Category: arte

14
Nov

Paolo Ciregia. Forse sarà di nuovo

L’Elefante Arte Contemporanea di Treviso propone l’esposizione personale dell’autore Paolo Ciregia (Viareggio, 1987) intitolata Forse sarà di nuovo, a cura di Carlo Sala, che aprirà sabato 18 novembre alle ore 18.00. In mostra un nutrito corpus di lavori, che spaziano dalla scultura all’installazione fino alla fotografia, per riflettere su alcuni grandi temi della storia contemporanea come la propaganda, l’ideologia, le dittature e la libertà di pensiero. Il titolo scelto per la mostra, Forse sarà di nuovo, fa però comprendere come l’artista con il suo lavoro non voglia presentare un racconto ancorato al passato, ma, al contrario, utilizzare alcuni nodi fondamentali del Secolo breve come lente per comprendere il presente e porre un monito: la storia può ripetersi. Ad aprire il percorso è l’installazione From A to Z del 2017 (già vincitrice al prestigioso FOAM Talent di Amsterdam e successivamente esposta a New York e Londra); l’opera è parte della serie Ideological loop, costituita da lavori che ragionano sugli aspetti comuni ai diversi sistemi totalitari del Novecento e su come questi si riverberino nella società odierna. Appartiene al medesimo ciclo il lavoro Senza Titolo del 2016, dove l’immagine di un gerarca tedesco, tratta da una rivista di propaganda, è parzialmente rivestita da un tappeto che ne copre lo sguardo: la precisa trama di fili con cui è realizzato l’oggetto è una metafora delle ferree regole che le dittature impongono ai popoli, offuscando il loro sguardo e dunque una vera visione-comprensione degli accadimenti. A campeggiare nella seconda sala è la scultura 12 agosto 1944 (2017) ispirata all’eccidio di Sant’Anna di Stazzema (Lucca) dove le SS naziste sterminarono cinquecento civili inermi. Partendo dalla forma di una borraccia tedesca dell’epoca, l’autore ha modellato una scultura di cristallo a forma di vaso, posandola poi su una lastra di tufo proveniente da un monte della zona. Sigillata all’interno del manufatto si trova dell’acqua che l’artista ha raccolto attraverso un deumidificatore all’interno della chiesa che fu teatro del massacro, quasi a cristallizzarne per sempre la memoria. Nella serie di lavori Exeresi viene analizzato il linguaggio propagandistico comune alle varie dittature: l’artista preleva delle immagini da riviste storiche e attraverso il suo intervento ne sovverte la percezione togliendo la rassicurante retorica del tempo e facendo emergere alcuni aspetti crudi e inquietanti. L’opera Wir Fahren Gegen Engeland del 2017, ad esempio, è basata sulla strana ambiguità della figura di un gerarca che sembra essere immerso in un momento di gioco e invece sta progettando un attacco militare. Tra le opere fotografiche esposte vi è Glasnost (dalla serie Perestrojka) del 2015: il lavoro parte da uno scatto di cronaca realizzato da Paolo Ciregia durante la guerra del Donbass che dal 2014 oppone l’esercito ucraino ai separatisti russi. Vediamo delle persone protese verso una figura distesa – forse un ferito o un cadavere – il cui corpo è però celato alla nostra vista dall’intervento dell’artista, che lo rende una semplice sagoma bianca. In una società come la nostra, sovraffollata di immagini-choc, il dolore e la morte sono diventati una sorta di intrattenimento massmediatico a cui siamo abituati e che oramai non destabilizza: è per questo che l’autore sceglie la strada opposta e attraverso l’horror vacui delle fattezze umane negate crea una tensione emotiva che non può lasciare indifferenti. Tutta la mostra di Paolo Ciregia può riassumersi nell’opera composta da una lampadina sulla soglia tra due stanze che si accende e si spegne, trasmettendo in codice morse la frase latina Historia magistra vitae: si tratta di un memento verso i drammi della storia, espresso attraverso un linguaggio accessibile a pochi. Se questa difficoltà di comprensione sembra rimandare ad un uomo sordo, condannato a reiterare i medesimi errori; essa deve essere anche letta come uno stimolo per forgiare delle coscienze critiche, capaci di contrastare le forme più o meno mano manifeste di omologazione del pensiero che connaturano la nostra società.

L’esposizione è visitabile fino al 22 dicembre 2017.

