Camera d’Arte

11
Gen

Roger Ballen: Retrospective

The retrospective follows the trajectory of American-born South African artist Roger Ballen since the 1980s. Ballen’s distinctive and unique style of photography evolved from a form of documentary photography into a style that he describes as “ballenesque”.

Ballen employs drawing, painting, collage and sculptural techniques to create a new hybrid aesthetic, but one still firmly rooted in photography. Ballen’s works are evocative of the photography of Walker Evans, not only in terms of their formal aspects—texture, light, and interaction with the subject—but also in their aim to witness and reveal marginalized lives in a period of social change. Diane Arbus and Eugene Meatyard are other photographers who have been touchstones for Ballen. In both cases, though their photographs may appear distinct in formal terms, their subjects smolder with psychological intensity.

It is possible to describe Ballen’s human actor-participants as stranger, starker, and more indeterminate than those in the theater of Samuel Beckett or Harold Pinter. These marginalized characters, who can neither exert force on the world around them nor escape it, have a definite kinship to the Theater of the Absurd. Ballen lays bare the absurdity of the human condition through the agency of ordinary people, finding the comical in the grotesque and situating madness on the edge of reality.

The “Roger Ballen: Retrospective” features the following series and an installation by the artist: Dorps: Small Towns of South Africa, Platteland: Images of Rural South Africa, Outland, Shadow Chamber, Boarding House, Asylum of the Birds, The Theatre of Apparitionsand “Room of the Ballenesque”.

Curator: Demet Yıldız

Roger Ballen
Retrospective
December 28, 2016–June 4, 2017

Istanbul Museum of Modern Art
Meclis-i Mebusan Cad. Liman İşletmeleri Sahası Antrepo No: 4
34433 Karaköy/İstanbul
Turkey
Hours: Tuesday–Sunday 10am–6pm,
Thursday 10am–8pm

T +90 212 334 7300
F +90 212 243 4319
info@istanbulmodern.org

Image: Twirling Wi̇res, 2001

07
Gen

Silvia Celeste Calcagno. If ( but I can explain)

a cura di Alessandra Gagliano Candela
Inaugurazione: 19 gennaio h.18:00
20 gennaio – 19 febbraio 2017

PROROGATA al 5 marzo 2017

Il Museo d’Arte Contemporanea Villa Croce è lieto di annunciare la mostra di Silvia Celeste Calcagno If (but I can explain) a cura di Alessandra Gagliano Candela. Progetto studiato site-specific per la Project Room al primo piano del Museo, If ( but I can explain) presenta una nuova condizione del proprio “stare”. Partendo da un lavoro autobiografico, l’artista evoca una condizione di sospensione, in cui il corpo di donna vive o sopravvive. In una riflessione metafisica, gli oggetti del quotidiano, gli abiti, le fotografie appese al muro, diventano il racconto di una quotidianità infranta. Come nei fotogrammi di un film, vengono proposti brandelli di una vita che è stata spogliata, depauperata, violata. Un’esistenza che si interroga su quel che è stato e su quel che sarebbe potuto essere. È lo stato perpetuo del “sé”. Sono solo due lettere quelle che danno il titolo all’installazione. Due lettere che, però, aprono a un universo di contenuti: il dubbio, l’incertezza, il pentimento, l’ipotesi. È un “sé” che guarda all’infinito quello che l’artista propone al pubblico, coinvolgendo lo spettatore in un viaggio intimo, in cui ciascuno si può riconoscere. Dopo “l’uno, nessuno e centomila” delle numerose donne protagoniste delle precedenti opere, dalle installazioni dedicate a “Rose” a quelle di “Carla” e  “Interno 8”, la Calcagno supera il dramma esistenziale di una identità fragile.

If” è un’installazione composta da tre elementi: una quadreria di lastre in grès che avvolgono le pareti della Project Room, una suggestione sonora e un video. If (but I can explain) racconta un’esistenza sospesa, incompiuta. Il riferimento ideale è il Cimitero di Modena, progettato negli anni Settanta da Aldo Rossi, la soglia tra la vita e la morte, tra la realtà e il ricordo, come scrive Alessandra Gagliano Candela.

Nei suoi lavori, Silvia Celeste Calcagno fa riferimento a una dimensione autobiografica, che, tuttavia, diventa biografia di un femminile in senso ben più ampio. Esperienze, vissuti che da strettamente personali si fanno universali, per citare Angela Madesani. Un mantra, scritto dall’artista, intitolato “Could you please stop talking?” riferimento al testo di Raymond Carver accompagna lo spettatore. Recitato da una voce maschile, descrive stralci di esistenza che si concludono con la litania “Vuoi star zitto, per favore?”. Una rabbia che non eccede mai nell’ira, pur travalicando la sottile linea che separa il dolore dalla collera.

A completare il percorso è un video, “Air fermé”, che riprende con telecamera fissa il paesaggio urbano da una finestra attraverso una tenda. Un filtro che registra lo scorrere del tempo, marcato dal variare delle luci, osservando i ritmi dell’esistere.

