Camera d’Arte

25
Gen

Silvia Camporesi. ATLAS ITALIAE

La Galleria del Cembalo, in collaborazione con z2o Sara Zanin Gallery, apre al pubblico dal 20 febbraio al 9 aprile una mostra dedicata al nuovo lavoro di Silvia Camporesi. Un viaggio nell’Italia abbandonata e in via di sparizione, fotografata come realtà fantasmatica. Atlas Italiae rappresenta le tracce di un qualcosa di passato ma tuttora ancorato ai propri luoghi d’origine. Energie primordiali e impalpabili che diventano materiali tramite il mezzo fotografico. Silvia Camporesi ha esplorato nell’arco di un anno e mezzo tutte le venti regioni italiane alla ricerca di paesi ed edifici abbandonati. Atlas Italiae è il risultato di questa raccolta di immagini, una mappa ideale dell’Italia che sta svanendo, un atlante della dissolvenza.
La serie fotografica si presenta come una collezione poetica di luoghi, fondata sulla ricerca di frammenti di memoria. Borghi disabitati da decenni che sembrano non esistere nemmeno sulle cartine geografiche, architetture fatiscenti divorate dalla vegetazione selvaggia, archeologie industriali preda dell’oblio, ex-colonie balneari decadenti che paiono imbalsamate nel tempo del “non più”. “Nelle immagini dell’artista il velo dell’anonimato e del silenzio visivo si apre svelando l’anima di luoghi congelati nelle nebbie dell’amnesia generale. Qui lo sguardo di Silvia Camporesi va oltre la pura registrazione di uno stato della realtà, è indirizzato sia a cogliere la tensione silenziosa di un’Italia degli estremi sia a rivelare per la prima volta qualità liminari, inespresse, portatrici di un mistero e di un incanto”. Questo scrive Marinella Paderni nel testo che apre il volume Atlas Italiae, edito da Peliti Associati.
La mostra, che presenterà per la prima volta una selezione così ampia di immagini, sarà suddivisa tra stampe grande formato a colori e stampe più piccole in bianco e nero, colorate a mano con un procedimento – omaggio al passato della fotografia – attraverso il quale l’artista cerca di restituire simbolicamente ai luoghi l’identità persa.

Silvia Camporesi, nata a Forlì nel 1973, laureata in filosofia, vive e lavora a Forlì. Attraverso i linguaggi della fotografia e del video costruisce racconti che traggono spunto dal mito, dalla letteratura, dalle religioni e dalla vita reale. Negli ultimi anni la sua ricerca è dedicata al paesaggio italiano. Dal 2003 tiene personali in Italia e all’estero – Terrestrial clues all’Istituto italiano di cultura di Pechino nel 2006; Dance dance dance al MAR di Ravenna nel 2007; La Terza Venezia alla Galleria Photographica fine art di Lugano nel 2011; À perte de vue alla Chambre Blanche in Quebec (CAN) nel 2011; 2112, al Saint James Cavalier di Valletta (Malta) nel 2013; Souvenir Universo alla z2o Sara Zanin Gallery di Roma nel 2013; Planasia al Festival di Fotografia Europea di Reggio Emilia nel 2014; Atlas Italiae all’Abbaye de Neumünster in Lussemburgo nel 2015. Fra le collettive ha partecipato a: Italian camera, Isola di San Servolo, Venezia nel 2005; Confini al PAC di Ferrara nel 2007; Con gli occhi, con la testa, col cuore al Mart di Rovereto nel 2012, Italia inside out a Palazzo della Ragione, Milano nel 2015. Nel 2007 ha vinto il Premio Celeste per la fotografia; è fra i finalisti del Talent Prize nel 2008 e del Premio Terna nel 2010; ha vinto il premio Francesco Fabbri per la fotografia nel 2013 e il premio Rotary di Artefiera 2015. Atlas Italiae è il suo terzo libro fotografico.

Immagine: Atlas Italiae1. Hotel Porretta Terme (Emilia Romagna)

Galleria del Cembalo
Largo della Fontanella di Borghese, 19 – Roma
Tel. 06 83796619
20 febbraio / 9 aprile 2016
ORARIO
da martedì a venerdì: 16.00 – 19.00
sabato: 10.30 – 13.00 e 16.00 – 19.00
Ufficio stampa Galleria del Cembalo
Davide Macchia | ufficiostampa@galleriadelcembalo.it
tel. 06 83081425 | cel. 340 4906881

Reportage in Gallery

22
Gen

Bill Beckley. Elements of Romance. Works from The Seventies

Giovedì 21 gennaio presso lo Studio Trisorio, in via Riviera di Chiaia 215 a Napoli, sarà inaugurata la mostra di Bill Beckley Elements of Romance. Works from The Seventies.

