Category: arte

30
Giu

Da Duchamp a Cattelan. Arte contemporanea sul Palatino

L’arte contemporanea torna a confrontarsi con l’archeologia. La mostra presenta 100 opere tra grandi installazioni, sculture, dipinti, fotografie e opere su carta di artisti provenienti da 25 diverse nazioni.

Accanto a maestri riconosciuti come Marina Abramović, Gino De Dominicis, Marcel Duchamp, Gilbert & George, Joseph Kosuth, Barbara Kruger, Richard Long, Allan McCollum, Vettor Pisani, Michelangelo Pistoletto, Remo Salvadori, Mario Schifano, Mauro Staccioli, sono proposti i lavori realizzati da alcuni tra i più significativi esponenti delle ultime generazioni quali Mario Airò, Maurizio Cattelan, Anya Gallaccio, Cai Guo-Qiang, Claudia Losi, Paul McCarthy, Sisley Xhafa, Vedovamazzei e Luca Vitone. Non manca, poi, una serie di lavori realizzata da designer e architetti come Ugo La Pietra, Gianni Pettena e Denis Santachiara. All’interno dello Stadio Palatino e del peristilio inferiore della Domus Augustana, con le terrazze e le Arcate Severiane, la mostra articola le sue tematiche essenziali: le Installazioni architettonichein situ, efficace accostamento tra archeologia e arte contemporanea; le Mani, disegnate, fotografate, dipinte, scolpite, simbolo comunicativo e forza creatrice; i Ritratti, traccia identitaria per eccellenza e genere artistico dove gli antichi romani hanno primeggiato.

Architettura, identità, comunicazione, creazione sono temi che la contemporaneità interpreta spesso con disinvolta ironia, in maniera destabilizzante, rifiutando ogni dogma: a confronto con le maestose architetture dei palazzi imperiali del Palatino, questi materiali ci interrogano sul senso del tempo e della permanenza. Sono interventi – molti dei quali creati appositamente per questo progetto al Palatino – che non vogliono essere rassicuranti, ma che suggeriscono differenti percorsi di comprensione dell’antico. I lavori provengono dal museo ALT creato dall’architetto Tullio Leggeri, tra i maggiori collezionisti italiani che, fin dagli anni ’60, ha caratterizzato il suo rapporto con gli artisti sviluppando i loro progetti e suggerendo soluzioni tecniche e creative. Tra le monumentali rovine, viene esposta una significativa selezione delle oltre 1000 opere che costituiscono la sua raccolta.Continue Reading..

29
Giu

Jan Fabre. Glass and Bone Sculptures 1977-2017

JAN FABRE
GLASS AND BONE SCULPTURES 1977-2017
Evento collaterale della 57. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia

VENEZIA – ABBAZIA DI SAN GREGORIO
DAL 13 MAGGIO AL 26 NOVEMBRE 2017

La mostra presenta, per la prima volta insieme, oltre 40 opere in vetro e ossa, realizzate dall’artista belga in un quarantennio di lavoro, tra il 1977 e il 2017, che innescano una riflessione filosofica, spirituale e politica sulla vita e la morte attraverso la centralità della metamorfosi.

A cura di Giacinto DI PIETRANTONIO, Direttore GAMeC, Bergamo
Katerina KOSKINA, Direttore EMST, Atene
Dimitri OZERKOV, Responsabile del Dipartimento di Arte Contemporanea del The State Hermitage Museum, San Pietroburgo

Jan Fabre torna a Venezia, con un progetto inedito, appositamente studiato per gli spazi dell’abbazia di San Gregorio, situata tra il ponte dell’Accademia e la punta della Dogana. Evento collaterale della 57. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, dal 13 maggio al 26 novembre 2017, la mostra Jan Fabre. Glass and Bone Sculptures 1977-2017, curata da Giacinto Di Pietrantonio, Katerina Koskina e Dimitri Ozerkov, promossa dalla GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, in collaborazione con EMST – National Museum of Contemporary Art di Atene e The State Hermitage Museum di San Pietroburgo, presenta oltre 40 sculture di Jan Fabre (Anversa, 1958), in grado di ripercorrere la sua ricerca fin dalle origini, innescando una riflessione filosofica, spirituale e politica sulla vita e la morte attraverso la centralità della metamorfosi.

