Category: fotografia

10
Mag

Marzia Migliora. Velme

From May 13 to November 26, the Fondazione Merz and MUVE, Fondazione Musei Civici di Venezia, present Velme, a site-specific exhibition by artist Marzia Migliora, curated by Beatrice Merz. The works are on display in several rooms of the Museo del Settecento Veneziano in the historic Palazzo Ca’ Rezzonico. The project is characterised by forms of expression that are recurrent in the artist’s production: the desire to show what is hidden and to reveal the relationship with space and the history of places.

Marzia Migliora aims to bring out the contradictions and repeated exploitation—of natural and human resources, and labour, typical of the history of mankind—through the clues emerging from the history of the lagoon city and from the works conserved in Ca’ Rezzonico, establishing a dialogue and contrasting them with the works she has created. The artist accomplishes this here by extrapolating elements from the collection, showing them in a new light, and shifting the point of view of the visitor. The title of the exhibition aptly summarises the considerations that underpin the project. The word “velma” is the Venetian term for a shoal, indicating a shallow area in the lagoon that emerges during low tides. These shoals, just like the entire ecosystem of the Venetian lagoon, are at great risk due to the morphological degradation and erosion of the seabed, caused by a lack of awareness and the continued violations perpetrated by mankind. The velma, the “meeting point” in the relationship between water and land, the symbol of something underwater that never stops emerging, thus becomes “an urgency of the present” and a bridge that connects us with the past. The project comprises five installations carefully chosen by the artist and located in different rooms of the Palazzo. In the “portego de mezo”—the typical feature of Venetian palaces that links the water gate to the door on the street—hosts a work called La fabbrica illuminata (literally the illuminated factory): five goldsmiths’ workbenches illuminated by a row of neon lights and in which, on each upper shelf, a block of rock salt has been placed.

The elements that make up the installation such as salt, which was so vital in the trading history of Venice, also known as “white gold,” and the goldsmith’s workbenches—refer to the exploitation of natural resources and labour needed to transform these into commercial goods and profit.Continue Reading..

08
Mag

Antonio Biasiucci. Riti

La mostra, dedicata al fotografo, si propone di raccontare parte della produzione artistica di Biasiucci scegliendo come chiave di lettura il processo rituale. La mostra si propone di raccontare parte della produzione artistica di Biasiucci scegliendo come chiave di lettura il processo rituale: la ritualità, intesa come gesto creatore e distruttore, si intreccia qui nel processo creativo dell’artista.

Antonio Biasiucci, classe 1961, considera da sempre la fotografia come uno strumento per indagare la realtà e risalire all’origine delle forme, guardando oltre l’estetica e i loro significati. Nella sua produzione, iniziata negli anni Ottanta, emerge una forte ritualità, elemento che non riguarda solo il processo creativo, in grado di trasformare un mondo concreto in immagini visionarie, ma anche il modo in cui le figure vengono alla luce attraverso il nero ‘primigenio’ delle ombre. La fotografia in bianco e nero è infatti il linguaggio prediletto da Biasiucci, pratica che accompagna fin dagli albori la narrazione delle sue storie: storie universali, di vita, di morte, di nascita e distruzione, rappresentate da elementi primari, terreni e concreti. Nella fotografia di Biasiucci, la componente personale e introspettiva riesce a tramutarsi in universale, in memoria collettiva, acquisendo una dimensione esistenziale nella quale tutti possono leggere una storia. Il suo linguaggio è fortemente influenzato da due luoghi fondamentali: Dragoni, paese natale in provincia di Caserta, e Napoli, dove si trasferisce nei primi anni Ottanta. La sua è un’indagine originale e inconsueta, stimolata dalla vitalità cittadina di Napoli, ma mai slegata dalla cultura contadina di Dragoni. È grazie al rapporto con quest’ultima che nascono cicli come “Vapori” (1983), “Vacche” (1987) ed “Impasto” (1991), legati alla vita dei campi, alla lentezza e ai riti propri di quei luoghi. Più legate, invece, all’esperienza napoletana sono le raccolte “Vicoli” (1987), “Res” (1993) ed “Ex voto” (2006).

