Category: arte

16
Mag

Paolo Grassino | La sostenibile visibilità dell’assenza

Anna Marra Contemporanea è lieta di presentare La sostenibile visibilità dell’assenza, mostra personale di Paolo Grassino, curata da Lorenzo Respi, che inaugura giovedì 18 maggio 2017.

Le sculture in mostra, dalle serie Nodi (2015), C.C.R. Roma (2017) e Fiato (2017), insieme con le carte della serie Eclisse (2017), raccontano l’invisibile, sia fisico sia psichico, e traducono in forme tangibili il concetto di assenza, nel tentativo, forse impossibile, di trasformare in immagine l’in-immaginabile che di fatto può esistere solo nel pensiero, nel ricordo o nell’immaginazione di ciascuno di noi. È la visibilità dell’assenza. La società contemporanea è così complessa, in perenne sommovimento, da mettere in discussione la certezza dell’esperienza sensibile e quei portati della realtà che spesso ci sfuggono di mano senza nemmeno rendercene conto. Il mondo sotto i nostri occhi è conflittuale, frammentato e individualista, confonde le idee e lascia disorientati, e nel paradosso della sua moderna globalizzazione tende a escludere ed emarginare, invece che includere e integrare. L’individuo viene anestetizzato poco alla volta, le sue azioni e i suoi pensieri vengono inibiti, la volontà annichilita. Il torpore dello stordimento rende fragile la condizione umana e accresce il senso di solitudine interiore.

Paolo Grassino reagisce a questa esistenza insostenibile realizzando un atto unico creativo, una messa in scena umanista, nella quale ribalta completamente i termini della riflessione: l’oggetto di indagine non è ciò che c’è o si vede, ma ciò che non c’è più o non è mai stato, e non si vede. Negli spazi della galleria Paolo Grassino ricostruisce un fermo immagine della realtà attuale, un ecosistema emotivo e intimo, sospeso e fuori dal tempo, dove lo spettatore ritorna in possesso della propria temporalità per riflettere sulla condizione dell’essere umano e sui condizionamenti della società di oggi. Paolo Grassino è cosciente dell’ineluttabilità del destino e dell’imperscrutabilità dell’ignoto, ma crede anche nell’unicità della vita e nell’affermazione del principio di esistenza di questa assenza corporea con tutti i suoi risvolti psichici e sociali. La realtà è una e soltanto una, ne fanno parte in armonia la specie umana e gli animali, gli oggetti e le architetture, lo spazio e il tempo: questo sostiene Paolo Grassino nel progetto espositivo pensato per la galleria.

Paolo Grassino | La sostenibile visibilità dell’assenza
a cura di Lorenzo Respi
18 maggio – 30 giugno 2017

ANNA MARRA CONTEMPORANEA
Via Sant’Angelo in Pescheria, 32 – 00186 Roma
info@annamarracontemporanea.it
+39 06 97612389

*english below

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16
Mag

Sacha Turchi e Leonardo Aquilino. In vitro

L’esperienza biologica che si svolge in laboratorio, al di fuori dell’organismo vivente.

Come la ricerca in laboratorio che viene inevitabilmente indirizzata per rispondere a quesiti specifici, Leonardo Aquilino e Sacha Turchi creano un percorso di mostra che pur camminando su una stessa linea viene direzionato in ambiti e ricerche differenti.

La galleria si divide in due, nella prima sala Leonardo Aquilino presenta una serie d’immagini realizzate al microscopio digitale per diventare matrici utilizzate per mezzo di un ingranditore analogico. Osservando da vicino, il lavoro di Aquilino racconta il micro per parlarci del macro. Le ali della libellula sono il soggetto focalizzato, tramite il quale si racconta la struttura fatta di congiunzioni ripetute. L’artista si avvicina progressivamente, mettendo in risalto i filamenti delle ali come fossero capillari che emergono dall’epidermide. Illude il fruitore tramite un ingranditore fotografico, come adoperando un potente microscopio. Egli rielabora il concetto di fotografia, resa estremamente leggera ed impalpabile, ma allo stesso tempo dal carattere distintivo, messo in risalto con luce dorata e segni decisi.

