Camera d’Arte

02
Dic

CAP Kuwait: Amira Behbehani. Fifteen-Year Journey – Precious Fragments by an Iranian Group of Artists

Two exhibitions at CAP Contemporary Art Platform:
1_Amira Behbehani. Fifteen-Year Journey
2_Precious Fragments

1_Hosted under the patronage of His Excellency the French Ambassador Mr. Christian Nakhlé.

Contemporary Art Platform is honored to invite you to the opening of A Fifteen-Year Journey: The Art of Amira Behbehani
Time: 7:00 – 9:00pm
Exhibition dates: 10/11/2016 – 21/12/2016
Location: Contemporary Art Platform / Main Exhibition Space

Amira’s first solo in seven years is an exhibition curated by Simindokht Dehghani that promises to take it’s visitors on a voyage that started off as an homage to the awakening of all her feelings and senses then transpired into a celebration of trials and errors. One of the most interesting aspects of Amira Behbehani as an artist, aside from her autodidacticism, is her unyielding engagement in the production of her art and her bravery in its presentation and exhibition. We all draw and paint as children without giving any thought to how our work develops, how it is received or perceived.

2_Contemporary Art Platform is honored to invite you to the opening of Precious Fragments by an Iranian Group of Artists:

Exhibition dates: 10/11/2016 – 13/12/2016
Location: Contemporary Art Platform / Art room

Precious Fragments are memories;
Memories of the past recalled because of an experience in the present;
Precious Fragments are spontaneous;
They are accompanied by surprise
They are involuntary;
Precious Fragments can’t be thought;
They can only be experienced;
Precious Fragments are sometimes pleasant;
And sometimes they are not;
But they are always a way through to another memory.

Precious Fragments is an exhibition of seven contemporary artists from Iran. Each work recalls an experience of the past; a mother; a poem; a resistance; an artwork, a building or a sign.

Contemporary Art Platform Kuwait
Industrial Shuwaikh, Block 2, Street 28
Life Center (same building as Eureka), Mezzanine
T: +965 2492 5636

report by amaliadilanno

01
Dic

1.Latododici. Chiara Arturo e Cristina Cusani

KROMÌA è lieta di presentare “1 .”, la prima personale napoletana del duo fotografico Latododici (Chiara Arturo e Cristina Cusani).

In mostra, centoventi opere di piccolo formato incorniciate in una frame/installazione: un primo possibile punto che non chiuda, ma apra prospettive, sul primo anno del progetto di ricerca delle due giovani ma consapevoli artiste, unificato e sostanziato dalla convergenza di dimensioni (formato quadrato di dodici centimetri per lato), atmosfere estetiche ed emotive (distesi cromatismi e armonioso sentire), modalità operative (scatti essenziali da cellulare) e formalizzazione finale (curati packaging di qualità artigianale in materiali naturali).

Completano la mostra, oltre ad alcuni esempi dei diversi packaging finali delle opere, un pieghevole a fisarmonica con una serie inedita del duo su Napoli e un libro d’artista con la totalità delle opere realizzate finora da Latododici.

