Category: arte

30
Apr

Mimmo Paladino. Ouverture

Un viaggio a ritroso da Brescia a Brixia, attraverso la mediazione e la sensibilità di un grande artista del presente.

I primordi a colloquio con il contemporaneo, in un progetto che “ha l’ambizioso obiettivo di trasformare la città con uno sguardo”, secondo lo slogan che accompagna BRIXIA CONTEMPORARY, il progetto pluriennale messo a punto da Fondazione Brescia Musei e Comune di Brescia.

Massimo Minini, Presidente di Fondazione Brescia Musei, spiega la ratio del grande progetto: “Vorremmo che ogni anno un artista internazionale sia chiamato a svelare un nuovo punto di vista sullo spazio urbano del centro storico bresciano, grazie al dialogo tra le opere selezionate per l’occasione e i luoghi che le accoglieranno. Il risultato che vorremmo ottenere sarà un percorso d’artista, che dal cuore istituzionale della città conduca al Parco Archeologico e al Museo di Santa Giulia. Un viaggio a ritroso da Brescia a Brixia, attraverso la mediazione e la sensibilità di un grande artista del presente”.

L’artista selezionato per il 2017 è Mimmo Paladino.

Una scelta assolutamente non casuale: “Paladino ci è parso perfetto per inaugurare questo ambizioso progetto – dice Luigi Di Corato, direttore di Brescia Musei e curatore della mostra – per la sua capacità di alimentare la storia, trasformando i simboli della cultura figurativa del mediterraneo, dagli archetipi al Novecento”. Paladino è personalmente legato a Brescia. Qui, ben quarant’anni fa, tenne la sua prima personale importante, momento fondamentale per la sua carriera di artista oggi di fama mondiale. Il percorso “firmato Paladino” si espande da Piazza della Vittoria, simbolo ancora discusso ma oramai affrancato della retorica piacentiniana, tra Piazza della Loggia, sede della amministrativa città, e il Duomo Vecchio. Qui Paladino posizionerà ben sei tra i più celebri totem della sua poetica: una riedizione bresciana del Sant’Elmo e lo Scriba, opere che, per dimensioni e per collocazione, connoteranno in modo estremamente plastico la grande geometrica Piazza. Poi il gigantesco Zenith, la scultura equestre in bronzo e alluminio del 1999, alta quasi 5 metri, il grande Anello e, in una superficie liquida, la Stella. A campeggiare sul basamento che fu del contrastato “bigio” di Arturo Dazzi, rimosso dal Consiglio Comunale nel 1946, una imponente figura in marmo nero, realizzata appositamente per l’occasione, che riporta invece alla tradizione della grande avanguardia del Novecento.Continue Reading..

24
Apr

Andrea Chiesi. Parallelo

Dopo La Casa del 2004 e Elogio dell’ombra del 2009, Andrea Chiesi torna nelle sale espositive della OTTO Gallery con la mostra personale Parallelo, a cura di Luca Panaro. La ricerca artistica di Andrea Chiesi è nota per la particolare attenzione a spazi industriali destinati alla riconversione, rappresentati in modo minuzioso attraverso la pittura e in seguito a una serie di incursioni del luogo. Il dipinto è la manifestazione finale della sua ricerca ma un ruolo significativo lo svolge la fase processuale che la precede (realtà, fotografia, disegno).
La mostra, allestita nelle sale della galleria, è concepita come una grande installazione composta prevalentemente di dipinti a olio su lino, disegni a inchiostro e pennarello su carta, pastelli a olio, che alludono però al comportamentismo dell’artista: esplora luoghi abbandonati, strizza l’occhio all’automatismo fotografico, riproduce in velocità per favorire la contemplazione in studio. La realtà si trasforma mediante la pittura che permette a Chiesi di modificare ciò che vede, alterando i micro e macro particolari che ritiene più significativi. Anche la cromia delle sue opere merita una riflessione: il nero e il grigio si mescolano a una serie di gradazioni di azzurro, il dipinto così ottenuto prende le distanze dal bianco e nero di certa fotografia di documentazione architettonica, così come dalla visione a colori tipica del nostro sistema percettivo. In questo modo l’artista instaura un dialogo differente col suo interlocutore, spostando l’attenzione dalla realtà a un piano personale e immaginario.