La seconda sala vede protagonista Sacha Turchi, da sempre legata alla ricerca, al laboratorio, al corpo. L’artista presenta parte degli studi in cui è immersa da mesi, riguardanti il suo concetto di pelle considerata ugualmente involucro, un contenitore del corpo, e simultaneamente un confine, una barriera di protezione tra il dentro e il fuori. Esposta per la prima volta è MOVEO, una grande vertebra che diviene contenitore dell’essere umano, le cui componenti sono sostanze realmente costituenti il tessuto osseo, tra cui carbonato di calcio, acido lattico, acido ialuronico e collagene. Ad accompagnare la grande scultura sono presenti alcune pelli di soia cresciute ed elaborate in vitro e una coltura di pelle batterica in attivo. Per l’artista si tratta di strati che cambiano e si ricreano, mutando in qualcosa di sempre nuovo.

I due artisti si esprimono con linguaggi differenti ma, nel contesto di IN VITRO, convogliano in una ricerca che ruota attorno all’individuo, ricreando negli spazi di Matèria una sorta di laboratorio ante litteram che narra il loro punto di vista.Continue Reading..

15
Mag

Philip Guston and The Poets

Evento Collaterale della 57. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia

Dal 10 maggio 2017, le Gallerie dell’Accademia di Venezia presentano il lavoro del grande artista americano Philip Guston (1913-1980) grazie a un’importante mostra che ne indagherà l’opera attraverso un’interpretazione critico- letteraria.

Intitolata “Philip Guston and The Poets”, la mostra propone una riflessione sulle modalità con cui l’artista entrava in relazione con le fonti di ispirazione, prendendo in esame cinque poeti fondamentali del XX secolo, che fecero da catalizzatori per gli enigmatici dipinti e visioni di Guston. Cinquant’anni della carriera artistica di Guston vengono ripercorsi esponendo 50 dipinti considerati tra i suoi capolavori e 25 fondamentali disegni che datano dal 1930 fino al 1980, ultimo anno di vita dell’artista. Si tracciano quindi paralleli tra i temi umanistici, riflessi in queste opere e il linguaggio di cinque poeti: D.H Lawrence (Gran Bretagna, 1885 – 1930), W.B. Yeats (Irlanda, 1865 – 1939), Wallace Stevens (Stati Uniti, 1879 – 1955), Eugenio Montale (Italia, 1896 – 1981) e T.S Eliot (Gran Bretagna, americano di nascita, 1888 – 1965).

La mostra “Philip Guston and The Poets”, aperta sino al 3 settembre, è curata da Kosme de Barañano ed è organizzata dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia in collaborazione con l’Estate of Philip Guston. Gli allestimenti della mostra sono curati dallo studio Grisdainese di Padova.

La mostra è una “prima” di Philip Guston nella città che ha esercitato una profonda influenza sulla sua opera ed è al tempo stesso un omaggio alla relazione dell’artista con l’Italia. Sin da giovane, nel realizzare murales guardava agli affreschi rinascimentali come ispirazione e di fatto questo suo amore per la pittura italiana rimase come Leitmotiv di tutta la sua carriera.

In una lettera del 1975 indirizzata all’amico Bill Berkson, importante poeta, critico e docente, Guston affermava: “Sono più che mai immerso nella pittura del Quattrocento e del Cinquecento! E quando vado verso nord, a Venezia, davanti a Tiepolo, Tintoretto e alle cosiddette opere manieriste di Pontormo e Parmigianino perdo la testa e tradisco i miei primi amori.”

Paola Marini, direttrice delle Gallerie dell’Accademia afferma: “Siamo felici di presentare la prima mostra a Venezia su Philip Guston. ll ritorno dell’artista nella nostra città è particolarmente pertinente, visto che proprio qui si immerse in una storia e in un patrimonio importanti per il suo successivo sviluppo artistico. Dai suoi stessi scritti del periodo italiano sappiamo che i dipinti che ammirò nelle sale dell’Accademia hanno esercitato un’enorme influenza sulla sua visione artistica. Contestualizzare l’opera di Guston, incoraggiarne gli studi e una nuova interpretazione è per noi un vero piacere”.