PAOLO CIREGIA
Forse sarà di nuovo // Das Kann wieder passieren // Может будет вновь
a cura di Carlo Sala

L’Elefante Arte Contemporanea
Via Roggia 52 – Treviso
Inaugurazione: Sabato 18 novembre, ore 18.00
Dal 18 novembre al 22 dicembre 2017
orari: dal martedì al sabato, dalle 15.00 alle 19.30, oppure su appuntamento.
galleria.elefante@libero.it
cell: 348.9036567

Note biografiche
Paolo Ciregia (Viareggio, 1987), inizia il suo percorso artistico dopo un’esperienza di alcuni anni in Ucraina, che culmina nella documentazione del conflitto con la Russia nel 2014. Da quel momento focalizza la propria ricerca sui temi della storia, della propaganda politica ad uso dei media e della rappresentazione del potere. Indagandone i paradigmi e destrutturandone il linguaggio, Ciregia enfatizza l’eloquenza degli oggetti che impiega per creare installazioni multimediali dalla forte carica simbolica. Nel suo lavoro i momenti della Grande Storia rivivono attraverso epifanie di vite individuali, dando vita ad una dimensione temporale interrotta e introspettiva. Tra i maggiori riconoscimenti è vincitore del Foam Talent di Amsterdam nel 2016, selezionato per la Biennale Jeune Création Européenne JCE a Montrouge nel 2016, vincitore di Giovane Fotografia Italiana nel Festival Fotografia Europea a Reggio Emilia nel 2016, menzione d’onore per l’Arte emergente del Premio Francesco Fabbri nel 2016, finalista di TU35 del Museo Pecci di Prato nel 2016. Le sue opere sono state esposte in mostre personali e collettive in Italia e all’estero, tra cui New York, Londra, Parigi, Galles, Roma, Milano, Torino, Zagabria, Amsterdam. Vive e lavora in Toscana.

Immagine di apertura: Paolo Ciregia, Senza titolo (Ideological loop), 2016

13
Nov

Le Nuove Frontiere della Pittura

Oltre 30 opere per oltre 30 artisti da 17 paesi:
questi i numeri dell’importante mostra,
a cura di Demetrio Paparoni, che si terrà alla Fondazione Stelline dal 16 novembre al 25 febbraio 2018.
Una grande esposizione internazionale:
la prima in Italia interamente incentrata sulle
nuove tendenze della pittura figurativa contemporanea

Alla Fondazione Stelline prosegue la stagione autunnale con un omaggio all’arte figurativa, confermandosi come uno dei punti di riferimento in Città per la valorizzazione dell’arte contemporanea. Dal 16 novembre 2017 al 25 febbraio 2018 si terrà Le Nuove Frontiere della Pittura, una mostra importante che la Fondazione ha prodotto e realizzato a cura di Demetrio Paparoni, uno dei più riconosciuti critici e curatori italiani.

«Questa mostra testimonia il ruolo che la Fondazione Stelline riveste nel dibattito artistico internazionale», ha dichiarato la presidente delle Stelline PierCarla Delpiano, «e l’attenzione che da sempre rivolge alle espressioni creative più significative dei nostri giorni».

Le Nuove Frontiere della pittura è la prima grande esposizione internazionale realizzata in Italia totalmente incentrata sulle nuove tendenze della pittura figurativa contemporanea. «Per quanto il ruolo giocato dalla pittura figurativa sia centrale nel panorama artistico attuale e per quanto esprima lo spirito del tempo non meno di altre forme espressive», precisa Paparoni, «le grandi mostre tendono a minimizzarne la portata, preferendo sempre includere un ristretto numero di dipinti figurativi, diluiti in un contesto multilinguistico che tende spesso a contenerne la portata».

Le Nuove Frontiere della Pittura presenta al pubblico italiano opere di Francis Alÿs, Michaël Borremans, Kevin Cosgrove, Jules de Balincourt, Lars Elling, Inka Essenhigh, Laurent Grasso, Li Songsong, Liu Xiaodong, Victor Man, Margherita Manzelli, Rafael Megall, Justin Mortimer, Paulina Olowska, Alessandro Pessoli, Daniel Pitín, Pietro Roccasalva, Nicola Samorì, Wilhelm Sasnal, Markus Schinwald, David Schnell, Dana Schutz, Vibeke Slyngstad, Anj Smith, Nguyê ̃n Thái Tuâ ́n, Natee Utarit, Ronald Ventura, Nicola Verlato, Sophie von Hellermann, Ruprecht von Kaufmann, Wang Guangyi, Matthias Weischer, Yue Minjun, Zhang Huan.

Molte delle opere esposte, realizzate negli ultimi anni da pittori nati in diverse parti del mondo perlopiù dopo il 1960, saranno di grande formato. Oltre a mettere in evidenza il carattere innovativo e l’incidenza che la pittura riveste oggi nello scenario artistico internazionale, la mostra si qualifica come un momento di riflessione sull’arte dei nostri giorni.

In occasione di questa esposizione, sarà pubblicato un catalogo edito da Skira che conterrà, oltre al saggio introduttivo del curatore e alle riproduzioni delle opere esposte, testi teorico- esplicativi sugli artisti e sulle opere scritti da Maria Cannarella, Pia Capelli, Elena Di Raddo, Alessandra Klimciuk, Tone Lyngstad Nyaas, Gianni Mercurio, Rischa Paterlini, Giulia Pra Floriani, Lorenzo Respi, Sabina Spada, Luigi Spagnol, Alberto Zanchetta e Giacomo Zaza.