Dal testo critico* di Diana Gianquitto (curatrice della mostra, con la direzione artistica di Donatella Saccani): «La sostenibile profondità dell’essere. Lieve non è necessariamente superficie. Ma, etimologicamente, è agile, rapido. Capace di saltare al di là, oltrepassare – nell’antica consapevolezza della sua radice sanscrita lagh – in un sol balzo leggero il feticismo cerebrale in cui troppo tristemente l’Occidente spesso, onanisticamente, si consola dalla sua paura di sentire. Levità, non superficialità, sono le gocce di visione di Latododici: porzioni di tempo e di mondo, angoli di percezione rubati da cellulare, da uno sguardo di tecnologia ormai così intima e quotidiana da aver dimenticato da tanto vanaglorie futuristiche, per posarsi confidenziale e tenera come bruma sul mondo, impalpabile, discreta, e lasciarlo poi un po’ più personale di come lo si era trovato. Recuperando autenticità e immediatezza, le apparizioni ottiche di Chiara Arturo e Cristina Cusani sono sintesi, appunti o, meglio, intuizioni pregne di potenzialità. Potenzialità, più che per futuri sviluppi progettuali, per aperture percettive. Non incompiuti abbozzi, ma nuclei energetici. Intuizioni bergsoniane o aristoteliche, modo di arrivare alle cose direttamente, senza passare attraverso una pedante o diacronica analisi. Partendo induttivamente dal basso di ogni giorno e ogni respiro, dalle myricae che sbocciano ogni istante negli occhi e nel cuore. […] Ogni giorno, come il primo. Il primo del presente. Ed ecco quindi 1. :non mettere un punto_dove finisce l’ora, ma fare un punto_finora. Abbracciando, non rinchiudendo, la caleidoscopica molteplicità delle centoventi opere a oggi nate in una cornice/installazione che come frame/gestalt permetta l’autocoscienza, consenta di imbibirsi nel midollo dell’esperienza di ricerca appena fatta rivedendovisi come in uno specchio, rendendola a sua volta nuovo elemento, modulo, mattoncino costruttivo, microcosmo per nuovi macrocosmi. Del resto, di lievi, impalpabili, agili e incessantemente mobili atomi, da Democrito in poi, è composto in ogni sua profondità il mondo. Così come, da Dante in poi, “al vento nelle foglie lievi / si perdea la sentenza di sibilla”».

Inaugurazione: giovedì 1 dicembre 2016 – ore 19.00
dal 1 dicembre 2016 al 1 febbraio 2017

SPAZIO KROMÌA
Napoli, via Diodato Lioy 11 (piazza Monteoliveto)
T. +39 08119569381 – M. 3315746966
info@kromia.net

Orari di apertura (verificare via telefono): lun/merc/ven 10.30-13.30 e 16.30-19.30 – mar/giov/sab 10.30-13.30