Il percorso espositivo allestito in IULM si articola intorno a cinque cicli significativi del lavoro dell’artista dagli anni ’80 fino ad oggi. I Vapori, dove il gesto umano (in questo caso nell’atto di uccidere un maiale) diventa fulcro e forza scatenante del rito. L’Impasto, un momento di creazione, un gesto che questa volta non toglie, bensì dà vita. In Corpo latteo, una videoinstallazione progettata appositamente per questa mostra che presenta immagini inedite, il visitatore è immerso in uno spazio che ricorda un grembo materno, dove il rito si traduce nella ricerca ossessiva e metodica intorno a un soggetto (in questo caso, delle mozzarelle). A seguire i Crani, simbolo materiale di morte, ma anche punto di partenza per una nuova rinascita. Il ritorno all’equilibrio iniziale avverrà grazie a una pietanza ancestrale sinonimo di vita, i Pani, serie storica e qui integrata da fotografie inedite.

Fa da commento sonoro al percorso un testo scritto da Antonio Neiwiller, regista teatrale e maestro di Biasiucci, e letto da Toni Servillo.

La Triennale di Milano
Antonio Biasiucci. Riti
4 maggio – 28 luglio 2017

Credits
La mostra è il frutto della collaborazione tra La Triennale di Milano e l’Università IULM
A cura degli studenti al secondo anno del Corso di Laurea Magistrale in Arti, patrimoni e mercati, Università IULM

Coordinamento critico
Anna Luigia De Simone

Progetto di allestimento
Gianluca Peluffo

Progetto grafico
Dario Zampiron

07
Mag

INTUITION

In concomitanza con la Biennale d’Arte di Venezia 2017, Intuition è la sesta mostra co-prodotta dalla Axel & May Vervoordt Foundation e la Fondazione Musei Civici di Venezia per Palazzo Fortuny. Una serie di esposizioni di grande successo di pubblico e critica, curata da Daniela Ferretti e Axel Vervoordt, Artempo (2007), In-finitum (2009), TRA (2011), Tàpies. Lo Sguardo dell’artista (2013) e, più recentemente, Proportio (2015), che giunge ora al suo ultimo capitolo. Intuizione, dal latino intueor, è una forma di conoscenza non spiegabile a parole, che si rivela per “lampi improvvisi”, immagini, suoni, esperienze.

L’intuizione è la capacità di acquisire conoscenze senza prove, indizi, o ragionamento cosciente: un sentimento che guida una persona ad agire in un certo modo, senza comprendere appieno il motivo. Una mostra che intenda esplorare il tema dell’intuizione non può che iniziare dunque dai primi tentativi di creare una relazione immediata tra terra e cielo: dall’erezione di totem allo sciamanismo, alle estasi mistiche, dagli esempi di illuminazione nell’iconografia religiosa (Annunciazione, Visitazione, Pentecoste…) alla capacità di rivelazione divina del sogno dimostrando come l’intuizione ha, in qualche modo, plasmato l’arte in aree geografiche, culture e generazioni diverse. Un’esposizione che riunisce artefatti antichi e opere del passato affiancate ad altre più moderne e contemporanee tutte legate al concetto di intuizione, di sogno, di telepatia, di fantasia paranormale, meditazione, potere creativo, fino all’ipnosi e all’ispirazione. Il campo d’indagine si sposta quindi verso la modernità: nel XIX secolo le tematiche dello spirituale, del sogno, del misticismo, il sentimento panico della natura avranno nuovi sviluppi e, agli albori del secolo successivo, giocheranno un ruolo determinante nella nascita dell’astrattismo con Vassily Kandinsky, Paul Klee, Hilma af Klint. L’arte etnica, apportatrice di forme ed energie nuove, avrà anch’essa una forte influenza sullo sviluppo dei nuovi linguaggi artistici. Particolare attenzione è accordata agli aspetti più “sperimentali” del Surrealismo: scrittura e disegno automatici, creazione collettiva, stati di alterazione dell’Io saranno rappresentanti in mostra dai ‘dessins communiqués’ e ‘cadavres exquis’ di André Breton, André Masson, Paul Eluard, Remedios Varo, Victor Brauner – tra gli altri – insieme agli esperimenti fotografici di Raoul Ubac e Man Ray, e alle opere su carta di Henry Michaux, Oscar Dominguez e Joan Miró. Questa eredità si rifletterà in una serie di opere di artisti contemporanei come Robert Morris, William Anastasi, Isa Genzken, Renato Leotta e Susan Morris che, dal 1960, hanno ravvivato, sviluppato e modernizzato l’interesse per l’automatismo, portando a nuovi risultati formali e tecnici. L’importanza della ricerca spaziale e temporale intrapresa dai gruppi Gutai, Cobra, Zero, Spazialismo e Fluxus sarà illustrata con opere di Kazuo Shiraga, Pierre Alechinsky, Günther Uecker, Lucio Fontana, Mario Deluigi e Joseph Beuys. Altre opere contemporanee di artisti come Marina Abramovic, Chung Chang-Sup, Ann Veronica Janssens e Anish Kapoor, si ispirano ad esperienze soggettive o stati d’animo, per colpire lo spettatore con le proprie preoccupazioni e coinvolgerlo empaticamente. Durante i giorni di apertura i visitatori saranno invitati a esplorare e sperimentare la fantasia paranormale degli artisti attraverso quattro rappresentazioni legate al sogno, la telepatia, e l’ipnosi – della mente e del corpo – realizzate da giovani artisti: Marcos Lutyens, Yasmine Hugonnet, Angel Vergara e Matteo Nasini. L’intuizione si propone di suscitare domande sulle origini della creazione, ed è destinata ad essere vista come un ‘work in progress’, grazie ai lavori dei più importanti artisti contemporanei posti in dialogo con le opere storiche e con il carattere unico della residenza di Mariano e Henriette Fortuny. Kimsooja, Alberto Garutti, Kurt Ralske, Maurizio Donzelli, Berlinde De Bruyckere, Gilles Delmas e Nicola Martini creeranno installazioni site-specific, parte integrante della mostra negli spazi di Palazzo Fortuny.