Demetrio Paparoni è nato a Siracusa, Italia, nel 1954. Vive a Milano. Critico d’arte e curatore, ha fondato nel 1983 la rivista d’arte contemporanea “Tema Celeste” e l’omonima casa editrice, che ha diretto fino al 2000. Dal 1996 al 2008 ha insegnato Storia dell’Arte Moderna e Contemporanea presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Catania. Nel 2011 ha curato a Milano le mostre di Anish Kapoor e di Tony Oursler. Ha scritto tra l’altro testi per i cataloghi che hanno accompagnato mostre antologiche dedicate in Italia ad Andy Warhol, Keith Haring, Jean-Michel Basquiat, Edward Hopper, Roy Lichtenstein. È autore di numerosi libri e monografie, tra le quali quelle di Jonathan Lasker (2002), Chuck Close, (2002), Wang Guangyi (2013). Il suo libro “Il bello, il buono e il cattivo” (Ponte alle Grazie, Milano 2014) è un’esaustiva disamina su come la politica ha condizionato l’arte negli ultimi cento anni. Nel 2017 ha pubblicato “The Devil”, edito da 24 Ore Cultura.

LE NUOVE FRONTIERE DELLA PITTURA
a cura di Demetrio Paparoni
16 novembre 2017 – 25 febbraio 2018

Orario: martedì – domenica, h. 10.00-20.00 (chiuso il lunedì) Ingresso a pagamento: € 8 intero; € 6 ridotto
Fondazione Stelline, c.so Magenta 61, Milano
Info: fondazione@stelline.it | www.stelline.it

Fondazione Stelline
corso Magenta 61, 20123 Milano
tel. +39.02.45462.411 fondazione@stelline.it www.stelline.it

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10
Nov

Alejandro G. Iñárritu. CARNE y ARENA

Basato sul racconto di fatti realmente accaduti, il progetto confonde e rafforza le sottili linee di confine tra soggetto e spettatore, permettendo ai visitatori di camminare in un vasto spazio e rivivere intensamente un frammento del viaggio di un gruppo di rifugiati. “CARNE y ARENA” utilizza le più recenti e innovative tecnologie di realtà virtuale, mai usate prima, per creare un grande spazio multi-narrativo che include personaggi reali.

L’installazione visiva sperimentale “CARNE y ARENA” è un’esperienza individuale della durata di sei minuti e mezzo che ripropone la collaborazione tra Alejandro G. Iñárritu e il tre volte premio Oscar Emmanuel Lubezki con la produttrice Mary Parent e ILMxLAB.

“Nel corso degli ultimi quattro anni, mentre l’idea di questo progetto si formava nella mia mente, ho avuto il privilegio di incontrare e intervistare molti rifugiati messicani e dell’America centrale. Le loro storie sono rimaste con me e per questo motivo ho invitato alcuni di loro a collaborare al progetto” afferma il quattro volte premio Oscar Iñárritu. “La mia intenzione era di sperimentare con la tecnologia VR per esplorare la condizione umana e superare la dittatura dell’inquadratura, attraverso la quale le cose possono essere solo osservate, e reclamare lo spazio necessario al visitatore per vivere un’esperienza diretta nei panni degli immigrati, sotto la loro pelle e dentro i loro cuori”.

Come afferma Germano Celant, Soprintendente Artistico e Scientifico della Fondazione Prada, “Con ‘CARNE y ARENA’, Iñárritu rende osmotico lo scambio tra visione ed esperienza, nel quale si dissolve la dualità tra corpo organico e corpo artificiale. Nasce una fusione d’identità: un’unità psicofisica dove, varcando la soglia del virtuale, l’umano sconfina nell’immaginario e viceversa. È una rivoluzione comunicativa in cui il vedere si trasforma in sentire e in condividere fisicamente il cinema: una transizione dallo schermo allo sguardo dell’essere umano, con un’immersione totale dei sensi. Il progetto di Iñárritu incarna alla perfezione la vocazione sperimentale di Fondazione Prada e la sua continua ricerca di possibili scambi tra cinema, tecnologia e arte”.

L’installazione è accessibile al pubblico solo tramite prenotazione online.
È possibile prenotare un solo biglietto alla volta.
I biglietti sono nominali e non cedibili.
Nuovi biglietti saranno resi disponibili da lunedì 13 novembre 2017.