Per la prima volta, saranno riuniti insieme lavori in vetro e ossa, realizzati nell’arco di un quarantennio, tra 1977 e il 2017. Affascinato dall’alchimia e dalla memoria dei materiali, Jan Fabre si è ispirato alla tradizione pittorica dei maestri fiamminghi che erano soliti miscelare ossa triturate con i pigmenti colorati e all’artigianalità dei vetrai veneziani. L’artista ha deliberatamente scelto questi due materiali duri, che sono forti a dispetto della loro delicatezza e fragilità, per mettere in risalto la durezza e la fragilità della vita stessa. “La mia idea filosofica e poetica – ricorda Jan Fabre – che riunisce assieme il vetro con le ossa umane e animali, nasce dal ricordo di mia sorella che da bambina giocava con un piccolo oggetto di vetro. Questo mi ha fatto pensare alla flessibilità dell’osso umano in confronto con quella del vetro. Alcuni animali e tutti gli esseri umani escono dal grembo materno come il vetro fuso esce dal forno di cottura. Tutti possono essere modellati, curvati e formati con un sorprendente grado di libertà”. I due materiali modellano parti e insiemi di corpi umani e animali: a volte, questi mantengono la loro naturalezza cromatica; altre volte, sono dipinti con il colore blu tipico della penna a sfera Bic che l’artista usa da anni per raccontare l’Ora Blu, ovvero quel momento crepuscolare in cui avviene il passaggio dalla notte al giorno o viceversa, che segna il punto di confine e di mutamento del tempo naturale. “Infatti – afferma Giacinto Di Pietrantonio – al titolo Glass and Bone, potremmo aggiungere Blue Bic Ink. La materia, nel lavoro di Fabre, non è celebrata in senso fenomenico, ma è usata come messaggera di arcane simbologie connesse con la sua essenza stessa. Nella sua ricerca, Fabre non persegue un’arte che valuta la storia come prodotto del presente, ovvero della sociologia, quanto come lotta che si dispiega all’interno di una materia la cui memoria si è dissolta nelle profondità del tempo”. Continue Reading..

26
Giu

Antony Gormley. Being

New York, NY: The Hall Art Foundation is pleased to announce an exhibition by acclaimed British artist Antony Gormley to be held at its Schloss Derneburg location. Gormley is internationally lauded for his sculptures, installations and public artworks that investigate the relationship of the human body to space. This is the largest Gormley exhibition held in Germany to date, bringing together works on paper, large-scale installations, and indoor and monumental outdoor sculpture that span the artist’s sculptural journey, from the early 1980s to site-specific works created this year.

The core of Gormley’s sculptural thinking – the relationship between mass and space, carried through skin, grid and volume – can be seen on the ground floor. The first work, from the series Learning to See III (1993), is a sculpture of embodied consciousness: an alert, aware, erect body. It has one closed, continuous surface. Its eyes, for the first time, are indicated, acknowledging a kind of internal vision. Set II (2017), in the adjacent room, uses the same body posture, but here the grid structure common to architecture is used to map the subjective space of the body. This pairing is qualified by a final work, Fit (2016), an unequivocal translation of anatomy into architecture that represents the high-energy zone of a body’s presence. Being continues to investigate ways of presenting the body less as an object and more a place – a site of transformation and an axis of physical and spatial experience. A number of early lead “Bodycase” works are made on molds taken directly from the artist’s body. These works are a materialization of a real event on a real body in real time. Using verticality and laterality, they attempt to confront the viewer with their own embodiment in space and time. One work, Close I (1992), is a splayed and prostate body on the floor – an “X” that marks a fixed point on the surface of the earth. This work represents our dependency on the planet and acknowledges that each body is a point of reconciliation between centrifuge and gravity. One of eight large-scale Corten Steel Expansion Field sculptures, Expansion Field 40/60 (2014), continues the idea of a case for a body, although these particular cases are made with the orthogonal geometry of a room. These “Tankers”, as the artist describes them, invoke the expanding nature of consciousness, in spite of bodily determinism.