Negli anni Settanta Bill Beckley è stato uno degli iniziatori e dei protagonisti del movimento della Narrative Art e membro del gruppo 112 Greene Street, nato in risposta al Minimalismo di Robert Morris, Carl Andre e Sol LeWitt. Ha utilizzato tecniche e materiali diversi associando sempre testi e immagini che in alcuni casi sono anche messi in relazione con azioni performative e installazioni.

Oltre a lavori storici come Myself as Washington (1969), Cake Story (1974), Paris Bistro (1975), Mao Dead (1976), Kitchen (1977), Deirdre’s Lip, (1978), Shoulder Blade, (1978) che possono essere considerati manifesti della Narrative Art, saranno in mostra acquerelli e studi preparatori.

Attraverso immagini di forte impatto visivo e testi iconici, ognuno di questi lavori apre il varco all’immaginazione conducendoci in un racconto che intreccia frammenti di esperienze e ricordi personali, stralci di Storia e altre narrazioni.

I lavori fotografici esposti sono gli ultimi esemplari realizzati con la tecnica di stampa cibachrome, oggi non più riproducibile, che Beckley ha scelto per la resa sensuale e splendente dei colori.

L’artista sarà presente all’inaugurazione.

La mostra si potrà visitare fino al 21 marzo 2016.

Biografia
Bill Beckley è nato ad Amburgo, in Pennsylvania nel 1946. Vive e lavora a New York. Ha esposto al MOMA, al Museo Solomon R. Guggenheim, al Whitney Museum of American Art (1979), a Documenta/Kassel (1976), alla Biennale di Parigi (1973) alla Biennale di Venezia (1975). Le sue opere sono nelle collezioni permanenti di istituzioni pubbliche e private in diverse parti del mondo: Museum of Modern Art di New York, Whitney Museum of American Art, Solomon R. Guggenheim Museum, Smithsonian American Art Museum, Museum of Fine Arts di Boston, Tate Modern di Londra; Daimler Collection di Stoccarda, collezione Hoffman di Berlino, Morton Neumann Family Collection di Washington, collezioni degli artisti Jeff Koons e Sol LeWitt. È rappresentato in Italia dallo Studio Trisorio con cui collabora fin dal 1986, anno della personale Gardens of Pompeii. Un’opera della stessa mostra è attualmente esposta al Museo MADRE di Napoli.

Studio Trisorio
Riviera di Chiaia 215
80121 Napoli
tel/fax +39 081 414306
info@studiotrisorio.com

21
Gen

Sandra Vásquez de la Horra. El Canto del Desierto

Sandra Vásquez de la Horra
El Canto del Desierto

Inaugurazione 20 Gennaio 2016, ore 19
Opening January 20, 2016 at 7pm
20 Gennaio – 10 Marzo, 2016 / January 20 – March 10, 2016
Via Ventura, 3 Milan 20134 Italy

Prometeogallery è lieta di presentare la prima mostra personale in Italia di Sandra Vasquez de la Horra: El canto del desierto.
Le opere, disegni e sculture rievocano miti e leggende popolari che provengono dalla tradizione afro-latinoamericana della mitologia Yoruba e attingono al repertorio personale delle memorie e del vissuto dell’artista, in un alternarsi continuo di citazioni ed elementi che richiamano alla cultura europea da una parte e a quella latinoamericana dall’altra.
Nonostante abbia scelto l’Europa come sua patria elettiva l’ opera di Sandra Vasquez de la Horra è profondamente legata alla cultura e all’iconografia della sua terra di origine, il Cile.
Con la sua opera l’ artista intende superare il concetto di testimonianza storica e antropologica: esprime graficamente la complessità del proprio intimo, il senso di ambiguità, disegnando figure la cui identità resta intrappolata in una sorta di incompiutezza ; esseri morfologicamente e intimamente destabilizzanti all’occhio dello spettatore, situati tra il sogno e la visione, il sacro e il profano, a volte grotteschi e caricaturali, altre volte leggiadri e delicati.
Il processo di produzione dei suoi disegni è esso stesso molto suggestivo. L’artista immerge infatti i fogli di carta nella cera d’api, come fosse un rituale magico che rafforza il potere evocativo di ciò che è rappresentato, e conferisce all’immagine la sostanza materiale e il valore simbolico della reliquia e allo stesso tempo cristallizza il sentimento da cui scaturisce l’opera stessa.
La proiezione di un’immagine mentale, di un luogo dello spirito, diviene icona, capace di trascendere il sentimento individuale della sua indefinitezza sostanziale.Continue Reading..

