Camera d’Arte

08
Ott

Giulio Paolini – Qui dove sono

La Galleria Christian Stein presenta un’esposizione personale di Giulio Paolini (Genova, 1940) dal titolo Qui dove sono, riferimento a un’opera in mostra e omaggio alla Galleria Christian Stein, dove Paolini espose per la prima volta oltre cinquant’anni fa, nel 1967, presso la sede di Torino e poi, regolarmente, per tutta la sua carriera, fino all’ultima esposizione nel 2016.

La mostra alla Galleria di Corso Monforte si articola in cinque opere di cui tre realizzate espressamente per l’occasione.

Scultura e fotografia, opportunamente elaborate secondo il linguaggio paoliniano, svolgono un racconto intorno al mito, alla classicità e alla storia; le immagini in mostra sono avvolte in una dimensione temporale assoluta, distante dai dati della realtà corrente.

Nell’opera, collocata a centro sala, In volo (Icaro e Ganimede) (2019-2020), il calco in gesso di Ganimede, copia di una scultura in marmo di Benvenuto Cellini (1500-71), è collocato su una alta base. Il giovane trattiene due ali di cartoncino dorato ad evocare il suo volo verso l’Olimpo, il mito di Ganimede si fonda infatti sulla bellezza del giovane di cui Zeus, il re degli dèi, si invaghì, questi lo rapì camuffandosi da aquila e lo condusse sull’Olimpo dove ne fece il suo amato. Al suolo una lastra quadrata trasparente lascia intravedere frammenti di un’immagine fotografica del cielo unitamente alla riproduzione della figura di Icaro tratta dal dipinto Dedalus et Icarus (1799) del pittore francese Charles Paul Landon (1761-1826), inoltre un antico mappamondo è posato sulla lastra di plexiglas a ridosso della base. Sia Ganimede che Icaro sono figure mitologiche legate all’atto del volo, Ganimede ascende verso l’Olimpo, mentre Icaro precipita in mare per essersi troppo avvicinato al sole che ne fonde la cera delle ali. Paolini dichiara a proposito delle due figure: “Due corpi nudi, l’uno precipitato al suolo, l’altro proteso verso l’alto, sono entrambi sospesi nella vertigine del volo (del vuoto). Sono attori volti a impersonare i destini paralleli di due personaggi: Icaro e Ganimede, fine e principio di una idea di Bellezza, di una stessa figura senza nome”.

Sulla parete di fondo Vis-à-vis (Kore), 2020 è composta da due metà del medesimo calco in gesso di una testa ellenistica femminile, una Kore, collocate una di fronte all’altra su due basi addossate ad una tela di grandi dimensioni che reca un disegno in prospettiva tracciato a matita. La tela funge dunque da “quinta teatrale”, da spazio scenico che ospita lo sguardo muto dei due volti. Eco di un modello assente e di un’immagine distante, mitica, il calco in gesso costituisce per Paolini uno strumento privilegiato, afferma infatti l’artista: “lo sguardo fissato in un quadro o in una scultura non si rivolge né all’autore né ad altri, non ammette né uno né molti punti di vista, riflette in sé la domanda sulla sua stessa presenza”.

La parete di sinistra ospita La casa brucia (1987-2004), l’opera si compone di quarantatre collage divisi in un compatto gruppo centrale di quindici e in un’ampia cornice perimetrale di ventotto elementi. In quelli del primo nucleo, la fotografia di un edificio in fiamme è combinata di volta in volta con particolari lacerati di riproduzioni fotografiche di opere o esposizioni precedenti dell’artista. Negli elementi perimetrali, invece, all’immagine dell’incendio si sovrappongono dei frammenti lacerati di fogli di carta usati abitualmente da Paolini (carta bianca, nera, millimetrata, da lucido ecc.). Nell’insieme, la cornice di “materiali” o strumenti preliminari – che annunciano un’opera ancora a venire – racchiude gli echi delle opere compiute e “già viste”.