In Expansion Field I am applying the Hubble Constant – the idea that space is a state of continual expansion – to the subjective space of the body in different attitudes of emotional contraction or extension. These eight works attempt a bridge between the darkness of the body and deep space. The linear display of the Expansion Field sculptures is complemented by a series of recent body prints and woodblocks. These works on paper prompt a conversation between the Paleolithic gesture of presence and Modernism’s attraction to the void. Woodblock prints of planes equivalent to those found in the Expansion Field sculptures make x-ray-like images of the space of the body, where the grain of the wood forms a subtle, translucent crosshatching. These woodblock prints are paired with body prints, like Feel III (2016), made with a mixture of crude oil and petroleum jelly, which indicate instant indices of lived time.

Sleeping Field (2015-2016) is a large-scale installation in which architectural language is used to describe a city made up of 700 miniature body-forms. Each body-form is made from 29 discrete parts, re-configured to make up 70 original poses, each cast 10 times. The work refers to humankind’s dependency on the city as an instrument for survival. While it can be seen as an urban landscape, it also refers to the present crisis of migration and the camps that have become familiar in Turkey, Greece and Germany. Distillate I (2003), one of Gormley’s earliest built “Blockworks”, proposes an alternative model of a landscape or citadel made of multiple cells. Here, blocks of six discrete sizes map the space of an unconscious body. Sited on the Schloss grounds is Block II (2017), a 46-tonne red granite ‘Blockwork’ made of 22 stones that sit one on top of the other using their deadweight as a constructive principle. The artist conceives of this work as a meditation on the current and temporary state of humankind embedded in the city, brooding about its future. It purposefully conveys the attitude of a lazy Buddha. One of Gormley’s well-known works, European Field (1993), sited in a specially renovated barn, is a vast installation of 35,000 terracotta elements made from clay taken from Småland, Sweden. Simultaneously evoking our ancient ancestors and the unborn, European Field reverses the normal economy of contemplation, making the viewer the subject of its gaze. Deliberately made uncomfortable, the viewer is cast as an actor who has unconsciously walked onto a stage and is now facing an audience that asks: “Who are you? What are you? What kind of world are you making?” The presentation of European Field is complemented by 12 drawings, such as Two Beings Doubtful (1989), made of earth, oil and carbon.Continue Reading..

24
Giu

AGNETTI. A cent’anni da adesso

Mostra antologica curata da Marco Meneguzzo con l’Archivio Vincenzo Agnetti, che racconta la vicenda creativa di uno dei maggiori esponenti dell’arte concettuale degli anni Settanta. Dal 4 luglio al 24 settembre 2017, Palazzo Reale di Milano ospiterà la rassegna antologica dedicata a Vincenzo Agnetti (1926 – 1981), l’artista concettuale italiano che ha trasformato la parola in immagini iconiche e l’immagine in poesia.

La mostra AGNETTI. A cent’anni da adesso, promossa e prodotta da Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e Archivio Vincenzo Agnetti, curata da Marco Meneguzzo insieme all’Archivio Vincenzo Agnetti, ci invita, attraverso un’analisi critica e “sentimentale”, a riscoprire l’universo artistico di Vincenzo Agnetti cogliendone l’originalità, il rigore critico, la poetica e la straordinaria contemporaneità. Sono esposte più di cento opere, realizzate tra il 1967 e il 1981, che nel loro insieme restituiscono un’immagine chiara del percorso dell’artista: la sua tensione poetica e visionaria, lo spiccato interesse per l’analisi dei processi creativi e per l’arte come statuto, il suo ruolo di investigatore linguistico e di sovvertitore dei meccanismi del potere, inclusi quelli della parola scritta, detta, tradotta in immagini limpide ed evocative, perché per Agnetti tutto è linguaggio: “Immagini e parole fanno parte di un unico pensiero. A volte la pausa, la punteggiatura è realizzata dalle immagini a volte invece è la scrittura stessa”. 

La parola in tutte le sue opere non si limita dunque ai rapporti semiologici, come spesso accade nell’arte concettuale di quegli anni, piuttosto realizza immagini, suggerisce indagini, costruisce narrazioni. Agnetti utilizza il paradosso visivo e concettuale per creare cortocircuiti interpretativi pronti per essere elaborati e rivisitati dall’osservatore, affidando al pensiero di chi guarda lo sviluppo e il senso di quanto ha scritto e immaginato. Per lui è sempre stato importante che il visitatore continuasse a vedere la mostra, con gli occhi della mente, anche dopo essere uscito dalla galleria.

