Category: disegno

11
Giu

Punk in Britain

Inaugurazione sabato 11 giugno 2016
Dalle ore 15.00 alle ore 20.00
In mostra da domenica 12 giugno a domenica 28 agosto 2016
Tutti i giorni, 10.30 – 19.30
Mercoledì e giovedì, 10.30 – 21.00

In occasione dei 40 anni del punk la Galleria Carla Sozzani presenta “Punk in Britain”. Oltre 90 fotografie documentano i protagonisti del punk britannico che, dalla metà degli anni 70, ha rivoluzionato il linguaggio della moda e della musica a Londra e non solo. La mostra è divisa in due parti con le fotografie di Simon Barker (Six), Dennis Morris, Sheila Rock, Ray Stevenson, Karen Knorr, Olivier Richon; disegni, collage e grafiche di Jamie Reid e una sezione speciale dedicata ai video e alle fotografie di John Tiberi. Era il 1976 quando i Sex Pistols gridavano “I wanna be Anarchy, in the City” indossando camicie strappate e abiti con borchie acquistate da SEX, il negozio di Malcom Mc Laren, l’ideatore dei Sex Pistols, e della sua compagna Vivienne Westwood. Tra i fan dei Sex Pistols, Siouxsie Sioux, Jordan, Debbie, Billy Idol, Soo Catwoman, Adam Ant formavano il “Bromley Contingent”, il gruppo che li seguiva in ogni situazione.
Insieme rappresentavano la reazione agli anni della depressione inglese e anche una risposta, giovane e spontanea, al rigido formalismo di allora. Ne faceva parte il giovanissimo fotografo Simon Barker aka SIX che con una semplice ed economica macchina fotografica tascabile tra il 1976 e il 1978 ha catturato le immagini dei protagonisti del punk riprendendoli intimamente nelle loro camere da letto e nelle cucine, oppure ai concerti: il risultato è un vero e proprio “album di famiglia”. “Era un modo diverso di pensare e di essere. Era provocatorio. Il rock attraverso Don Letts, John Harwood e John Savage entrava per osmosi dentro il punk.”, scrive Sheila Rock, la fotografa che si era trasferita da New York a Londra proprio per documentare il punk. Con lei c’era anche Ray Stevenson, che lavorava per la BBC e fotografava regolarmente i Sex Pistols e la scena londinese. Karen Knorr e Olivier Richon passarono notti interminabili nei night club dal Roxy al 100 Club da Covent Garden a Charing Cross e Oxford Street per fotografare, rigorosamente in posa, il mondo notturno della scena Punk Rock. Dennis Morris, il fotografo ufficiale dei Sex Pistols, racconta il gruppo icona del punk con le sue foto e con i due video girati da John “Boogie” Tiberi, lo storico tour manager dei Sex Pistols: “Concerto di Stoccolma del 1977” e “Sex Pistols Number 1”, che raccoglie video clip televisivi, performance e interviste. Nel maggio del 1977, Jamie Reid, l’artista che con il suo linguaggio trasgressivo ha “disegnato” il Punk, curando l’immagine grafica dei Sex Pistols, cattura “God Save the Queen” il ritratto della regina pubblicato sul Daily Express in occasione del giubileo reale. Dopo centinaia di prove, la regina “sbarrata” viene pubblicata sulla copertina del nuovo disco dei Sex Pistols, che venderà 25.000 copie, un numero astronomico per i tempi. Punk, che in origine significava “da due soldi”, quarant’anni dopo descrive un’epoca, un fenomeno di costume e un modo di essere.

Galleria Carla Sozzani
Corso Como 10 – 20154 Milano, Italia
tel. +39 02 653531 fax +39 02 29004080
press@galleriacarlasozzani.org

Immagine: Jamie Reid, 1977 – ©Jamie Reid /John Marchant Gallery, UK

09
Giu

Luigi Ghirri Spazio Siderale. Il sipario del teatro Valli dipinto da Omar Galliani

Vicolo Folletto Art Factories e Corsiero Editore di Reggio Emilia celebrano i venticinque anni della realizzazione del sipario del Teatro Valli con la pubblicazione del volume di Luigi Ghirri “Spazio Siderale. Il sipario del teatro Valli dipinto da Omar Galliani”, contenente le fotografie scattate da Luigi Ghirri per raccontare la nascita del progetto (conservate nella fototeca della Biblioteca Panizzi), unitamente ad alcuni bozzetti ed opere coeve di Omar Galliani, reperite in collezioni pubbliche e private.