21
Gen

Jacques Henri Lartigue – Life in Colour & Awoiska van der Molen – Blanco

Two new exhibitions will open on Thursday 21 January 2016

JACQUES HENRI LARTIGUE – LIFE IN COLOUR
Foam is pleased to present the work of famed French photographer Jacques Henri Lartigue (1894-1986). Lartigue was considered a genius at taking black-and-white photos of everyday life in the last century, but his breath-taking colour photography is less well known. The exhibition Life in Colour reveals this seldom-seen aspect of his oeuvre.
More information on the exhibition: bit.ly/lartigue-fb

The exhibition has been conceived and produced by the Association des Amis de Jacques Henri Lartigue, Ministère de la Culture, France, known as the Donation Jacques Henri Lartigue, in collaboration with diChroma photography, Madrid.

AWOISKA VAN DER MOLEN – BLANCO
Foam ushers in the New Year with Blanco, the first major museum-based solo exhibition by Awoiska van der Molen (b. Groningen, 1972). Already in 2007, Foam presented Van der Molen’s work within the Foam 3h programme. Blanco features the monochrome landscape photography the artist has been working since 2009.
More information on the exhibition: bit.ly/awoiska-fb

The exhibition was made possible by the Gieskes-Strijbis Fund.

More information on the opening: bit.ly/lifeincolour-blanco

Foam Fotografiemuseum
Keizersgracht 609, Amsterdam
+31 (0)20 5516500
info@foam.org

The exhibition is open from 22 January to 3 April 2016

20
Gen

Simone Bergantini. IT’S FUNNY

Simone Bergantini.IT’S FUNNY “Don’t ever tell anybody anything. If you do, you start missing everybody”

14 Gennaio -11 Marzo, 2016
Inaugurazione 13 Gennaio, ore 18.30
Galleria PACK – SPAZIO 22
Viale Sabotino, 22 – Milano

Catchers
L’artista cerca continuamente di afferrare qualcosa. Così la mano impaziente immortalata nell’immagine anonima restituisce la vibrante tensione del gesto. Simone Bergantini è come “l’acchiappatore” di J. D. Salinger. Ma cosa può prendere? Forse immagini condivise. Probabilmente soltanto la sensazione che queste possano esistere soltanto lì. Può darsi si tratti di un ambiente in cui siamo talmente immersi da non avere ancora acquisito gli strumenti per governarlo. Al contrario possiamo pensare che il controllo tanto caro a chi ci ha preceduto sia ormai una categoria in disuso. È plausibile che l’apertura all’indefinito e il mancato tentativo di delinearne i confini sia un nuovo scenario a cui dobbiamo abituarci. Certo, è difficile. Eppure all’artista spetta l’ingrato compito di acchiappare qualcosa del proprio tempo. Facebook, Twitter e gli smartphones rappresentano oggi la realtà in cui muoversi. Un ambiente fatto di schermi, superfici piatte, immagini retroilluminate, notizie che corrono su tablets e laptops, pronti a essere estratti dalle loro custodie per aumentare le informazioni su ciò che ci sta di fronte, oppure per evadere completamente da quella realtà prontamente sostituita da qualcosa di fluido. I contenitori sono diventati più importanti dei contenuti. Sono su Instagram!
Non importa cosa carico sul mio profilo. Ho l’iPhone! Non mi interessa quali fotografie potrò veicolare con quel mezzo. Lo schermo di un telefono, anche se rotto, è più potente del suo contenuto. Stiamo parlando di superfici: monocromatiche, piatte, prive di sfondamento prospettico, anti-narrative, ammiccanti alla grafica. Qualcosa dunque l’artista sta afferrando. Forse una probabile estetica del domani? La produzione di immagini così orgogliosamente bidimensionali non ha precedenti nella storia. Sembra finito il tempo in cui si rincorreva con frustrazione la plasticità tipica della scultura. Oggi le immagini sono prodotte da dispositivi ultrapiatti che non modellano la realtà, piuttosto la registrano in modo altrettanto lineare, la sommano ad altri livelli di realtà basandosi su un principio additivo. Dunque il racconto subisce una mutazione, spariscono personaggi e luoghi, lasciando il posto a oggetti e superfici lisce. Viviamo in un’epoca caratterizzata dall’eccesso d’informazioni che atrofizzano le nostre capacità cognitive, invece di potenziarle. L’arte quindi non deve contribuire a generare questo affaticamento informativo, per questo sta cambiando registro, prendendo gradualmente le distanze dal tessuto narrativo che porta all’atrofia del pensiero. La strada verso cui si sta indirizzando l’arte predilige la citazione del reale alla realtà stessa. Una parte a discapito del tutto. Questa frammentazione favorisce l’apertura, permette di ridisegnare i confini dell’autorialità, consente di percepire nella ricerca artistica i cambiamenti strutturali rispetto ai modelli di vita che tutti stiamo adottando. Continue Reading..