Museo di Palazzo Fortuny
13 Maggio – 26 Novembre 2017
Co-produced with Axel & May Vervoordt  Foundation
Curated by Daniela Ferretti e Axel Vervoordt
Co-curated by Dario Dalla Lana, Davide Daninos and Anne-Sophie Dusselier

Immagine: Bernardi Roig, “An Illuminated Head for Blinky P.”, 2010, Resina di poliestere polvere di marmo, luce fluorescente 177,8 x 64,77×30,48 cm,Courtesy Galerie KEWENIG, Berlin, Palma, © Silvia León

03
Mag

Alessandro Bernardini. Catrame

Galleria 33 presenta Catrame, personale di Alessandro Bernardini, a cura di Tiziana Tommei. Il progetto espositivo propone opere realizzate dall’artista prediligendo due materiali: catrame e cemento. Il primo, da cui il titolo della mostra, è protagonista con una serie d’inediti, lavori realizzati a tecnica mista su tela o in forma di scultura-installazione. Cemento e catrame si estendono ad oggetti diversi, contaminandoli: si determinano così forme nuove, tanto trasfigurate e cristallizzate quanto, al contempo, ineluttabilmente fragili e fortissimamente delicate.

Testo critico
Un liquido denso, nero e viscoso.
Dall’arabo qaṭrān, pece liquida, il catrame è una sostanza di odore intenso, pungente e di colore scuro. Tra gli usi, il primo è come impermeabilizzante. Un guscio, che avviluppa elementi diversi, tele e oggetti. Questi, sommersi e nascosti, trasmutano e acquisiscono un nuovo status, caratterizzato da un’estrema fragilità fisica e materiale. Il catrame, al pari del cemento, ricoprendo la tela la rende epidermicamente delicata e più facilmente passibile di rottura. Si possono generare lesioni e fenditure, fino alla desquamazione e alla perdita irreparabile di materia. Anche in opere come queste, in cui il peso del materiale insiste sulla leggerezza della tela, resta centrale il nodo concettuale. Sotto c’è la volontà di dissimulare, ricorrendo ad una coltre solida e compatta, coprente e impenetrabile, con la consapevolezza che nulla possa essere realmente e interamente riposto. La questione formale resta salda, come fondamentale matrice, a partire dal processo d’ideazione. Un’estetica incentrata sull’essenzialità, che non vuole mai eccedere nel tentativo di veicolare, anche mediante questo aspetto, una incessante e mai finita sete di levità. Questa componente deve essere connessa ad un ulteriore carattere interno alla ricerca di Bernardini: la centralità dello spettatore, o meglio ancora del “fattore umano”. Le azioni e le creazioni dell’autore, le sue idee e le sue opere hanno sempre quale punto di origine colui che le osserva, con le sue reazioni, il suo sentire e le sue osservazioni.  Il pubblico è per questi un elemento ineludibile e per tale ragione è sempre chiamato a svolgere un ruolo attivo. Il coinvolgimento avviene in questo caso specifico mediante una mise-en-scène, ideata dall’artista. Il tema è la strada, intesa sia come superficie fisica (si pensi alla scelta dei materiali), che come luogo d’incontro, di passaggio e d’interazione. Dunque, anche in tal senso emerge una forte attenzione all’elemento umano e alla comunicazione, prima ancora che agli oggetti, fino alle opere stesse, che divengono così tramite per questo dialogo.Continue Reading..