 “Con questo appuntamento riscopriremo uno dei più grandi artisti concettuali – afferma Marco Meneguzzo – Il suo concettualismo è diverso da quello anglosassone, americano, e anche da quello europeo; quello di Vincenzo Agnetti ha un risvolto metafisico e letterario, pieno della nostra cultura, vorrei dire mediterraneo, se oggi questo aggettivo non apparisse riduttivo”.Continue Reading..

23
Giu

Verdiana Patacchini. Muta Imago

Relais Rione Ponte, in collaborazione con la galleria Emmeotto, è lieta di presentare il progetto espositivo dell’artista Verdiana Patacchini intitolato Muta Imago. La dialettica del visibile è, per antonomasia, il fulcro cardine di un’opera d’arte, dove la materia, nelle sue declinazione più svariate, conduce inevitabilmente all’immateriale. Nel periodo classico il concetto di Imago riassume in sé il senso atavico della figurazione, ovvero quel rapporto che intercorre tra lo sguardo dell’osservatore e l’immagine dipinta. L’Imago non è definita semplicemente all’interno di un reticolo ottico figurativo, essa è apparizione, parvenza, visione e sogno. Il lavoro di Verdiana Patacchini si compone di eterogenei elementi di analisi e ricerca. L’artista sperimenta, nell’utilizzo dei differenti materiali, le molteplici accezioni dell’immagine. Metalli, carta, ceramica, sono i medium di una riflessione che pone al centro del suo linguaggio l’antico topos che vede la fragile delimitazione tra visibile e invisibile. Le figure di Verdiana Patacchini emergono dalla materia, sono per l’appunto apparizioni, epifanie dell’intelletto, memorie sbiadite di una realtà lontana ed intellegibile. Scrive Yves Klein nel suo saggio intitolato Le dépassement de la problématique de l’art: “Il segreto del quadro è l’indefinibile. Non esistono mediazioni, ci si trova letteralmente impregnati dallo stato sensibile pittorico determinato a priori dallo spazio dato, è una percezione diretta ed immediata, senza più alcun effetto né trucco, né arbitrio”. Il corpus di lavori in ceramica riflettono incondizionatamente le qualità di un’opera espresse da Klein: Verdiana Patacchini si appropria della materia configurandola a seconda delle proprie necessità espressive. Le linee e i motivi monocromatici riflettono una “smaterializzazione” della figura, il confine con l’invisibile è sempre più marcato, rendendo l’icona un’ombra sbiadita nel tempo. L’universo immaginifico dell’artista si nutre di differenti elementi concettuali: letteratura, musica, poesia sono componenti essenziali della sua ricerca estetica, come ad esempio nella serie di lavori tratti dalla Gerusalemme Liberata. Il labile confine tra visibile e invisibile si prefigura nell’opera di Verdiana Patacchini come una necessità primordiale nell’assidua e costante investigazione che semina il suo tracciato nei meandri della storia dell’arte, dove l’esplorazione di inedite soluzioni formali rappresentano il punto di partenza per rigenerare la forza dei materiali d’elezione utilizzati dall’artista. Nello splendido contesto del Relais Rione Ponte, il corpus di opere selezionate definiranno un nuovo assetto allestivo dove gli ospiti saranno i protagonisti di un itinerario artistico ed emozionale.

Verdiana Patacchini nasce a Orvieto nel 1984. Dopo il diploma presso il Liceo Artistico di Viterbo si trasferisce a Roma per frequentare l’Accademia di Belle Arti di Via di Ripetta, dopo una stagione in Spagna tramite la borsa di studio Erasmus, si diploma in Pittura nel 2007 e nel 2009 conclude la laurea in Comunicazione e Valorizzazione del Patrimonio Artistico Contemporaneo. Nel 2011 espone alla 54° Biennale di Venezia nel Padiglione Italia e nel 2012 è tra i vincitori del Premio Catel Roma con l’opera “La Veronica”. Da Gennaio 2016 le è stata assegnata una residenza presso il centro artistico MANA Contemporary di New York e nello stesso anno, la sua personale è stata presentata al Consolato Italiano di Park Avenue di New York, a cura della galleria romana Emmeotto. Attualmente vive e lavora a New York e firma le sue opere con lo pseudonimo Virdi.Continue Reading..