Le pareti di destra ospitano una serie di collage dal titolo Qui dove sono (2019) che rimanda al luogo di residenza dell’artista, Piazza Vittorio Veneto a Torino, storica piazza porticata di forma rettangolare. La serie presenta varie prospettive tracciate a matita, sovrapposizioni e mise en abyme di immagini di diversa origine quali una riproduzione fotografica dell’atrio di ingresso dell’abitazione dell’artista, di un’antica stampa della Piazza o ancora una foto notturna dello stesso luogo. Alcuni collage presentano una figura di spalle intenta a osservare la Piazza (controfigura dell’artista stesso?), altre esibiscono una finestra prospettica nel punto di fuga. La Piazza diviene dunque il teatro ideale per inscenare rimandi di sguardi, inganni percettivi non privi di un’aura metafisica debitrice delle Piazze d’Italia di Giorgio de Chirico, non a caso evocato da figure presenti in due dei collage esposti.

Infine, tra la parete e la finestra, è collocata l’opera Passatempo (1992-98): su una base sono disposti innumerevoli frammenti di vetro, un ritratto fotografico dell’artista e alcuni frammenti di riproduzioni a colori di motivi astrali; in corrispondenza degli occhiali nel ritratto è posata una clessidra. In Passatempo l’autore guarda attraverso il tempo nel tentativo di cogliere ciò che il suo sguardo e la sua mano non possono rinunciare a inseguire. Frammenti di tempo (il ritratto del 1971), indizi di una dimensione assoluta (l’iconografia astrale), uniti alla clessidra (immobile), suggeriscono il desiderio dell’artista di trattenere l’istante ideale in cui potrebbe affiorare una visione compiuta.

Il progetto rappresenta uno dei due episodi espositivi che vedono Paolini impegnato a Milano nel corso del 2020; infatti la mostra di Giulio Paolini, Qui dove sono, alla galleria Christian Stein era inizialmente prevista ad aprile 2020, in concomitanza con Giulio Paolini. Il mondo nuovo, ospitata negli spazi milanesi di Palazzo Belgioioso alla galleria Massimo De Carlo. Inoltre, a partire dal 15 ottobre 2020 e fino al 31 gennaio 2021 il Castello di Rivoli ospita mostra di Giulio Paolini, Le chef-d’oeuvre inconnu, in occasione del suo ottantesimo anniversario.

Giulio Paolini, Qui dove sono

fino al 16 gennaio 2021

Tel. +39 0276393301

LUN-VEN | MON-FRI 10-19   SAB | SAT 10-13 | 15-19

Galleria Christian Stein, Corso Monforte 23, Milano

23
Set

Tomás Saraceno – Songs for the Air

With the Block Beuys, the Hessische Landesmuseum Darmstadt is one of the most important forums for contemporary spatial installations, therefore the museum plans to regularly invite contemporary performance and installation artists to present current positions on the 450 square meters of the museum’s Great Hall following Joseph Beuys’ example. The Block Beuys will thus be put in a new context and re-enters discussion.

For its 200th anniversary the museum invites the internationally acclaimed, born in Argentinia, in Berlin based artist Tomás Saraceno, for whom the connection between art and science is central. The Hessische Landesmuseum Darmstadt is one of the largest universal museums in the world and therefore offers the ideal space for Saraceno’s interdisciplinary work.

The solo exhibition Tomás Saraceno: Songs for the Air is composed of new encounters. It is an exhibition that both challenges and utilises technology to build new connections between us and the world, championing modes of participation that expand our awareness and work towards societal change. In this, Saraceno actualizes Beuys’ famous line “everyone is an artist,” illuminating who and what it is we share this planet with and presenting a catalyst for individual and collective action. The exhibition will furthermore expand upon one of Saraceno’s most pressing interests—to create an exhibition that is neither site nor time specific, and whose intention reverberates beyond the museum’s walls.