24
Apr

Andrea Chiesi. Parallelo

Dopo La Casa del 2004 e Elogio dell’ombra del 2009, Andrea Chiesi torna nelle sale espositive della OTTO Gallery con la mostra personale Parallelo, a cura di Luca Panaro. La ricerca artistica di Andrea Chiesi è nota per la particolare attenzione a spazi industriali destinati alla riconversione, rappresentati in modo minuzioso attraverso la pittura e in seguito a una serie di incursioni del luogo. Il dipinto è la manifestazione finale della sua ricerca ma un ruolo significativo lo svolge la fase processuale che la precede (realtà, fotografia, disegno).
La mostra, allestita nelle sale della galleria, è concepita come una grande installazione composta prevalentemente di dipinti a olio su lino, disegni a inchiostro e pennarello su carta, pastelli a olio, che alludono però al comportamentismo dell’artista: esplora luoghi abbandonati, strizza l’occhio all’automatismo fotografico, riproduce in velocità per favorire la contemplazione in studio. La realtà si trasforma mediante la pittura che permette a Chiesi di modificare ciò che vede, alterando i micro e macro particolari che ritiene più significativi. Anche la cromia delle sue opere merita una riflessione: il nero e il grigio si mescolano a una serie di gradazioni di azzurro, il dipinto così ottenuto prende le distanze dal bianco e nero di certa fotografia di documentazione architettonica, così come dalla visione a colori tipica del nostro sistema percettivo. In questo modo l’artista instaura un dialogo differente col suo interlocutore, spostando l’attenzione dalla realtà a un piano personale e immaginario.

Il titolo della mostra, Parallelo, si riferisce al dialogo tra le opere esposte, in cui il tempo sembra azzerato per lasciare spazio al confronto tra dipinti e disegni di epoche differenti: la seconda metà degli anni Novanta, i primi Duemila, gli anni Dieci, fino ai lavori nuovi terminati negli ultimi mesi. L’esposizione però non segue questo ordine, quello cronologico, volutamente si è deciso di saltare da un decennio all’altro, trovando in ogni sala della galleria l’occasione per fare convivere opere di periodi diversi ma accomunate da un unico approccio, quello che Chiesi dimostra fin dagli esordi. Le sue visioni giovanili, le vedute di certi luoghi deserti, l’ossessione per i corridoi, ma anche alcune serie dove affronta la figura umana, i disegni erotici, tematiche che appaiono precocemente nella sua ricerca, si affermano nel corso degli anni e si manifestano con forza nei dipinti odierni. Alcuni di questi lavori recenti sono ispirati a fotografie di Roberto Conte, amico dell’artista e compagno di esplorazioni. L’allestimento è pensato per essere a-cronologico ma anche a-temporale, manifesta cioè la necessità di Andrea Chiesi di prescindere dal “qui e ora”, proponendo senza timore luoghi vissuti in passato, da lui fotografati e archiviati, oggi pronti per essere rimessi in circolo attraverso il medium della pittura.

OTTO Gallery
ANDREA CHIESI Parallelo
a cura di Luca Panaro
21 aprile – 20 giugno 2017

OTTO Gallery
via d’Azeglio 55
40123 – Bologna
t. +39 051 6449845
info@otto-gallery.it

18
Apr

Stefano Cerio. Night Games

Cosa succede in un parco dei divertimenti quando si spengono le luci? Cosa succede di notte nei parchi per bambini? Una quiete desolata pervade lo spazio in cui, quando brilla il sole, i bambini giocano e gli adulti si rilassano.