Alejandro G. Iñárritu. CARNE y ARENA
7 Giu 2017 – 15 Gen 2018

Fondazione Prada
largo Isarco, 2. 20139 Milano
T +39 02 56 66 26 34
press@fondazioneprada.org

Image Courtesy 2017 Legendary

01
Nov

Viviane Sassen. SHE

La Fondazione Sozzani, presenta “SHE” una mostra delle fotografie di Viviane Sassen.
Nata ad Amsterdam nel 1972, da più di vent’anni esplora con il suo lavoro ambiti differenti nella moda, nel ritratto, nelle arti visive, costruendo un suo personale codice visivo. Pervase da atmosfere misteriose, le fotografie di Viviane Sassen sono spesso segnate da ombre lunghe, silhouettes e contrasti netti. In bilico tra realtà e finzione, sembrano suggerire dimensioni stranianti, impenetrabili, ma che nascono dalla vita quotidiana. Alcuni lavori rivelano un richiamo all’inconscio e ricordano il surrealismo, con riferimenti al disordine e al disorientamento: come nelle posizioni anomale dei modelli che spesso richiamano la danza o la performance.

Viviane Sassen ha studiato Fashion Design a Utrecht (presso l’HKU) e fotografia al Dutch Art Institute di Atelier Arnhem, ma molti dei suoi colori surreali provengono dall’Africa, dove ha vissuto per tre anni da bambina, al seguito del padre medico.  “I miei ricordi dal Kenya erano molto visivi”, racconta Viviane “Ero una bimba sensibile con un’intensa immaginazione e captavo tutto quello che accadeva intorno a me”. Nel corso degli anni molte delle sue immagini più enigmatiche si sono slegate dal luogo fisici in cui sono state realizzate e viaggiano piuttosto sul confine tra veglia e sogno. Presente nel 2013 alla 55° Biennale di Venezia curata da Massimiliano Gioni, Viviane Sassen ha vinto numerosi premi e riconoscimenti tra cui l’Infinity Award dell’ICP di New York nel 2011 e il premio nazionale olandese Prix de Rome nel 2007. Per la mostra Umbra è stata candidata al Deutsche Börse Photography Prize nel 2015. Sassen ha intrapreso una carriera internazionale nella fotografia della moda, ma appartiene a una generazione di artisti-fotografi che non fanno una distinzione netta tra ricerca personale o lavoro commerciale e redazionale. Per lei la fotografia è quasi sempre personale. Le sue immagini sono state pubblicate in riviste come Purple, i-D, Dazed and Confused, Vogue e The New York Times Magazine, e in molte campagne pubblicitarie per Adidas, Stella McCartney, Miu Miu, Missoni, Bottega Veneta e Louis Vuitton. Nel 2009 ha esposto allo spazio Forma di Milano e nel 2008 al Museo FOAM di Amsterdam. Nel 2012 una grande retrospettiva del suo lavoro ha avuto luogo all’Huis Marseille Museum for Photography di Amsterdam, ai Rencontres d’Arles Festival, alla Scottish National Portrait Gallery di Edimburgo, al Savannah College of Art and Design in Georgia, USA; al Fotografie Forum di Francoforte, al Fotomuseum Winterthur, Svizzera. Con il suo lavoro “Umbra” è quest’anno presente al Museum of Contemporary Photography di Chicago e alla Deichtorhallen di Amburgo. Importanti mostre collettive nel 2011 sono state “New Photography” al Museum of Modern Art, New York; “No Fashion, Please!” alla Vienna Kunsthalle; e “Figure and Ground” presso il Museum of Contemporary Canadian Art di Toronto, parte del Contact Photography Festival.

La Fondazione Sozzani è un’istituzione culturale costituita a Milano da Carla Sozzani nel 2016 per la promozione della fotografia, della cultura, della moda e delle arti. La Fondazione ha assunto il patronato della Galleria Carla Sozzani e intende proseguire il percorso dell’importante funzione pubblica che la galleria svolge da 27 anni.

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13
Ott

Ugo La Pietra. Territori

In corso alla Galleria Bianconi di Milano la mostra “UGO LA PIETRA, TERRITORI”, seconda mostra personale che la galleria dedica a La Pietra nell’arco di un’anno e mezzo; più di 40  sono le opere esposte, realizzate dall’Artista tra il 1969 e il 2016.

In accordo con il concetto di Sinestesia delle arti, le tecniche che La Pietra utilizza e che sono qui rappresentate spaziano nei più diversi ambiti, dalla pittura su tela, al disegno, ai fotomontaggi e fotocollage, alle sculture in ceramica, talvolta anche combinate tra loro. Come scrive Giacinto di Pietrantonio nel testo critico del catalogo che accompagna la mostra, Ugo la Pietra “è un essere liquido che entra nei vari campi disciplinari con una libertà tale da prendere le forme di ciò che lo contiene, ma destabilizzandone le caratteristiche per proporne delle nuove. […]Si tratta di un continuo recupero e reinvenzione di tecniche e significati, a volte di riutilizzo e reimpiego alla ricerca di alternative dell’esistente per l’esistenza. In questo egli si serve della tecnica situazionista della dérive psicogeografica del corpo e delle immagini, o della progettazione spontanea che viene dal basso come nel caso degli orti urbani, microrealtà al di fuori dell’urbanizzazione cittadina.”

