Category: arte digitale

22
Ago

UNKNOWN UNKNOWS, quello che non sappiamo di non sapere

La mostra tematica, a cura di Ersilia Vaudo, astrofisica e Chief Diversity Officer dell’Agenzia Spaziale Europea, è il centro nevralgico della 23ª Esposizione Internazionale, concepita come uno spazio di dibattito e confronto aperto e plurale, dove possano convergere esperienze, culture e prospettive differenti. Unknown Unknowns cerca di rispondere ad una serie di domande su quello che ancora “non sappiamo di non sapere” in diversi ambiti: dall’evoluzione della città agli oceani, dalla genetica all’astrofisica. Un’esperienza profonda, che coinvolgendo designer, architetti, artisti, drammaturghi e musicisti, dà la possibilità di rovesciare la nostra idea di mondo. 

Un percorso dai contorni sfumati e permeabili che presenta più di cento tra opere, progetti e installazioni di artisti, ricercatori e designer internazionali che si confrontano con l’ignoto.

Unknown Unknowns affronta una serie di tematiche tra cui la gravità, considerata “il più grande designer”, un artigiano che modella instancabilmente l’universo cui apparteniamo; le mappe, sistemi attraverso cui orientare traiettorie e percorsi; le nuove sfide della architettura, che si apre a prospettive inedite come quella di abitare lo spazio extraterrestre; fino ai misteri legati allo spazio profondo.

La mostra tematica comprende quattro special commission che Triennale ha affidato all’artista giapponese Yuri Suzuki, alla designer italiana Irene Stracuzzi, al collettivo di architetti statunitensi SOM, e all’artista turco-americano Refik Anadol. Oltre alle opere commissionate, la mostra include una serie di installazioni site specific, tra cui quelle realizzate da Andrea Galvani, Tomás Saraceno, Bosco Sodi, Protey Temen, Julijonas Urbonas e Marie Velardi. 

Lungo il percorso espositivo sono inoltre presenti quattro Listening Chambers, spazi in cui il suono si fa parola e il visitatore può abbandonarsi alle narrazioni di grandi personalità del mondo scientifico. E così il neuroscienziato Antonio Damasio affronta il tema del sé e della coscienza, il fisico teorico Carlo Rovelli quello del tempo, il filosofo della biologia Telmo Pievani riflette sull’origine della vita, la fisica teorica Lisa Randall sul mistero di ciò che sta al di là dei nostri sensi.

Nell’ottica del riuso e della sostenibilità, l’allestimento della mostra tematica – progettato da Space Caviar e realizzato da WASP – è interamente creato attraverso la stampa 3D. È stato prodotto negli spazi di Triennale da grandi stampanti, sviluppate per questa specifica applicazione architettonica, utilizzando solo materiali di origine naturale, e in gran parte derivati da sottoprodotti dell’industria agroalimentare.

 

Antonio Fiorentino, Dominium Melancholiae, 2014
Courtesy of Antonio Fiorentino e Villa Arson, Nice (France)
Photo: Jean Brasille

Gaia’s stellar motion for the next 400-thousand years
Copyright: ESA/Gaia/DPAC; CC BY-SA 3.0 IGO. Acknowledgement: A. Brown, S. Jordan, T. Roegiers, X. Luria, E. Masana, T. Prusti and A. Moitinho

 

Curatrice:
Ersilia Vaudo

Exhibition project:
Space Caviar, Wasp

Unknown Unknowns
15 luglio – 11 dicembre 2022
Triennale di Milano

Cover Image:The complex terrains of Saturn’s icy-moon Enceladus Credit; NASA/JPL-Caltech

10
Mag

Last Whispers di Lena Herzog

Last Whispers: Immersive Oratorio for Vanishing Voices, Collapsing Universes and a Falling Tree di Lena Herzog, fotografa e artista americana, è un progetto incentrato sulla tematica dell’estinzione di massa delle lingue.

L’iniziativa, promossa dall’UNESCO, è a cura di Silvia Burini, Maria Gatti Racah, Giulia Gelmi, Anastasia Kozachenko-Stravinsky (Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali – DFBC).

Ogni due settimane il mondo perde una lingua. A una velocità inedita, maggiore di quella dell’estinzione di alcune specie, la nostra diversità linguistica – forse il mezzo più importante della conoscenza di sé – si sta erodendo.

Ad oggi, delle 7.000 lingue superstiti sulla Terra, solo 30 sono usate dalla maggioranza della popolazione. Si stima che almeno la metà delle lingue attualmente parlate sarà estinta entro la fine del secolo. Altre fonti prevedono tempi di sparizione ancor più rapidi. 

Nel tentativo di sensibilizzare in ordine a questo problema, l’Assemblea Generale dell’ONU e l’UNESCO hanno dichiarato il 2022-2032 “Decennio Internazionale delle Lingue Indigene”.

Last Whispers è una composizione sonora spazializzata che unisce discorsi, canzoni, incantesimi e canti rituali con suoni e immagini della natura e frequenze provenienti dallo spazio. Il risultato è un lavoro corale, profondamente moderno e tradizionale al contempo, dedicato al tema dell’estinzione delle lingue su scala globale.

Quest’estinzione è, per definizione, silenziosa, perché è proprio il silenzio la forma che essa assume. Last Whispers dà voce a ciò che è stato ridotto al silenzio: mentre affoghiamo nel rumore delle nostre voci – espressione dei sistemi culturali e linguistici dominanti – siamo circondati da uno sconfinato oceano di silenzio.