19
Giu

Roberta Busato, Enrico Fico. Take care, my love

In corso presso la Fortezza del Girifalco a Cortona la mostra dal titolo “Take care, my love”, doppia personale di Roberta Busato ed Enrico Fico a cura di Tiziana Tommei. L’evento, patrocinato dal Comune di Cortona, si inserisce nell’ambito della programmazione 2017 relativa all’arte contemporanea in Fortezza, è organizzato da Art Adoption, associazione attiva nella promozione e diffusione dell’arte contemporanea, e presentato dall’associazione OnTheMove.

Il progetto espositivo muove dalla materia verso il concetto, non volendo per questo negare, ma anzi all’opposto rafforzare, la coesistenza di questi due poli in ciascuno dei momenti del percorso. Si presentano scultura e tecnica mista: muovendo dalla figura umana, smembrata e ricomposta nei frammenti di terra cruda di Busato, si passa a riflettere su Dio, la religione e il potere della parola con la poesia visiva di Fico. Leggerla come un moto verso l’alto può ingannare, perché il contatto con quello che è personificazione del divino si rivela fallace. La terra si fa lentamente polvere; la parola unita all’immagine implode. I tagli degli arti, le cancellature di significati, le perdite di valori sono alcuni degli elementi che costituiscono parte integrante delle opere scelte ed esposte, come di un iter simbolico. In senso lato si tratta di una riflessione sul contemporaneo, sull’uomo e sul rapporto con il tempo e, più nello specifico, con il suo scorrere. Non c’è nulla di “buono” in questi lavori: tutti affermano la stessa cosa, ossia che non esiste luce se non attraverso la sofferenza, la distruzione e l’accettazione dell’impotenza umana. La costruzione di una forma di vita parte dalla coscienza di questa condizione di precarietà e dolore, ma non toglie speranza nella capacità umana di crescere e migliorare il mondo. Il venir meno della stabilità intesa come sicurezza, e con questi l’incompletezza e l’assenza di risposte, lastricano la strada della salvezza, perché ti costringono ad andare in profondità. Significativo è il fatto che il percorso espositivo, da Busato a Fico, all’interno delle sale, possa avvenire anche all’inverso, per tornare dunque alla terra, alla materia, che in ultima istanza si polverizza, come le ossa.Continue Reading..

16
Giu

Abitare il Minerale

“Mineral is something of our bodies, because bones are made of calcium that belongs to the world surrounding us; mineral is the part of our bodies that is most stable and which can last over time. Bone remains can be found, while our flesh and fluids disappear sooner. In minerals, in marble, there is a stability, and it is not a coincidence that this stone has been used for centuries in sculpture; its whiteness is something that belongs to us, to our bodies, like our bones. The interest we have for things that surround us is always related to wanting to understand reality, and it is an understanding that is filtered through our bodies. We breathe minerals, we breathe dust, we breathe sand. It is something that is part of our lives, and each of our breaths are sculpture because their forms have the physical and chemical composition of air and when we inhale we create a volume.”
–Giuseppe Penone in conversation with Carolyn Christov-Bakargiev, Abitare il Minerale, Castello di Rivoli, May 17, 2017

“Intra-actions are practices of making a difference, of cutting together-apart, entangling-differentiating (one move) in the making of phenomena. Phenomena—entanglements of matter/ing across spacetimes—are not in the world, but of the world.”

“Ontological indeterminacy, a radical openness, an infinity of possibilities, is at the core of mattering. How strange that indeterminacy, in its infinite openness, is the condition for the possibility of all structures in their dynamically reconfiguring in/stabilities. Matter in its iterative materialization is a dynamic play of in/determinacy. Matter is never a settled matter. It is always already radically open. Closure cannot be secured when the conditions of im/possibilities and lived indeterminacies are integral, not supplementary, to what matter is. Nothingness is not absence, but the infinite plentitude of openness.”
–Karen Barad, What Is the Measure of Nothingness? Infinity, Virtuality, Justice. 100 Notes – 100 Thoughts | N°099. dOCUMENTA (13), Hatje Cantz Publishing, 2012Continue Reading..