Il titolo della mostra, Parallelo, si riferisce al dialogo tra le opere esposte, in cui il tempo sembra azzerato per lasciare spazio al confronto tra dipinti e disegni di epoche differenti: la seconda metà degli anni Novanta, i primi Duemila, gli anni Dieci, fino ai lavori nuovi terminati negli ultimi mesi. L’esposizione però non segue questo ordine, quello cronologico, volutamente si è deciso di saltare da un decennio all’altro, trovando in ogni sala della galleria l’occasione per fare convivere opere di periodi diversi ma accomunate da un unico approccio, quello che Chiesi dimostra fin dagli esordi. Le sue visioni giovanili, le vedute di certi luoghi deserti, l’ossessione per i corridoi, ma anche alcune serie dove affronta la figura umana, i disegni erotici, tematiche che appaiono precocemente nella sua ricerca, si affermano nel corso degli anni e si manifestano con forza nei dipinti odierni. Alcuni di questi lavori recenti sono ispirati a fotografie di Roberto Conte, amico dell’artista e compagno di esplorazioni. L’allestimento è pensato per essere a-cronologico ma anche a-temporale, manifesta cioè la necessità di Andrea Chiesi di prescindere dal “qui e ora”, proponendo senza timore luoghi vissuti in passato, da lui fotografati e archiviati, oggi pronti per essere rimessi in circolo attraverso il medium della pittura.

OTTO Gallery
ANDREA CHIESI Parallelo
a cura di Luca Panaro
21 aprile – 20 giugno 2017

OTTO Gallery
via d’Azeglio 55
40123 – Bologna
t. +39 051 6449845
info@otto-gallery.it

24
Apr

Charles Ray. Mountain Lion Attacking a Dog

L’AMERICAN ACADEMY PRESENTA CHARLES RAY: MOUNTAIN LION ATTACKING A DOG

Charles Ray tra i più importanti artisti internazionali sarà per la prima volta a Roma con una mostra e due conferenze. I momenti di confronto sono previsti per il 17 e il 18 maggio. Charles Ray presenterà un’opera inedita, frutto di una riflessione approfondita sulla scultura classica pensata appositamente per la sua mostra a Roma.

L’inaugurazione della mostra sarà il 18 maggio alle ore 18.30.

L’American Academy in Rome presenta un importante appuntamento che riconferma il ruolo dell’Accademia come vivace laboratorio promotore di nuove idee e luogo di ricerca che unisce alla riflessione sui classici la sperimentazione sui linguaggi contemporanei, unendo le discipline artistiche ed umanistiche.
Va in questa direzione il nuovo progetto che inaugurerà con due momenti di incontro e approfondimento ed una mostra, il 17 e il 18 maggio 2017, per concludersi il 2 luglio 2017.
Protagonista, e per la prima volta a Roma, Charles Ray, tra i più importanti artisti americani ed internazionali, che presenta all’American Academy in Rome un’opera inedita trovando un contesto ideale all’interno del ciclo di incontri American Classics che ha accompagnato il pubblico dell’istituzione per tutto l’anno 2016/2017 raccontando sotto una veste nuova i “classici americani”.

Il progetto si intitola Mountain Lion Attacking a Dog. L’opening si svolgerà in due tempi: il 17 maggio alle 18 infatti, Villa Aurelia ospiterà una conferenza dell’artista nella quale Ray discuterà il suo approccio alla scultura, così influenzato dall’arte del passato. Intitolata Contemporary Sculpture from the Past, permetterà al pubblico di dialogare con l’artista.

Seguirà il 18 maggio alle 18 l’incontro con l’artista intitolato The Work of Charles Ray e l’inaugurazione della mostra a cura di Peter Benson Miller, direttore artistico dell’American Academy in Rome (sarà presente Charles Ray).

La mostra di Charles Ray vuole mettere in evidenza l’apparato mitologico americano, in un confronto costante e fruttuoso con quello Europeo, nello spirito che appartiene al libro di Mark Twain The Innocents Abroad (1869), nel quale il mito americano della costruzione del sé viene messo al confronto diretto con l’Europa. L’artista si interroga sul valore dell’antichità nel mondo contemporaneo: in entrambe le opere che saranno esposte, Mountain Lion Attacking a Dog (2017), che dà il titolo alla mostra, e Shoe Tie (2012), infatti, Ray gioca con le convenzioni che definiscono i canoni della scultura classica. Nel primo lavoro, ad esempio, ha rivisitato la scultura del gruppo Leone attacca un cavallo (Grecia 325- 300, restaurato a Roma nel 1594) di matrice ellenistica, oggi conservato ai Musei Capitolini, convertendo la scena naturalistica di primaria violenza, uno dei lavori più narrativi dell’antichità, in un’opera americana moderna e vernacolare. Nelle mani di Ray, il gruppo animale dei Capitolini, una icona romana molto ammirata da Michelangelo Buonarroti, diventa l’effige dello scontro tra sviluppo urbano e immobiliare e natura selvaggia americana.