Il panorama immersivo di Last Whispers è un’invocazione alle lingue estinte e un incantesimo per quelle a rischio.

Con il generoso sostegno della Jim & Marilyn Simons Foundation, Herzog ha selezionato registrazioni provenienti dall’Endangered Languages Documentation Programme della SOAS University di Londra (ora conservate alla Berlin-Brandenburg Academy of Sciences and Humanities), dalla Smithsonian Institution, dal progetto “Rosetta” e da oltre una dozzina tra i più grandi archivi linguistici del mondo. 

Lena Herzog è una fotografa e un’artista americana, multidisciplinare e concettuale, di origini russe che vive a Los Angeles. Il suo lavoro, riconosciuto a livello internazionale, affronta i temi della ritualità e del gesto, della perdita e della dislocazione. Il suo approccio nasce dall’intersezione tra arte e scienza, intese sia come oggetto di studio che come processo. Nei lavori a stampa Herzog utilizza tecniche fotografiche tradizionali, contemporanee e sperimentali, mentre per i progetti multimediali l’artista impiega tecnologie all’avanguardia nel suono, nell’installazione immersiva e nella realtà virtuale.

La sensibilità artistica di Herzog nell’affrontare le tematiche connesse alla sostenibilità globale, nonché la sua minuziosa e strutturata ricerca documentaria, rendono particolarmente significativa la presentazione del progetto Last Whispers al pubblico veneziano e internazionale.

Last Whispers sarà presentato all’Università Ca’ Foscari Venezia da aprile a settembre 2022, in tre momenti distinti:

  • Una versione immersiva in realtà virtuale potrà essere fruita individualmente, con visori e cuffie, dal 21 aprile al 30 luglio nella Tesa 1 di Ca’ Foscari Zattere – CFZ. Ogni visitatore sarà dotato di un set, che verrà sanificato dopo ogni uso.
  • Un’installazione site-specific di immagini tratte dal progetto sarà esposta nel cortile principale di Ca’ Foscari e aperta al pubblico dal 21 aprile al 30 settembre.
  • Una proiezione audiovisiva del lavoro, su grande schermo, sarà presentata nel cortile centrale di Ca’ Foscari come evento principale dell’edizione di Art Night 2022, che si terrà il 18 giugno.

 

ART NIGHT: LAST WHISPERS – PROIEZIONE AV
18 giugno 2022
apertura ore 18:00 / proiezione ore 21:00
Cortile centrale di Ca’ Foscari
Palazzo Ca’ Giustinian
Dorsoduro 3246

FG COMUNICAZIONE – Venezia 
Davide Federici 
——————————–
info@fg-comunicazione.it
+39 331 5265149
www.fg-comunicazione.it

Ufficio Comunicazione e Promozione di Ateneo
Area Comunicazione e Promozione Istituzionale e Culturale
Università Ca’ Foscari Venezia
T 041 234 8368
comunica@unive.it

15
Mar

ICONOPLAST, progetto transdisciplinare di Sara Bonaventura ed Elisa Muliere

È importante sapere quali storie creano mondi,
quali mondi creano storie”.
Donna Haraway

ICONOPLAST è un progetto transdisciplinare delle artiste Sara Bonaventura ed Elisa Muliere, in collaborazione con Madelon Vriesendorp, artista olandese e co-fondatrice dello studio OMA, a cura di Adiacenze e Anna Rosellini. ICONOPLAST è il racconto di un mondo e di un tempo altro, una speculazione sul futuro del materiale più iconico del nostro tempo: la plastica. A partire dall’ispirazione del lavoro di Vriesendorp, Bonaventura e Muliere si inoltrano nell’immaginazione di uno scenario post-umano, in cui la contaminazione e la mescolanza tra organico e artificiale sono i principi generativi di una nuova specie che si compone e si nutre di scarti di plastica. È un futuro senza esseri umani. Modalità alternative di collaborazione tra le specie e i rifiuti dell’Antropocene sono sorte in una naturale propensione a ripopolare il pianeta. È un futuro di plastica. Non più materia inerte, oggetto di scena dell’attività umana, ma presupposto creativo di nuova vita, soggetto attivo, corpo vivente e partecipe delle dinamiche terrestri.

Nello stadio germinale di questa nuova era, i batteri hanno riconvertito le microplastiche presenti nelle acque del pianeta in petrolio, per poi crescere, proliferare e svilupparsi in simbiosi con questo in organismi sintetici. La vita scaturisce quindi da un ambiente liquido, come l’originario “fluido cosmico nel cui seno tutto comunica, tutto si tocca e tutto si estende” (Emanuele Coccia). È lo scenario dell’opera di Sara Bonaventura, in cui l’artista narra la genesi di questa nuova specie attraverso un video che oscilla tra il documentario scientifico e il racconto mitico, archetipico, dell’evoluzione della vita sulla Terra a partire da una visione microscopica. È forse per quella “sensuale curiosità molecolare” o per quell’“appetito insaziabile” (Donna Haraway) proprio di tutti i viventi, che le comunità microbiche marine si sono unite in un intreccio simbiotico alle microplastiche, trovando del potenziale vitale là dove questo sembrava essersi esaurito. “Le creature si penetrano a vicenda”, scrive la Haraway, “si riavvolgono l’una attorno all’altra e l’una attraverso l’altra, si mangiano, fanno indigestione, si digeriscono in parte e in parte si assimilano a vicenda, e così definiscono degli ordini simpoietici altrimenti noti come cellule, organismi e assemblaggi ecologici”. Allo stesso modo, nell’ICONOPLAST di Bonaventura i microrganismi sono tutti tesi verso una ricerca di intimità e complicità con altre specie e oggetti: a guidarli è la loro attitudine all’interconnessione, a creare spazi di comunicazione e parentele (kin) impreviste.