Musa Mayer, figlia dell’artista e Presidente della Fondazione Philip Guston, ricorda: “In occasione dell’esposizione di Guston al Padiglione degli Stati Uniti alla Biennale di Venezia del 1960, mio padre portò mia madre e me in Italia prima della mia partenza per il college. Venezia e le Gallerie dell’Accademia furono la nostra primissima tappa. Più di mezzo secolo dopo, ho ancora forte il ricordo del suo amore per i grandi capolavori dell’arte italiana. Mio padre sarebbe profondamente commosso e onorato per questa meravigliosa opportunità di esporre i suoi lavori nella galleria di pittura che egli tanto amava”.

“L’amore di Guston per l’Italia aggiunge alla sua pittura una complessa e ricca profondità di tessitura” ha scritto il curatore Kosme de Barañano. “Ora, quando guardiamo la sua arte attraverso gli occhi e la prosa dei letterati che gli erano affini – attorno ad alcuni dei quali gravitò molto e dai quali attinse nel corso della sua vita, altri invece che lesse saltuariamente – possiamo studiare come le loro parole condividano affinità con la complessità degli ultimi lavori di Guston”.

La mostra
“Philip Guston and The Poets” è organizzata per nuclei tematici di opere messe in relazione con una selezione di scritti e di poesie dei cinque poeti. Iniziando da D.H. Lawrence, con il suo saggio del 1929 “Making Pictures”, la pittura di Guston sarà presentata da un’esplorazione del suo mondo di immagini, che si muove dalla riflessione sull’atto creativo a quello sulle possibilità contenute nella pittura. Con opere che appartengono sia al suo lavoro giovanile che a quello più maturo, la mostra si addentra nel percorso intimo di Philip Guston verso una “consapevolezza visionaria”, cioè il rapporto, sempre in evoluzione, con forme, immagini, idee, e la loro manifestazione fisica.

Per quanto riguarda la relazione con gli scritti di Yeats, il viaggio di Guston alla ricerca di una visione personale della pittura avviene in particolare attraverso il poema “Byzantium” del 1930. Come in Yeats anche nell’evoluzione artistica di Guston sono presenti riferimenti all’agonia e alla purificazione. L’artista si allontana dai confini rarefatti del modernismo, dal linguaggio dell’astrazione e dai canoni della New York School per andare verso una nuova struttura pittorica più espressiva, che egli rintraccia nella figurazione.

Dall’italiano Eugenio Montale, con cui Guston condivide una poetica del frammento che si esprime attraverso simboli tragici e potenti, per arrivare a Wallace Stevens e T.S. Eliot (cui Guston fa esplicito riferimento nel dipinto del 1979 “East Coker – T.S.E.”), l’esposizione offre una ricognizione letteraria della metafisica, degli enigmi e della ricerca di significato così come essi appaiono nel lavoro di Guston. Il lavoro di Guston viene presentato in relazione all’ambiente poetico, invece che in una sequenza cronologica o di tendenze, come invece accade nelle rassegne più tradizionali. L’approccio curatoriale di “Philip Guston and The Poets” consente dunque una rilettura, e una riconsiderazione per certi versi inedita, del suo lavoro.

L’enorme influenza che l’Italia ha avuto su Guston e sulla sua pittura sarà messa in rilievo grazie all’allestimento concepito per le Gallerie dell’Accademia. Nel 1948, un giovane Guston visitò l’Italia per la prima volta, dopo aver ricevuto il Prix de Rome. Vi ritornò ancora nel 1960, allorché il suo lavoro venne esposto alla Biennale di Venezia, e ancora nel 1970 per una residenza d’artista a Roma. Questo ulteriore viaggio italiano avvenne in seguito all’ondata di critiche sollevatesi attorno alla sua prima mostra di pittura figurativa a New York. Le tele più esistenzialiste di Guston, ritenute da alcuni “crude” e da “cartoon”, sono permeate dall’influenza della tradizione culturale e artistica italiana: dalle vedute urbane antiche e moderne che popolano la sua serie dedicata a Roma, passando per i riferimenti ai film di Federico Fellini. Il lavoro dell’artista mostra un grandissimo debito verso i grandi maestri italiani: Masaccio, Piero della Francesca, Giotto, Tiepolo, e De Chirico, al quale riserva un omaggio in “Pantheon” del 1973. E, ancora, saranno esposti dipinti ispirati al Rinascimento, lavori che alludono a Cosmè Tura e a Giovanni Bellini, e opere realizzate da Guston durante i suoi viaggi.Continue Reading..