Con la mostra e il programma di incontri il ciclo, ideato dall’American Academy in Rome e intitolato American Classics ha il suo culmine. Si tratta di una serie di appuntamenti che riconsiderano idee, testi, canzoni e immagini, i “classici” che definiscono ciò che dà senso alla parola “Americano”. In un immaginario sempre più internazionale che sta modificando i suoi centri del potere, le allegorie che per lungo tempo sono state identificate alla base dell’identità americana sono qui messe al centro di una nuova indagine, mettendo in discussione le verità culturali che gli americani ritenevano un tempo acquisite.
Traendo ispirazione dalla sede dell’American Academy in Rome, questa serie ha l’obiettivo di comprendere l’americanità nel XXI secolo indagando la relazione tra gli ideali americani e il mondo antico, tra l’individualismo del XXI secolo e le immagini e l’architettura dell’impero. Esplora anche i modi in cui i tratti distintivi dell’identità americana evolvono una volta sradicati dagli Stati Uniti e messi a confronto con altre culture.Continue Reading..

18
Apr

Stefano Cerio. Night Games

Cosa succede in un parco dei divertimenti quando si spengono le luci? Cosa succede di notte nei parchi per bambini? Una quiete desolata pervade lo spazio in cui, quando brilla il sole, i bambini giocano e gli adulti si rilassano.

Alcune risposte a questi interrogativi – sicuramente suggestive testimonianze – saranno proposte dalle fotografie di Stefano Cerio nella mostra Night Games,

che aprirà al pubblico il 5 maggio presso la Galleria del Cembalo a Roma

Con la serie Night Games Stefano Cerio prosegue la sua ricerca, apparentemente oggettiva, sui luoghi, sulle macchine del consumo del divertimento di massa, avviata con lavori Aqua Park (2010) e sviluppatasi negli anni successivi con Night Ski (2012) e Chinese Fun (2015).

Al riguardo scrive Gabriel Bauret nel testo introduttivo del volume, edito da Hatie Cantz, che accompagna la mostra: “Oggettività non significa, però, che il fotografo si rinchiuda in un protocollo documentario. Stefano Cerio non realizza un inventario dei parchi divertimento e nemmeno cerca di declinare le fotografare al servizio di certe tematiche. Night Games riunisce luoghi e spazi differenti, come sono differenti i mondi a cui fanno riferimento gli scenari dei parchi: cinematografico, urbano, militare… Tutte le fasce di età sono in qualche modo coinvolte nella varietà dei parchi ai quali si interessa Cerio; compresa l’infanzia, perché Cerio fotografa anche nei giardini pubblici con giostre e scivoli, nel cuore di città come Parigi. La composizione dell’immagine è di grande sobrietà. Il soggetto è spesso posto al centro e l’angolatura è rigorosa, in genere frontale. In compenso, ai margini è sempre presente qualche punto di riferimento che dà un’indicazione di scala. La gigantesca giostra di Coney Island a forma di fiore e il piccolo cavallo a molla del giardino pubblico parigino differiscono per dimensioni, ma non per il modo, identico, in cui sono trattate, un modo che rappresenta l’elemento unificatore dell’opera.”

Ancora dal testo di Gabriel Bauret: “Artificio contro autenticità. Il progetto di Stefano Cerio potrebbe inscriversi all’interno di questa dialettica, poiché le sue immagini esprimono l’artificialità che invade il nostro mondo moderno. Potrebbe anche essere interpretato come una riflessione sul destino dell’America, soprattutto nel caso di Night Games e degli scenari del parco Mirabilandia a Ravenna, che rappresentano il crollo dei monumenti simbolici di Manhattan e danno l’immagine di un paesaggio urbano in preda alla decadenza. Ma a guidare il fotografo sembra più un approccio legato al vuoto, all’assenza di presenza umana, al silenzio che invade i luoghi quando cala la sera. Un’atmosfera già ravvisabile nella serie Night Ski, in cui compare la stessa proposta visiva: un nero estremamente denso è distribuito in modo uniforme nell’immagine e in questa oscurità emerge, o meglio appare improvvisamente, un oggetto o uno scenario illuminati dal potente bagliore di un fash che attraversa il buio della notte. L’equilibrio della composizione risiede così nella qualità di questa luce che l’operatore punta sul suo soggetto lasciando, tuttavia, sempre una parte in ombra.”