Dalla dimensione cellulare e informe, le creature di ICONOPLAST emergono dal loro caldo ‘brodo primordiale’ per occupare il pianeta in un inarrestabile slancio vitale. Sono le sculture di Elisa Muliere, che nella sua personale narrazione schizza avanti in un tempo ancora più lontano, verso un nuovo stadio evolutivo. I suoi sono esseri sinuosi, soffici, colorati. Nella loro piacevolezza avvicinano, invitano all’incontro tattile con la loro pelle-pellicola sintetica. I loro corpi sono rigonfi di materia plastica di scarto che qui informa tessuti, muscoli, organi. Tra loro instaurano continui scambi e configurazioni sempre aperte. Si riproducono incessantemente. Si espandono in tutte le direzioni, come fanno le radici nel sottosuolo e le foglie nell’atmosfera per estrarre dal mondo il maggiore nutrimento possibile. Compongono una cosmogonia tentacolare e rizomatica, gioiosa e libera, che va oltre qualsiasi schema riproduttivo binario e chiuso generando una confusione quasi estatica.

Nello spazio espositivo, i due tempi di ICONOPLAST si abbracciano e si intrecciano a formare un ambiente sensuale, mutevole e pulsante, in pieno fermento vitale. Un habitat ancestrale e futuristico insieme che invita all’immersione come anche al gioco, allo stupore. È solo dopo vari passi al suo interno che lo spettatore percepisce il cortocircuito in atto tra la fascinazione e la curiosità iniziale della scoperta di una nuova specie e un certo disagio, uno spaesamento, di fronte alla presa di coscienza della sua assenza e impossibilità di azione in questo futuro che non gli appartiene più. Al tempo stesso, la storia di ICONOPLAST è il tentativo, per Bonaventura e Muliere, di ribaltare punto di vista, di suggerire una narrazione del futuro alternativa allo scenario oscuro, desolante e minaccioso dell’Antropocene. Infatti, la prospettiva qui non è tanto quella del genere umano, presunto regista della vita sulla Terra, quanto piuttosto di quel ‘microcosmo’ che ci precede in termini evolutivi e che, se ci estinguessimo, “sarebbe pronto a espandersi e a modificare se stesso e il resto del mondo senza di noi, come ha già fatto in passato”, come scrive Lynn Margulis. Le artiste ricorrono così alla parabola dell’evoluzione per riconoscere la superiorità creativa di organismi come batteri e vegetali che, nell’elaborare soluzioni evolutive collaborative, sono in grado di abitare e proliferare in ambienti ostili alla vita. ICONOPLAST è metafora di questi altri mondi e altri modi di generare vita e di sopravvivere nella mescolanza. Non è spazio di sovranità, esclusivo, ma luogo della coabitazione e del con-divenire in solidarietà tra organismi viventi e non.

ICONOPLAST è un esperimento di immaginazione in cui si fondono realtà, fatto scientifico, speculazione filosofica e fare artistico. Gli interventi di Bonaventura e Muliere sono solo il primo capitolo di un progetto in fieri che si apre all’ibridazione tra discipline, saperi e competenze eterogenee per farsi terreno fertile di relazione e di invenzione di inedite narrazioni sul futuro del pianeta e della plastica. Immaginare tempi e scenari possibili è la modalità con cui le artiste invitano a riconsiderare la posizione di privilegio dell’essere umano sulla Terra, forma di costruzione attiva di una nuova sensibilità nei confronti di altre specie e oggetti con cui condividiamo più o meno consapevoli lo spazio in cui viviamo.

Testo di Giorgia Tronconi

ICONOPLAST
Sara Bonaventura ed Elisa Muliere con la partecipazione di Madelon Vriesendorp
a cura di Adiacenze e Anna Rosellini
12 marzo – 24 aprile 2022
Sala Ronchini, Museo CAOS, Terni
Sponsor tecnici: Bazzica, Beaulieu Fibres International Terni, Enycs, Faroplast, Lucy Plast
Con il supporto di: Le Macchine Celibi
Partner: La Romita School of Art, HackLab Terni

 

22
Apr

STILL – Studies on Moving Images

Fondazione In Between Art Film is pleased to launch the first chapter of STILL – Studies on Moving Images, a research platform for specially commissioned texts investigating the field of artists’ moving images.

Through essays and conversations, the project explores works belonging to the Foundation’s collection and the practice of those artists whose works have been commissioned or supported.

The first manifestation of STILL – Studies on Moving Images is an online collection of texts that are released four times a year. Each release consists of four studies:

–”Double Exposure” features a conversation between an artist and an art writer
–”Cross-cutting” offers a ground-breaking theoretical essay
–”Close-Up” is an in-depth analysis of a selected work of art
–”First Look” examines a work that has been recently acquired by the Foundation.

At the end of each year, the four chapters will be collected in a book published by Mousse Publishing.

Thanks to the collaboration with international artists, writers, curators, and researchers, this project is conceived as an integral part of the mission of the Foundation in promoting the culture associated with moving images, with the desire to contribute to the literature and knowledge surrounding the work of artists whose vision enriches and inspires our work.