The COVID-19 crisis has laid bare the fact that, when it comes to public emergencies, be they due to a virus, pollution, or war, we must act together. This includes not only people from different nations but also animals from different species and forces, both living and nonliving. Our increased attention to the air and what it carries furthermore brings to the forefront the issue of environmental racism with its numerous casualties and countless battlegrounds. The continuous sonic ensemble Songs for the Air, specially developed for the Hessische Landesmuseum Darmstadt, will give voice to particles floating in the air – among them the harmful substances of PM2.5 and PM10. According to the World Health Organization 4.2 million deaths occur each year as a result of exposure to outdoor air pollution, with low and middle-income countries experiencing the highest burden. As Achille Mbembe wrote, “the long reign of capitalism, has constrained entire segments of the world population, entire races, to a difficult, panting breath and life of oppression.” In attunement to bodies and forces on air Saraceno draws specific attention to inequalities of the air that are often unforgivingly site-specific.

The exhibition also makes visible the many others, living and nonliving, with which we share our planet. Through his work with the community groups Aerocene and Arachnophilia, Saraceno sees a future for all things—free from borders, free from fossil fuels, free from the extractive, colonialist, capitalist ambitions that divide us. Through a series of digital artworks, including Saraceno’s Arachnomancy App and Aerocene App, he challenges technology to connect us to the world, bringing the exhibition into your phone and your home. Each App begins with the story of doing it together. “Right now,” he states, “we have our priorities backwards: capital flows freely, propelled by the fossil fuel economy, while people, empathy, and cooperation are stopped at borders.” Saraceno reminds us that following the patterns and forces of the wind, the sun, and weather the air has no borders. It belongs to no one yet gives itself freely to all. He also draws attention to the massacre of insects worldwide, which make up part of the Sixth Mass Extinction, due to the promulgation of glyphosate and other pesticides, loss of habitat and climate change.

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04
Set

Paolo Ventura. Carousel

Dal 17 settembre al 8 dicembre CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia ospita «Carousel», un percorso all’interno dell’eclettica carriera di Paolo Ventura (Milano, 1968), uno degli artisti italiani più riconosciuti e apprezzati in Italia e all’estero. Dopo aver lavorato per anni come fotografo di moda, all’inizio degli anni Duemila si trasferisce a New York per dedicarsi alla propria ricerca artistica. Sin dalle sue prime opere Ventura unisce alla grande capacità manuale una particolare visione poetica del mondo, costruendo delle scenografie all’interno delle quali prendono vita brevi storie fiabesche e surreali, immortalate poi dalla macchina fotografica. Con «War Souvenir» (2005), rielaborazione delle atmosfere della Prima Guerra Mondiale attraverso piccoli set teatrali e burattini, ottiene i primi importanti riconoscimenti, come l’inserimento all’interno del documentario della BBC «The Genius of Photography» nel 2007. Dopo dieci anni negli Stati Uniti, rientra in Italia dove realizza alcuni dei suoi progetti più celebri, all’interno dei quali mescola fotografia, pittura, scultura e teatro, come ad esempio nella scenografia di «Pagliacci» di Ruggero Leoncavallo, frutto dell’importante collaborazione con il Teatro Regio di Torino, di cui CAMERA ha esposto alcuni lavori preparatori a gennaio del 2017.

In quest’occasione le sale del museo ospitano alcune delle opere più suggestive degli ultimi quindici anni – provenienti da svariate collezioni, oltre che dallo studio dell’artista – in un’assoluta commistione di linguaggi che comprende disegni, modellini, scenografie, maschere di cartapesta e costumi teatrali. Non si tratta, tuttavia, di un percorso lineare né di una retrospettiva, quanto piuttosto di una messa in scena di tutti i temi ricorrenti della sua poetica, fra i quali spiccano quello del doppio e della finzione. Le prime sale dello spazio espositivo torinese diventano quindi un’autentica full immersion nella poetica di Ventura, un vero e proprio ingresso all’officina dove nascono e si compongono le storie elaborate dall’artista. Un viaggio e un racconto, dunque, secondo quelli che sono i temi e le modalità espressive predilette da Ventura, rappresentante di una fotografia volutamente narrativa: non a caso, i testi che accompagneranno questo percorso saranno stesi e scritti direttamente dall’artista, che diviene la voce narrante della mostra.