Martedì 31 maggio, alle ore 18.30, il libro sarà presentato nella Sala degli Specchi del Teatro Valli, attraverso le testimonianze delle persone che, nei primi anni ’90, sostennero e parteciparono alla realizzazione dell’opera. Dopo il saluto delle Istituzioni, Flavio Caroli parlerà delle fotografie di Luigi Ghirri che documentano il lavoro di Omar Galliani, in dialogo con l’artista stesso. Per l’occasione, sarà possibile ammirare il sipario nella sua magnificenza.
“Spazio Siderale” non è un libro di Luigi Ghirri – spiega l’editore – ma la pubblicazione del menabò sul quale il fotografo reggiano stava lavorando in vista di un eventuale progetto o libro. In mancanza di un titolo autografo, si è scelto di intersecare il soggetto del velario dipinto da Omar Galliani, “Siderea”, con certi temi cari a Luigi Ghirri. Il volume raccoglie 87 fotografie inedite con i relativi passepartout, sui quali sono riportate note autografe del fotografo sui tagli e sull’intensità dei colori in vista della stampa. Una lettura che corrisponde quasi all’ingresso nel laboratorio di Ghirri. Come ricorda Omar Galliani, «Il tempo era sospeso nella Sala dei Pittori del grande teatro. La musica che ascoltavo si alternava al “clic” degli obiettivi che ogni giorno Luigi Ghirri scattava ai lati e dentro al grande cielo blu cobalto che cresceva tra il mio e il suo tempo. Ora il tempo è cambiato ma “Siderea” è sempre lì e ci guarda. Tante di queste foto non le avevo mai viste. Non ho mai chiesto di vederle in tanti anni per pudore e nostalgia… Oggi qualcuno l’ha fatto per me e Luigi. Grazie».
La mostra, visitabile presso Vicolo Folletto Art Factories (Vicolo Folletto, 1) dal 1 giugno al 17 luglio 2016, raccoglie una selezione di opere di Omar Galliani realizzate negli stessi anni del sipario, alcuni bozzetti preparatori e due lastre in zinco biffate, dalle quali erano state tratte due serie litografiche, anch’esse in esposizione, oltre ad alcune fotografie dal menabò di Luigi Ghirri.
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08
Giu

Werther Banfi. Doppio Segno

Vernissage: giovedì 16 giugno 2016, dalle 18:30 alle 21:30
Periodo mostra: dal 16 giugno al 23 luglio 2016
Orari di apertura: dal martedì al sabato, 14:30 – 19:30
Ingresso libero
Burning Giraffe Art Gallery
Via Eusebio Bava 8/a, 10124, Torino – info@bugartgallery.com
tel. 011 5832745 – 347 7975704

A partire da giovedì 16 giugno 2016, Burning Giraffe Art Gallery presenta la mostra Doppio Segno, personale dell’artista Werther Banfi (Milano, 1979, vive e lavora a Torino), composta da due serie di lavori realizzati con tecniche diametralmente diverse, eppure chiaramente riconducibili allo stesso autore.
Le opere a pennarello su tela della serie Sfere, concepite con la tecnica del puntinismo, sono dettagliate e minuziose composizioni di insetti neri su sfondo bianco resi metafisici dalla presenza misteriosa delle sfere che si accompagnano a essi. Rigorosamente grey scale, la tecnica del puntinismo permette all’artista di giocare con la luce e con i toni di grigio, dando vita a diversi piani di visione.
La serie delle Macchie, presentata per la prima volta in occasione della mostra, nasce, invece, nell’assoluta immediatezza inconscia del frottage; le macchie, totalmente incondizionate da una forma prestabilita, sono però incredibilmente evocative e giocano con la percezione dello spettatore, obbligandolo a vedere in esse un oggetto di volta in volta differente.
L’intera ricerca artistica di Werther vive di una costante alternanza di casualità e rigore della riproduzione; un passaggio dalla accidentalità di un segno impulsivo, a un altro empirico e preciso, trovando il fondamento teorico in rigoroso studio sulla forma – intesa come rapporto tra imprevedibilità casuale e matematica – sulle geometrie che la compongono, e sulla suggestione individuale che ne deriva, mettendo in atto il famoso motto della psicologia della Gestalt, per cui “l’insieme è sempre più della somma delle sue parti”.