The 2021 edition of STILL – Studies on Moving Images will see contributions by:

Lucia Aspesi, Assistant Curator, Pirelli HangarBicocca, Milan
Erika Balsom, Reader in Film Studies, King’s College, London
Ferran Barenblit, Director, MACBA: Museu d’Art Contemporani de Barcelona
Richard Birkett, independent curator and writer
Zoe Butt, Artistic Director, the Factory Contemporary Arts Centre, Ho Chi Minh City
Barbara Casavecchia, writer and contributing editor, frieze; curator, The Current III, TBA21 Academy
Teresa Castro, Associate Professor in film studies, Université Sorbonne Nouvelle, Paris
Flavia Frigeri, Art historian and Chanel Curator for the Collection, National Portrait Gallery, London
Karen Irvine, Chief Curator and Deputy Director, Museum of Contemporary Photography at Columbia College, Chicago
Nora N. Khan, writer, professor at RISD in Digital + Media; editor and curator
Mason Leaver-Yap, Associate Curator, KW Institute for Contemporary Art, Berlin
Hammad Nasar, Senior Research Fellow, Paul Mellon Centre for Studies in British Art; co-curator, British Art Show 9 at the Southbank Centre
Bonaventure Soh Bejeng Ndikung, Founder and Artistic Director, SAVVY Contemporary, Berlin
Pavel Pyś, Curator of Visual Arts, Walker Art Center, Minneapolis
Valentine Umansky, Curator of International Art, Tate Modern, London
Yang Beichen, curator and scholar

With artists Yuri Ancarani, Hiwa K, Cyrill Lachauer, Clare Langan, Cristina Lucas,Diego Marcon, Shirin Neshat, Thao Nguyen Phan, Adrian Paci, Hetain Patel, Hito Steyerl, and Wang Tuo.

The first chapter of STILL features a conversation between artist and filmmaker Shirin Neshat and Valentine Umansky, an essay by Pavel Pyś that explores visual technologies and representation, an in-depth analysis of Cristina Lucas’ three-channel installation Unending Lightning (2015-ongoing) by Ferran Barenblit, and a text by Yang Beichen examining Wang Tuo’s video The Interrogation (2017).

Developed by the team of Fondazione In Between Art Film, STILL is conceived by Alessandro Rabottini, Artistic Director and edited with Bianca Stoppani, Editor, together with Leonardo Bigazzi and Paola Ugolini, Curators.

Coordination: Alessia Carlino, Project Manager

Design: Mousse Agency

Fondazione In Between Art Film
Fondazione In Between Art Film fosters dialogue between the different artistic languages of our time, mapping new borderlands between video, cinema, and performance.

Created at the initiative of its president Beatrice Bulgari, the foundation supports the work of artists and institutions that explore the field of the moving image through exhibitions, new productions, and international partnerships.

The Foundation carries on the work of the production company In Between Art Film, founded in 2012, which forged partnerships with major projects and institutions such as the 55th International Art Exhibition of La Biennale di Venezia, MAXXI in Rome, Tate Modern in London, Documenta 14, Manifesta 12, miart in Milan, Centre d’Art Contemporain in Geneva, Lo schermo dell’arte in Florence, Dhaka Art Summit, and Loop Barcelona.

STILL – Studies on Moving Images

inbetweenartfilm.com
Instagram

Cover Image: Wang Tuo, The Interrogation, 2017. Single-channel HD video, 18:35 minutes. Courtesy of the artist and Fondazione In Between Art Film Collection

 

02
Mar

ZERO IS INFINITY

Yayoi Kusama Museum is delighted to announce its first major group exhibition, ZERO IS INFINITY, ZERO and Yayoi Kusama, featuring Kusama’s activity in Europe during the 1960s, introducing ZERO’s art practices and also exploring their relationship with Kusama.

“ZERO” indicated in a narrow sense the name of the group formed by Mack and Piene in 1958 in Düsseldorf, Germany, with Günther Uecker later joining in 1961. However, by publishing the magazine ZERO and holding many exhibitions, ZERO’s activity began to involve many active artists, groups and movements from various places in Europe: Yves Klein from France, Piero Manzoni and Enrico Castellani from Italy, and Henk Peeters and Jan Schoonhoven, founding members of Dutch avant-garde group Nul from the Netherlands. Like the resetting of the European continent separated under World War II, ZERO has been a powerful motivation for transnational collaboration between avant-garde artists.

At the time, Yayoi Kusama was based in New York and participated in many exhibitions along with other leading artists of Pop art and Minimalism. While she received high acclaim from the New York art world, she regularly presented her art across Europe, in particular at exhibitions led by ZERO, attracting attention in the European art scene in the 1960s. Kusama’s first invitation to the European exhibitions was for Monochrome Painting (Monochrome Malerei), curated by Udo Kultermann, and held at Morsbroich Museum, Leverkusen in 1960. After participating in this international exhibition, Kusama started correspondence with ZERO artists such as Peeters. Kusama’s pursuit of “Infinity” through her art finds various similarities with artistic expressions in the works of ZERO artists: in their experiments with new materials such as mirror, repetitions of single motifs, pursuit of monochrome and their orientations towards environment art and performance.