La seconda metà dell’esposizione sarà invece dedicata interamente a due nuovi e inediti progetti: il primo è “Grazia Ricevuta”, rivisitazione affettuosamente ironica del tema dell’ex voto, che Ventura naturalmente rielabora a partire dalla manipolazione dell’immagine e dalla presenza costante della sua figura e di quella delle persone a lui vicine. Un ulteriore affondo nella cultura popolare, così amata e ben conosciuta da Ventura, una cultura che da sempre fornisce icone e tematiche al multiforme artista milanese. Il secondo lavoro inedito è l’esito della partecipazione di Ventura al programma “ICCD/Artisti in residenza”, avviato a partire dal 2017 dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione di Roma, ed esposto per la prima volta grazie alla collaborazione fra CAMERA e l’Istituto del MiBACT. Sulla scorta della riflessione sulla rappresentazione delle vicende risorgimentali, Ventura indaga il tema della guerra e della sua rappresentazione in fotografia, influenzata dalla difficile accettazione della modernità del mezzo fotografico in un paese fortemente legato alla tradizione come l’Italia del XIX secolo. Tutto questo attraverso il romanzesco rinvenimento di una serie di rare carte salate risalenti al periodo risorgimentale, nel corso della residenza romana dell’artista. ​

Conclude la mostra una grande e spettacolare installazione, che trasforma l’intero lungo corridoio di CAMERA nel palcoscenico sul quale appare e si sviluppa una città immaginaria, composta dalle tante architetture realizzate da Ventura nel corso degli anni, riassemblate e reinventate per questa occasione in un allestimento di grande suggestione.

Curata da Walter Guadagnini la mostra sarà accompagnata da un volume monografico, pubblicato da Silvana Editoriale, che ripercorre per la prima volta in modo esaustivo e organico tutte le tappe salienti della ricerca dell’artista.

L’attività di CAMERA è realizzata grazie a Intesa Sanpaolo, Lavazza, Eni, Reda, in particolare la programmazione espositiva e culturale è sostenuta dalla Compagnia di San Paolo.

Paolo Ventura. Carousel

Torino, CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia

17 settembre – 8 dicembre 2020

Mostra a cura di Walter Guadagnini

CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia
Via delle Rosine 18, 10123 – Torino
www.camera.to |camera@camera.to

Contatti
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia
Ufficio stampa e Comunicazione
Via delle Rosine 18, 10123 – Torino

Giulia Gaiato
www.camera.to | camera@camera.to
pressoffice@camera.to
tel. 011 0881151

Ufficio Stampa: Studio ESSECI, Sergio Campagnolo
tel. 049 663 499
gestione3@studioesseci.net
www.studioesseci.net

Image: Behind the Walls#05 (da Behind the Walls), 2011

31
Ago

Olafur Eliasson – Sometimes the river is the bridge

Originally scheduled to begin on March 20, Olafur Eliasson’s exhibition at the Museum of Contemporary Art Tokyo opened on June 19. As neither the artist nor the staff of Studio Olafur Eliasson were able to come to Japan due to Covid-19, the exhibition, which involved the installation of 12 rooms of works including six rooms of new ones, was realized by communicating remotely.

The title of the exhibition, Sometimes the river is the bridge, suggests the possibility of bestowing form and function onto formless things—like invisible rivers that may appear to be bridges with a particular form and function, when viewed from a different, alternative perspective. Inspired by the theme of sustainability, this exhibition takes its point of departure from Eliasson’s interest in the environment, as reflected in how he has voiced his opinions at the United Nations as well as through projects like Little Sun (2012–) and Ice Watch (2014–). It is the result of a two-year dialogue with curator Yuko Hasegawa, partially in relation to the tsunami that occurred in the Tohoku region of Japan in 2011.