Werther ha esposto le sue opere in numerose gallerie e spazi pubblici, tra cui il Museo del 900 di Milano, tra Torino, Bologna, Milano e Londra. A gennaio 2016, partecipa con Burning Giraffe Art Gallery a SetUp Art Fair, a Bologna, dove si aggiudica il Premio 43 gradi in Sardegna – zona 9, istituito dallo Studio Casa Falconieri di Cagliari, dove effettuerà una residenza d’artista a settembre 2016.

Immagine: Werther Banfi, Sfera, 2016, pennarelli su tela

07
Giu

Jennifer Crisanti. Tradition is dead (part one)

INAUGURAZIONE 10 giugno 2016, 19.00

GALLERIA 33 via Garibaldi 33 Arezzo

In mostra fino al 3 luglio 2016

info@galleria33.it / +39 339 8438565

Galleria 33 presenta “Tradition is dead (part one)”, personale di Jennifer Crisanti.

Dal 10 giugno al 3 luglio 2016 lo spazio espositivo di via Garibaldi 33 ad Arezzo sarà occupato da una selezione dei più recenti lavori dell’artista canadese. Si tratta del secondo solo show che la galleria dedica a Crisanti dopo “Ruby woo”, allestita nel febbraio del 2015. La rassegna, a cura di Tiziana Tommei, propone opere inedite, relative alla nuova collezione della pittrice: un progetto aperto, di cui si mette in mostra per l’occasione una prima sezione. Il percorso espositivo intende inoltre porre l’attenzione sull’iter artistico della Crisanti, mettendo in relazione l’attuale fase creativa con opere scelte, tratte dalla produzione passata e successive al 2011.

A dominare lo spazio della galleria quattro grandi tele: “1000 pz made in Italy”, “CON”, “Gossip Factory”, “Azo free color”. Protagoniste assolute le figure femminili identificative dell’immaginario dell’artista, presenze enigmatiche, aliene ed inquietanti. Emergono tra colature di colore e pieghe della tela, definite con un tratto sicuro ed istintivo, violento ed emotivo, che rompe costantemente i contorni delle forme senza mai negarle, ma anzi accentuandone i caratteri. Alle opere di grandi dimensioni si accompagnano 12 disegni, una serie di studi che rende conto del processo di costruzione del soggetto della ballerina, alter ego dell’artista. In essi si assembla la figura umana nelle sue diverse componenti, con uno sviluppo similare al montaggio di un automa, mentre i titoli dei singoli pezzi citano passi di danza di rimando ai ritmi compositivi. In relazione a questi sono esposte le tele di piccolo formato dal titolo “Prima ballerina no”, nelle quali il movimento convulso delle danzatrici è evocato attraverso una pittura marcatamente gestuale. Non per ultimo, in dialogo con le opere attuali, vengono riproposti alcuni lavori storici: “Untitled” (Cortona, 2014) e una selezione di “Ballerina series 1-33” (Madrid 2012-13).Continue Reading..

03
Giu

SOL LEWITT

Milano | Studio Giangaleazzo Visconti
24 maggio | 25 novembre 2016
SOL LEWITT

La mostra presenta 34 opere su carta – gouache, disegni, acquerelli – e tre progetti per i famosi Wall Drawings dell’artista americano, uno dei padri fondatori dell’arte concettuale.

“Mi piacerebbe produrre qualcosa che non mi vergognerei di mostrare a Giotto”
Sol LeWitt

Dal 24 maggio al 25 novembre 2016, lo Studio Giangaleazzo Visconti di Milano (c.so Monforte 23) dedica una mostra a Sol LeWitt, artista americano (Hartford, 1928 – New York, 2007) tra i più influenti della seconda metà del Novecento, uno dei padri fondatori dell’arte concettuale.
I suoi lavori sollecitano prima di tutto la mente dell’osservatore piuttosto che il suo occhio o le sue emozioni e si definiscono concettuali nella misura in cui è l’idea a presiedere all’esecuzione dell’opera.
L’esposizione propone 34 opere su carta – gouache, disegni, acquerelli – e tre progetti per i famosi Wall Drawing, i suoi murales, che rappresentano la sua cifra espressiva più alta e riconoscibile.