11
Giu

Sophie Calle. Missing

Fort Mason Center for Arts & Culture (FMCAC) is pleased to present Sophie Calle’s Missing, a large-scale exhibition curated by Ars Citizen of the internationally acclaimed French artist. Featuring five of Calle’s most prominent projects, the exhibition is her most extensive to date in the United States. Conceived as a journey, Missing gathers five of Sophie Calle’s major projects – itinerant since their creation – into a site-responsive presentation across the historic and scenic FMCAC campus on the San Francisco waterfront. The corpus offers an overview of Calle’s art since the 1980s, and includes her iconic projects spanning the last decade: Take Care of Yourself, Rachel Monique and Voir la mer. Unveiling through a narrative of intimate stories, both personal and collective, Missing emphasizes the analogy of mother and sea (“mère” and “mer” in French), while proposing a reflection on the universal concepts of disappearance, loss and absence, central in the artist’s work and exploration.

Rachel Monique (2007)—Installed in the former U.S. Army Chapel, the poignant and poetic multimedia installation features the personality and final moments of Sophie Calle’s mother.

True Stories (1988)—In the vintage General’s Residence, True Stories presents a selection from Calle’s growing collection of personal belongings and autobiographical anecdotes crystallizing key moments in her life.

Take Care of Yourself (2007)—Located in Gallery 308, Take Care of Yourself documents 107 women interpreting a break-up letter Calle received from an ex-lover. This body of work was originally created for the French Pavilion of the 2007 Venice Biennale.

Voir la mer (2011)—In the Firehouse, which offers a stunning view of the San Francisco Bay, viewers will experience the film installation featuring residents of Istanbul, Turkey, seeing the ocean for the first time.

Also displayed in the Firehouse, The Last Image (2010) is a series of photographs and texts that portrays the last visual memory of blind people.

“Sophie Calle Missing” will be open and free to the public from June 29, 2017 through August 20, 2017.

Ars Citizen is curating parallel programs in partnership with leading San Francisco Bay Area cultural and educational institutions. They will include a conversation with Calle at FMCAC; a screening of Calle’s film and video works at UC Berkeley Art Museum and Pacific Film Archive (BAMPFA) with a conversation between the artist and Lawrence Rinder, Director of BAMPFA; a presentation and book signing with Calle at City Lights Bookstore; and a Sophie Calle film anthology at San Francisco’s Roxie Theater. On the occasion of the event, Fraenkel Gallery will also present a special exhibition by Sophie Calle at FraenkelLAB. Additional events and details to come.Continue Reading..

11
Giu

Lucio Pozzi

“Come in ogni cosa che faccio, opero nel panico e nell’eccitazione e ci tengo a non sapere come andrà a finire, così il pensiero e l’emozione si rivelano di volta in volta inattese”
“Spero soprattutto che sia stimolato, in ognuno di coloro che guardano,
quel salto emotivo che trascende i dati descrivibili.
Questo è il fine ultimo della mia arte”
“Vorrei che, entrando in una stanza, una persona possa dire: “Com’è interessante quel pezzo, chi lo ha fatto? “Piuttosto che: “Questo è un lavoro tipico di Lucio Pozzi”.
Lucio Pozzi

RizzutoGallery è lieta di ospitare per la prima volta a Palermo la personale di LUCIO POZZI (Milano, 1935). La mostra – accompagnata da un testo di Marcello Carriero – dà il via alla programmazione della Galleria nella sua nuova sede nel centro storico della Città, in via Maletto 5. La mostra sarà inaugurata sabato 17 giugno 2017 alle ore 18, e resterà visitabile fino al 2 settembre, dal martedì al sabato, dalle 16.00 alle 20.00. Lucio Pozzi è un’artista che ha incontrato durante la sua vicenda artistica le avanguardie americane con le quali ha condiviso temperature e sperimentazioni tra gli anni sessanta e settanta, essendosi trasferito a New York proprio in quel momento fertile e problematico che coincide con il minimalismo, l’arte concettuale, l’antiform. Sebbene coerente con il suo tempo e la sua ricerca, Pozzi ha sempre considerato centrale il problema linguistico della pittura sia nella sua componente dialettica di segno e superficie, sia nella funzione di connotato emotivo del colore. Questa duplice indagine Pozzi la esplica in forme molteplici in cui l’immagine è sempre legata alla natura fenomenica, sebbene a volte del tutto secondaria nella soluzione visiva. Dalla performance all’installazione ambientale, le opere di Lucio Pozzi hanno sempre ben chiari due sistemi oppositivi, un dialogo che ha sempre sfuggito la narrazione didascalica e il semplice commento della realtà. Le opere esposte rappresentano la coerenza di questo percorso, sono state infatti scelte tra quelle più lontane nel tempo e quelle più recenti, in una soluzione comunque lontana dal dileggio antologico.Continue Reading..