Eliasson, who is known for his work with water, fog, light, and other natural phenomena, deploys a unique artistic language that gives form to intangible and richly varied materials. In this exhibition, his specific intention was to shift the focus to the viewer’s ecological awareness: in other words, to imbue the perceptual experience with a different meaning or realization. What is unique here is not just the theme of the exhibition: the sustainability theme is also reflected in how it was produced. Consciousness of the carbon footprint associated with the act of staging the exhibition was manifested in how transportation was minimized by increasing the number of components that were locally produced, the choice of the means of transportation, and the use of renewable energy in the exhibition itself. Works were transported from Berlin to Tokyo not by air, but by train and boat via the Trans-Siberian Railway. 12 new drawings from a series called Memories from the critical zone (Germany–Poland–Russia–China–Japan, nos. 1–12) were automatically executed by a drawing machine as a result of the vibrations during the journey.

In addition, the light sculptures are powered by solar panels, while Sustainability Research Lab showcases the products of materials and designs that the studio has experimented with and developed, sometimes in collaboration with outside experts. The ecological and aesthetic ingenuity of the studio’s waste-based recycling processes are examined from multiple angles, becoming a statement about how the future should not just be waited for, but actively embraced and welcomed. As Eliasson himself says, “for me, all of these works articulate and express the future.”

The highlight of this exhibition is a new large-scale installation in the 20-meter long atrium space, called Sometimes the river is the bridge. A basin of water is placed in the center of the darkened space, while the reflections of twelve lights illuminating the surface of the water create various shadows on the circular screen wall above. The ripples caused by the gentle stirrings of the water surface take on a variety of forms, inviting the viewer to partake in a state of deep contemplation that resonates with these water ripples. This is not just an individual sensory experience, but also a medium for empathy with others who share the same space. Eliasson’s work takes into account the neo-materialist discursive nature of things: through the material structure of his work, he explores ways of creating a space of empathy that is accompanied by thought. In a certain sense, this particular work might be said to have achieved this goal.

In other works, such as photographs that capture the changes in Iceland’s glaciers over a period of 20 years, or documents of an intervention that causes a river to appear within a city, Eliasson deploys methods that promote awareness and knowledge production through form and space by understanding the structures external to our living spaces, such as architecture and landscapes, as elements of nature and climate. These methods are integrated into the theme of sustainability, welcoming many visitors as an exhibition that entails “feeling and thinking.”

Bilingual catalogue in Japanese and English, including photographs documenting new works, with a dialogue between Eliasson and Timothy Morton, a discussion by the Studio staff on sustainability, and an essay by Yuko Hasegawa on “Eliasson: The Artist who Listens to the Future.” (Film Art, Inc.)

Curator: Yuko Hasegawa

Organized by Museum of Contemporary Art Tokyo operated by Tokyo Metropolitan Foundation for History and Culture / The Sankei Shimbun
Supported by Embassy of Iceland, Japan / Royal Danish Embassy
Sponsored by Kvadrat, Bloomberg L.P., JINS HOLDINGS Inc.
Grant from The Scandinavia-Japan Sasakawa Foundation, Obayashi Foundation

Olafur Eliasson
Sometimes the river is the bridge
June 9–September 27, 2020

Museum of Contemporary Art Tokyo (MOT)
4-1-1 Miyoshi, Koto-ku
Tokyo 135-0022
Japan

www.mot-art-museum.jp

Image: View of Olafur Eliasson, Sometimes the river is the bridge, Museum of Contemporary Art Tokyo, 2020. Photo: Kazuo Fukunaga. Courtesy of the artist; neugerriemschneider, Berlin; Tanya Bonakdar Gallery, New York / Los Angeles. © 2020 Olafur Eliasson

source: e-flux

03
Ago

Andrea Galvani – La sottigliezza delle cose elevate

La sottigliezza delle cose elevate is an immersive interdisciplinary project by Andrea Galvani, designed especially for the monumental space of Pavilion 9B at the Mattatoio in Rome.