12
Mag

Blue Nights

Sultan Gallery is pleased to announce the opening of it’s next exhibition, Blue Nights, which features the work of eleven contemporary artists.

Curated by Mark Dean, this group show of contemporary pop art is a continuation of the Miami-based gallery DEAN PROJECT’s biannual collaboration.

The exhibition’s title takes it’s name from Joan Didion’s memoir, Blue Nights, originally published in 2011. Much like Didion – a writer known for exploring the cultural values and experiences of American life — the works in this group show comment on contemporary pop culture and the current global mood. Visually, all the works in Blue Nights contain or are the color blue. Similar to Didion’s titular reference to the final lingering hours of daylight in summer, the blues used in the show warn of darkness, though simultaneously seem to suggest that it may never come. Figurative and abstract, the exhibited works are executed in diverse media, yet cohesively come together to speak about the universal contemporary human experience and to export these ideas from the United States to Kuwait.

DEAN PROJECTs first exhibition in Kuwait was ten years ago, and for the gallery, this project marks the passage of time and an anniversary. Blue Nights brings together diverse artists working across disciplines to address contemporary issues of our existence and to share these experiences with a broader, more global audience.

Blue Nights (A group show curated by Mark Dean)
Artists featured in the show: Lluis Barba, Vincent Beaurin, Tim Berg & Rebekah Myers, Carlos Betancourt, Mel Bochner, Max Steven Grossman, Brad Howe, Hendrik Kerstens, Robert Polidori, Hunt Slonem, and Donald Sultan.

Preview: Tuesday, 16th May, 2017; 7 – 9 pm
Exhibition Dates:
Opening: Tuesday, 16th May, 2017; 7 – 9pm
17th May – 15th June; 10am – 4pm
(Closed on Fridays, Saturdays and Public Holidays)

Sultan Gallery
South Subhan, Block 8, Street 105, Building #168 besides Sadeer.
Madinat al-Kuwait

Image: Mel Bochner, Blah Blah Blah, 2016

12
Mag

Ettore Spalletti

“Quando fai una passeggiata sul mare, vedi l’azzurro che diventa sempre più profondo, e, verso sera, diventa tutto d’argento, la linea dell’orizzonte si perde e il mare si congiunge con il cielo”
Ettore Spalletti

A partire dalla metà degli anni Settanta, Ettore Spalletti si è dedicato ad una ricerca tesa a valorizzare il risalto emotivo del tono cromatico, indagato sia in pittura che in scultura. La pratica artistica si identifica in Spalletti con un processo interamente manuale di elaborazione della superficie (il supporto ligneo del dipinto, ma anche il marmo o l’alabastro della scultura), trattata con molteplici stesure di pigmenti. Dalla apparente monocromia delle sue opere, traspare un colore intriso di materia e di luce, in armonica interrelazione con lo spazio circostante. La superficie pittorica infatti si pone in rapporto con l’ambiente espositivo in senso fisico, fino al punto di rinunciare alla propria integrità tramite la rastrematura dei bordi o l’aggetto del piano di supporto, travalicando il confine tra pittura e scultura. L’opera scultorea si presenta come forma fortemente sintetizzata in senso geometrico e spesso si fa allusiva ad immagini riconoscibili (colonna, vaso, coppa, che valgono come archetipi del linguaggio della scultura). Nella galleria Vistamare, Spalletti espone alcune delle ultime opere realizzate – Muro, azzurro 2016, Come l’acqua 2016, Grigio oro, orizzonte 2016 – insieme ad altre meno recenti – Scatola di colore 1991, Così com’è 2006. Le pareti della sala più grande della galleria saranno scompaginate dall’opera Carte, sottili fogli di legno di grande formato, dipinti sul fronte e sul retro, che si muovono liberamente; un lavoro che si pone in continuità con le prime carte di colore realizzate nel 1974.Continue Reading..

11
Mag

Silvia Camporesi. Mirabilia

Sabato 13 maggio, Photographica FineArt ha il piacere di presentare in anteprima il nuovo progetto artistico “Mirabilia” di Silvia Camporesi.