Il disegno e la pittura murale sono i due poli attorno ai quali si sviluppa la produzione dell’artista a partire dal 1968. È in questo periodo che LeWitt argomenta come l’idea sia la componente fondamentale della sua arte, ponendo l’esecuzione e l’oggetto come secondari. È infatti significativo che la realizzazione dei Wall Drawing sia lasciata ai suoi assistenti, e il risultato finale sia presentato insieme al progetto esecutivo, esposto a fianco del murales per aiutare l’osservatore a comprenderne l’idea di base e la conseguente complessità di sviluppo.

“Dal punto di vista espressivo – afferma Gianluca Ranzi nel testo in catalogo – quanto interessa a LeWitt è principalmente dato dal fatto che non solo il pensiero deve presiedere e superare d’importanza la realizzazione, ma che quest’ultima deve racchiude in sé il pensiero rendendolo manifesto allo spettatore”.
“Per far comprendere questo concetto – continua Gianluca Ranzi – LeWitt è ricorso all’esempio della musica: essa, come la udiamo, è il risultato finale, mentre le note che la producono esistono solo per essere lette da chi le può comprendere e utilizzare, cioè i musicisti che eseguono il pezzo musicale indicato sulla partitura. Il pubblico invece ascolterà la musica che nasce dall’esecuzione ma sarà all’oscuro delle unità minime che la sovrintendono, così come delle modalità del loro armonico relazionarsi le une con le altre”.

Le opere presenti in mostra ricostruiscono di fatto l’evoluzione creativa di LeWitt, da alcuni esempi di quella rigorosa e schematica moltiplicazione di un cubo di base (Cube Without a Cube, 1982, matita su carta, 56×56 cm) o di un rettangolo (Folded Paper, 1971, carta piegata, 15×30 cm) che svelano in bianco e nero il principio delle sue note sculture a griglie modulari, fino alle grandi figure di solidi geometrici irregolari che anche nell’uso astratto e matematico del colore si ricollegano alla pittura di Piero della Francesca (Geometric Figure, 1997, gouache su carta, 152,9×173 cm), per finire con molti significativi esempi delle famose linee colorate ondulate o aggrovigliate che sono alla base di importanti interventi pubblici come quelli per l’Ambasciata Americana alla Porta di Brandeburgo a Berlino o per la Metropolitana di Napoli.Continue Reading..

23
Mag

Marco Rossi. Frames

a cura di Matteo Galbiati
Inaugurazione 11 giugno 2016 ore 18.00

Lo spazio Sanpaolo Invest a Treviglio ospiterà a partire dall’11 giugno la personale di Marco Rossi, giovane artista bergamasco finalista nella “sezione giovani talenti” dell’ultima edizione del Premio Città di Treviglio. La mostra Frames (frammenti) si articola intorno a un nucleo di opere di diversa natura comprendente tre installazioni video multimediali, una selezione scelta di opere su tela e taccuini di disegni e schizzi. L’allestimento inedito è concepito per essere in armonia con lo spazio ospitante in perfetto accordo con un progetto site-specific. Stabilire con precisione i confini di genere di Marco Rossi ci espone a un quesito senza risposta: ciò che si evince, infatti, ad un primo sguardo è la pluralità di mezzi espressivi introiettati magistralmente in ogni singola opera – “frammento” – citando il titolo della mostra. Come homo faber di rinascimentale memoria, l’artista si muove a suo agio e con perizia artigianale in territori apparentemente inconciliabili: musica elettronica, video arte e disegno si fondono per sovrapposizioni in una sorta di collage sensoriale e visivo, volto a creare un’architettura artistica onnicomprensiva che ingloba sguardi, suscitando una risonanza emotiva inconscia nell’Io osservatore, costantemente sollecitato da un leitmotiv ipnotico e suadente. La ripetizione veloce e continua, in gergo musicale loop, unita alla frammentazione visiva come costanti espressive di stimoli sensoriali, ci consegnano le chiavi di accesso a uno dei temi sottesi e più frequentati da Rossi: l’eterno ritorno dell’uguale, cui un disperato anelito all’irraggiungibile unione con l’Unicum appare evidente. Il suo universo è popolato da ombre solitarie di uomini, quasi macchie nere indistinte nella loro individualità che si piegano e curvano assumendo sembianze proteiformi per resistere e assecondare gli urti del vissuto. Contenuto e forma, significato e significante coincidono totalmente nella sua misura espressiva: il disegno è vittima stessa del flusso costante dei cambiamenti, infatti, la linea si spezza gravata dal dinamismo e, molto spesso, segmenta. Allo stesso tempo il rumore/suono è interrotto e intermittente, a metà strada tra la melodia e il disturbo sonoro. Attraverso forze di volta in volta creatrici e distruttrici, l’urgenza espressiva si rigenera di continuo facendo di Rossi un artista fecondo. In questo senso i taccuini colmi di schizzi che accompagnano l’incedere del suo quotidiano, testimoniano i moti dell’anima di una personalità apparentemente silenziosa, ma profondamente attiva e non pacificata. Se, tradizionalmente, l’uomo fautore di se e della sua fortuna si calava sicuro nel tessuto sociale del mondo che abitava, in questo caso il nostro sembra sondare con coraggio i territori più ostici e tumultuosi del proprio io tracimante. Ne è prova il ritmo convulso espressivo e incessante che genera continue filiazioni artistiche. Ebbene da questo apparente caos espressivo si ha, al contrario, la chiara percezione di una visione autentica e rarefatta delle cose che, nonostante il flusso costante dei cambiamenti cui tutti siamo sottoposti, permane integra e pura.