Angela Madesini, contestualizzando il lavoro di Cerio (sempre dal volume di Hatie Canz): “Alla fine degli anni Settanta Luigi Ghirri aveva dato vita a In scala (1977-78), scattando a Rimini presso l’Italia in Miniatura, un parco di divertimento. Ma l’effetto è completamente diverso rispetto a quello di Cerio. Se per Ghirri la tensione è nei confronti di una ricerca sullo spazio tra realtà e finzione, nel lavoro di Cerio il tentativo, riuscito, è quello di ritrarre delle situazioni, edifici, animali fantastici, personaggi, la Statua della Libertà caduta al suolo. La sua è una dimensione scenica che mi piace equiparare ai Dioramas di Hiroshi Sugimoto o a La nona ora (1999) di Maurizio Cattelan, in cui il papa è schiacciato da un meteorite. È una dimensione strettamente legata al nostro tempo, come per l’americano Gregory Crewdson. Tra i lavori dei due artisti ci sono delle vicinanze: le stesse atmosfere, un simile afflato poetico.”Continue Reading..

11
Apr

FRANÇOIS MORELLET. Mappe visive

La galleria A arte Invernizzi inaugura martedì 23 maggio 2017 alle ore 18.30 una mostra personale di François Morellet, protagonista dell’arte internazionale sin dagli anni Cinquanta. La collaborazione con l’artista francese, iniziata nel 1994 con l’esposizione Dadamaino Morellet Uecker tenutasi in occasione dell’apertura della galleria, ha portato negli anni alla realizzazione di numerose mostre personali sia in Italia che all’estero e, a un anno dalla scomparsa del maestro, questa esposizione desidera mettere in luce il suo peculiare e personalissimo approccio al “fare arte”, ripercorrendo l’ultimo decennio della sua ricerca.

Nella prima sala del piano superiore sono esposte le ultime opere realizzate nel 2016, appartenenti al ciclo “3D concertant”, in cui le direttrici nere, tratteggiate seguendo diverse gradazioni angolari, pervadono lo spazio bianco della tela e guidano l’occhio verso l’illusione ottica della terza dimensione. La combinazione tra rigore sistematico e incessante curiosità per la sperimentazione, che è una costante nella ricerca di Morellet, è evidente anche nella serie “Desarcticulation” (2012), visibile nella stessa sala, in cui le superfici e il semicerchio dipinto si accostano e si sovrappongono su due differenti tele accostate, celando il reale con la geometria ed aprendo la via a molteplici percorsi visivi. Attraverso la combinazione di dissimili soluzioni linguistiche, di cui i titoli sono parte fondamentale, François Morellet crea un senso di continuo spaesamento che genera visioni ambivalenti, come nel caso di Lunatique neonly 4 quarts n.11 (2002). Qui i tubi al neon, la cui forma suggerisce quattro segmenti del medesimo cerchio, si adagiano intersecandosi sulla tela, anch’essa circolare, fino a sconfinarne in un ironico gioco di rimandi visivi e illusione percettiva.

Al piano inferiore della galleria si trovano i lavori del ciclo “π piquant neonly” (2005-2007) in cui i neon si svincolano dal limite imposto dal perimetro delimitato dalla tela e si definiscono liberamente nello spazio. La luce bianca e azzurra diviene, in questi lavori, elemento costitutivo. Le rette si susseguono in un andamento spezzato eppure continuo acquisendo una valenza costruttiva, anche a livello formale, che si traduce nella possibilità di una percezione consapevole, seppur pervasa da un persistente senso di ambiguità.

In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo bilingue contenente la riproduzione delle opere in mostra, un saggio di Massimo Donà, una poesia di Carlo Invernizzi e un aggiornato apparato bio- bibliografico.

