatti (Roma, 1980). Nell’ideazione e realizzazione del progetto, l’artista ha ripercorso la traccia de Il castello interiore (1577), il libro in cui Santa Teresa d’Avila suddivide l’animo umano in sette stanze, trasfigurate da Tosatti in altrettante, monumentali installazioni ambientali. Un’opera in formazione progressiva, dalla polisemia e dagli esiti complessi, tesa a ridefinire il rapporto fra arte e comunità e concepita come un unico grande romanzo urbano, visivo e performativo, che, esplorando la città e la dimensione comunitaria del vivere civile, sonda l’animo umano sospeso fra i limiti antitetici ma complementari del bene e del male.
La mostra finale restituisce la memoria di questa esperienza collettiva e, al contempo, ne ricostruisce il percorso “dietro le quinte”, permettendo al pubblico di ripercorrerlo nella sua articolazione complessiva e raccontandone la dimensione intima, fino a spingersi alle soglie dello studio dell’artista per raccogliere e testimoniare il sovrapporsi delle decisioni e dei cambiamenti, i disegni progettuali, gli schizzi preparatori, i documenti e i resti di un’officina creativa esposta come un diario, pieno di appunti e di cancellature, immaginato per la “città e i suoi abitanti”.

Sette Stagioni dello Spirito sarà ospitata in due aree del museo Madre: presso la Project room al piano terra e in sette sale al secondo piano del museo. Nella Project room saranno esposti il pavimento dello studio dell’artista durante la sua permanenza a Napoli e il suo diario, insieme a un lungometraggio che racconta il processo imponente di realizzazione di quest’opera. Il percorso al secondo piano, invece, è concepito come una sequenza di sette “camere mentali” che declinano i sette temi delle Sette Stagioni dello Spirito: inconsapevolezza, inerzia, errore, salvezza, ascensione, pratica del bene e destino.
Il progetto originario è stato promosso e organizzato da Fondazione Morra con il sostegno di Galleria Lia Rumma, in collaborazione con vari enti istituzionali e, per ogni sua tappa, con il Matronato della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee.Continue Reading..

11
Dic

Da vicino. “in ascolto dell’inudibile risuono dell’opera”

La galleria A arte Invernizzi inaugura mercoledì 14 dicembre 2016 alle ore 18.30 la mostra Da vicino. “In ascolto dell’inudibile risuono dell’opera” a cura di Francesca Pola, che presenta esclusivamente opere di piccolo formato a creare una costellazione di linguaggi e visioni contemporanei. L’esposizione propone una particolare modalità esperienziale dell’opera d’arte rispetto a quella riservata alle installazioni monumentali o alle opere di grande dimensione, vale a dire una immedesimazione che nasce dalla relazione diretta, quasi tattile, con la fisicità di questi lavori che, per via delle loro dimensioni, possono appunto essere osservati e compresi tramite una percezione ravvicinata.
Se l’idea di una mostra di opere di piccolo formato può annoverare illustri precedenti storici, che vanno dalla Boîte-en-valise di Marcel Duchamp, ai Microsalon parigini di Iris Clert, alle proposte itineranti di sculture da viaggio e arte moltiplicata di Bruno Munari e Daniel Spoerri, essa non pone tuttavia l’accento sugli aspetti “portatili” dell’opera di queste dimensioni, che la rendono spesso la materializzazione di un’idea che appunto si può spostare con facilità. Ad essere privilegiata nel caso di questa mostra è invece l’intimità della relazione che si viene a creare tra osservatore e singolo lavoro, nella necessità di soffermarsi con attenzione su ogni opera per comprenderne i meccanismi creativi, dando luogo a una sorta di immedesimazione per empatia tra osservatore e oggetto. Una componente non secondaria in questo processo di partecipazione è poi naturalmente quella del tempo di fruizione, che si dilata in misura inversamente proporzionale alla dimensione dell’opera stessa.
Le relazioni tra le opere in mostra rispondono a meccanismi di tipo spaziale e associativo, privilegiando quelle personalità creative caratterizzate da una riduzione significante che da sempre costituiscono l’asse portante dei programmi espositivi della galleria. Una proposta di avvicinamento non scontata, nella quale la sequenzialità non è sinonimo di serialità, così come iterazione non significa ripetizione.