Alcune risposte a questi interrogativi – sicuramente suggestive testimonianze – saranno proposte dalle fotografie di Stefano Cerio nella mostra Night Games,

che aprirà al pubblico il 5 maggio presso la Galleria del Cembalo a Roma

Con la serie Night Games Stefano Cerio prosegue la sua ricerca, apparentemente oggettiva, sui luoghi, sulle macchine del consumo del divertimento di massa, avviata con lavori Aqua Park (2010) e sviluppatasi negli anni successivi con Night Ski (2012) e Chinese Fun (2015).

Al riguardo scrive Gabriel Bauret nel testo introduttivo del volume, edito da Hatie Cantz, che accompagna la mostra: “Oggettività non significa, però, che il fotografo si rinchiuda in un protocollo documentario. Stefano Cerio non realizza un inventario dei parchi divertimento e nemmeno cerca di declinare le fotografare al servizio di certe tematiche. Night Games riunisce luoghi e spazi differenti, come sono differenti i mondi a cui fanno riferimento gli scenari dei parchi: cinematografico, urbano, militare… Tutte le fasce di età sono in qualche modo coinvolte nella varietà dei parchi ai quali si interessa Cerio; compresa l’infanzia, perché Cerio fotografa anche nei giardini pubblici con giostre e scivoli, nel cuore di città come Parigi. La composizione dell’immagine è di grande sobrietà. Il soggetto è spesso posto al centro e l’angolatura è rigorosa, in genere frontale. In compenso, ai margini è sempre presente qualche punto di riferimento che dà un’indicazione di scala. La gigantesca giostra di Coney Island a forma di fiore e il piccolo cavallo a molla del giardino pubblico parigino differiscono per dimensioni, ma non per il modo, identico, in cui sono trattate, un modo che rappresenta l’elemento unificatore dell’opera.”

Ancora dal testo di Gabriel Bauret: “Artificio contro autenticità. Il progetto di Stefano Cerio potrebbe inscriversi all’interno di questa dialettica, poiché le sue immagini esprimono l’artificialità che invade il nostro mondo moderno. Potrebbe anche essere interpretato come una riflessione sul destino dell’America, soprattutto nel caso di Night Games e degli scenari del parco Mirabilandia a Ravenna, che rappresentano il crollo dei monumenti simbolici di Manhattan e danno l’immagine di un paesaggio urbano in preda alla decadenza. Ma a guidare il fotografo sembra più un approccio legato al vuoto, all’assenza di presenza umana, al silenzio che invade i luoghi quando cala la sera. Un’atmosfera già ravvisabile nella serie Night Ski, in cui compare la stessa proposta visiva: un nero estremamente denso è distribuito in modo uniforme nell’immagine e in questa oscurità emerge, o meglio appare improvvisamente, un oggetto o uno scenario illuminati dal potente bagliore di un fash che attraversa il buio della notte. L’equilibrio della composizione risiede così nella qualità di questa luce che l’operatore punta sul suo soggetto lasciando, tuttavia, sempre una parte in ombra.”

Angela Madesini, contestualizzando il lavoro di Cerio (sempre dal volume di Hatie Canz): “Alla fine degli anni Settanta Luigi Ghirri aveva dato vita a In scala (1977-78), scattando a Rimini presso l’Italia in Miniatura, un parco di divertimento. Ma l’effetto è completamente diverso rispetto a quello di Cerio. Se per Ghirri la tensione è nei confronti di una ricerca sullo spazio tra realtà e finzione, nel lavoro di Cerio il tentativo, riuscito, è quello di ritrarre delle situazioni, edifici, animali fantastici, personaggi, la Statua della Libertà caduta al suolo. La sua è una dimensione scenica che mi piace equiparare ai Dioramas di Hiroshi Sugimoto o a La nona ora (1999) di Maurizio Cattelan, in cui il papa è schiacciato da un meteorite. È una dimensione strettamente legata al nostro tempo, come per l’americano Gregory Crewdson. Tra i lavori dei due artisti ci sono delle vicinanze: le stesse atmosfere, un simile afflato poetico.”Continue Reading..