Dopo il successo di Atlas Italiae, una mappatura dei luoghi abbandonati, Silvia Camporesi sta affrontando un nuovo viaggio italiano alla ricerca di luoghi speciali, meraviglie della natura, costruzioni bizzarre, musei insoliti: un patrimonio da svelare attraverso lo sguardo dell’autrice. Nella produzione dell’artista il viaggio è spesso metafora della ricerca artistica: un procedere verso luoghi sconosciuti per restituire una visione del tutto personale del mondo, delle cose. L’Italia che l’artista presenterà in questo progetto è dichiaratamente inedita. I luoghi del mito italiano, le vedute di paesaggio, saranno sostituite da scatti che ritraggono paesaggi poco noti, luoghi affascinanti, ma lontani dalle mete consuete. Il teatro anatomico di Bologna, la Biblioteca Malatestiana di Cesena, il teatro all’antica di Sabbioneta, le cave di marmo di Carrara, l’abbazia di San Galgano e tanti altri luoghi si susseguono in questo elenco di meraviglie italiane.

Silvia Camporesi (1973), laureata in filosofia, vive e lavora a Forlì. Attraverso i linguaggi della fotografia e del video e facendo spesso ricorso all’autorappresentazione, costruisce racconti che traggono spunto dal mito, dalla letteratura, dalle religioni e dalla vita reale. La sua ricerca si muove su una sottile linea di confine fra immaginazione e realtà, fra veglia e sogno, in contesti in cui il soggetto è sempre in un rapporto di dialogo con l’elemento naturale e teso verso il tentativo di trascendere i limiti del corpo e della mente. Dal 2000 ha esposto in numerose mostre in Italia e all’estero. Nel 2007 ha vinto il premio Celeste per la fotografia; è stata fra i finalisti del Talent Prize nel 2009 e del Premio Terna nel 2010. Nell’autunno del 2011 ha partecipato ad una residenza d’artista in Quebec, presso la Chambre Blanche e realizza inoltre per Photographica FineArt Gallery il progetto “La Terza Venezia”, realizzato con l’intento di operare sul reale e irreale della città lagunare, il risultato è una serie di immagini che esplora i luoghi attraverso il filtro dell’immaginazione, del sogno e delle leggende tramandate. Nel 2013, sempre per Photographica FineArt, realizza un nuovo progetto “Journey to Armenia”, punto di partenza è il viaggio in Armenia compiuto dallo scrittore russo Osip Mandel’stam nel 1930. Nello stesso anno inizia un nuovo progetto, “Atlas Italiae”, che la porterà in giro per l’Italia per oltre due anni, realizzando in questo modo un atlante di sguardi inediti che racchiude i molti significati di una riflessione artistica e antropologica più ampia sull’identità dell’Italia in un momento storico di fallimenti e declini, ripensamenti di desideri e di cambiamento.

La mostra, che si inaugura sabato 13 maggio dalle 17.00 alle 20.00, resterà aperta al pubblico fino al 28 luglio 2017, da mercoledì a venerdì dalle 9.00 alle 12.30 e dalle 14.00 alle 18.00. Il sabato visite su appuntamento.
13 maggio – 28 luglio 2017
Inaugurazione sabato 13 maggio dalle 18.00 alle 20.00
Photographica FineArt Gallery

Per ulteriori informazioni o chiarimenti:
Irene Antonetto, responsabile eventi – Via Cantonale 9 – 6900 Lugano
Tel +41.(0)91 9239657 – Fax +41(0)91 9210807 mail@photographicafineart.com

Immagine: ©Silvia Camporesi, Rocchetta Mattei (Grizzana Morandi), 2016

10
Mag

Marzia Migliora. Velme

From May 13 to November 26, the Fondazione Merz and MUVE, Fondazione Musei Civici di Venezia, present Velme, a site-specific exhibition by artist Marzia Migliora, curated by Beatrice Merz. The works are on display in several rooms of the Museo del Settecento Veneziano in the historic Palazzo Ca’ Rezzonico. The project is characterised by forms of expression that are recurrent in the artist’s production: the desire to show what is hidden and to reveal the relationship with space and the history of places.