In this context, ZERO IS INFINITY explores the transnational developments in Kusama’s and ZERO’s activities during the 1960s, by showcasing their works and documentation materials. The group show displays a work from Infinity Nets, Kusama’s monochrome painting series, a series shown in Europe for the first time at the above-mentioned exhibition in 1960. The newest work in her Infinity Mirror Rooms series, Longing for Infinite Heaven, as well as a reproduction of Christian Megert’s Mirror Wall (Spiegelwand) installation are also presented. Other highlights of the exhibition include another Kusama installation, Narcissus Garden,which was first presented in the 33rd Venice Biennale in 1966 with financial support from Lucio Fontana, who also exhibits an artwork from his signature series Spatial Concept (Concetto Spaziale) at this show.Continue Reading..

27
Nov

Kate Crawford |Trevor Paglen: Training Humans

“Training Humans”, conceived by Kate Crawford, AI researcher and professor, and Trevor Paglen, artist and researcher, is the first major photography exhibition devoted to training images: the collections of photos used by scientists to train artificial intelligence (AI) systems in how to “see” and categorize the world.

In this exhibition, Crawford and Paglen reveal the evolution of training image sets from the 1960s to today. As stated by Trevor Paglen, “when we first started conceptualizing this exhibition over two years ago, we wanted to tell a story about the history of images used to ‘recognize’ humans in computer vision and AI systems. We weren’t interested in either the hyped, marketing version of AI nor the tales of dystopian robot futures.” Kate Crawford observed, “We wanted to engage with the materiality of AI, and to take those everyday images seriously as a part of a rapidly evolving machinic visual culture. That required us to open up the black boxes and look at how these ‘engines of seeing’ currently operate”.

“Training Humans Symposium” took place on Saturday 26 October at 2.30 pm, engaging with the exhibition. The event involved Prof. Stephanie Dick (University of Pennsylvania), Prof. Eden Medina (MIT), Prof. Jacob Gaboury (University of California, Berkeley), along with the project curators Kate Crawford and Trevor Paglen. Putting the ideas in the exhibit in conversation with their path-breaking work, the speakers examined questions such as: where are the boundaries between science, history, politics, prejudice and ideology in artificial intelligence? And who has the power to build and benefit from these systems?

“Training Humans” explores two fundamental issues in particular: how humans are represented, interpreted and codified through training datasets, and how technological systems harvest, label and use this material. As the classifications of humans by AI systems becomes more invasive and complex, their biases and politics become apparent. Within computer vision and AI systems, forms of measurement easily – but surreptitiously – turn into moral judgments.

Of import to Crawford and Paglen are classificatory taxonomies related to human affect and emotions. Based on the heavily criticized theories of psychologist Paul Ekman, who claimed that the breadth of the human feeling could be boiled down to six universal emotions, AI systems are now measuring people’s facial expressions to assess everything from mental health, whether someone should be hired, to whether a person is going to commit a crime. By looking at the images in this collection, and see how people’s personal photographs have been labeled, raises two essential questions: where are the boundaries between science, history, politics, prejudice and ideology in artificial intelligence? And who has the power to build and benefit from these systems?
As underlined by Crawford, “There is a stark power asymmetry at the heart of these tools. What we hope is that “Training Humans” gives us at least a moment to start to look back at these systems, and understand, in a more forensic way, how they see and categorize us.”

The exhibition will be accompanied by an illustrated publication in the Quaderni series, published by Fondazione Prada, including a conversation between Kate Crawford and Trevor Paglen on the complex topics addressed in their project.

English below

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10
Ott

Musja. The Dark Side – Who is afraid of the Dark?

Christian Boltanski, Monica Bonvicini, Monster Chetwynd, Gino De Dominicis, Gianni Dessì, Flavio Favelli, Sheela Gowda, James Lee Byars, Robert Longo, Hermann Nitsch, Tony Oursler, Gregor Schneider, Chiharu Shiota

Curated by Danilo Eccher

Musja, the exhibition space in via dei Chiavari 7 in Rome presided over by Ovidio Jacorossi, becomes a private museum with the opening on October 9 of Who is afraid of the Dark?, the first exhibition within The Dark Side project, a three year programme curated by Danilo Eccher.

The vast art collection owned by Jacorossi, covering the period from the early 19th century Italian to the present, will be flanked by the most innovative contemporary trends in the international panorama in order to highlight the fundamental contribution of art to personal and collective growth. The new museum also sets out to become established as a focus for the development of civil society in Rome, and to carry forward cultural commitment, and dialogue with international public and private institutions and museums.

The complex thematic setting of The Dark Side project is organized into three exhibitions spread over three years, and dedicated to: “Fear of the Dark,” “Fear of Solitude,” and “Fear of Time.” The first event in the new exhibition programme—“Fear of the Dark”—brings together 13 of the most important international artists with large site-specific installations and large-scale artworks by established artists, such as Gregor Schneider, Robert Longo, Hermann Nitsch, Tony Oursler, Christian Boltanski, James Lee Byars as well as new protagonists on the contemporary art scene such as Monster Chetwynd, Sheela Gowda, and Chiharu Shiota. There is a substantial Italian component with works and installations by Gino De Dominicis, Gianni Dessì, Flavio Favelli, Monica Bonvicini. During the opening of the exhibition, and thereafter at monthly intervals, there will be a performance by “Differenziale Femminile,” a group of four actresses, in the rooms of the gallery.

The majority of the site-specific works will be produced especially for the exhibition, while others are loans from various institutions, galleries and some others are part of the Jacorossi collection. All of them were selected for their power to draw the viewer in and encourage reflection on the topic while, at the same time, introducing some essential aspects of current contemporary art research. Visitors will be able to analyse their own reactions to sensory and tactile experiences, theatrical and magical visions, rituals and settings, anxieties that take different and unexpected forms only to melt away.