*La vita, d’un balzo di Diana Gianquitto

La sostenibile profondità dell’essere.   Lieve non è necessariamente superficie. Ma, etimologicamente, è agile, rapido. Capace di saltare al di là, oltrepassare – nell’antica consapevolezza della sua radice sanscrita lagh – in un sol balzo leggero il feticismo cerebrale in cui troppo tristemente l’Occidente spesso, onanisticamente, si consola dalla sua paura di sentire. Levità, non superficialità, sono le gocce di visione di Latododici: porzioni di tempo e di mondo, angoli di percezione rubati da cellulare, da uno sguardo di tecnologia ormai così intima e quotidiana da aver dimenticato da tanto vanaglorie futuristiche, per posarsi confidenziale e tenera come bruma sul mondo, impalpabile, discreta, e lasciarlo poi un po’ più personale di come lo si era trovato. Recuperando autenticità e immediatezza, le apparizioni ottiche di Chiara Arturo e Cristina Cusani sono sintesi, appunti o, meglio, intuizioni pregne di potenzialità. Potenzialità, più che per futuri sviluppi progettuali, per aperture percettive. Non incompiuti abbozzi, ma nuclei energetici. Intuizioni bergsoniane o aristoteliche, modo di arrivare alle cose direttamente, senza passare attraverso una pedante o diacronica analisi. Partendo induttivamente dal basso di ogni giorno e ogni respiro, dalle myricae che sbocciano ogni istante negli occhi e nel cuore. Naturalmente, per saperle cogliere e restituire senza farle sfiorire in banalità né appesantirle in leziosità, sono richieste sensibilità e cultura visiva, nonché consapevolezza e padronanza del linguaggio e dell’uso del mezzo, per quanto semplice. Le stesse che, nonostante la giovane età, nutrono la ricerca di entrambe le artiste, ciascuna nella sua unicità, pur nel raggiungimento di un sapore legante, quell’inconfondibile atmosfera rarefatta e serena che rende le loro opere immediatamente riconoscibili in forza, come nelle loro parole, “più che di un punto di vista, di un mood comune”. Non vi verrà svelato da chi deriva l’uno o l’altro scatto, ma sarà solo pretesto per perdersi maggiormente nel sortilegio di un’eufonia riuscita il citarvi il vissuto del paesaggio di Chiara (inteso come frutto combinato di filtro personale, memoria e realtà), la sua ricerca sulla percezione e la sua sensibilità alla facies epidermica della foto (resa quasi bidimensionale pattern informale da un appiattimento luministico), il suo intimismo zen capace di cogliere l’attimo semplice, così come l’introspezione impavida di Cristina, la sua istintiva abilità nella metafora e nell’assonanza concettuale, la sua sperimentazione non virtuosistica ma profondamente metalinguistica tra analogico e digitale, il suo monocromo a colori addolcente la policromia in transizioni graduali e in un unificante effetto abbagliato. La componente relazionale processuale e operativa, insita nella volontà di essere duo e di incontrarsi in specifici momenti laboratoriali di scelta e di dialogo comuni, è spia del resto di un’attitude relazionale e integrante decisamente più ampia, di un olismo connaturato che si manifesta non solo nella sintonia corpo-anima, universale-particolare, quotidiano-esistenziale che pervade ogni scatto di Latododici, ma anche nella cura non feticistica ma amorevolmente sinestetica che incarna ogni loro opera in un oggetto-packaging artigianale in materiali naturali da accarezzare con tatto e sguardo, e non da ultimo nella tensione di incontro col fruitore che anima l’idea di promuovere una fruizione allargata e democratica della loro arte. Che ciascuno possa avere di essa non un feticcio, ma un oggetto-souvenir, memoria di un piccolo sogno più che di un gran viaggio pindarico, ma di un sogno da poter ripetere ogni giorno, in un’altra dimensione. Ogni giorno, come il primo. Il primo del presente. Ed ecco quindi 1. :non mettere un punto_dove finisce l’ora, ma fare un punto_finora. Abbracciando, non rinchiudendo, la caleidoscopica molteplicità delle centoventi opere a oggi nate in una cornice/installazione che come frame/gestalt permetta l’autocoscienza, consenta di imbibirsi nel midollo dell’esperienza di ricerca appena fatta rivedendovisi come in uno specchio, rendendola a sua volta nuovo elemento, modulo, mattoncino costruttivo, microcosmo per nuovi macrocosmi. Del resto, di lievi, impalpabili, agili e incessantemente mobili atomi, da Democrito in poi, è composto in ogni sua profondità il mondo. Così come, da Dante in poi, “al vento nelle foglie lievi / si perdea la sentenza di sibilla”.

01
Dic

George Awde. Still Departures

Sultan Gallery, Kuwait | 6th December, 2016 – 5th January, 2017

George Awde’s first solo exhibition in Kuwait, chronicles the transitory existence of a group of young men and boys – many of them migrant laborers, emigrants from Syria and Syrian Kurdistan living in the context of Beirut from 2007-2016. This exhibition considers the embodiment of becoming men, while also appreciating issues of mobility and nationality as we each etch out our place in this world.

Awde’s photographs question the relationship between citizenship, masculinity, and the sense of belonging to a place – as well as to one’s own body. The work explores the scars of the flesh with those of the soil. As these men grow and change, the photographs capture physical marks – in the form of tattoos and cuts – giving hints of struggle and survival. The shape, role, and uses of the body change as these boys age – filling out – becoming men. Parallel to changing borders of manhood are those of physical mobility which widen, contract, and close in terrains of the changing geopolitical climate.  The landscape allows us to consider our states of belonging, not just as a metonym, but a portrait of Beirut’s physical terrain in which these processes occur on/through/in the bodies of individuals.

Awde’s practice of using a large format camera, and the slow process it requires, contributes to the intimacy and guides the aesthetics of his photographs. This process mirrors the gradual approach he has of building trust and familiarity through a collaborative process of photography over a number of years.  Awde has a compulsion of returning; revisiting the same spaces, people, and obsessions time and again. From this emerges a passage, which creates a broken continuity – a process unfolding like that of aging, moving, or staying.

