“L’atto di Ferrin, che, immagino, adopera la macchina fotografica come un incensiere, sta a metà, verticale, tra sacrilegio e ostensione della reliquia, tra bacio e bestemmia”.
Una doppia finzione raddoppia la verità? Soltanto a teatro accade la vita: a recitare, davvero, è il pubblico. Addobbati per la messa in scena, gli spettatori si adornano di parole, sguardi, gesti. Fingono la loro vita. Sul palco, invece, poiché tutti pensano che sia una finzione, accade la verità. E la fotografia? Quando questa copia – apparente, appariscente – del vero mette a fuoco, illividisce e incendia il teatro, cosa succede? Un gesto da iconoclasta – guardate, quelli recitano e basta – o un atto sacro – in effetti, la quantità di vero possibile al mortale appare, furtivamente, solo e soltanto su un ring di legno chiamato palco. L’atto di Chiara Ferrin, che, immagino, adopera la macchina come un incensiere, sta a metà, verticale, tra sacrilegio e ostensione della reliquia, tra bacio e bestemmia.
Da una parte scova i momenti in cui la finzione dubita di sé – e perciò la verità di verbi masticati da millenni svanisce in uno scherzo – dall’altra esplicita la marmorea assolutezza del fatto scenico, rito che non ammette ammende né abiure. Il teatro ‘fotografa’ la realtà e viene fotografato dalla fotografa. In questo groviglio è illecito attuare interpretazioni: la terapia è quella di domandarsi che parte abbiamo noi? No, ci è chiesto di abbandonare la scena. L’atto utile, sempre, è il contemplare; il verbo più adatto il silenzio. Abitare le fotografie della Ferrin perciò è come entrare nel calco di gesso bianco fabbricato per noi da un ignoto ammiratore. Esso giace lì, sul letto, come la carcassa di un delfino dissanguata dal sale. Cerchiamo di far aderire quel viso al nostro: non sappiamo se è stato ricavato dal nostro viso o da quello di chi? In quel calco, in cui ruggiscono echi e dove si potrebbero fabbricare labirinti e poemi, un giorno ci perderemo – senza sapere a chi assomigli, di cosa sia il rispecchiamento.
Chiara Ferrin si occupa principalmente di fotografia di scena. Autodidatta, fotografa le interazioni casuali tra persone e ambiente; questo è il suo principale interesse fotografico, anche nel teatro. Ha collaborato con VieFestival per le edizioni 2011, 2013 e 2014, con TrasparenzeFestival nelle edizioni 2012, 2013 e 2015, con La Corte Ospitale di Rubiera, il teatro di Occhiobello e il teatro Ferrara Off. Lavora dal 2011 in stretta collaborazione con il regista Giulio Costa e con la compagnia Teatro dei Venti di Modena; tiene laboratori di fotografia di scena, teorici e pratici.
Con due immagini tratte da due cortometraggi di produzioni indipendenti, partecipa alla mostra itinerante nata dal Concorso Nazionale per Fotografi di Scena di Cesena, CliCiak. Attualmente la mostra è visitabile a Cesena, alla Biblioteca Malatestiana.
Inaugurazione 19 maggio ore 11
Museo Immaginario
via Mellerio, 2 Domodossola
ore 11-13
ingresso libero
CHIARA FERRIN
dal 19 maggio al 30 giugno 2015