A Arte Studio Invernizzi
via D. Scarlatti, 12 Milano
lun-ven 10-13 e 15-19, sab su appuntamento
ingresso libero

FRANÇOIS MORELLET
INAUGURAZIONE MARTEDÌ 23 MAGGIO 2017 ORE 18.30
CATALOGO CON SAGGIO DI: MASSIMO DONÀ
PERIODO ESPOSITIVO: 23 MAGGIO – 12 LUGLIO 2017
ORARI: DA LUNEDÌ A VENERDÌ 10-13 15-19, SABATO SU APPUNTAMENTO

François Morellet_Desarcticulation n°1, 2012 1/3_Olio su acrilico su tela su legno, 138x162x37 cm© A arte Invernizzi, Milano

10
Apr

Third Identity – Al Dahkel

The majority of native Palestinians were dispersed, uprooted or exiled after the Nakba of 1948; as a result, their common history was fragmented between Al Dakhel Palestinians and the diaspora. Those who stayed–or could return home – came of age in a system where their culture and immediate past were erased. Their cultural education was further unique in the region, as it reflected the influences from western and eastern Europe of the newly emigrated people. This slowly changed after the 1970s, when the second generation started to claim their roots post-Nakba and question their unequal status in society. In parallel, artists such as Abed Abdi and Asad Azi, were working on the reconstruction of a local Palestinian collective memory. Therefore, the identity of Al Dakhel artists is suspended between citizenship, Israeli education, occidental influences, belonging to Palestinian culture and a strong attachment to their land.

Questions related to displacement, belonging, native culture and fragmentation recur in the work of Al Dakhel artists. By addressing these personal and highly specific questions within the context of a complex society, the artists touch upon more universal questions: who are we, and how does identity evolve when challenged?

THIRD IDENTITY explores the artistic (re)construction of the Al Dakhel identity and its evolution through three generations of artists. It is conceived as a journey through time that outlines common themes and concerns such as memory, post colonialism, hybridity, minority, and both the absence and cross-fertilization of cultures. It shows the richness and the diversity that flourished despite the traumas and “schizophrenic” living conditions, as one artist put it. This exhibition aims to shine a light on this group and give it its rightful place within the regional Arab culture.

Artists Bio
Six emerging and established artists of Al Dakhel, meaning Palestinians of the Interior. Al Dakhel sub-groups include Muslim Arabs, Christian Arabs and Druze, all whose roots are traced to historic Palestine and who live today on / close to their land, as both Palestinians and citizens of Israel. It is the first time that Al Dakhel artists will be shown in the Arab World.
Rula Alami is a Palestinian-Lebanese art collector and curator, based in Beirut and involved with the Palestinian Museum in Birzeit. She invited Valerie Reinhold, an art curator and advisor based in Amsterdam, to tell the story of these artists.

Contemporary Art Platform Kuwait
Industrial Shuwaikh, Block 2, Street 28
Life Center (same building as Eureka), Mezzanine
T: +965 2492 5636

Third Identity – Al Dahkel
08/03/2017 – 22/04/2017
Contemporary Art Platform / Main Exhibition

Third Identity is available in CAP till the 20th of May

gallery report by amaliadilanno

10
Apr

Santiago Sierra. Mea Culpa

Il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano presenta MEA CULPA, la prima grande antologica in Italia dedicata all’artista concettuale Santiago Sierra. Nato nel 1966 a Madrid, da quasi trent’anni il suo lavoro si muove sul terreno impervio della critica alle condizioni sociopolitiche della contemporaneità. Messaggero della cupa verità del nostro tempo, Sierra è spesso stigmatizzato per le sue performance intense ed ambigue. Eppure il loro linguaggio visivo, il simbolismo complesso ed energico, il loro essere calate nella realtà delle persone conferisce loro un raro impatto emozionale. Sierra ha esposto in prestigiosi musei ed istituzioni nel mondo e nel 2003 ha rappresentato la Spagna alla 50a Biennale di Venezia. La mostra al PAC riunisce per la prima volta le opere politiche più iconiche e rappresentative dell’artista, dagli anni Novanta a oggi, e la documentazione di sue numerose performance realizzate in tutto il mondo, insieme a nuove produzioni e riattivazioni di installazioni e azioni passate. Con la mostra di Santiago Sierra il PAC attiva la prima delle quattro linee di racconto sulle quali si muove il suo palinsesto annuale, proponendo in occasione di miart mostre di artisti conosciuti e affermati nel panorama artistico internazionale.