Tema fondante della mostra sono, come esplicitato dal titolo, i “Territori“ appunto, svolti ed esposti in questo contesto come in un percorso esplorativo che si snoda in differenti momenti ed ambiti: Centro/Periferia (1969/72), Tracce (1969), Pulizia Etnica (1988/89), Casa e giardino: la mia territorialità (2000), Itinerari (1990/2000), La città scorre ai miei piedi (2000), Rapporto Città / Campagna (2015/2016).

Da sempre l’ambiente, o meglio il rapporto fra individuo e luogo abitato, fra società e città, costituisce il fulcro della ricerca aristica di Ugo La Pietra, ciò che emerge evidente da questa mostra, come scrive Di Pietrantonio, “è l’osservazione critica di La Pietra, una critica militante e permanente dell’esistente, soprattutto di quell’abitare che provoca alienazione, distruzione, ingorgo, ignoranza. Come si evince dalle opere in mostra è interessante notare che ciò avviene con opere che vanno verso il centro. Va da se che il centro verso cui si va non è solo il centro cittadino, partendo dalla periferia, ma il centro poetico, il centro della soluzione verso il quale ogni poetica tende. Ciò avviene mediante opere-analisi che ci parlano di come i territori sono stati ridisegnati geograficamente ed esistenzialmente dalle guerre e dalla pulizia etnica, c’è addirittura chi ha scritto che le guerre sono progettualmente interessanti in quanto il loro distruggere, il loro fare tabula rasa permette poi di dover ricostruire, insomma offrono occasioni progettuali (sic!). Naturalmente non Ugo La Pietra le cui opere in proposito sono una critica alla guerra e ai suoi effetti alla sua deterritorializzazione, in quanto le guerre riscrivono i territori attraverso la morte, mentre bisognerebbe farlo con Ugo sempre con e per la vita.”

Completa il percorso espositivo la video-istallazione “Percorsi Urbani”, appositamente realizzata site-specific per il piano inferiore della Galleria da Lucio La Pietra. Ispirata al gioco del Pachinko e alla sua apparente “imprevedibilità”, l’opera riflette sul modo con cui noi abitiamo la città, come dice Lucio La Pietra in merito alla città: “noi pensiamo di poterla usare liberamente ma, in realtà, i nostri interventi su di essa, i nostri movimenti, i nostri itinerari, si limitano a poche e semplici scelte reiterate, delimitate da rigidi schemi. L’unico modo per poter muoversi liberamente e quindi possedere la città, prescindendo dagli schemi imposti, è farlo attraverso percorsi mentali e non fisici”.

La mostra prosegue alla Galleria Bianconi di Milano  fino al 28 ottobre 2017.Continue Reading..

26
Set

Silvia Celeste Calcagno. Il pasto bianco (mosaico di me)

In un rincorrersi di rimandi e citazioni, da The Naked Lunch (il pasto nudo), capolavoro letterario di William Burroughs alla libera e omonima versione cinematografica firmata da David Cronenberg, Silvia Celeste Calcagno mette a punto un nuovo importante progetto realizzato per la personale a cura di Davide Caroli negli spazi della Biblioteca Classense di Ravenna, nell’ambito della Biennale di mosaico. La mostra nasce in collaborazione con il MIC Museo Internazionale delle ceramiche in Faenza.

L’artista utilizza ancora una volta la ceramica, linguaggio con il quale ha da tempo trovato la sua cifra distintiva e originale ponendolo in dialogo con performance, installazione e fotografia. In questo caso l’indagine si arricchisce di un ulteriore elemento che chiama in causa il mosaico. Silvia Celeste Calcagno, che nel 2015 ha vinto il 59 Premio Faenza con Interno 8 La fleur coupée, composta da infinite tessere, aveva già intuito la potenzialità di questa espressione frammentaria, quasi un cut and up per riprendere ancora il riferimento a Burroughs e al suo modo sperimentale di utilizzare la scrittura. Mosaico come frammento, particolare infinitesimo, dove unendo le tessere si ricompone alla fine l’immagine, ma non la narrazione e neppure l’identità. E SCC lavora, da una parte con il consueto atteggiamento introspettivo, dall’altra con visceralità talora dura e spietata, sulla sua identità di donna, alle prese con l’eterna contraddizione tra corpo, oggetto costringente, limitato, e l’aspirazione a liberarsi dal peso, evadere dal limite, farsi altro. Corpo che è innanzitutto materia, e come tale viene trattato, eppure sfugge dalla tentazione descrittiva, a cominciare dalla rinuncia al colore. L’universo del “mosaico di me” è bianco, acromatico, inessenziale e sfuggente. Ogni volta che tenta l’ascesa verso l’alto, qualcosa di fisico lo riporta a terra. Ne intravvediamo solo i frammenti, altro non è dato. Da qui, dunque, il pasto bianco, installazione che ricompone tessere di corpo, un corpo che si pone innanzitutto come cibo, un banchetto cui chiunque potrà sedersi e mangiare, come nelle tavole imbandite dal maestro del cinema surreale Luis Bunuel. Dice SCC, “bianco come il colore della mia carne, privo del peso specifico di un corpo senza volto -che dunque perde l’identità dell’io per trasformarsi in archetipo- a pezzi, senza un luogo, perso nel vuoto, a volte protetto a volte sporcato dalla manipolazione e dal lavoro sul materiale”. Il pasto bianco, installazione site specific, copre come una pelle parte dello spazio attraverso lastre in gres di vari formati che sviluppano una tecnica che vede la fusione tra fotografia e materia. Altra installazione in mostra Una storia privata, ulteriore riflessione sul rapporto tra noi e gli altri, con segni ancor più sfuggenti e minimi, di un corpo destinato a lasciare la propria fisicità.Continue Reading..