In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo bilingue con un saggio introduttivo di Francesca Pola, la riproduzione delle opere in mostra e poesie di Carlo Invernizzi che partecipano della stessa empatia umana: a una sua frase, è anche ispirato il sottotitolo della mostra, che sottolinea appunto “l’inudibile risuono dell’opera”, percepibile solo in questo “avvicinamento di attenzione”.

Inaugurazione mercoledì 14 dicembre 2016 ore 18.30Continue Reading..

11
Dic

Hiroshi Sugimoto. Black Box

16 December 2016 – 8 March 2017

A notably intellectual artist, the work of Hiroshi Sugimoto (b. 1948, Tokyo) contains a highly meditated conceptual element that encourages the spectator towards philosophical reflection. The artist reinterprets some of the principal genres in the classic tradition of photography. Sugimoto is a master craftsman and has rejected digital technology in favour of traditional methods.

In the exhibition Hiroshi Sugimoto – Black Box, Foam presents an overview of the work of the Japanese artist. The exhibition offers a survey of his work through his major series: Theaters (1976-ongoing); Lightning Fields (2006-ongoing); Dioramas (1976-2012); Portraits (1994-1999); and Seascapes (1980-ongoing).

On display are a total of 34 large-format works, selected by guest curator Philip Larratt-Smith, that offer a survey of the artist’s last forty years of artistic activity. Given that some of the series are still ongoing, the exhibition also looks forward to future creations.

The images are characterised by great visual beauty and notable technical virtuosity, emphasised by his habitual use of large formats. Taken as a whole, Hiroshi Sugimoto’s work constitutes a profound meditation on the nature of perception, illusion, representation, life and death.

OPENING
The exhibition opens on Thursday 15 December 2016Continue Reading..

05
Dic

Omar Galliani – Lorenzo Puglisi. Caravaggio, la verità nel buio

a cura di Raffaella Resch e Maria Savarese
con un testo critico di Mark Gisbourne

Palermo, Cappella dell’Incoronazione, spazio “out” di Palazzo Belmonte Riso – Polo Museale Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea

14 dicembre 2016 – 2 febbraio 2017 |
Inaugura mercoledì 14 dicembre, ore 18.00
Napoli, Pio Monte della Misericordia, aprile 2017

Prende il via il 14 dicembre 2016 la mostra “Omar Galliani – Lorenzo Puglisi. Caravaggio, la verità nel buio” che vede per la prima volta unite in una rete progettuale due istituzioni autorevoli come il Polo Museale Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo e il Pio Monte della Misericordia di Napoli. Il progetto espositivo si avvale del patrocinio morale del Comune di Napoli, Assessorato alla Cultura e Turismo e del Matronato della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee. La mostra, curata da Raffaella Resch e Maria Savarese, con un contributo critico di Mark Gisbourne, nasce per rendere omaggio a due artisti contemporanei nella loro ispirazione a Caravaggio: Omar Galliani e Lorenzo Puglisi ripercorrono idealmente il viaggio del pittore lombardo attraverso i più significativi luoghi da lui toccati a Palermo e a Napoli negli ultimi quattro anni della sua vita, in fuga dalla condanna a morte per decapitazione.

L’esposizione si divide in due momenti: dal 14 dicembre 2016 al 2 febbraio 2017 alla Cappella dell’Incoronazione di Palermo e ad aprile 2017 al Pio Monte della Misericordia di Napoli. “La mostra – afferma Valeria Patrizia Li Vigni, Direttrice del Polo Museale Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo – è in linea con gli obiettivi del Polo, unica Istituzione regionale deputata a diffondere, sostenere e promuovere l’arte contemporanea in Sicilia e ribadisce la funzione di un’arte che guarda al passato per costruire un futuro migliore, istituendo una rete e un sistema museale in grado di diffondere al meglio il suo messaggio. Una Istituzione sempre attenta a collegare paesaggio e Museo, attraverso l’attività svolta dal Museo d’Aumale, Centro di Interpretazione Territoriale e parte integrante del Polo museale”.