The catalogue accompanying the exhibition, published by Silvana Editoriale, contains a wealth of images by all the participating artists as well as written contributions. In addition to Danilo Eccher’s contribution, there are also some intellectually complex views on the theme of the dark by theologian Gianfranco Ravasi, theoretical physicist Mario Rasetti, psychiatrist Eugenio Borgna and philosopher Federico Vercellone. Different points of view, cross-cutting approaches, intellectual fields that diverge, overlap and are interwoven, give the project much greater scope than a standard art exhibition.

In the course of the exhibition, Musja will also be holding a series of meetings on the theme, coordinated by Federico Vercellone, professor of Aesthetics in the Department of Philosophy at Turin University.

The Dark Side – Who is afraid of the Dark?
October 9, 2019–March 1, 2020

Musja
via dei Chiavari 7
Rome
Italy

Image artwork by Gino De Dominicis, Jacorossi collection

15
Mar

Manifesto. Julian Rosefeldt

L’architettura del Palazzo delle Esposizioni viene ridisegnata dall’installazione Manifesto di Julian Rosefeldt articolata in 13 grandi schermi con storie diverse che, di tanto in tanto, si accordano nella potenza di una voce corale.

L’opera, apparsa per la prima volta nel 2015, rende omaggio alla tradizione toccante e alla bellezza letteraria dei manifesti artistici del Novecento, mettendo allo stesso tempo in discussione il ruolo svolto dalla figura dell’artista nella società contemporanea. Per ciascuna delle 13 proiezioni, Rosefeldt ha creato un collage di testi attingendo ai manifesti di futuristi, dadaisti, Fluxus, suprematisti, situazionisti, Dogma 95 e di altri collettivi o movimenti o alle riflessioni individuali di artisti, danzatori e registi come Umberto Boccioni, Antonio Sant’Elia, Lucio Fontana, Claes Oldenburg, Yvonne Rainer, Kazimir Malevich, André Breton, Elaine Sturtevant, Sol LeWitt, Jim Jarmusch, Guy Debord, Adrian Piper, John Cage.

Ogni stazione presenta una diversa situazione incentrata, ad eccezione del prologo, su undici diversi personaggi femminili e su uno maschile: un senzatetto, una broker, l’operaia di un impianto di incenerimento dei rifiuti, una CEO, una punk, una scienziata, l’oratrice a un funerale, una burattinaia, la madre di una famiglia conservatrice, una coreografa, una giornalista televisiva e un’insegnante, tutte figure interpretate dall’attrice australiana Cate Blanchett. È lei a infondere nuova linfa drammatica alle parole dei manifesti che risuonano in contesti inaspettati.Nel suo complesso, l’opera si presenta come un “manifesto dei manifesti”, che l’artista definisce una sorta di call to action contemporanea, nella quale il significato politico è verificato alla luce di una componente performativa. Frutto, in molti casi, di una rabbia o di una vitalità giovanili, i manifesti del Novecento non solo esprimono il desiderio dei loro autori di cambiare il mondo attraverso l’arte, ma si fanno interpreti della voce di un’intera generazione. Esplorando la potenza e l’urgenza di queste affermazioni – espresse con passione e convinzione dagli artisti di epoche diverse – Manifesto si chiede se le parole e sentimenti in esse contenute, abbiano retto la prova del tempo.

Hanno ancora un significato universale? E come sono cambiate le dinamiche tra politica, arte e vita vissuta?

Manifesto è un’opera, scritta, diretta e prodotta da Julian Rosefeldt. È stata commissionata dall’ACMI – Australian Centre for the Moving Image di Melbourne, l’Art Gallery of New South Wales di Sydney, dalla Nationalgalerie – Staatliche Museen zu Berlin e dallo Sprengel Museum di Hanover; co-prodotta da Burger Collection Hong Kong e Ruhrtriennale e realizzata grazie al generoso sostegno di Medienboard Berlin-Brandenburg e in cooperazione con Bayerischer Rundfunk.

Manifesto. Julian Rosefeldt
fino al 21 aprile 2019

Palazzo delle Esposizioni
Roma,Via Nazionale 194

Immagine in evidenza: video still frame from Manifesto@Palazzo Esposizioni, 2019_ph. amaliadilanno

20
Feb

INTROSPECTIVE WINDOW

“Il potere creativo della mente si sveglia vivace mentre forma il finito dall’indefinito”
Goethe – Howards Ehrengedächtnis