La mostra sarà visitabile presso:
Spazio Sanpaolo Invest
Via F. Cavallotti 31B – Treviglio
13 giugno – 15 luglio 2016
Da lunedì a venerdì 10.00-12.00 e 15.00-17.00, sabato e domenica su appuntamento
Info: + 39 0363 48160

Immagine: Senza titolo, 2016, tecnica mista su carta intelata, 135×135 cm (dettaglio)

09
Mag

PROLOGUE

a cura di Alessia Carlino

Annalù,  Michelangelo Bastiani, Blue and Joy – Daniele Sigalot, Emanuela Fiorelli,  Micaela Lattanzio, Alessandro Lupi, Paolo Radi

Opening 17 maggio 2016 ore 19

18 maggio › 17 giugno 2016

SpazioMR arte e architettura presenta il nuovo progetto espositivo, sotto la curatela di Alessia Carlino, intitolato Prologue, che inaugurerà il prossimo 17 maggio.

Le opere di Annalù, Michelangelo Bastiani, Blue and Joy – Daniele Sigalot, Emanuela Fiorelli, Micaela Lattanzio, Alessandro Lupi e Paolo Radi saranno messe a confronto in un dialogo che analizza le molteplici declinazioni della materia organica, inorganica e digitale. Prologue è un itinerario visivo dedito alla narrazione di inediti metodi espressivi che creano il ritratto di un’inedita contemporaneità a cui afferiscono l’utilizzo eterogeneo di strumenti materici consacrati alla rappresentazione di un corollario estetico di matrice plastico – spaziale. Il corpus di opere selezionato costituisce un unicum nel suo genere, la nozione stessa di scultura viene declinata nella descrizione di forme originali, di materiali dalle molteplici funzioni e duttilità. Fili elastici, alluminio, supporti cartacei, pvc, perspex, resina, ologrammi digitali, ciascun elemento porta con sé l’idea di plasmare dimensioni percettive di una realtà formatasi all’interno di contesti sintetici dove vi è una sostanziale smaterializzazione del dato concreto. Al di là del visibile, ogni opera, genera l’occasione di articolare la materia attraverso la riproduzione di un dato sensibile mai univoco o scontato. L’ambiente viene decostruito attraverso assemblaggi di matrice architettonica, scrive Robert Morris nel suo celebre saggio intitolato Antiform: “La forma non è perpetuata dai mezzi ma dal mantenimento di fini idealizzati e separabili. È un’impresa antientropica e conservatrice. Essa spiega l’architettura greca che evolve dal legno al marmo e appare identica. La preservazione della forma è una sorta di idealismo funzionale”. In questo idealismo funzionale della forma è insita la ricerca estetica degli artisti coinvolti nel progetto espositivo. Micaela Lattanzio, nelle sue installazioni cartacee, dona al materiale una dignità scultorea, ogni suo lavoro è caratterizzato dalla forte duttilità a cui viene sottoposta la carta, nelle mani dell’artista essa diviene un tassello musivo, negli intagli, nelle geometrie assunte, ciascun frammento genera forme esclusive di un vocabolario corporeo ed unitario che dà vita a strutture molecolari, tessuti connettivi di conoscenza. I segni tridimensionali di Emanuela Fiorelli compongono identità plastiche che investono la superficie, la rendono tangibile allo sguardo. I fili elastici sviluppano intricati sentieri, labirinti percettivi che narrano la dialettica di una forma duratura e di un “pensiero indissolubilmente legato” che garantisce all’opera la “possibilità della sua esistenza”. Il diaframma siliconico è il campo d’indagine che investe l’opera di Paolo Radi.Continue Reading..