A Palermo sono esposte alcune opere concepite appositamente per l’occasione dai due artisti: quattro grandi lavori di cui due inediti sono messi a confronto, corredati da disegni, dipinti e studi preparatori, opportunità unica per addentrarsi nella genesi del lavoro dei due pittori. Omar Galliani presenta un d’après Caravaggio di grandi dimensioni dal titolo Agnus Dei, affiancato al monumentale trittico Breve storia del tempo del 1999 (matita su tavola di pioppo, 300 x 600 cm) e Lorenzo Puglisi espone un nuovo dipinto dal titolo Natività (olio su tela, 300 x 200 cm), dedicato alla Natività palermitana dello stesso Caravaggio, insieme con Matteo e l’angelo del 2015 (olio su tela, 200 x 150 cm). A Napoli, i lavori sono inoltre posti in dialogo diretto con il capolavoro caravaggesco Le sette opere di Misericordia, realizzato su commissione del Pio Monte della Misericordia nel 1607 e da allora ivi custodito.

Premessa dell’esposizione è, da un lato, il soggiorno che il Merisi avrebbe avuto a Palermo nel 1609 e la tela dedicata alla Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi collocata presso l’Oratorio di San Lorenzo, trafugata nel 1969; dall’altro, il periodo napoletano in cui realizzò alcune delle sue opere più evocative, come il Martirio di Sant’Orsola, la Flagellazione di Cristo e Le sette opere di Misericordia. Obiettivo è riunire ispirazioni, rimandi e contrappunti in una costellazione di senso che racchiuda l’opera di Omar Galliani e Lorenzo Puglisi, ne raffronti l’estetica e renda conto del loro debito al grande maestro del barocco. Caravaggio è il maestro indiscusso della luce, per primo modella le figure cesellandone i tratti e facendole emergere dal buio sottostante con un’illuminazione drammatica. Grande protagonista delle sue tele dunque è la luce che affiora dal nero. O, in altre parole, il nero bucato dalla luce. In questa semplice e forte antitesi tra chiaro e scuro si collocano le ricerche di Galliani e Puglisi che di Caravaggio sembra abbiano fatto l’origine della loro esperienza estetica. Il contrasto tra luce e ombra ci pone di fronte ad un’altra coppia di antinomie, poste dai due artisti in reciproco rapporto dinamico: l’uso della matita su fondo chiaro in Galliani porta a un disvelamento dei corpi che costituiscono aggregazione di materia scura; mentre la pennellata con colore chiaro su fondo nero in Puglisi rivela la luce che, prima celata nel nero, rende visibile frammenti di realtà. Luce e ombra, dunque, come apparizione e scomparsa: l’epifania delle figure avviene come quella dell’angelo caravaggesco che scende dal cielo, mentre lo sfondo della scena è buio, annullato dalla densità del nero. Il più intimo essere dell’uomo, la sua condizione esistenziale, la verità del suo esistere, vengono avvicinate ed appaiono in un istantaneo fermo immagine risolutivo.

La mostra è accompagnata da un catalogo che documenta le fasi di realizzazione delle opere esposte e i diversi allestimenti nelle due sedi espositive, con introduzioni istituzionali di Valeria Li Vigni, direttore del Polo Museale, e Alessandro Pasca di Magliano, Sovrintendente del Pio Monte della Misericordia, e con contributi di Raffaella Resch, Maria Savarese e del critico inglese Mark Gisbourne.Continue Reading..

02
Dic

CAP Kuwait: Amira Behbehani. Fifteen-Year Journey – Precious Fragments by an Iranian Group of Artists

Two exhibitions at CAP Contemporary Art Platform:
1_Amira Behbehani. Fifteen-Year Journey
2_Precious Fragments

1_Hosted under the patronage of His Excellency the French Ambassador Mr. Christian Nakhlé.