22
Set

Nan Goldin.The Ballad of Sexual Dependency

Un diario visivo autobiografico e universale sulla fragilità degli esseri umani, che racconta di vita, sesso, trasgressione, droga, amicizia, solitudine. Un work in progress avviato agli inizi degli anni Ottanta, riconosciuto tra i capolavori della storia della fotografia.
Il Museo di Fotografia Contemporanea, per la prima volta in Italia, presenta The Ballad of Sexual Dependency della fotografa statunitense Nan Goldin (Washington, 1953), a cura di François Hébel.

Lo sguardo di Nan Goldin abbraccia ogni momento della propria quotidianità e del proprio vissuto. L’artista fotografa se stessa e le travagliate vicende dei suoi compagni, nella downtown di Boston, New York, Londra, Berlino, tra gli anni ’70 e ’80. La sua è una fotografia istintiva, incurante della bella forma, che va oltre l’apparenza, verso la profonda intensità delle situazioni, senza mediazione alcuna. Nella totale coincidenza del percorso artistico con le vicende di una biografia sofferta e affascinante, Nan Goldin ha indubbiamente creato un genere: studiate, utilizzate e imitate in tutto il mondo, le sue immagini sono un modello rimasto intatto fino a oggi.

L’installazione è costituita da una scenografia ad anfiteatro che accoglie il pubblico e consente la visione dell’opera, un video che viene proiettato ogni ora. Completano l’esposizione materiali grafici e alcuni manifesti originali, utilizzati per le prime performance di Nan Goldin nei pub newyorkesi.

Il video, della durata di 42 minuti, viene proiettato nei seguenti orari:
10.40 / 11.25 / 12.10 / 12.55 /
13.40 /14.25 / 15.10 / 15.55 /
16.40 / 17.25 /18.10 /18.55 / 19.40

La Triennale di Milano
Nan Goldin.The Ballad of Sexual Dependency
A cura di François Hébel
19 settembre – 26 novembre 2017

Foto© Nan Goldin, Trixie on the cot, New York City 1979

18
Set

Davide Monteleone e Danila Tkachenko

La Galleria del Cembalo, in occasione del centenario della rivoluzione d’ottobre, propone tre mostre distinte, due di Davide Monteleone e una di Danila Tkachenko, dedicate all’anniversario

Dal 22 settembre all’11 novembre, presso la Galleria del Cembalo (Palazzo Borghese) a Roma, le mostre The April Theses e The Russian East di Davide Monteleone, Ritual di Danila Tkachenko – in maniera apparentemente documentali le prime due, visionario-metaforica la terza – saranno dedicate al ricordo della “Rivoluzione d’ottobre”.

Davide Monteleone – The April Theses
Nel Marzo del 1917, Vladimir Ilyich Ulyanov (Lenin), leader del partito rivoluzionario Bolscevico lasciò la Svizzera, dove era stato esiliato. Otto mesi dopo assunse la leadership di 160 milioni di persone occupando 1/6 della superficie abitata del globo. Il 9 aprile 1917, con il supporto delle autorità Tedesche, all’epoca in guerra con la Russia, tornò nel paese natio su un treno, attraverso Germania, Svezia e Finlandia fino a raggiungere la Stazione Finlandese di San Pietroburgo il 16 aprile dove, dopo un decennio in esilio, prese in mano le redini della Rivoluzione Russa.
Un mese prima, lo Zar Nicola II era stato estromesso dal potere quando le Armate Russe si erano unite alla rivolta dei lavoratori a Pietrogrado, la capitale russa. In un documento a punti, conosciuto come “Le Tesi di Aprile”, Lenin chiede il rovesciamento del governo provvisorio e delinea la strategia che, nei sette mesi successivi, porterà alla Rivoluzione d’ottobre e darà il potere ai Bolscevichi. 100 anni dopo, Davide Monteleone ricrea la cronologia delle due settimane di vita di Lenin prima degli eventi che hanno cambiato per sempre la Russia e il resto del mondo.
Alla ricerca del documento originale de “Le Tesi di Aprile”, Monteleone ricostruisce, e a volte ricrea, in un viaggio fisicamente reale, il viaggio epico di Lenin, inspirato dai documenti d’archivio trovati al R.G.A.S.P.I. (Russian State Archive of Soviet Political History) e a libri storici che includono “To Finland Station” di Edmund Wilson e “The Sealed Train” di Michael Pearson. Il risultato finale è una collezione di paesaggi contemporanei, fotografia forense di archivio e auto-ritratti posati che ripercorrono un viaggio nel tempo e nello spazio. La mostra è composta da una selezione di stampe dal libro “The April Theses” (Postcart 2017) presentata sotto forma di installazione.