10
Apr

Third Identity – Al Dahkel

The majority of native Palestinians were dispersed, uprooted or exiled after the Nakba of 1948; as a result, their common history was fragmented between Al Dakhel Palestinians and the diaspora. Those who stayed–or could return home – came of age in a system where their culture and immediate past were erased. Their cultural education was further unique in the region, as it reflected the influences from western and eastern Europe of the newly emigrated people. This slowly changed after the 1970s, when the second generation started to claim their roots post-Nakba and question their unequal status in society. In parallel, artists such as Abed Abdi and Asad Azi, were working on the reconstruction of a local Palestinian collective memory. Therefore, the identity of Al Dakhel artists is suspended between citizenship, Israeli education, occidental influences, belonging to Palestinian culture and a strong attachment to their land.

Questions related to displacement, belonging, native culture and fragmentation recur in the work of Al Dakhel artists. By addressing these personal and highly specific questions within the context of a complex society, the artists touch upon more universal questions: who are we, and how does identity evolve when challenged?

THIRD IDENTITY explores the artistic (re)construction of the Al Dakhel identity and its evolution through three generations of artists. It is conceived as a journey through time that outlines common themes and concerns such as memory, post colonialism, hybridity, minority, and both the absence and cross-fertilization of cultures. It shows the richness and the diversity that flourished despite the traumas and “schizophrenic” living conditions, as one artist put it. This exhibition aims to shine a light on this group and give it its rightful place within the regional Arab culture.

Artists Bio
Six emerging and established artists of Al Dakhel, meaning Palestinians of the Interior. Al Dakhel sub-groups include Muslim Arabs, Christian Arabs and Druze, all whose roots are traced to historic Palestine and who live today on / close to their land, as both Palestinians and citizens of Israel. It is the first time that Al Dakhel artists will be shown in the Arab World.
Rula Alami is a Palestinian-Lebanese art collector and curator, based in Beirut and involved with the Palestinian Museum in Birzeit. She invited Valerie Reinhold, an art curator and advisor based in Amsterdam, to tell the story of these artists.

Contemporary Art Platform Kuwait
Industrial Shuwaikh, Block 2, Street 28
Life Center (same building as Eureka), Mezzanine
T: +965 2492 5636

Third Identity – Al Dahkel
08/03/2017 – 22/04/2017
Contemporary Art Platform / Main Exhibition

Third Identity is available in CAP till the 20th of May

gallery report by amaliadilanno

10
Apr

Santiago Sierra. Mea Culpa

Il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano presenta MEA CULPA, la prima grande antologica in Italia dedicata all’artista concettuale Santiago Sierra. Nato nel 1966 a Madrid, da quasi trent’anni il suo lavoro si muove sul terreno impervio della critica alle condizioni sociopolitiche della contemporaneità. Messaggero della cupa verità del nostro tempo, Sierra è spesso stigmatizzato per le sue performance intense ed ambigue. Eppure il loro linguaggio visivo, il simbolismo complesso ed energico, il loro essere calate nella realtà delle persone conferisce loro un raro impatto emozionale. Sierra ha esposto in prestigiosi musei ed istituzioni nel mondo e nel 2003 ha rappresentato la Spagna alla 50a Biennale di Venezia. La mostra al PAC riunisce per la prima volta le opere politiche più iconiche e rappresentative dell’artista, dagli anni Novanta a oggi, e la documentazione di sue numerose performance realizzate in tutto il mondo, insieme a nuove produzioni e riattivazioni di installazioni e azioni passate. Con la mostra di Santiago Sierra il PAC attiva la prima delle quattro linee di racconto sulle quali si muove il suo palinsesto annuale, proponendo in occasione di miart mostre di artisti conosciuti e affermati nel panorama artistico internazionale.

Promossa dal Comune di Milano – Cultura e prodotta dal PAC con Silvana Editoriale, la mostra apre il calendario di appuntamenti dell’Art Week, la settimana milanese dedicata all’arte contemporanea.

Santiago Sierra. Mea culpa
29 Marzo 2017 – 04 Giugno 2017
a cura di Diego Sileo e Lutz Henke
Pac Padiglione d’Arte  Contemporanea
Via Palestro, 14
20122 Milano
+39 02 8844 6359

 

07
Apr

Sasha Vinci e Maria Grazia Galesi. La terra dei fiori

Alla Reggia di Caserta, La terra dei fiori, il progetto del duo Sasha Vinci – Maria Grazia Galesi a cura di Daniele Capra, propone una contro mitologia.