Contemporary Art Platform is honored to invite you to the opening of A Fifteen-Year Journey: The Art of Amira Behbehani
Time: 7:00 – 9:00pm
Exhibition dates: 10/11/2016 – 21/12/2016
Location: Contemporary Art Platform / Main Exhibition Space

Amira’s first solo in seven years is an exhibition curated by Simindokht Dehghani that promises to take it’s visitors on a voyage that started off as an homage to the awakening of all her feelings and senses then transpired into a celebration of trials and errors. One of the most interesting aspects of Amira Behbehani as an artist, aside from her autodidacticism, is her unyielding engagement in the production of her art and her bravery in its presentation and exhibition. We all draw and paint as children without giving any thought to how our work develops, how it is received or perceived.

2_Contemporary Art Platform is honored to invite you to the opening of Precious Fragments by an Iranian Group of Artists:

Exhibition dates: 10/11/2016 – 13/12/2016
Location: Contemporary Art Platform / Art room

Precious Fragments are memories;
Memories of the past recalled because of an experience in the present;
Precious Fragments are spontaneous;
They are accompanied by surprise
They are involuntary;
Precious Fragments can’t be thought;
They can only be experienced;
Precious Fragments are sometimes pleasant;
And sometimes they are not;
But they are always a way through to another memory.

Precious Fragments is an exhibition of seven contemporary artists from Iran. Each work recalls an experience of the past; a mother; a poem; a resistance; an artwork, a building or a sign.

Contemporary Art Platform Kuwait
Industrial Shuwaikh, Block 2, Street 28
Life Center (same building as Eureka), Mezzanine
T: +965 2492 5636

report by amaliadilanno

01
Dic

1.Latododici. Chiara Arturo e Cristina Cusani

KROMÌA è lieta di presentare “1 .”, la prima personale napoletana del duo fotografico Latododici (Chiara Arturo e Cristina Cusani).

In mostra, centoventi opere di piccolo formato incorniciate in una frame/installazione: un primo possibile punto che non chiuda, ma apra prospettive, sul primo anno del progetto di ricerca delle due giovani ma consapevoli artiste, unificato e sostanziato dalla convergenza di dimensioni (formato quadrato di dodici centimetri per lato), atmosfere estetiche ed emotive (distesi cromatismi e armonioso sentire), modalità operative (scatti essenziali da cellulare) e formalizzazione finale (curati packaging di qualità artigianale in materiali naturali).

Completano la mostra, oltre ad alcuni esempi dei diversi packaging finali delle opere, un pieghevole a fisarmonica con una serie inedita del duo su Napoli e un libro d’artista con la totalità delle opere realizzate finora da Latododici.

Dal testo critico* di Diana Gianquitto (curatrice della mostra, con la direzione artistica di Donatella Saccani): «La sostenibile profondità dell’essere. Lieve non è necessariamente superficie. Ma, etimologicamente, è agile, rapido. Capace di saltare al di là, oltrepassare – nell’antica consapevolezza della sua radice sanscrita lagh – in un sol balzo leggero il feticismo cerebrale in cui troppo tristemente l’Occidente spesso, onanisticamente, si consola dalla sua paura di sentire. Levità, non superficialità, sono le gocce di visione di Latododici: porzioni di tempo e di mondo, angoli di percezione rubati da cellulare, da uno sguardo di tecnologia ormai così intima e quotidiana da aver dimenticato da tanto vanaglorie futuristiche, per posarsi confidenziale e tenera come bruma sul mondo, impalpabile, discreta, e lasciarlo poi un po’ più personale di come lo si era trovato. Recuperando autenticità e immediatezza, le apparizioni ottiche di Chiara Arturo e Cristina Cusani sono sintesi, appunti o, meglio, intuizioni pregne di potenzialità. Potenzialità, più che per futuri sviluppi progettuali, per aperture percettive. Non incompiuti abbozzi, ma nuclei energetici. Intuizioni bergsoniane o aristoteliche, modo di arrivare alle cose direttamente, senza passare attraverso una pedante o diacronica analisi. Partendo induttivamente dal basso di ogni giorno e ogni respiro, dalle myricae che sbocciano ogni istante negli occhi e nel cuore. […] Ogni giorno, come il primo. Il primo del presente. Ed ecco quindi 1. :non mettere un punto_dove finisce l’ora, ma fare un punto_finora. Abbracciando, non rinchiudendo, la caleidoscopica molteplicità delle centoventi opere a oggi nate in una cornice/installazione che come frame/gestalt permetta l’autocoscienza, consenta di imbibirsi nel midollo dell’esperienza di ricerca appena fatta rivedendovisi come in uno specchio, rendendola a sua volta nuovo elemento, modulo, mattoncino costruttivo, microcosmo per nuovi macrocosmi. Del resto, di lievi, impalpabili, agili e incessantemente mobili atomi, da Democrito in poi, è composto in ogni sua profondità il mondo. Così come, da Dante in poi, “al vento nelle foglie lievi / si perdea la sentenza di sibilla”».