Marzia Migliora aims to bring out the contradictions and repeated exploitation—of natural and human resources, and labour, typical of the history of mankind—through the clues emerging from the history of the lagoon city and from the works conserved in Ca’ Rezzonico, establishing a dialogue and contrasting them with the works she has created. The artist accomplishes this here by extrapolating elements from the collection, showing them in a new light, and shifting the point of view of the visitor. The title of the exhibition aptly summarises the considerations that underpin the project. The word “velma” is the Venetian term for a shoal, indicating a shallow area in the lagoon that emerges during low tides. These shoals, just like the entire ecosystem of the Venetian lagoon, are at great risk due to the morphological degradation and erosion of the seabed, caused by a lack of awareness and the continued violations perpetrated by mankind. The velma, the “meeting point” in the relationship between water and land, the symbol of something underwater that never stops emerging, thus becomes “an urgency of the present” and a bridge that connects us with the past. The project comprises five installations carefully chosen by the artist and located in different rooms of the Palazzo. In the “portego de mezo”—the typical feature of Venetian palaces that links the water gate to the door on the street—hosts a work called La fabbrica illuminata (literally the illuminated factory): five goldsmiths’ workbenches illuminated by a row of neon lights and in which, on each upper shelf, a block of rock salt has been placed.

The elements that make up the installation such as salt, which was so vital in the trading history of Venice, also known as “white gold,” and the goldsmith’s workbenches—refer to the exploitation of natural resources and labour needed to transform these into commercial goods and profit.Continue Reading..

08
Mag

Antonio Biasiucci. Riti

La mostra, dedicata al fotografo, si propone di raccontare parte della produzione artistica di Biasiucci scegliendo come chiave di lettura il processo rituale. La mostra si propone di raccontare parte della produzione artistica di Biasiucci scegliendo come chiave di lettura il processo rituale: la ritualità, intesa come gesto creatore e distruttore, si intreccia qui nel processo creativo dell’artista.

Antonio Biasiucci, classe 1961, considera da sempre la fotografia come uno strumento per indagare la realtà e risalire all’origine delle forme, guardando oltre l’estetica e i loro significati. Nella sua produzione, iniziata negli anni Ottanta, emerge una forte ritualità, elemento che non riguarda solo il processo creativo, in grado di trasformare un mondo concreto in immagini visionarie, ma anche il modo in cui le figure vengono alla luce attraverso il nero ‘primigenio’ delle ombre. La fotografia in bianco e nero è infatti il linguaggio prediletto da Biasiucci, pratica che accompagna fin dagli albori la narrazione delle sue storie: storie universali, di vita, di morte, di nascita e distruzione, rappresentate da elementi primari, terreni e concreti. Nella fotografia di Biasiucci, la componente personale e introspettiva riesce a tramutarsi in universale, in memoria collettiva, acquisendo una dimensione esistenziale nella quale tutti possono leggere una storia. Il suo linguaggio è fortemente influenzato da due luoghi fondamentali: Dragoni, paese natale in provincia di Caserta, e Napoli, dove si trasferisce nei primi anni Ottanta. La sua è un’indagine originale e inconsueta, stimolata dalla vitalità cittadina di Napoli, ma mai slegata dalla cultura contadina di Dragoni. È grazie al rapporto con quest’ultima che nascono cicli come “Vapori” (1983), “Vacche” (1987) ed “Impasto” (1991), legati alla vita dei campi, alla lentezza e ai riti propri di quei luoghi. Più legate, invece, all’esperienza napoletana sono le raccolte “Vicoli” (1987), “Res” (1993) ed “Ex voto” (2006).

Il percorso espositivo allestito in IULM si articola intorno a cinque cicli significativi del lavoro dell’artista dagli anni ’80 fino ad oggi. I Vapori, dove il gesto umano (in questo caso nell’atto di uccidere un maiale) diventa fulcro e forza scatenante del rito. L’Impasto, un momento di creazione, un gesto che questa volta non toglie, bensì dà vita. In Corpo latteo, una videoinstallazione progettata appositamente per questa mostra che presenta immagini inedite, il visitatore è immerso in uno spazio che ricorda un grembo materno, dove il rito si traduce nella ricerca ossessiva e metodica intorno a un soggetto (in questo caso, delle mozzarelle). A seguire i Crani, simbolo materiale di morte, ma anche punto di partenza per una nuova rinascita. Il ritorno all’equilibrio iniziale avverrà grazie a una pietanza ancestrale sinonimo di vita, i Pani, serie storica e qui integrata da fotografie inedite.