Promossa dal Comune di Milano – Cultura e prodotta dal PAC con Silvana Editoriale, la mostra apre il calendario di appuntamenti dell’Art Week, la settimana milanese dedicata all’arte contemporanea.

Santiago Sierra. Mea culpa
29 Marzo 2017 – 04 Giugno 2017
a cura di Diego Sileo e Lutz Henke
Pac Padiglione d’Arte  Contemporanea
Via Palestro, 14
20122 Milano
+39 02 8844 6359

 

10
Apr

Ettore Frani. Ricucire il cielo

La Nuova Galleria Morone presenta la prima personale milanese di Ettore Frani, artista tra le ultime generazioni già molto apprezzato, dal titolo Ricucire il cielo.

L’esposizione, realizzata appositamente per gli spazi della galleria, è composta dall’ultimo ciclo di opere attraverso le quali l’artista, come sempre nella sua ricerca pittorica, indaga il volto e il mistero della Natura, con la quale l’uomo è da sempre in comunione. Come dice lo stesso Frani, è proprio in essa che l’uomo vede riflessa la propria componente materiale e spirituale e, meglio di ogni altra cosa, può restituirci il senso del nostro essere al mondo.

In questa personale, Frani approfondisce la direzione pittorica del suo linguaggio, lavorando su alcuni elementi fondamentali che d sempre lo accompagnano: l’uomo in relazione e conflitto tra natura e spirito, la pittura come velatura, rivelazione e attesa dell’immagine, l’intento estetico come messaggio etico. E’ dal contingente, dal mondo più concreto, ci suggerisce l’artista, che passa ciò che è più sottile e spirituale.

Durante il corso della mostra verrà pubblicato e presentato un catalogo con testi di Ilaria Bignotti e Silvano Petrosino.

Tutti i dipinti che compongono Ricucire il cielo sono interconnessi e rivelano corrispondenze nascoste dove uomo e natura, terra e cielo, micro e macrocosmo creano una sorta di respiro, una danza che vibra tra luce e gravità, dove il movimento ascendente e discendente diviene atto simultaneo. Il cielo stesso, che si fa metafora del nostro cielo interiore, appare come ferito e bisognoso di cura e dedizione. Il gesto del cucire, o meglio, del ri-cucire, vuole sottolineare da un lato un azione anche umile, quotidiana, di lavoro sofferto, dall’altro un atto impossibile che si compie su un taglio perenne, ma forse, proprio per questo, quantomai necessario.

Ettore Frani Termoli (CB) 1978. Vive e lavora a Lido di Ostia. Si diploma in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Urbino nel 2002 e si specializza all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 2007. Nel 2010 vince il Premio Arti visive San Fedele “Il segreto dello sguardo”Castelli in occasione di Limen, ed è finalista al LXI Premio Michetti. Nel 2011 esce la sua prima monografia, edita da Vanilla edizioni, con testi di Massimo Recalcati e Stefano personale presso la Galleria L’Ariete di Bologna. Nello stesso anno è l’Evento Speciale del Padiglione Italia ‘Lo Stato dell’Arte|Padiglione Accademie’ alla 54^ Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, selezionato da Vittorio Sgarbi per invitato a Giorni Felici a Casa Testori 2011 e vince la 1^ edizione del Premio Ciaccio Broker per la Giovane Pittura Italiana. Nel 2012 invitato al MAR di Ravenna per l’evento Critica in Arte, a cura di Matteo Galbiati, e vince il Premio Opera CGIL-Le vie dell’acqua. Nel 2013 realizza la personale Attrazione Celeste, a cura di Umberto Palestini, esposta a Casa Raffaello/Bottega Giovanni Santi in Urbino e al Museo L’Arca-Lab di Teramo ed è invitato ad esporre nel Secondo Fienile del Campiaro a Grizzana Morandi per la mostra Un’Etica per la Natura curata da Eleonora Frattarolo. Nel 2014 è al Museo Nazionale di Ravenna con la personale Respiri a cura di Antonella Ranaldi. Nel 2015 prende parte al progetto internazionale Macrocosmi Ordnungen anderer Art Berlin<>Bologna, a cura di Martina Cavallarin e Pascual Jordan, e realizza la personale Composizioni. Ettore Frani e Lorenzo Cardi, a cura di Eli Sassoli de’Bianchi, presso il Complesso Monumentale di Santa Maria della Vita a Bologna. Nello stesso anno è finalista al 16° Premio Cairo.