Inaugurazione: giovedì 1 dicembre 2016 – ore 19.00
dal 1 dicembre 2016 al 1 febbraio 2017

SPAZIO KROMÌA
Napoli, via Diodato Lioy 11 (piazza Monteoliveto)
T. +39 08119569381 – M. 3315746966
info@kromia.net

Orari di apertura (verificare via telefono): lun/merc/ven 10.30-13.30 e 16.30-19.30 – mar/giov/sab 10.30-13.30

*La vita, d’un balzo di Diana Gianquitto

La sostenibile profondità dell’essere.   Lieve non è necessariamente superficie. Ma, etimologicamente, è agile, rapido. Capace di saltare al di là, oltrepassare – nell’antica consapevolezza della sua radice sanscrita lagh – in un sol balzo leggero il feticismo cerebrale in cui troppo tristemente l’Occidente spesso, onanisticamente, si consola dalla sua paura di sentire. Levità, non superficialità, sono le gocce di visione di Latododici: porzioni di tempo e di mondo, angoli di percezione rubati da cellulare, da uno sguardo di tecnologia ormai così intima e quotidiana da aver dimenticato da tanto vanaglorie futuristiche, per posarsi confidenziale e tenera come bruma sul mondo, impalpabile, discreta, e lasciarlo poi un po’ più personale di come lo si era trovato. Recuperando autenticità e immediatezza, le apparizioni ottiche di Chiara Arturo e Cristina Cusani sono sintesi, appunti o, meglio, intuizioni pregne di potenzialità. Potenzialità, più che per futuri sviluppi progettuali, per aperture percettive. Non incompiuti abbozzi, ma nuclei energetici. Intuizioni bergsoniane o aristoteliche, modo di arrivare alle cose direttamente, senza passare attraverso una pedante o diacronica analisi. Partendo induttivamente dal basso di ogni giorno e ogni respiro, dalle myricae che sbocciano ogni istante negli occhi e nel cuore. Naturalmente, per saperle cogliere e restituire senza farle sfiorire in banalità né appesantirle in leziosità, sono richieste sensibilità e cultura visiva, nonché consapevolezza e padronanza del linguaggio e dell’uso del mezzo, per quanto semplice. Le stesse che, nonostante la giovane età, nutrono la ricerca di entrambe le artiste, ciascuna nella sua unicità, pur nel raggiungimento di un sapore legante, quell’inconfondibile atmosfera rarefatta e serena che rende le loro opere immediatamente riconoscibili in forza, come nelle loro parole, “più che di un punto di vista, di un mood comune”. Non vi verrà svelato da chi deriva l’uno o l’altro scatto, ma sarà solo pretesto per perdersi maggiormente nel sortilegio di un’eufonia riuscita il citarvi il vissuto del paesaggio di Chiara (inteso come frutto combinato di filtro personale, memoria e realtà), la sua ricerca sulla percezione e la sua sensibilità alla facies epidermica della foto (resa quasi bidimensionale pattern informale da un appiattimento luministico), il suo intimismo zen capace di cogliere l’attimo semplice, così come l’introspezione impavida di Cristina, la sua istintiva abilità nella metafora e nell’assonanza concettuale, la sua sperimentazione non virtuosistica ma profondamente metalinguistica tra analogico e digitale, il suo monocromo a colori addolcente la policromia in transizioni graduali e in un unificante effetto abbagliato. La componente relazionale processuale e operativa, insita nella volontà di essere duo e di incontrarsi in specifici momenti laboratoriali di scelta e di dialogo comuni, è spia del resto di un’attitude relazionale e integrante decisamente più ampia, di un olismo connaturato che si manifesta non solo nella sintonia corpo-anima, universale-particolare, quotidiano-esistenziale che pervade ogni scatto di Latododici, ma anche nella cura non feticistica ma amorevolmente sinestetica che incarna ogni loro opera in un oggetto-packaging artigianale in materiali naturali da accarezzare con tatto e sguardo, e non da ultimo nella tensione di incontro col fruitore che anima l’idea di promuovere una fruizione allargata e democratica della loro arte. Che ciascuno possa avere di essa non un feticcio, ma un oggetto-souvenir, memoria di un piccolo sogno più che di un gran viaggio pindarico, ma di un sogno da poter ripetere ogni giorno, in un’altra dimensione. Ogni giorno, come il primo. Il primo del presente. Ed ecco quindi 1. :non mettere un punto_dove finisce l’ora, ma fare un punto_finora. Abbracciando, non rinchiudendo, la caleidoscopica molteplicità delle centoventi opere a oggi nate in una cornice/installazione che come frame/gestalt permetta l’autocoscienza, consenta di imbibirsi nel midollo dell’esperienza di ricerca appena fatta rivedendovisi come in uno specchio, rendendola a sua volta nuovo elemento, modulo, mattoncino costruttivo, microcosmo per nuovi macrocosmi. Del resto, di lievi, impalpabili, agili e incessantemente mobili atomi, da Democrito in poi, è composto in ogni sua profondità il mondo. Così come, da Dante in poi, “al vento nelle foglie lievi / si perdea la sentenza di sibilla”.