07
Giu

Ytalia. Energia Pensiero Bellezza. Tutto è connesso

L’Italia è una repubblica fondata sull’arte e la bellezza; si potrebbe perfino affermare che è una repubblica fondata e rifondata dagli artisti. In Assisi, in una delle volte della Basilica Superiore, Cimabue ha scritto Ytalia a margine di una rappresentazione di città, sicuramente Roma, nella quale si riconoscono alcuni edifici: Castel Santangelo, forse San Pietro o San Giovanni in Laterano, il Pantheon, il Palazzo Senatorio e la torre dei Conti. La città eterna, vista dall’alto e racchiusa entro la cerchia di mura, rappresenta per quell’artista una primissima affermazione dell’esistenza della civiltà italiana, a cui guardare, di cui sentirsi parte e farsi promotore. Con quella segnaletica, Cimabue sancisce che i confini nazionali -siamo tra il 1280 e il 1290- sono prima artistici che politici, e che l’identità nazionale è fatta di cultura classica e umanistica, di bellezza pagana e spiritualità cristiana. In fondo poco è cambiato nel corso dei secoli. L’Italia è ancora  oggi il paese dell’arte e della bellezza.  Così è stato dal Trecento al Seicento, secoli di massimo splendore, e fino al Novecento. In tal senso, all’interno della comunità artistica internazionale, l’arte italiana – da Giotto a Piero della Francesca, da Michelangelo a Caravaggio, e da questi fino ai Futuristi e oltre – ha fatto scuola, è stata di modello per il mondo intero, perché nei nostri manufatti artistici si è potuto apprezzare il perfetto equilibrio di classicità e anticlassicità, di eclettismo e purismo, d’invenzione e citazione, d’immanenza e trascendenza. Una mostra, che offra al pubblico nazionale e internazionale, l’opportunità di confrontarsi con le opere di alcuni tra i maggiori artisti italiani del nostro tempo è sempre un fatto importante, anche per le discussioni che suscita, oltre che per le emozioni e le riflessioni che rigenera.

Partendo dalla citazione medievale di Cimabue, e in concomitanza con lo svolgimento della 57° Biennale di Venezia, periodo di massima attenzione intorno al contemporaneo nel nostro paese, lL Il progetto espositivo – promosso dal Comune di Firenze e organizzato da Mus.e – nasce in collaborazione con le Gallerie degli Uffizi, l’Opera di Santa Croce e  il Museo Marino Marini. Per Dario Nardella, Sindaco di Firenze : “La mostra Ytalia è una nuova grande sfida per Firenze: con le opere di dodici tra i maggiori artisti del nostro tempo facciamo vivere ancora il Forte Belvedere per un’altra stagione di arte contemporanea, ma soprattutto mettiamo in rete – insieme al Forte – 8 spazi straordinari tra musei, giardini e luoghi dell’architettura civile e religiosa dove il passato convive con il contemporaneo per un’esperienza unica che coinvolgerà fiorentini e turisti. In un’epoca in cui i valori dell’identità nazionale sono messi in discussione dalle nuove dinamiche globali, vogliamo celebrare il fatto che l’Italia vanta da secoli un ruolo esemplare nell’evoluzione artistica mondiale. Il primo G7 Cultura, non a caso, si è appena svolto a Firenze ed è stato dedicato alla conservazione e tutela del patrimonio culturale. Ma Firenze non è solo culla del Rinascimento e rivendica ancora una volta di essere città aperta alla storicizzazione e sperimentazione del contemporaneo“.Continue Reading..