Vincitrice del 59° Premio Internazionale Faenza della Ceramica d’Arte Contemporanea, Silvia Celeste Calcagno porta avanti una ricerca, in cui il contenuto si è sviluppato in continua simbiosi con l’evoluzione tecnica, a dimostrare lo stretto legame fra concept e studio materico. La riflessione sul corpo, sull’esistenza, sulla femminilità si sposano con la fotografia e la ceramica, attraverso una interpretazione personale e innovativa, in grado di accompagnare uno dei media più antichi, la ceramica, nel mondo dell’arte contemporanea.

Ogni installazione è frutto di un lungo e complesso lavoro che costituisce, esso stesso, una performance.

L’artista parte da una serie di constatazioni fotografiche, scattate in modo ossessivo per ore e ore, sino al raggiungimento della totale trasposizione emotiva nello scatto. A questo punto, il passaggio alchemico: la fusione fra immagine e materia. Un percorso di ricerca che ha preso il via, ormai una decina di anni fa, dalla decalcomania per raggiungere vertici del tutto inaspettati che mettono insieme tecniche, in apparenza, incompatibili. L’immagine fotografica è impressa su impasto da grès ingobbiato a fresco e sottoposta a cotture ad alta temperatura, ottenendo un risultato che può evocare la serigrafia conservando una dinamicità e una poeticità del tutto nuove.

La mostra è accompagnata da un catalogo che documenta il progetto, pubblicato da Nomos editore, con un’intervista di Ilaria Bonacossa all’artista, testi di Alessandra Gagliano Candela e Angela Madesani. Il catalogo verrà presentato nel corso dell’esposizione.Continue Reading..

19
Dic

Eulalia Valldosera. Plastic Mantra

Inaugurata lo scorso 14 dicembre alle ore 19 presso lo Studio Trisorio la mostra PLASTIC MANTRA. Canto di guarigione per le acque marine e l’isola di Capri, un progetto site specific dell’artista catalana Eulalia Valldosera che ha lavorato muovendosi nella baia di Napoli tra i Campi Flegrei e Capri. L’artista ci induce a riflettere sull’inquinamento del mare causato dalla plastica. Considerando l’ecologia come una questione spirituale e l’ambiente come una creatura vivente, la Valldosera esprime la sua denuncia attraverso una manifestazione di luce e bellezza.

L’arte per la Valldosera è un viaggio interiore, un’esperienza d’ascolto dei livelli invisibili della memoria, attraverso il contatto con le energie profonde della materia. L’artista si fa “medium” di queste esperienze ricalcando il modello di figure archetipiche di mediatrici e guaritrici come le sibille e ripercorre fisicamente i luoghi che queste donne avevano vissuto come guidata dalle loro stesse voci. Nel video Il Canto – filo conduttore della mostra – l’artista riporta i loro messaggi attraverso la sua voce in stato di trance e mediante gesti silenziosi, traducendoli in linguaggio artistico.

Una sibilla o il suo archetipo è evocato da un mantello di plastica che fluttua nello spazio della galleria, come un vestito in attesa di essere abitato da una figura della quale vediamo solamente una corona luminosa che riverbera i suoi bagliori colorati sul soffitto e sul pavimento.

Due fontane con giochi di acqua e luce, realizzate con utensili da cucina, emergono dalla penombra: nella Fonte dell’incontro l’acqua scorre da due ampolle tradizionalmente utilizzate per il vino e l’olio creando un circuito di colori grazie a fasci di luce. Il movimento dell’acqua che si riversa in un terzo contenitore evoca la circolazione dei fluidi e dell’energia nel corpo umano.

La Fonte del perdono è realizzata invece con pentole e piatti di diverse epoche impilati a formare una spirale ascendente fino ad assumere la forma di un vortice: una cascata di acqua luminosa pulisce metaforicamente avanzi di pasti consumati in un tempo passato. I suoni e i riflessi di luce colorata influenzano il nostro corpo e la nostra mente come un mantra di guarigione.
Le immagini del video in cui l’artista interagisce con la natura nei luoghi intrisi di storia come l’antro della Sibilla a Cuma o Villa Jovis a Capri, appaiono e scompaiono, alternandosi sincronicamente con la fontana che si accende e si spegne.

Nelle fotografie in mostra l’acqua ritorna ad essere rappresentata come spazio infinito di ispirazione, ma anche come luogo di contaminazione ridotto dall’uomo a ricettacolo di rifiuti inquinanti.
L’acqua è dunque elemento portante della memoria, fonte di vita, sostanza purificante e rigenerante che necessita della nostra attenzione e cura.

La mostra si potrà visitare fino all’11 febbraio 2017.Continue Reading..