01
Dic

George Awde. Still Departures

Sultan Gallery, Kuwait | 6th December, 2016 – 5th January, 2017

George Awde’s first solo exhibition in Kuwait, chronicles the transitory existence of a group of young men and boys – many of them migrant laborers, emigrants from Syria and Syrian Kurdistan living in the context of Beirut from 2007-2016. This exhibition considers the embodiment of becoming men, while also appreciating issues of mobility and nationality as we each etch out our place in this world.

Awde’s photographs question the relationship between citizenship, masculinity, and the sense of belonging to a place – as well as to one’s own body. The work explores the scars of the flesh with those of the soil. As these men grow and change, the photographs capture physical marks – in the form of tattoos and cuts – giving hints of struggle and survival. The shape, role, and uses of the body change as these boys age – filling out – becoming men. Parallel to changing borders of manhood are those of physical mobility which widen, contract, and close in terrains of the changing geopolitical climate.  The landscape allows us to consider our states of belonging, not just as a metonym, but a portrait of Beirut’s physical terrain in which these processes occur on/through/in the bodies of individuals.

Awde’s practice of using a large format camera, and the slow process it requires, contributes to the intimacy and guides the aesthetics of his photographs. This process mirrors the gradual approach he has of building trust and familiarity through a collaborative process of photography over a number of years.  Awde has a compulsion of returning; revisiting the same spaces, people, and obsessions time and again. From this emerges a passage, which creates a broken continuity – a process unfolding like that of aging, moving, or staying.

George Awde is currently an Assistant Professor of photography at Virginia Commonwealth University in Doha, Qatar and co-director of marra.tein, a residency and research initiative in Beirut. His awards include the Aaron Siskind Foundation’s Individual Photographer’s Fellowship (2012), Philadelphia Museum of Art’s photography Portfolio Competition (2012), Fulbright US Scholar Grant to Egypt (2012-2013), Alice Kimball English Travel Fellowship (2009), and The Richard Benson Scholarship for Excellence in Photography (2008). In 2015 Awde was an artist in residence at Light Work in Syracuse, New York.  Awde’s work has been exhibited internationally, including cities such as Los Angeles, Istanbul, Beirut, Paris, Doha, Dubai, Lahore, Cairo, London, and New York.