27
Apr

2050. Breve storia del futuro

La mostra prende il nome dall’omonimo libro di Jacques Attali, pubblicato nel 2006, nel quale l’autore ipotizza il futuro del mondo e della nostra società. Precedente presentata ai Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique a Bruxelles, la collettiva percorre le tematiche illustrate nel saggio di Attali in otto stazioni e attraverso circa 50 opere di artisti contemporanei internazionali.

Dipinti, sculture, foto, video, installazioni: 50 opere d’arte contemporanea di 46 grandi artisti internazionali, indagano il nostro futuro in una esposizione ispirata al saggio Breve storia del futuro di Jacques Attali (pubblicato nel 2006 e rieditato nel 2016 aggiornato ai nuovi scenari globali). La mostra, a cura di Pierre-Yves Desaive e Jennifer  Beauloye, presenta attraverso una selezione di opere recenti, il modo in cui gli artisti contemporanei osservano il presente per condurre una riflessione sul futuro così come esso si delinea ai nostri occhi. Conflitti globali, mutazioni genetiche, diseguaglianze sociale ed economiche, sfruttamento delle risorse naturali compongono il complesso panorama dei prossimi decenni; gli artisti di ‘’2050’’ interpretano queste tematiche complesse e invitano a ri-pensare il tempo che verrà con visioni anche costruttive e talvolta ironiche.

La mostra è promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale e la casa editrice Electa, in collaborazione con i Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique a Bruxelles dove il progetto ha preso vita con una doppia esposizione (Musées Royaux – Louvre) terminata a gennaio 2016. L’iniziativa fa parte del programma di ‘Ritorni al futuro’, il palinsesto culturale pensato per la primavera 2016 dal Comune di Milano che propone oltre cento appuntamenti tra mostre, concerti, spettacoli teatrali, proiezioni cinematografiche e incontri, con l’obiettivo di portare al centro della riflessione pubblica l’idea di futuro che abbiamo oggi, confrontandola con quelle che hanno abitato il pensiero creativo in altre stagioni della storia. Il percorso di mostra, diviso in 8 sezioni, è articolato intorno a diversi nuclei, liberamente ispirati agli interrogativi sviluppati nel saggio di Attali. Tutto ha inizio negli anni Ottanta a Los Angeles (evocata nei lavori di Chris Burden, Edward Burtynsky, Edward Ruscha, Tracey Snelling…), la città natale del microprocessore che, in arte, ha ispirato le sperimentazioni con il computer di Charles Csuri e Masao Kohmura. Al fermento della modernità della Silicon Valley, al consumismo e al capitalismo segue poi il declino dell’Impero americano, identificato in mostra con gli attentati dell’11 settembre 2001 nelle immagini di Wolfgang Staehle e Hiroshi Sugimoto; la tragica vicenda segna uno sconvolgimento politico su scala planetaria di cui ci parlano i lavori di Mark Napier, Alighiero Boetti, Mona Hatoum. Jacques Attali descrive in questa fase storica l’avvento di un “iperimpero” nel quale le diseguaglianze economiche diventano la norma, una tematica testimoniata nelle opere in mostra di AES+F, Andres Serrano, Aaron Koblin o Gavin Turk. L’iperimpero, nel quale anche il tempo diventa merce (con le opere di Gustavo Romano, Roman Opalka, On Kawara) e dove il corpo umano si trasforma per incontrare la macchina (i lavori di Stelarc, Hans Op de Beeck), si deve confrontare con molteplici calamità: sovraconsumo (John Isaacs), sovrapopolazione (Michael Wolf, Yang Yongliang) e sovrasfruttamento delle risorse naturali e inquinamento (Olga Kisseleva, Robert Mundt). Quando le tensioni nate da tali disequilibri diventano insostenibili, sopraggiunge l’“iperconflitto”, sempre nel pensiero di Attali, agevolato da un crescente accesso alle armi di distruzione di massa (Gregory Green) e sostenuto da ideologie religiose distorte (Al Farrow). A fianco di questa visione catastrofica, l’esposizione propone anche opere che fanno eco alla “iperdemocrazia” definita da Jacques Attali, la quinta ondata del futuro che potrebbe sfociare in un mondo migliore, così come lo evocano i lavori di Bodys Isek Kingelez, Mark Titchner, Gonçalo Mabunda, Jean Katembayi Mukendi o il progetto Little Sun.Continue Reading..