Ettore Frani. Ricucire il cielo
NUOVA GALLERIA MORONE
Via Nerino 3, Milano
6 aprile | 1 giugno 2017 6 aprile 2017, ore 18
lun. – ven. ore 11 – 19 | sab. 15 -19
(la galleria dal mese di maggio resterà chiusa il sabato)
Tel 02 72001994 | Fax 02 72002163 |
info@nuovagalleriamorone.com

09
Apr

Tadashi Kawamata. The Shower

Valorizzare il patrimonio culturale sperimentando nuove vie per il rinnovamento dell’antica sapienza artigianale attraverso la visione di artisti e designer: è questa la mission di Fondazione Made in Cloister che quest’anno vede impegnato, nella creazione di una grande istallazione site-specific dal titolo “The Shower”, l’artista giapponese Tadashi Kawamata. L’opera di Kawamata, realizzata con l’intervento degli artigiani e coinvolgendo i ragazzi  del quartiere  di Porta Capuana, con la supervisione del curatore del progetto Demetrio Paparoni, sarà inaugurata  sabato 13 maggio 2017 alle ore 19,00.

Il progetto
Tadashi Kawamata – Made in Cloister è un’installazione site-specific curata dal critico Demetrio Paparoni. L’opera, che occuperà sia l’interno del chiostro che la facciata dell’attigua Chiesa rinascimentale di S. Caterina a Formiello, sarà realizzata dall’artista giapponese durante una permanenza a Napoli di due settimane. Su invito della Fondazione Made in Cloister, l’artista ha visitato Napoli e l’area di Porta Capuana nel Settembre del 2016, esplorandola con l’occhio del ricercatore e dello studioso.  In seguito a tale indagine Kawamata ha elaborato il suo intervento che sarà definito nei particolari durante la sua nuova permanenza a Napoli, prevista a partire dal 25 aprile 2017. Come spesso accade nelle sue opere, i materiali utilizzati saranno riciclati e scelti in quanto espressione dell’economia locale sia nella ricerca dei materiali che nella costruzione delle strutture in legno da lui disegnate: in questo caso cassette di legno comunemente usate nei mercati  di frutta e verdura. L’artista coinvolgerà  nella  realizzazione  artigiani e I ragazzi del quartiere di Porta Capuana, attraverso l’associazione Officine Gomitoli, per una grande opera collettiva. Il quartiere  diventa protagonista sia per l’estensione dell’opera e sia per le modalità collaborative e partecipative dell’ esecuzione artistica.

L’Ambasciata del Giappone in Italia, ha incluso l’evento nelle celebrazioni ufficiali del 150° anniversario delle relazioni tra il Giappone e l’Italia.

L’artista
“Visitare i luoghi, conoscerne gli abitanti, le loro abitudini e la loro economia è il primo passo dei miei progetti.”Tadashi Kawamata
“L’entusiasmo con cui Tadashi ha accettato di realizzare questo suo intervento nell’area di Porta Capuana  – dice Davide de Blasio, responsabile del programma artistico di Made in Cloister – è per noi un segno importante che rafforza la nostra convinzione che l’arte e la creatività possono dare una forte spinta al processo di rigenerazione e sviluppo sostenibile per le aree urbane segnate dal degrado”. Dopo il suo intervento del 2013 a Palazzo Strozzi, Tadashi Kawamata – Made in Cloister è la prima installazione che l’artista realizza in Italia utilizzando una struttura al tempo stesso pubblica e privata.Continue Reading..

09
Apr

Alfredo Pirri. I pesci non portano fucili

Martedì 11 aprile 2017 inaugura al MACRO Testaccio la prima antologica dedicata ad Alfredo Pirri, i pesci non portano fucili, curata da Benedetta Carpi De Resmini e Ludovico Pratesi.
La mostra, che resterà aperta fino al 4 giugno 2017, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, e organizzata in collaborazione con le gallerie Tucci Russo Studio per l’Arte Contemporanea ed Eduardo Secci Contemporary.