L’arte è la finestra introspettiva sulla nostra interiorità.
Da questa immagine visiva e mentale nasce l’idea della mostra che inaugura sabato 23 febbraio alla Galleria Emmeotto a Palazzo Taverna.
Una finestra da cui ognuno di noi può e deve guardare per perdersi e ritrovarsi, per comprendere non il significato a tutti i costi, ma per conoscere ed entrare in sinergia con una sensibilità altra, per compiere un percorso a ritroso fino all’essenza di un’opera d’arte, mezzo che amplifica il sentire nostro e degli artisti, i quali restituiscono alla realtà più di quello che prendono da essa. Una finestra come luogo di frontiera e, allo stesso tempo, di contatto e fusione tra verità e immaginazione, tra passato e futuro, tra mente e corpo, dove le dinamiche emozionali personali esplorano e cercano un riscontro nella rappresentazione, in un continuo movimento interno che non si ferma mai. Il raccontarsi degli artisti è il viaggio emotivo tra ricerca interiore ed evoluzione materica, all’interno del sé, il percorso di nascita, scoperta, crescita, decomposizione e ri-creazione sotto altre forme, una palingenesi che scrive e riscrive un diario personale, elemento dopo elemento, pagina dopo pagina e si arricchisce di esperienze come una pièce teatrale si infittisce di dialoghi.
Ogni artista in mostra vive il processo creativo in maniera totalizzante, una sorta di catarsi necessaria, che scopre e rivela, con la singolarità del modus operandi, una prospettiva differente, che ci permette di guardare al di là dell’apparenza e di instaurare quell’empatia dalle molteplici sfaccettature che solo la nostra interiorità può generare, ancora di più se ci troviamo ad interagire con gli stimoli dettati da diverse espressioni e linguaggi.
Renzo Bellanca, attraverso una selezione di opere della serie Satellite Map, realizzate con tecnica mista su carta e tela nel 2018, ci accompagna in un percorso stratigrafico tra mappe e paesaggi, ma senza corrispondenze precise. Il sovrapporsi di elementi fisici, interiori e mentali diventa un tragitto di contaminazione tra presente e memoria, in una dimensione astratta e macrocosmica, ma nonostante questo, riconoscibile e intima, che va a occupare gli spazi tra la realtà e l’inconscio, l’immaginazione e il pensiero razionale. Il trattamento e l’interpretazione del colore diventano la bussola del cammino che si dispiega tra confini, limiti, insenature e isole fuori e dentro di noi. Una carta geografica che, ogni volta, si arricchisce di nuovi segni e simboli.
Micaela Lattanzio parte da un’indagine fotografica, rielabora l’immagine da lei realizzata e la rende elemento “pittorico”. Da un minuzioso e attento lavoro che si basa sulla ripetizione del multiplo circolare, arriva alla creazione di un insieme, una nuova prospettiva composta da architetture complesse che avvolgono lo spettatore in suggestioni emotive. Che siano elementi presenti in Natura, come l’inedito dittico Nucleo (2018) o corpi, in essi è proposta una visione introspettiva, uno scenario surreale “fragmentato”, un mosaico che crea una terza dimensione materica e narrativa che va oltre l’estetica e fa riflettere sull’essenza e sull’esplorazione dell’uomo e del suo sentire le forme naturali da cui trae benessere psicofisico .
Nei lavori inediti realizzati per la mostra da Barbara Salvucci, il segno ripetuto e continuo della produzione precedente si fa più intenso, fitto, totale. Il tratto mandalico, in un gioco continuo di pieni e di vuoti, da una meditata e controllata concentrazione dà vita ad una forte irrazionalità emozionale come in un sogno o in una visione onirica, dove tutto sembra ignoto, ma riconoscibile. Il movimento coinvolge, inevitabilmente, chi guarda, a volte in vortici astratti, altre in ondulazioni mantriche fino a spostarlo in uno spazio fisico e interno differente, in particolar modo quando la luce viene meno e l’opera al buio diventa altro al di fuori di sé e di noi, e tutto cambia, la percezione, la vibrazione del corpo e della cognizione.
Bankeri utilizza come medium la carta e la tecnica del collage, in binomio con un’abile capacità di mixare le scelte cromatiche, ed è in questo processo di rigenerazione materica che avviene la trasformazione del messaggio personale. La spontanea meticolosità del gesto artistico ripetuto esalta la potenza visiva. Lo smembramento e il riassemblaggio di un’immagine precedente, un pensiero, un’idea o uno stato d’animo ci permettono di librare in un’inedita cosmogonia di stelle. Seppur la trattazione dello spazio sembra dirompere in maniera casuale e caotica, in realtà, tutto è dettato da una continuità, da una regia dalla voce distinta che va oltre la bidimensionalità della tela, in equilibrio perfetto tra inquietudine e la sensazione inebriante che stia per succedere qualcosa di inaspettato, soprattutto dopo che le opere sono state al buio, senza la luce diretta, e assorbono un’energia diversa che rivela una nuova lettura.
L’apice dell’interazione, nel percorso espositivo della mostra, avviene con lo Star Gate di Penelope, nome d’arte di Chiara Cocchi, una “finestra” di stelle che mette in comunicazione la Natura, la mente, il corpo, ma anche scienza, filosofia e sociologia. Realizzata con vetri, specchi e LED, la sua opera, crea un passaggio verso un’altra dimensione. Partendo da una rappresentazione scientifica dell’Universo, in questo caso una mappa stellare, supportata da un’accurata ricerca non solo tecnico-estetica, ma anche culturale, si arriva ad una comunicazione artistica intensa ed emozionale. Le sue esperienze e storie sono interiorizzate e raccontate attraverso lo spazio-tempo della sua sensibilità in uno scambio continuo tra macro e microcosmo, ed ognuno di noi può affacciarsi al “portale”, infinito” come lo definisce l’artista e guardar(si)e dentro.

NeI processo di creazione, il trasporto interiore plasma la materia, trattata dagli artisti con una sapienza manuale rintracciabile distintamente nelle opere realizzate. Tutti ne affrontano la scomposizione per poi darle nuova vita e significato e dialogano con il nostro sguardo più intimo. Il racconto metaforico scopre l’invisibile per trovare, mediante il gesto, una nuova scala diatonica tra sentimenti e pensieri, realtà e rappresentazione, andata e ritorno. Ed ecco che, dalla finestra introspettiva si diffonde un vortice di affinità elettive che si instaura tra noi, gli artisti, le opere, le vite…quello che vediamo, quello che sentiamo.