12
Apr

Gabriella Ciancimino. La Stanza dello Scirocco

a cura di Daniela Bigi
dal 17 marzo al 12 maggio 2016

Prometeogallery di Ida Pisani è lieta di presentare la prima mostra personale di Gabriella Ciancimino, dal titolo LA STANZA DELLO SCIROCCO (THE ROOM OF SIROCCO).

“I wish I could’ve been a bird, so I could have flown back and forth between here and there to be with everyone”*. Lo scriveva intorno al 1920 una donna del Sud Italia che frequentava i più radicali ambiti politici newyorkesi. Gabriella Ciancimino, siciliana, prende in prestito queste righe anonime per introdurci alla sua Stanza dello Scirocco.

L’architettura settecentesca annoverava in Sicilia, nelle dimore aristocratiche di campagna, dei confortevoli ambienti sotterranei, spesso decorati, che nei periodi estivi costituivano il più accogliente rifugio per sfuggire al caldo torrido portato dai venti di sud-est. Erano dette “camere dello scirocco”, ove la temperatura si abbassava grazie alle correnti di aria fresca che si generavano con lo scorrere dell’acqua, reso possibile dal sistema idraulico arabo dei qanat. Erano stanze che offrivano un refrigerio e che Ciancimino richiama oggi come metafora di una condizione di libertà. L’artista conduce da tempo un’indagine intorno alle dinamiche di adattamento, di interazione e di auto-organizzazione dei flussi migratori di esseri umani e piante che legge come fenomeni di modificazione del paesaggio in virtù del loro oltrepassare i confini territoriali dei luoghi. Il paesaggio al quale pensa è essenzialmente un “luogo” di riflessione, ma anche di salvaguardia della memoria storica e insieme di azione collettiva. Il suo lavoro ha avuto luogo in paesaggi differenti, il Marocco, la Sicilia, la Turchia e racconta di “coloro che vengono da lontano” e arrivano in quelle città portuali che lungo i secoli hanno mantenuto la funzione di gate d’ingresso per i flussi migratori. Ad affascinarla è l’atteggiamento libertario di uomini, donne e organismi vegetali, dei quali cerca di rintracciare quelle micro-storie che, nel passato come nel presente, si possano ricollegare alla grande storia della resistenza, storica per gli uni, biologica per gli altri. A guidare questo nuovo progetto intervengono in particolare due input, il concetto di “ecologia sociale” formulato da Murray Bookchin nei primi anni settanta e perfezionato nei decenni successivi con progressivi sviluppi, e lo specifico concetto di “furor” che Giordano Bruno teorizza nei suoi Eroici Furori. È in queste pagine che Ciancimino incontra la spiegazione di quella concezione dell’amore “eroico”, dell’amore dell’uomo per la natura, che più si avvicina alla sua idea di “amore furioso”, quello che permette ai liberty flowers di resistere. I fiori resistenti, i Liberty Flowers, sono da anni al centro del suo operare, in termini sia di concentrazione figurale che di rimando simbolico. Sono i fiori delle piante endemiche, i fiori delle erbacce, che migrano, attecchiscono e crescono rigogliosi in terre sconosciute, lontani dai terreni di origine, in condizioni per lo più inospitali. Sono gli stessi fiori del terzo paesaggio, portatori di istanze di libertà e di resistenza. Un banner di seta con su scritto “The Liberty Flowers love to resist, the Resistant Flowers resist for love” accoglie lo spettatore all’ingresso della mostra e fornisce la chiave di lettura dei wall drawings, delle tele, dei disegni, della proiezione e delle sculture de La Stanza dello Scirocco (The room of Sirocco). L’artista l’ha pensata come una sintesi di pensiero ecologico, antropologico e libertario e l’ha realizzata attraverso un linguaggio che si muove contemporaneamente su più livelli, frutto a sua volta della contaminazione tra disegno, graffiti, graphic design, video e gli stilemi architettonici e decorativi che hanno intriso la cultura visiva siciliana dalla tradizione arabo-normanna fino al Liberty – uno stile, quest’ultimo, che nel suo ispirarsi alla natura e agli elementi strutturali che la intessono, viene assunto quasi con il valore dello slogan, viene scelto come angolazione privilegiata dalla quale guardare all’uomo. Le contaminazioni, le stratificazioni, le coesistenze si ritrovano innanzitutto nei disegni, The Flow of Flowers, in cui la sovrapposizione di differenti livelli grafici – ottenuti con matite, acquarelli, con texture derivate da inchiostro su bottoni di metallo come fossero timbri su carta – restituisce la ricchezza dei segni e degli immaginari delle tante culture che più o meno pacificamente si sono sedimentate in terra siciliana, ma anche, e su altri piani, nel bagaglio biografico dell’artista. Ma The Flow of Flowers non si può considerare soltanto un insieme di disegni, dobbiamo leggerlo come unpaesaggio storico, costruito accostando alcuni tra i più famosi poster delle rivolte susseguitesi tra il 1968 e la rivoluzione in Egitto. L’artista modifica l’iconografia del pugno chiuso che è presente nella maggior parte dei poster ruotandola in un gesto di offerta dell’adonis annua l., un fiore rosso proveniente dall’area mediterranea comunemente conosciuto come “Red Morocco”, un’erbaccia dissidente, che l’uomo ha combattuto fin quasi a portarla all’estinzione.