Exhibition Dates:
Opening:  Tuesday, 6th December, 2016; 7 – 9pm
7th December – 5th January, 2017 ; 10am – 4pm
(Closed on Fridays, Saturdays and Public Holidays)

For press enquiries, please contact:
+965 24714325 Ext. 111 | +965 60790001 | sultangallery1969@gmail.com

Sultan Gallery
South Subhan, Block 8, Street 105, Building #168 besides Sadeer.
Madinat al-Kuwait

Image: untitled, Beirut, 2014

30
Nov

GUEN FIORE. Tableaux Vivants

a cura di tiziana Tommei

30 novembre 2016 – 10 gennaio 2017
Vernice mercoledì 30 novembre, ore 18.30
Vineria al 10 piazza San Giusto 10/c, Arezzo

Mercoledì 30 novembre presso Vineria al 10 in piazza San Giusto 10/c ad Arezzo inaugura Tableaux Vivants, personale fotografica di Guen Fiore. La mostra è a cura di Tiziana Tommei e in collaborazione con Galleria 33.

La selezione di scatti presentata è parte di un lavoro realizzato nel 2015 per l’evento “Elite New Wave”, organizzato da Vogue Italia, andato in scena a Villa Necchi Campiglio a Milano e pubblicato su Vogue nel gennaio 2016.

Le ragioni della scelta di presentare in mostra non un progetto personale, ma un lavoro realizzato su commissione di un brand internazionale, vanno ricercate nelle opere fotografiche stesse, nonché nel raffronto di queste con l’iter progettuale perseguito negli anni dalla fotografa. Nelle immagini esposte ritroviamo infatti concentrati molti dei caratteri del modo di concepire e di “fare” fotografia di Guen Fiore. Guardando in toto ai suoi progetti, se da un lato sono dichiarati i riferimenti a Vivian Maier e a Alfred Eisenstaedt, dall’altro emergono in modo diretto exempla molteplici. In primis le foto d’epoca, come si evince anche scorrendo rapidamente il suo profilo Instagram; in secondo luogo il cinema, e più in particolare quello americano degli anni Cinquanta. Questi modelli trovano corrispondenza nei due aspetti fondamentali della sua ricerca: la rappresentazione della figura umana e l’interesse per la storia, ossia il ritratto e la narrazione. I suoi soggetti, prevalentemente femminili, che siano persone comuni o modelle, risultano sovente immersi nel processo creativo e trasfigurati. Nel primo caso, esse vengono spogliate del loro status per assumere valenze opposte a quelle reali: la ragazza della porta accanto veste i panni di una diva del cinema o di una star della moda e viene inclusa in un racconto svolto attraverso i singoli scatti, da leggere come fotogrammi in sequenza. Quando invece, come nella serie di Elite New Wave, la fotografa ha davanti alla macchina da presa una professionista, ella non si limita a metterla in posa, bensì la rende interprete, così come non si ferma alla messa in luce della bellezza di superficie, ma svela in modo subliminale dettagli realistici e mai banali. Nella costruzione di scene “girate” all’interno di un luogo storico e scenografico come Villa Necchi Campiglio, perfetta quinta di un quadro vivente, sfilano i “nuovi volti” scelti da Elite per interpretare i capi e gli accessori delle capsule collection firmate da giovani designer. Le indossatrici vengono inquadrate in tableaux vivants – come si sottolinea nell’articolo pubblicato su vogue.it da cui si prende spunto per il titolo della mostra – non solo in quanto recitano la parte che è stata loro assegnata e per la quale sono dirette, truccate e abbigliate, ma anche perché nella totalità della finzione, esse sono componenti del metaracconto di chi esegue gli scatti. In quest’ultimo frangente, ed è questo il nodo, il copione prevede infiltrazioni e manifestazioni del reale nei dettagli di volti, gesti e sguardi, in un teatro che pone al centro emozioni e stati d’animo.Continue Reading..