15
Dic

Gian Maria Tosatti. Sette stagioni dello spirito

17.12.16 — 20.03.17

Dal pluriennale progetto di Gian Maria Tosatti, in mostra al Madre un’officina creativa presentata come un diario, immaginato per la città e i suoi abitanti.

a cura di EUGENIO VIOLA

Dal 2013 al 2016 l’intera città di Napoli è stata coinvolta nell’imponente progetto pluriennale Sette Stagioni dello Spirito di Gian Maria Tosatti (Roma, 1980). Nell’ideazione e realizzazione del progetto, l’artista ha ripercorso la traccia de Il castello interiore (1577), il libro in cui Santa Teresa d’Avila suddivide l’animo umano in sette stanze, trasfigurate da Tosatti in altrettante, monumentali installazioni ambientali. Un’opera in formazione progressiva, dalla polisemia e dagli esiti complessi, tesa a ridefinire il rapporto fra arte e comunità e concepita come un unico grande romanzo urbano, visivo e performativo, che, esplorando la città e la dimensione comunitaria del vivere civile, sonda l’animo umano sospeso fra i limiti antitetici ma complementari del bene e del male.
La mostra finale restituisce la memoria di questa esperienza collettiva e, al contempo, ne ricostruisce il percorso “dietro le quinte”, permettendo al pubblico di ripercorrerlo nella sua articolazione complessiva e raccontandone la dimensione intima, fino a spingersi alle soglie dello studio dell’artista per raccogliere e testimoniare il sovrapporsi delle decisioni e dei cambiamenti, i disegni progettuali, gli schizzi preparatori, i documenti e i resti di un’officina creativa esposta come un diario, pieno di appunti e di cancellature, immaginato per la “città e i suoi abitanti”.

Sette Stagioni dello Spirito sarà ospitata in due aree del museo Madre: presso la Project room al piano terra e in sette sale al secondo piano del museo. Nella Project room saranno esposti il pavimento dello studio dell’artista durante la sua permanenza a Napoli e il suo diario, insieme a un lungometraggio che racconta il processo imponente di realizzazione di quest’opera. Il percorso al secondo piano, invece, è concepito come una sequenza di sette “camere mentali” che declinano i sette temi delle Sette Stagioni dello Spirito: inconsapevolezza, inerzia, errore, salvezza, ascensione, pratica del bene e destino.
Il progetto originario è stato promosso e organizzato da Fondazione Morra con il sostegno di Galleria Lia Rumma, in collaborazione con vari enti istituzionali e, per ogni sua tappa, con il Matronato della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee.Continue Reading..

11
Dic

Da vicino. “in ascolto dell’inudibile risuono dell’opera”

La galleria A arte Invernizzi inaugura mercoledì 14 dicembre 2016 alle ore 18.30 la mostra Da vicino. “In ascolto dell’inudibile risuono dell’opera” a cura di Francesca Pola, che presenta esclusivamente opere di piccolo formato a creare una costellazione di linguaggi e visioni contemporanei. L’esposizione propone una particolare modalità esperienziale dell’opera d’arte rispetto a quella riservata alle installazioni monumentali o alle opere di grande dimensione, vale a dire una immedesimazione che nasce dalla relazione diretta, quasi tattile, con la fisicità di questi lavori che, per via delle loro dimensioni, possono appunto essere osservati e compresi tramite una percezione ravvicinata.
Se l’idea di una mostra di opere di piccolo formato può annoverare illustri precedenti storici, che vanno dalla Boîte-en-valise di Marcel Duchamp, ai Microsalon parigini di Iris Clert, alle proposte itineranti di sculture da viaggio e arte moltiplicata di Bruno Munari e Daniel Spoerri, essa non pone tuttavia l’accento sugli aspetti “portatili” dell’opera di queste dimensioni, che la rendono spesso la materializzazione di un’idea che appunto si può spostare con facilità. Ad essere privilegiata nel caso di questa mostra è invece l’intimità della relazione che si viene a creare tra osservatore e singolo lavoro, nella necessità di soffermarsi con attenzione su ogni opera per comprenderne i meccanismi creativi, dando luogo a una sorta di immedesimazione per empatia tra osservatore e oggetto. Una componente non secondaria in questo processo di partecipazione è poi naturalmente quella del tempo di fruizione, che si dilata in misura inversamente proporzionale alla dimensione dell’opera stessa.
Le relazioni tra le opere in mostra rispondono a meccanismi di tipo spaziale e associativo, privilegiando quelle personalità creative caratterizzate da una riduzione significante che da sempre costituiscono l’asse portante dei programmi espositivi della galleria. Una proposta di avvicinamento non scontata, nella quale la sequenzialità non è sinonimo di serialità, così come iterazione non significa ripetizione.

In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo bilingue con un saggio introduttivo di Francesca Pola, la riproduzione delle opere in mostra e poesie di Carlo Invernizzi che partecipano della stessa empatia umana: a una sua frase, è anche ispirato il sottotitolo della mostra, che sottolinea appunto “l’inudibile risuono dell’opera”, percepibile solo in questo “avvicinamento di attenzione”.

Inaugurazione mercoledì 14 dicembre 2016 ore 18.30Continue Reading..