George Awde is currently an Assistant Professor of photography at Virginia Commonwealth University in Doha, Qatar and co-director of marra.tein, a residency and research initiative in Beirut. His awards include the Aaron Siskind Foundation’s Individual Photographer’s Fellowship (2012), Philadelphia Museum of Art’s photography Portfolio Competition (2012), Fulbright US Scholar Grant to Egypt (2012-2013), Alice Kimball English Travel Fellowship (2009), and The Richard Benson Scholarship for Excellence in Photography (2008). In 2015 Awde was an artist in residence at Light Work in Syracuse, New York.  Awde’s work has been exhibited internationally, including cities such as Los Angeles, Istanbul, Beirut, Paris, Doha, Dubai, Lahore, Cairo, London, and New York.

Exhibition Dates:
Opening:  Tuesday, 6th December, 2016; 7 – 9pm
7th December – 5th January, 2017 ; 10am – 4pm
(Closed on Fridays, Saturdays and Public Holidays)

For press enquiries, please contact:
+965 24714325 Ext. 111 | +965 60790001 | sultangallery1969@gmail.com

Sultan Gallery
South Subhan, Block 8, Street 105, Building #168 besides Sadeer.
Madinat al-Kuwait

Image: untitled, Beirut, 2014

30
Nov

GUEN FIORE. Tableaux Vivants

a cura di tiziana Tommei

30 novembre 2016 – 10 gennaio 2017
Vernice mercoledì 30 novembre, ore 18.30
Vineria al 10 piazza San Giusto 10/c, Arezzo

Mercoledì 30 novembre presso Vineria al 10 in piazza San Giusto 10/c ad Arezzo inaugura Tableaux Vivants, personale fotografica di Guen Fiore. La mostra è a cura di Tiziana Tommei e in collaborazione con Galleria 33.

La selezione di scatti presentata è parte di un lavoro realizzato nel 2015 per l’evento “Elite New Wave”, organizzato da Vogue Italia, andato in scena a Villa Necchi Campiglio a Milano e pubblicato su Vogue nel gennaio 2016.

Le ragioni della scelta di presentare in mostra non un progetto personale, ma un lavoro realizzato su commissione di un brand internazionale, vanno ricercate nelle opere fotografiche stesse, nonché nel raffronto di queste con l’iter progettuale perseguito negli anni dalla fotografa. Nelle immagini esposte ritroviamo infatti concentrati molti dei caratteri del modo di concepire e di “fare” fotografia di Guen Fiore. Guardando in toto ai suoi progetti, se da un lato sono dichiarati i riferimenti a Vivian Maier e a Alfred Eisenstaedt, dall’altro emergono in modo diretto exempla molteplici. In primis le foto d’epoca, come si evince anche scorrendo rapidamente il suo profilo Instagram; in secondo luogo il cinema, e più in particolare quello americano degli anni Cinquanta. Questi modelli trovano corrispondenza nei due aspetti fondamentali della sua ricerca: la rappresentazione della figura umana e l’interesse per la storia, ossia il ritratto e la narrazione. I suoi soggetti, prevalentemente femminili, che siano persone comuni o modelle, risultano sovente immersi nel processo creativo e trasfigurati. Nel primo caso, esse vengono spogliate del loro status per assumere valenze opposte a quelle reali: la ragazza della porta accanto veste i panni di una diva del cinema o di una star della moda e viene inclusa in un racconto svolto attraverso i singoli scatti, da leggere come fotogrammi in sequenza. Quando invece, come nella serie di Elite New Wave, la fotografa ha davanti alla macchina da presa una professionista, ella non si limita a metterla in posa, bensì la rende interprete, così come non si ferma alla messa in luce della bellezza di superficie, ma svela in modo subliminale dettagli realistici e mai banali. Nella costruzione di scene “girate” all’interno di un luogo storico e scenografico come Villa Necchi Campiglio, perfetta quinta di un quadro vivente, sfilano i “nuovi volti” scelti da Elite per interpretare i capi e gli accessori delle capsule collection firmate da giovani designer. Le indossatrici vengono inquadrate in tableaux vivants – come si sottolinea nell’articolo pubblicato su vogue.it da cui si prende spunto per il titolo della mostra – non solo in quanto recitano la parte che è stata loro assegnata e per la quale sono dirette, truccate e abbigliate, ma anche perché nella totalità della finzione, esse sono componenti del metaracconto di chi esegue gli scatti. In quest’ultimo frangente, ed è questo il nodo, il copione prevede infiltrazioni e manifestazioni del reale nei dettagli di volti, gesti e sguardi, in un teatro che pone al centro emozioni e stati d’animo.Continue Reading..