Dalla terra dei fuochi, disseminata di scorie tossiche e avvelenata dalla malavita, alla terra dei fiori, luogo in cui crescono gerbere e crisantemi, fiori che l’arte accoglie per farne espressione di rigenerazione, bellezza e spiritualità. Un progetto che racconta con foto, video e documentazione le storie di un luogo e la bellezza solitaria della Reggia di Caserta, che ha osservato nel tempo la violenta trasformazione del territorio campano.
La mostra è promossa dalla Reggia di Caserta in collaborazione con la galleria aA29 Project Room, Milano I Caserta, con il contributo di McArthurGlen La Reggia Designer Outlet, Axa Assicurazioni Loffredo Caserta, Oliveo.it, Grand Hotel Vanvitelli, Artec e con il Patrocinio Comune di Caserta. Il catalogo, bilingue, è a cura di Daniele Capra.

La mostra ospitata nei saloni del piano nobile della Reggia è costituita da opere fotografiche di grandi dimensione, disegni, video e documentazione che raccontano “il percorso che ha portato il duo Vinci–Galesi ad interrogare, grazie all’impiego del fiore, le identità individuali ma anche i luoghi dimenticati segnati da abbandono, trascuratezza, degrado civile”.
“A tutto questo – aggiunge il curatore – si contrappone il rigoglioso germogliare della natura, elemento di meraviglia, espressione della volontaria ricerca di riscatto. È il tentativo di inversione, l’espressione della necessità di superare l’impasse della situazione attuale che l’arte deve compiere. Per mostrare come anche dall’estremo abbandono si possano far germinare onestà, bellezza, dignità”.

Le immagini di Vinci–Galesi sono visioni cariche di elementi contrastanti. In contesti dal valore simbolico, quali ad esempi una spiaggia in cui mare e terra si contendono la supremazia o in una cava abbandonata popolata di residui di pietre, i due artisti si mostrano interamente avvolti da un mantello floreale coloratissimo e che nasconde i tratti somatici. La loro figura diventa così quella di un spirito che dissemina colore e futuro nel grigio e nell’abbandono del presente.
Il drappo in cui gli artisti sono avvolti è realizzato cucendo a mano migliaia e migliaia di fiori su eterei tessuti. Rispettando un’antica tradizione propria delle celebrazioni religiose di un’altra terra complessa e difficile, il ragusano, sulle cui coste negli ultimi anni sono sbarcati disperati provenienti dall’altra sponda del Mediterraneo in fuga dalla guerra o si sono arenati corpi senza più speranza. La bellezza di quei luoghi, testimoniata da alcune immagini degli ultimi progetti, è un controcanto che fa stridere ancor di più i limiti della condizione umana.
Vinci–Galesi propongono visioni transitorie, occasioni preziose e fugaci. Fuggevoli quanto è fuggevole la bellezza di un fiore, meraviglia condannata ad un veloce disfacimento.Continue Reading..

06
Apr

Abdullah Al-Mutairi. Byproducts of Development

Focusing on the impact industrial expansion has had on the bodies and identities of youth in the region, “Byproducts of Development” utilizes found materials, both digital and physical, to portray a theory of cultural transformation. The show aims to draw attention to the physiological repercussions of rapid urbanization; linking the effects of oil industry to noticeable changes in the body. Additionally, digital connectivity is scrutinized as a locus of change, prompting shifts in self-image and methods of self-actualization that mirror the drastic changes in local landscapes. Male fragility is positioned as a reaction to, as well as a consequence of, rapid development, with youth caught between a changing ecology and digital influences.

This is Abdullah Al-Mutairi’s first solo show.

Abdullah Al-Mutairi was born in Kuwait in 1990. He lives between Kuwait and the United States. He is studying liminal identities and the intersection of gender, religion, and technology in the Gulf. He is working on a commissioned work for Global Art Forum 7 at Mathaf: Arab Museum of Modern Art and Art Dubai.

Abdullah Al-Mutairi. Byproducts of Development
11th April – 27th April, 2017

Sultan Gallery
South Subhan, Block 8, Street 105, Building #168 besides Sadeer.
Madinat al-Kuwait