Davide Monteleone – In the Russian East
Ispirato al capolavoro di Richard Avedon “In the American West” (1985) e al continuo fascino della Transiberiana, Monteleone guarda alla Russia per interrogarsi sul futuro del paese. Emulando Avedon nella tecnica e nei contenuti, Monteleone crea un parallelismo geografico e temporale tra Stati Uniti e Russia in un momento storico incerto nelle relazioni tra i due paesi. Come Avedon, si concentra sulle persone semplici, lontane dai centri del potere e, come moderni Oblomov, disinteressati ad esso. I protagonisti dei ritratti (discendenti di cacciatori d’oro e di pellicce, figli di sopravvissuti ai gulag, Ebrei dell’Israele Siberiana e, persino, eredi di imperi millenari come i Buriati o i mongoli di Gengis Khan) diventano icone della Russia contemporanea.
Le mostre “The April Theses” e “In the Russian East” sono realizzate in collaborazione con la galleria Heillandi di Lugano.

Davide Monteleone (1974) è un artista e un visual journalist che lavora a progetti indipendenti a lungo termine, usando la fotografia, il video e la scrittura. Si è dedicato allo studio di tematiche sociali, esplorando il rapporto tra potere e individui. Noto per il suo interesse specifico per i paesi post-sovietici, ha pubblicato quattro libri su questo argomento: Dusha. Anima Russa(Postcart, 2007),La Linea Inesistente (Contrasto, 2009), Red Thistle (Dewi Lewis/Kehrer/Actes Sud/Peliti, 2012) e Spasibo (Kehrer, 2013). I suoi progetti gli hanno portato numerosi premi e grant, tra cui diversi World Press Photo, l’Aftermath Grant, lo European Publishers Award for Photography e il Carmignac Photojournalism Award. Contribuisce regolarmente alle principali pubblicazioni in tutto il mondo e i suoi progetti sono stati presentati come installazioni, mostre e proiezioni a festival e gallerie in tutto il mondo, tra cui il Nobel Peace Center di Oslo, la Saatchi Gallery di Londra, la MEP di Parigi e il Palazzo delle Esposizioni di Roma. È impegnato in attività educative, tiene regolarmente lezioni e seminari all’università e workshop internazionali.

Danila Tkachenko – Ritual
Il nuovo progetto di DanilaTkachenko nasce da una riflessione sul centenario dalla Rivoluzione Russa (1917-2017). L’autore rende tangibile e concreta la metafora di “bruciare tutto ciò che è caro” e, letteralmente, brucia i simboli dell’era che si lascia alle spalle, creando spazio libero per un futuro promettente.
Già gli artisti delle avanguardie all’inizio del ventesimo secolo misero in risalto e anticiparono i drammatici cambiamenti che si venivano a creare nella struttura sociale. Da ciò, la necessità di costruire il futuro sulla base di nuovi ideali: per raggiungere questa utopia, sembra suggerire Tkachenko, è indispensabile bruciare, cancellare, tutto ciò che è statico, legato al mondo precedente e che ostacola il nuovo modo di pensare.
Le strutture in fiamme sono fotografate in zone rurali, in un iconico “campo libero”, e la luce del crepuscolo lascia a chi osserva la domanda irrisolta se si tratti del tramonto del vecchio mondo o dell’alba della nuova era. Otto immagini sono presentate in anteprima assoluta.

Danila Tkachenko è nato a Mosca nel 1989. Dopo un lungo viaggio in India si appassiona alla fotografia e si iscrive alla Scuola di fotografia e arti multimediali Rodchenko, a Mosca. Il suo primo lavoro, Escape, dedicato agli eremiti nella natura selvatica russa, riceve il plauso delle giurie internazionali e viene pubblicato nel 2014 in un volume edito da Peperoni Books. Nel 2015 esce il volume Restricted Areas, edito in Italia da Peliti Associati, promotore del premio European Publishers Award for PhotographyContinue Reading..

15
Set

Lesley Foxcroft. New Works in m.d.f. and Rubber

La galleria A arte Invernizzi inaugura giovedì 21 settembre 2017 alle ore 18.30 una mostra personale di Lesley Foxcroft, in occasione della quale saranno esposte opere realizzate appositamente per gli spazi della galleria.