Fa da commento sonoro al percorso un testo scritto da Antonio Neiwiller, regista teatrale e maestro di Biasiucci, e letto da Toni Servillo.

La Triennale di Milano
Antonio Biasiucci. Riti
4 maggio – 28 luglio 2017

Credits
La mostra è il frutto della collaborazione tra La Triennale di Milano e l’Università IULM
A cura degli studenti al secondo anno del Corso di Laurea Magistrale in Arti, patrimoni e mercati, Università IULM

Coordinamento critico
Anna Luigia De Simone

Progetto di allestimento
Gianluca Peluffo

Progetto grafico
Dario Zampiron

07
Mag

INTUITION

In concomitanza con la Biennale d’Arte di Venezia 2017, Intuition è la sesta mostra co-prodotta dalla Axel & May Vervoordt Foundation e la Fondazione Musei Civici di Venezia per Palazzo Fortuny. Una serie di esposizioni di grande successo di pubblico e critica, curata da Daniela Ferretti e Axel Vervoordt, Artempo (2007), In-finitum (2009), TRA (2011), Tàpies. Lo Sguardo dell’artista (2013) e, più recentemente, Proportio (2015), che giunge ora al suo ultimo capitolo. Intuizione, dal latino intueor, è una forma di conoscenza non spiegabile a parole, che si rivela per “lampi improvvisi”, immagini, suoni, esperienze.

L’intuizione è la capacità di acquisire conoscenze senza prove, indizi, o ragionamento cosciente: un sentimento che guida una persona ad agire in un certo modo, senza comprendere appieno il motivo. Una mostra che intenda esplorare il tema dell’intuizione non può che iniziare dunque dai primi tentativi di creare una relazione immediata tra terra e cielo: dall’erezione di totem allo sciamanismo, alle estasi mistiche, dagli esempi di illuminazione nell’iconografia religiosa (Annunciazione, Visitazione, Pentecoste…) alla capacità di rivelazione divina del sogno dimostrando come l’intuizione ha, in qualche modo, plasmato l’arte in aree geografiche, culture e generazioni diverse. Un’esposizione che riunisce artefatti antichi e opere del passato affiancate ad altre più moderne e contemporanee tutte legate al concetto di intuizione, di sogno, di telepatia, di fantasia paranormale, meditazione, potere creativo, fino all’ipnosi e all’ispirazione. Il campo d’indagine si sposta quindi verso la modernità: nel XIX secolo le tematiche dello spirituale, del sogno, del misticismo, il sentimento panico della natura avranno nuovi sviluppi e, agli albori del secolo successivo, giocheranno un ruolo determinante nella nascita dell’astrattismo con Vassily Kandinsky, Paul Klee, Hilma af Klint. L’arte etnica, apportatrice di forme ed energie nuove, avrà anch’essa una forte influenza sullo sviluppo dei nuovi linguaggi artistici. Particolare attenzione è accordata agli aspetti più “sperimentali” del Surrealismo: scrittura e disegno automatici, creazione collettiva, stati di alterazione dell’Io saranno rappresentanti in mostra dai ‘dessins communiqués’ e ‘cadavres exquis’ di André Breton, André Masson, Paul Eluard, Remedios Varo, Victor Brauner – tra gli altri – insieme agli esperimenti fotografici di Raoul Ubac e Man Ray, e alle opere su carta di Henry Michaux, Oscar Dominguez e Joan Miró. Questa eredità si rifletterà in una serie di opere di artisti contemporanei come Robert Morris, William Anastasi, Isa Genzken, Renato Leotta e Susan Morris che, dal 1960, hanno ravvivato, sviluppato e modernizzato l’interesse per l’automatismo, portando a nuovi risultati formali e tecnici. L’importanza della ricerca spaziale e temporale intrapresa dai gruppi Gutai, Cobra, Zero, Spazialismo e Fluxus sarà illustrata con opere di Kazuo Shiraga, Pierre Alechinsky, Günther Uecker, Lucio Fontana, Mario Deluigi e Joseph Beuys. Altre opere contemporanee di artisti come Marina Abramovic, Chung Chang-Sup, Ann Veronica Janssens e Anish Kapoor, si ispirano ad esperienze soggettive o stati d’animo, per colpire lo spettatore con le proprie preoccupazioni e coinvolgerlo empaticamente. Durante i giorni di apertura i visitatori saranno invitati a esplorare e sperimentare la fantasia paranormale degli artisti attraverso quattro rappresentazioni legate al sogno, la telepatia, e l’ipnosi – della mente e del corpo – realizzate da giovani artisti: Marcos Lutyens, Yasmine Hugonnet, Angel Vergara e Matteo Nasini. L’intuizione si propone di suscitare domande sulle origini della creazione, ed è destinata ad essere vista come un ‘work in progress’, grazie ai lavori dei più importanti artisti contemporanei posti in dialogo con le opere storiche e con il carattere unico della residenza di Mariano e Henriette Fortuny. Kimsooja, Alberto Garutti, Kurt Ralske, Maurizio Donzelli, Berlinde De Bruyckere, Gilles Delmas e Nicola Martini creeranno installazioni site-specific, parte integrante della mostra negli spazi di Palazzo Fortuny.