Quella del Macro Testaccio rappresenta la tappa conclusiva del progetto I pesci non portano fucili, un viaggio all’interno dell’opera, del pensiero e della ricerca dell’artista che è iniziato nel novembre 2016 con la prima mostra RWD / FWD, allestita presso lo Studio/Archivio dell’artista. Il titolo del progetto è stato scelto dallo stesso Pirri in omaggio all’opera The Divine Invasion di Philip K. Dick (1981), in cui l’autore immagina una società disarmata e fluida come il mare aperto dentro il quale immergersi e riemergere dando forma ad avvenimenti multiformi. Tutto il progetto viene proposto come un nuovo possibile modello di rete culturale, fortemente sostenuto da Pirri, in cui ogni istituzione coinvolta è autonoma ma in costante dialogo con le altre. L’esposizione riunisce 50 opere tra le più importanti e significative realizzate dall’artista nel corso della sua carriera dagli anni ‘80 ad oggi, sottolineando l’alternarsi ritmico di fluidità e fissità, dove i repentini mutamenti di tecnica diventano allegoria di un tempo mentale, scandito dagli elementi che da sempre contraddistinguono la ricerca dell’artista: lo spazio, il colore e la luce. “Questa mostra, come afferma il curatore Ludovico Pratesi, permette una lettura completa e ragionata della complessità della ricerca di Alfredo Pirri, attraverso un itinerario espositivo strutturato come un’opera in sé. Lo spazio del Macro Testaccio viene interpretato dall’artista in maniera da sottolineare le componenti fondamentali del suo pensiero, per invitare il visitatore a condividere un’esperienza immersiva giocata sull’armonia tra spazio, luce e colore”.

La mostra si snoda attraverso un percorso articolato in cui il tema della città, intesa non solo come agglomerato urbano ma come spazio aperto, luogo di condivisione e di incontro, è declinato in varie sfaccettature, attraverso una profonda rielaborazione dello spazio architettonico stesso e qui diviso in due sezioni principali. Apre la mostra l’opera che l’artista ha realizzato nei mesi di ricerca all’interno del laboratorio allestito alla Nomas Foundation: Quello che avanza (2017), prosecuzione dello studio sulla luce e il colore che da sempre caratterizza la sua poetica. Costituito da 144 stampe, il lavoro è frutto di una ricerca sulla tecnica della cianotipia, che consente di realizzare immagini fotografiche off-camera di grandi dimensioni, caratterizzate da intense variazioni di blu. Di queste stampe, 130 testimoniano le fasi di lavorazione di un’opera e i residui da essa prodotti, mentre 14 sono il risultato di una procedura unica, che vede l’uso di piume appoggiate direttamente a impressionare i fogli preparati con sostanze chimiche ed esposti ai raggi UV.

Tra le altre opere scelte, Gas (1990), lavoro che combina elementi concettuali e minimalisti, capace già nel titolo, di evocare una materia invisibile che attraversa e riempie lo spazio circostante; le Squadre plastiche (1987-88), con la loro immobilità di testimoni mute e contemporaneamente la loro pittura che si riverbera sulla parete come energia viva; Verso N (2003), installazione in cui i frammenti costruiscono un orizzonte immaginario, un paesaggio spirituale attraversato da fasci di luce che si irradiano nello spazio riflettendo i colori della pittura; La stanza di Penna (1999), costituita da copertine di libro disposte in modo da creare uno skyline urbano, paesaggio bagnato da una luce diffusa che ricorda i colori del tramonto. A fare da raccordo tra le due sezioni l’opera Passi, che assume la valenza di una soglia. Si tratta di un’installazione site specific costituita da pavimenti di specchi che si frantumano sotto i passi dell’artista e dell’osservatore, creando narrazioni deformate che promuovono un dialogo dialettico con lo spazio circostante, la sua natura e la sua storia.

Come spiega la curatrice Benedetta Carpi de Resmini: “Alfredo Pirri ha sperimentato negli anni molteplici linguaggi espressivi spaziando dalla pittura alla scultura, dal video alla performance, ma è soprattutto la sua concezione del rapporto spazio – temporale, mediato dal lavoro che genera l’opera, che si presenta allo spettatore come una palingenesi: una nuova visione della realtà e della città. Lo spazio architettonico si trasforma così in supporto-tela su cui Pirri “dipinge” vuoti e pieni, luci e ombre, in una meditata metamorfosi che ne esalta i valori cromatici, concettuali e simbolici”Continue Reading..