Nella prima sala del piano superiore si trovano lavori in gomma industriale, quali Folds e Knotted, materiale relativamente nuovo per l’artista inglese, che tuttavia lavora da sempre con materie prime semplici e basilari dall’uso fondamentalmente quotidiano – quali carta, cartoncino e MDF. In queste opere come anche nell’installazione Eye level, presente nel secondo ambiente del piano superiore, Foxcroft utilizza un linguaggio essenziale e rigoroso per manipolare la materia e creare forme non comunemente ad essa associate. La capacità di evidenziare delle caratteristiche del materiale meno note rispetto alle qualità che ne risultano evidenti dall’utilizzo quotidiano, appare evidente anche in Stacked o Milan corner e negli altri lavori esposti al piano inferiore della galleria e realizzati in MDF. Foxcroft riesce a combinare la flessibilità della materia prima in un equilibrio perfetto con la semplicità degli elementi funzionali – quali uncini, asole, morsetti o viti – tanto da creare una nuova entità, un nuovo insieme, che guida la percezione in modo nuovo, chiaro e logico-razionale.

In occasione della mostra verrà pubblicato un catalogo contenente la riproduzione delle opere in mostra, una poesia di Carlo Invernizzi e un aggiornato apparato bio-bibliografico.

Lesley Foxcroft. New Works in m.d.f. and Rubber
21 settembre – 8 novembre 2017
da lunedì a venerdì 10-13, 15-19
sabato su appuntamento
Inaugurazione: giovedì 21 settembre 2017 ore 18.30

A Arte Studio Invernizzi
via D. Scarlatti, 12 Milano
ingresso libero

Immagine: Lesley Foxcroft, Standpoint, 2015, MDF nero, 280×35 cm © A arte Invernizzi, Milano. Foto Bruno Bani, Milano

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Davide Balula. Iron levels

Sono affascinato dalla strumentazione e dalla tecnologia in generale…Credo nell’idea di un corpo “prolungato”. Sappiamo così poco, percepiamo così tanto.
—Davide Balula

Gagosian è lieta di presentare “Iron Levels”, una mostra di nuove opere dell’artista francese Davide Balula. Surreale, spiritoso e impegnato, il lavoro di Balula esamina l’interrelazione tra filosofia, fenomenologia e fisica.

Per la galleria di Roma, l’artista ha creato un percorso esperienzale direttamente collegato all’architettura dello spazio. All’ingresso, i visitatori sono invitati ad attraversare un metal detector, strumento di indagine e controllo ormai onnipresente che tramuta gli oggetti personali in materiale sospetto e potenzialmente minaccioso. Il suo fine è rivelare  il metallo e il materiale non-corporeo che portiamo con noi ogni giorno—chiavi, monete, cellulare—e che consideriamo abitualmente come un’estensione di noi stessi, fungendo quindi da portale che separa lo spazio idealizzato della galleria dal mondo esterno.

Nella prima sala il visitatore è invitato a prendere in mano una sfera di acciaio. Il suo contenitore, scolpito da artigiani locali in pietra calcarea, rievoca la morbidezza e le curve della pelle e la resa anatomica dei Maestri scultori italiani.

La sfera e il suo supporto esplorano l’equilibrio gravitazionale tra il corpo e la Terra, invitando a riflettere sul peso, la massa e la densità.

La sala ovale ospita una nuova serie dei noti Burnt Paintings di Balula, realizzati appositamente per l’ampia curva della parete principale. Queste opere presentano due elementi binari: uno contiene il residuo di carbone che resta dal legno bruciato, e l’altro l’impronta su tela lasciata dallo stesso carbone. In gruppi di due, tre o quattro elementi per opera, questi “dipinti” vivono in una stretta relazione di positivo e negativo, come nella fotografia o nel processo di stampa. Il processo di creazione del carbone è lento e continuo con un graduale aumento e diminuzione della temperatura, in modo che il legno non diventi cenere ma possa essere bruciato ancora. I Burnt Paintings esaminano la ciclica, quasi alchemica, trasformazione di energia in natura, fenomeno fondamentale nel lavoro di Balula.

Davide Balula è nato nel 1978 a Vila Dum Santo, Portogallo e vive e lavora tra New York e Parigi. Il suo lavoro è incluso nelle collezioni del Centre Georges Pompidou, Parigi; Fonds National d’Art Contemporain, Parigi; Musée d’Art Contemporain du Val–de–Marne, Vitry–sur–Seine, Francia; Fonds Régional d’Art Contemporain Poitou–Charentes, Francia; e Fonds Régional d’Art Contemporain Provence–Alpes Côte d’Azur, Francia. Tra le personali recenti si annoverano :  “Sirène du Mississipi”, Musée de l’Objet, Blois & Ecole des Beaux Arts de Châteauroux & Bourges, Francia (2007); “Endless Pace”, Museums Quartier Vienna, Austria (2007); e “La main dans le texte”, Prix Marcel Duchamp, FIAC, Parigi (2015). Balula parteciperà alla prossima Biennale de Lyon nel settembre di quest’anno.

*English below

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