INTROSPECTIVE WINDOW
Bankeri | Renzo Bellanca
Penelope Chiara Cocchi
Micaela Lattanzio | Barbara Salvucci
A cura di Valentina Luzi

Palazzo Taverna – Via di Monte Giordano, 36 – 00186 Roma
Opening Sabato 23 Febbraio 2019 ore 18.30
25 Febbraio – 31 Maggio 2019

15
Feb

Ryoichi Kurokawa. Al-jabr (algebra)

FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE è lieta di presentare al-jabr (algebra), prima mostra personale in un’istituzione Italiana dell’artista giapponese Ryoichi Kurokawa, che inaugura venerdì 14 settembre 2018 alle ore 18 alla Galleria Civica di Modena, nella sede di Palazzo Santa Margherita, in occasione del festivalfilosofia 2018 dedicato quest’anno al tema della Verità. A cura di NODE – festival internazionale di musica elettronica e live media che si svolgerà a Modena dal 14 al 17 novembre 2018, l’esposizione raccoglie alcune tra le produzioni recenti più significative di Kurokawa, in un percorso multisensoriale caratterizzato da imponenti opere audiovisive, installazioni, sculture e stampe digitali.

Originario di Osaka ma residente a Berlino, Kurokawa descrive i suoi lavori come sculture “time-based”, ovvero un’arte fondata sullo scorrimento temporale, dove suono e immagine si uniscono in un legame indivisibile. Il suo linguaggio audiovisivo alterna complessità e semplicità combinandole in una sintesi affascinante. Sinfonie di suoni che, in combinazione con paesaggi digitali generati al computer, cambiano il modo in cui lo spettatore percepisce il reale.

Tema chiave della mostra è il concetto di unione, a cui si rimanda il titolo al-jabr, termine arabo da cui deriva la parola “algebra”, che indica appunto la ricomposizione delle parti di un insieme. Le opere in mostra presentano concetti e metodologie quali la decostruzione e la conseguente ricostruzione di elementi naturali (elementum, lttrans, renature), la riconciliazione di strutture divise (oscillating continuum), la rielaborazione di leggi e dati scientifici (ad/ab Atom, unfold.alt, unfold.mod). Tali metolologie ricordano una versione moderna e tecnologicamente avanzata della tecnica del kintsugi, ideata alla fine del XV secolo da ceramisti giapponesi per riparare tazze e vasi: le linee di rottura dei manufatti vengono saldate ed evidenziate dalla polvere d’oro, per rendere la fragilità il loro punto di forza. Il kintsugi non è solo un concetto artistico ma ha profonde radici nell’estetica del wabi-sabi, la visione del mondo tipica della cultura giapponese fondata sull’accettazione della transitorietà delle cose che echeggia anche nella poetica di Kurokawa.

Ne costituisce un esempio la serie elementum (2018): fiori essiccati e pressati che hanno perso la loro bellezza originale sono riassemblati dall’artista e arricchiti da un intervento su vetro creato attraverso un processo di elaborazione digitale dell’immagine che sembra collegare i vari frammenti e dare al fiore nuova vita valorizzandone il processo di decadenza. In maniera analoga le grafiche astratte della serie lttrans (2018), e le sculture appartenenti alla serie renature::bc-class (2015) possono essere percepite come immagini di fiori e insetti ma, avvicinandosi gradualmente, si rivelano un insieme di filamenti e particelle: si tratta quindi di una rappresentazione digitale del vero in cui viene reso visibile il processo di ricostruzione, esattamente come avviene nel Kintsugi.

Kurokawa considera l’osservazione della natura un’analisi scientifica, e negli anni l’interesse per questo tema lo ha portato a coinvolgere sempre più spesso membri di istituti di ricerca nel processo creativo, come nel caso dell’installazione audiovisiva unfold.alt (2016): posta in apertura del percorso espositivo, trae ispirazione dalle ultime scoperte nel campo dell’astrofisica e cerca di tradurre i fenomeni che caratterizzano la formazione e l’evoluzione di stelle e galassie. Per realizzarla, Kurokawa si è avvalso della collaborazione di Vincent Minier, astrofisico dell’Istituto di ricerca sulle leggi fondamentali dell’Universo che fa parte della Fundamental Research Division del CEA-Irfu, Paris-Saclay di Parigi.

In ad/ab Atom (2017) cambia l’ottica dello strumento: dal telescopio si passa al microscopio elettronico a scansione utilizzato per le ricerche sulle nanotecnologie. Realizzata durante una residenza presso l’INL, il Laboratorio internazionale di nanotecnologia iberica di Braga (Portogallo), l’opera è composta da sette schermi ad alta definizione posizionati in maniera elicoidale. Attraverso fenomeni audiovisivi generati dall’elaborazione di materiali quantistici, Kurokawa crea un viaggio nella scala nanoscopica in cui è possibile osservare l’estrema deformazione e astrazione del mondo atomico. Analogamente, la scultura audiovisiva oscillating continuum (2013) unisce l’infinitamente grande dell’universo e l’infinitamente piccolo,  nel tentativo di rappresentare la costante ricerca di equilibrio intrinseca in ogni forza e materia presente nel nostro universo.

Quella di Ryoichi Kurokawa è un’arte che mira dunque a rendere accessibile al pubblico livelli di osservazione del vero altrimenti impossibili da decifrare, suggerendo affascinanti parallelismi con il mondo interiore.Continue Reading..