28
Nov

Fabio Mauri. Retrospettiva a luce solida

Un’ampia mostra retrospettiva, dedicata ad uno dei più grandi artisti contemporanei, influente e seminale esponente delle neo-avanguardie della seconda metà del XX secolo.

a cura di LAURA CHERUBINI, ANDREA VILIANI
Retrospettiva a luce solida è il titolo della mostra monografica dedicata dal Madre nel mese di novembre a Fabio Mauri (Roma, 1926-2009), magistrale esponente delle neo-avanguardie della seconda metà del XX secolo, la cui pratica artistica – incentrata sull’esplorazione dei meccanismi dell’ideologia e dei linguaggi della propaganda, come dell’immaginario collettivo e delle strutture delle narrazioni mediatiche – lo impone fra i più autorevoli e seminali artisti contemporanei a livello internazionale. Organizzata in stretta collaborazione con lo Studio Fabio Mauri, la mostra – la più completa mai dedicata all’artista dopo la retrospettiva, nel 1994, alla GNAM-Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma – comprenderà, in un percorso appositamente concepito per i singoli spazi del museo, più di cento fra opere, installazioni, azioni e documenti, che indagano la storia moderna e contemporanea nei suoi conflitti e nelle sue contraddizioni e trovano nell’intrinseco rapporto fra dimensione storica e dimensione etica il loro fulcro intellettuale ed emotivo.

La prima sezione della mostra, articolata su tutto il terzo piano del museo, presenterà le opere con cui l’artista esplora, in un’iniziale tangenza con le estetiche pop, la dimensione della comunicazione di massa, fino alla serie degli Schermi (anni Cinquanta-Settanta), che si integrano con i “tappeti-zerbini” e una pluralità di altre opere e materiali connessi alla ricerca sui significati e le dinamiche della proiezione, tra cui i principali lavori scultorei e installativi della fine degli anni Sessanta (Cinema a luce solida, 1968; Pila a luce solida, 1968; Colonne di luce, 1968; Luna, 1968). Il percorso culmina in una selezione delle opere con proiezioni, da quelle in 16mm degli anni Settanta su corpi ed oggetti (vari esemplari di Senza e Senza ideologia, la ricostruzione di Intellettuale-Pasolini), fino alle più recenti proiezioni su supporto digitale e di impianto ambientale.

Una seconda sezione della mostra, al piano terra del museo nella sala Re_PUBBLICA MADRE e presso le tre sale del mezzanino, sarà costituita da opere, installazioni, azioni e documentazioni afferenti alla matrice performativa e teatrale della ricerca dell’artista, con una selezione delle più importanti azioni di Mauri, che verranno presentate periodicamente, durante l’arco della mostra, o attraverso materiali documentari e alcune essenziali componenti “sceniche”. Integrandosi in questo ambiente dinamico saranno presentate anche alcune installazioni fondamentali, quali Manipolazione di Cultura (1971-1973, terminato nel 1976), l’opera-libro Linguaggio è guerra (1975), Oscuramento (1975), Il Muro Occidentale o del Pianto (1993), Teatrum Unicum Artium (2007). Spazio di indagine verrà inoltre dedicato alla prima opera teatrale di Mauri, monologo in due tempi e due scene intitolato L’isola (1960).Continue Reading..