Constructed in 1888-1891 by the celebrated architect Gioacchino Ersoch, the Mattatoio is considered one of the most important industrial landmarks in Rome. From 2002-2018, it was the second seat of the MACRO Museum of Contemporary Art, first known as MACRO Future and then MACRO Testaccio, with an expansive exhibition space of 6,000 sqm stretching across two pavilions. Today, under the direction of Azienda Speciale Palaexpo, the Mattatoio juxtaposes its iconic historical structure with some of the most ambitious, foreword-thinking and experimental exhibitions in the international contemporary art world.

What happens when magnetic fields migrate? When time loses unity, direction, and objectivity? What would happen if space suddenly folded in on itself, inverting its structure?
The rigorous research of Andrea Galvani (Verona 1973, lives and work in New York and Mexico City) coalesces around history’s biggest questions—investigations nurtured by social, educational, political, ideological, technological, and scientific transformations that continue to change the conditions of our daily lives, inescapably and oftentimes invisibly. La sottigliezza delle cose elevate [The Subtleties of Elevated Things] is an interdisciplinary project conceived as an open laboratory, an experiential environment in constant and continuous evolution. Through a series of architectural installations, actions, and performance specifically developed for Pavilion 9B of the Mattatoio, Galvani focuses our attention on the human need to measure, decipher, and understand the unknown, to give shape and direction to the abstract.

The title of this exhibition is adapted from the grimoire Shams al-Ma’arif wa Lata’if al-‘Awarif (كتاب شمس المعارف ولطائف العوارف), The Book of the Sun of Gnosis and the Subtleties of Elevated Things, written by Ahmad ibn ‘Ali al-Buni (أحمد البوني‎) before his death in 1225 CE. Shams al-Ma’arif is generally understood as the most influential text of its kind in the Arab world, opening with a series of complex magic squares that demonstrate hidden relationships between numbers and geometrical forms. It was written at a time when science, mathematics, and magic were intricately intertwined. For over 10,000 years, humans have looked out on the visible and intelligible world, constructing our intellectual inheritance through observation, calculation, and analyses of phenomena often described with equal parts logic and mysticism. Many of the greatest minds in the history of Western science were part of this legacy: Galileo Galilei and Johannes Kepler were avid astrologists; Isaac Newton and Robert Boyle were alchemists. In his groundbreaking Systema Naturae (first published 1735)Carl Linnaeus devoted a whole chapter to the taxonomic order of mythical creatures, like the hydra and the phoenix. For the great physician Paracelsus, mastering chemical as well as magical cures was crucial to understanding illness and wellness.

La sottigliezza delle cose elevate embodies this visionary, pioneering, transdisciplinary approach to scientific research and processes, while also embracing the emotional, spiritual, and metaphysical environment of the exhibition. In this show, the Mattatoio does not only contain an articulation and extension of scientific and mathematical languages that transform, expand, and illuminate architectural space, but also the physical, intellectual, and psychological effort behind the mathematical calculations that form the architecture of our collective knowledge.

Galvani’s La sottigliezza delle cose elevate [The Subtleties of Elevated Things] is conceived as an open laboratory, an experiential environment in constant and continuous evolution. The exhibition comes to life through a series of intensive on-site interventions and three-month performance that will gradually unfold over the entire duration of the show. Collaborating with the Departments of Physics, Mathematics, Neuroscience, Astrobiology, Molecular Medicine, Biochemical Science, and Electrical Engineering at the Sapienza University of Rome, as well as researchers at CERN and Virgo data analysis group, the artist brings the raw processes of scientific research, computation, and analysis to the center, exposing what is normally invisible to us. La sottigliezza delle cose elevate manifests Galvani’s ongoing commitment to honoring the power of human knowledge while simultaneously emphasizing its limits, circumscribing a perimeter of action that moves forward—able to appear and generate itself from its own impossibility.

La sottigliezza delle cose elevate by Andrea Galvani is the inaugural exhibition in Dispositivi sensibili [Sensitive Devices], a three-year program conceived by Angel Moya Garcia for Pavilion 9B of the Mattatoio, advancing projects by some of the most important international artists engaging performance in their work today.

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