Museo di Palazzo Fortuny
13 Maggio – 26 Novembre 2017
Co-produced with Axel & May Vervoordt  Foundation
Curated by Daniela Ferretti e Axel Vervoordt
Co-curated by Dario Dalla Lana, Davide Daninos and Anne-Sophie Dusselier

Immagine: Bernardi Roig, “An Illuminated Head for Blinky P.”, 2010, Resina di poliestere polvere di marmo, luce fluorescente 177,8 x 64,77×30,48 cm,Courtesy Galerie KEWENIG, Berlin, Palma, © Silvia León

03
Mag

Alessandro Bernardini. Catrame

Galleria 33 presenta Catrame, personale di Alessandro Bernardini, a cura di Tiziana Tommei. Il progetto espositivo propone opere realizzate dall’artista prediligendo due materiali: catrame e cemento. Il primo, da cui il titolo della mostra, è protagonista con una serie d’inediti, lavori realizzati a tecnica mista su tela o in forma di scultura-installazione. Cemento e catrame si estendono ad oggetti diversi, contaminandoli: si determinano così forme nuove, tanto trasfigurate e cristallizzate quanto, al contempo, ineluttabilmente fragili e fortissimamente delicate.

Testo critico
Un liquido denso, nero e viscoso.
Dall’arabo qaṭrān, pece liquida, il catrame è una sostanza di odore intenso, pungente e di colore scuro. Tra gli usi, il primo è come impermeabilizzante. Un guscio, che avviluppa elementi diversi, tele e oggetti. Questi, sommersi e nascosti, trasmutano e acquisiscono un nuovo status, caratterizzato da un’estrema fragilità fisica e materiale. Il catrame, al pari del cemento, ricoprendo la tela la rende epidermicamente delicata e più facilmente passibile di rottura. Si possono generare lesioni e fenditure, fino alla desquamazione e alla perdita irreparabile di materia. Anche in opere come queste, in cui il peso del materiale insiste sulla leggerezza della tela, resta centrale il nodo concettuale. Sotto c’è la volontà di dissimulare, ricorrendo ad una coltre solida e compatta, coprente e impenetrabile, con la consapevolezza che nulla possa essere realmente e interamente riposto. La questione formale resta salda, come fondamentale matrice, a partire dal processo d’ideazione. Un’estetica incentrata sull’essenzialità, che non vuole mai eccedere nel tentativo di veicolare, anche mediante questo aspetto, una incessante e mai finita sete di levità. Questa componente deve essere connessa ad un ulteriore carattere interno alla ricerca di Bernardini: la centralità dello spettatore, o meglio ancora del “fattore umano”. Le azioni e le creazioni dell’autore, le sue idee e le sue opere hanno sempre quale punto di origine colui che le osserva, con le sue reazioni, il suo sentire e le sue osservazioni.  Il pubblico è per questi un elemento ineludibile e per tale ragione è sempre chiamato a svolgere un ruolo attivo. Il coinvolgimento avviene in questo caso specifico mediante una mise-en-scène, ideata dall’artista. Il tema è la strada, intesa sia come superficie fisica (si pensi alla scelta dei materiali), che come luogo d’incontro, di passaggio e d’interazione. Dunque, anche in tal senso emerge una forte attenzione all’elemento umano e alla comunicazione, prima ancora che agli oggetti, fino alle opere stesse, che divengono così tramite per questo dialogo.Continue Reading..