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25
Mar

UGO LA PIETRA. Cinque verdi urbani

04 aprile 2016 – 04 maggio 2016
Brunch: domenica 10 aprile 2016, ore 11.00 – 15.00
Galleria Bianconi, Via Lecco 20 – 20124 Milano

PROROGATA fino al 13 maggio 2016

In occasione di Miart 2016, lunedì 4 aprile la Galleria Bianconi inaugura la mostra personale di UGO LA PIETRA dal titolo Cinque verdi urbani. Articolata in un ricco repertorio di dipinti, disegni, fotomontaggi e sculture in ceramica, l’esposizione è una sorta di summa summarum sul tema del verde urbano, domestico ed extraurbano che l’autore ha sviluppato dal 1980 al 2016.
Fin dai primi anni Ottanta, Ugo La Pietra ha concentrato una buona parte del suo lavoro di ricerca nel tentativo di coniugare la concettualità – che aveva contraddistinto il suo percorso nel ventennio Sessanta/Settanta – con la crescita di un sempre maggiore sviluppo della spettacolarità. Negli ultimi trent’anni il suo approccio tecno-poetico è infatti caratterizzato da queste due categorie che prendono a modello il “giardino del Settecento”, a volte in modo diretto ma più spesso come riferimento ideale, in quanto «luogo per una piacevole sosta (spettacolarità) e per la contemplazione (concettualità)».
Tenendo fede al suo impegno di operare al di fuori della logica dei sistemi prestabiliti, nel 1985 Ugo La Pietra è arrivato a concepire Il giardino delle delizie, proposizione che si confronta oggi con un’interpretazione critica e radicale del verde urbano presente nelle nostre città. Per esempio, il suo Bosco in città si pone come valida alternativa al “giardino verticale”, mentre gli Orti urbani sono un invito a coltivare i tanti spazi disponibili nei centri abitati; anche nei suoi Erbari e nei Transgenici affiora la volontà di trovare soluzioni progettuali imprevedibili ma sempre plausibili nei confronti del paesaggio metropolitano.
I cinque verdi urbani individuati dall’autore corrispondono alle serie Colti dal mio giardino (verde numero uno), Erbario: libri aperti (verde numero due), Orti urbani / bosco in città (verde numero tre), Il giardino delle delizie (verde numero quattro), Transgenici (verde numero cinque). Ogni serie corrisponde ad altrettante esplorazioni/riflessioni sul verde con cui l’autore intende tracciare una geografia di luoghi da lui stesso osservati e descritti con proverbiale eleganza e ironia. Si tratta di realtà fisiche riproposte attraverso segni e sperimentazioni che superano la ricerca della dimensione puramente estetica per denunciare una società che dovrebbe imparare ad abitare con il verde.

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